La vicenda riguardava un uomo che, dopo essere stato querelato dall’ex moglie, era stato 
condannato sia in 
primo grado che in 
appello per 
atti persecutori, ex art. 
612 bis c.p.
 
	L'
imputato, in entrambi i giudizi di merito, aveva sostenuto che non era sua intenzione perseguitare la moglie, ma solamente rivendicare la sua 
abitazione ed impedire che la figlia frequentasse il nuovo compagno della donna. La difesa faceva notare che, di fatto, l’ex moglie 
non aveva modificato le sue abitudini di vita e che, successivamente, vi era stata la 
remissione della querela da parte sua, pertanto il comportamento dell’uomo non doveva essere percepito come grave.
 
	La Corte d'
Appello, però, a fronte delle 
reiterate condotte attraverso cui l’uomo aveva inviato all’ex moglie messaggi telefonici minacciosi volti a spaventarla, aveva considerato ininfluente la marcia indietro della donna, sostenendo che la remissione della querela non fosse idonea ad estinguere il 
reato, poiché ricorrevano minacce reiterate.
 
	I giudici avevano affermato che, secondo la 
legge, per la revocabilità o meno della 
querela non sia rilevante il carattere della 
gravità, ma piuttosto la 
ripetizione della condotta volta a spaventare la vittima.
 
	Inoltre, per i giudici di secondo grado, il cambiamento delle abitudini di vita, pur potendo configurare un sintomo derivante dalla condotta di stalking, non rappresentava un suo requisito essenziale.
	La 
Corte di Cassazione si è pronunciata con la 
sentenza n. 5092/2020, accogliendo il ricorso dell’uomo. Secondo la Suprema Corte, è errato considerare irrilevante il fatto che la donna non avesse cambiato le proprie abitudini di vita, in quanto l'articolo 
612 bis c.p. considera tale condizione come 
necessaria per la configurabilità degli atti persecutori.
 
	Per quanto riguarda, invece, gli effetti della remissione della querela, la Cassazione precisa che, anche se nel caso di stalking non trova effetto la modifica introdotta dal D. Lgs. 36/2018, che ha sancito la procedibilità a querela e non più d’ufficio in caso di 
minaccia grave (art. 
612, comma 2, c.p.), 
se le minacce non sono gravi, come nel caso in esame, 
la rinuncia alla querela ha l'effetto di estinguere il reato.
 
	Pertanto, la Cassazione ha annullato la sentenza di secondo grado, rinviando il 
giudizio ai giudici di merito.