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Le molestie reiterate sui social network configurano reato di stalking

Le molestie reiterate sui social network configurano reato di stalking
Perché si configuri lo stalking è necessario che le condotte siano reiterate e idonee a provocare un effetto destabilizzante nella psiche della vittima, tale da indurla ad alterare le sue abitudini di vita.
La vicenda passata sotto il vaglio della Cassazione riguardava un uomo accusato di atti persecutori per aver offeso, minacciato e molestato, con condotte reiterate, una donna e i suoi familiari, mediante post pubblicati su un social network.
La fattispecie di atti persecutori di cui all'art. 612 bis c.p., anche detta stalking, consiste in un reato abituale, in quanto si concretizza mediante il compimento di condotte reiterate, con cui l'autore molesta o minaccia una persona, cagionandole un perdurante e grave stato di ansia o di paura, oppure un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di una persona a lei legata, tale da costringerla ad alterare le proprie abitudini di vita.
Già i giudici di merito avevano constatato che nel caso in esame la vittima versava in uno stato di ansia e tensione, condizione che prescinde dall'accertamento di un vero e proprio stato patologico e per la quale non è necessario un accertamento per mezzo di una perizia medica; infatti, il giudice può autonomamente rilevare come la condotta abbia inciso sull’equilibrio psichico della vittima anche basandosi sulle massime d’esperienza.
Già in più occasioni la giurisprudenza ha evidenziato che, ai fini della configurabilità del reato di stalking, non è necessario che la vittima descriva puntualmente tutte le condotte dell’autore, ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori (minacce, molestie e insulti alla persona offesa) producano un effetto destabilizzante nella psiche della vittima e vadano ad incidere sul suo stile di vita e sulla sua serenità.
Tale fattispecie, infatti, differisce dal reato di lesioni di cui all’art. 582 c.p., nel quale l’evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia psicologica.
La prova del danno, ossia del grave e perdurante stato di ansia o di paura provocato nei confronti della vittima, può essere ricavata sia dalle dichiarazioni di quest’ultima, che dai suoi comportamenti successivi alla condotta dell'agente. Bisognerà inoltre valutare la condotta stessa, considerando sia la sua potenziale idoneità a causare l’evento, sia la sua essenza in concreto, in relazione al luogo ed al tempo in cui è stata posta in essere.
Nel caso in esame, era stato rilevato che la vittima era stata costretta a modificare le proprie abitudini di vita e a ricorrere spesso all'aiuto di amici per farsi accompagnare a casa; aveva poi dovuto installare un blocco delle chiamate in entrata nel suo telefono e si doveva continuamente giustificare, anche a lavoro, per le continue diffamazioni compiute dall'imputato nei suoi confronti sui social network.
Date queste premesse, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45141/2019, ha stabilito che la condotta in esame, essendo stata idonea ad impedire alla vittima di condurre una vita normale, configurava reato di stalking.


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