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Esempi vari di liberalità indirette

Esempi vari di liberalità indirette
Casi di donazioni indirette giunte al vaglio della giurisprudenza e per i quali non occorre il rispetto della forma solenne.

Abbiamo trattato in una precedente notizia della necessità del rispetto della forma dell’atto pubblico con l’assistenza dei testimoni per bonifici o trasferimenti di titoli e valori mobiliari, realizzati per il tramite di un ordine impartito alla banca e concretantesi in un arricchimento del beneficiario per mero spirito di liberalità.
A sostenerlo è stata da ultimo la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18725 del 27.07.2017, in cui ha pure affermato che, restano esclusi dal rispetto di tale onere formale, tutti quegli atti e negozi giuridici per mezzo dei quali si pone in essere una donazione indiretta.
Adesso, invece, cercheremo di approfondire proprio l’argomento della donazione indiretta, con l’evidente scopo di individuare, alla luce anche della casistica giurisprudenziale, i casi in cui può dirsi posta in essere una tale forma di donazione, con conseguente esclusione del necessario rispetto della forma solenne prevista per la donazione tipica.

Intanto, sembra opportuno precisare cosa si intende per donazione indiretta (o, come viene anche definita, “atipica”).
La sua fonte normativa si rinviene nell’art. 809 c.c., dalla lettura del quale se ne deduce che si realizza una donazione di tale tipo tutte le volte in cui le parti, al fine di conseguire il risultato tipico della donazione contrattuale (ossia il depauperamento del donante e l’arricchimento del donatario), decidono di avvalersi di strumenti giuridici diversi dalla donazione, ma che producono, in via mediata o indiretta, effetti economici di liberalità.
Per raggiungere l’effetto desiderato (arricchimento del donatario senza corrispettivo) possono utilizzarsi sia atti materiali che negozi giuridici, unilaterali o bilaterali.
Estremamente varia, infatti, è la tipologia di atti che possono essere impiegati per il conseguimento, in via indiretta, dello scopo liberale, e la finalità di questo scritto sarà proprio quello di analizzare le diverse escogitazioni giunte all’attenzione dei giudici, ed a cui nella pratica si è fatto ricorso, per conseguire indirettamente detto fine.

Così, tra gli atti aventi tale scopo possono annoverarsi:
  1. la rinunzia: trattasi di un atto puramente dismissivo di diritti o di altre situazioni giuridiche soggettive, il quale ha come effetto immediato la perdita del diritto in capo al rinunziante, ma che può anche avere come effetto mediato l’incremento del patrimonio di un terzo.
L’esempio più semplice che può farsi è quello della rinuncia al diritto di usufrutto, la quale ha come effetto mediato quello di far acquisire al nudo proprietario il pieno godimento del bene.
Altro esempio, abbastanza ricorrente nella pratica, è quello della rinuncia all’eredità, la quale può essere posta in essere al preciso scopo di far saltare un passaggio alla trasmissione ereditaria di uno, più beni o perfino di un intero compendio patrimoniale, facendo sì che l’eredità possa essere accettatadirettamente dai propri figli.
Solo nel caso della rinuncia al diritto di usufrutto sarà necessario il rispetto della forma dell’atto pubblico, ma non il requisito ulteriore della presenza dei testimoni prescritto per le donazioni dirette (la forma dell’atto pubblico dovrà essere rispettata al fine di poter provvedere alla necessaria trascrizione nel pubblici registri immobiliari).
Per la rinuncia all’eredità, invece, sarà sufficiente recarsi nella Cancelleria del luogo in cui si è aperta la successione.

  1. la remissione di debito: trattasi di fattispecie espressamente prevista dall’art. 1236 del c.c. e può indubbiamente produrre effetti liberali in misura pari alla somma di denaro dalla cui restituzione il debitore viene esonerato.
Come in un normale atto di donazione, il debitore/donatario potrebbe perfino manifestare una volontà contraria a tale remissione mediante un atto di rifiuto espresso.
Va precisato, a tal proposito, che la remissione può riguardare tutti i diritti di credito, fatta eccezione per quelli indisponibili da parte del titolare, come ad esempio i diritti alimentari.

  1. la delegazione di debito, sia solvendi che promittendi.
Si ha delegatio solvendi quando il debitore assegna al creditore un nuovo debitore, il quale paga il debito per conto dell’originario debitore; trattasi di un istituto non espressamente nominato dal codice, ma previsto dall’art. 1269 del c.c., nella parte in cui si dice che il debitore può delegare un terzo per eseguire il pagamento.
Si ha delegatio promittendi quando il debitore assegna al creditore un nuovo debitore, il quale questa volta promette di pagare il debito in futuro (è questa l’ipotesi prevista dall’art. 1268 del c.c.).
Ebbene, a parte il rilievo che la delegazione risulta essere uno strumento molto utile nei traffici giuridici, in quanto consente di semplificare molte operazioni (nella normalità dei casi il debitore delegato è a sua volta debitore del delegante, e quindi con un solo pagamento si soddisfano due rapporti), ad essa si potrebbe fare ricorso anche per beneficiare il delegante (ossia il debitore originario) di una somma di denaro equivalente al debito che il medesimo ha verso il suo creditore (delegatario).
Prescindendo dall’esame specifico della causa della delegazione (per la quale non vi è unanimità di posizioni in dottrina e giurisprudenza), può dirsi semplicemente che nei rapporti tra delegante e delegato (comunemente definito rapporto di provvista), il secondo può assumere il debito del delegante per spirito di liberalità verso costui (oltre che, ovviamente, perché potrebbe riceverne una controprestazione ovvero perché esisteva un suo preciso obbligo in tal senso).
  1. l’espromissione: si configura tale istituto giuridico tutte le volte in cui un soggetto (terzo espromittente) manifesta la volontà di assumere il debito di un altro soggetto (debitore estromesso) nei confronti del creditore originario (espromissario).
Il meccanismo può considerarsi analogo a quello della delegazione, ma se ne differenzia per il fatto che l’atto del terzo, prescindendo da ogni delegazione da parte del debitore originario, è un atto del tutto spontaneo, cioè prescinde da ogni obbligo che il terzo espromittente può avere nei confronti del debitore estromesso.
Anche qui, infatti, come nella delegazione, sono individuabili due rapporti, ossia il c.d. rapporto di provvista tra espromittente-debitore originario (il quale può avere causa liberale) ed il c.d. rapporto di valuta tra debitore originario-creditore
  1. l’accollo: è disciplinato dall’art. 1273 del c.c. e si definisce tale quella convenzione con cui un soggetto (accollante) assume su di sé il debito che un altro soggetto (accollato) ha verso il creditore (accollatario).
Al di là della diversa natura e forma che tale istituto può assumere, possiamo soltanto dire che mentre l’espromissione è un accordo tra terzo e creditore, l’accollo è un accordo tra debitore e terzo.
Sotto il profilo causale, si discute se esso abbia causa propria o se la causa dello stesso, in quanto negozio accessorio, debba ricondursi a quella del negozio principale.
In ogni caso l’assunzione del debito altrui può avvenire oltre che in cambio di un corrispettivo, anche donandi causa, venendosi anche in questo caso a realizzare una donazione indiretta, senza che necessiti il rispetto della forma solenne.
  1. la rinuncia a far valere decadenze o prescrizioni: il pagamento di un debito prescritto, ricollegabile ad un atteggiamento di deliberata inerzia del soggetto che avrebbe il diritto di eccepire la prescrizione, non può che integrare una attribuzione liberale di ciò che indebitamente viene corrisposto.
  2. la costruzione su suolo altrui: se una costruzione viene realizzata su terreno di proprietà di chi costruisce, è chiaro che sarà anche sua la proprietà della costruzione.
Nulla impedisce, però, che si decida di costruire su terreno di proprietà altrui, ciò che può essere conseguenza di un errore, ma anche frutto di una libera scelta; in tal caso, per il noto principio dell’accessione vigente nel nostro ordinamento, il proprietario del suolo diventerà ex lege proprietario della costruzione.
Lo stesso principio vale nel caso di piantagioni, semine o qualunque altra opera eseguita su suolo altrui: a beneficiarne sarà il proprietario del suolo, con conseguente pari impoverimento del patrimonio di colui che esegue le opere (anche in questi casi non si rende necessaria alcuna formale donazione).
  1. la donazione mista: ricorre in tutte quelle ipotesi in cui vi è un notevole squilibrio tra la prestazione di una parte e la controprestazione dell’altra.
L’ipotesi più frequente è quella della combinazione tra donazione e compravendita, la quale può essere strutturata come vendita di un bene ad un prezzo inferiore al suo reale valore di mercato ovvero come acquisto ad un prezzo notevolmente superiore (si parla di negozio oneroso con previsione di un corrispettivo a prezzo vile); è evidente che in questi casi l’intento potrà essere quello di arricchire indirettamente, e per spirito di liberalità, rispettivamente l’acquirente o il venditore che riceve la prestazione di maggior valore.
Ciò che si richiede, però, è che il prezzo assolva almeno in parte alla funzione di corrispettivo, in quanto un prezzo meramente simbolico indurrà inevitabilmente a qualificare quel contratto, avente veste giuridica di compravendita, come vera e propria donazione (è il caso della c.d. vendita nummo uno); normalmente ci si orienta nel dichiarare quale corrispettivo una somma pari quantomeno al valore catastale del bene, e ciò al fine di versare le imposte dovute per la compravendita in misura pari a quel valore, evitando il rischio di un successivo accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
  1. l’intestazione di beni in nome altrui: esempio classico è quello dell’acquisto di un immobile da parte di un soggetto con denaro di altro soggetto.
In casi come questo avremo una donazione indiretta se il corrispettivo della vendita viene, nella sua interezza, versato dal donante al donatario allo specifico scopo dell’acquisto del bene oppure mediante versamento diretto dell’importo al venditore.
La forma del trasferimento di tale somma di denaro viene rispettata mediante la sola partecipazione all’atto del terzo finanziatore, ossia per mezzo della forma richiesta per lo schema negoziale adottato.
Sotto il profilo successorio, è prevalente la tesi secondo cui oggetto di collazione non sarà la somma di denaro, bensì l’immobile con tale somma acquistato (così, da ultimo Cass. n. 13619/2017).
Altra ipotesi inquadrabile sotto tale fattispecie è quella del contratto preliminare stipulato dal beneficiante con denaro proprio, che fa intervenire nell’atto definitivo il beneficiato, al quale fornisce il denaro per pagare il saldo
  1. la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito bancario o postale: è qualificabile come donazione indiretta nella misura in cui detta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari.
  2. l’acquisto effettuato in capo ad uno solo dei coniugi ex art. 179 del c.c. ultimo comma: in questo caso, l’assenso del coniuge non acquirente partecipante all’atto di acquisto (assenso a cui si attribuisce natura in parte ricognitiva ed in parte confessoria), produce indubbiamente una donazione indiretta, in quanto contribuisce ad arricchire il patrimonio dell’altro coniuge (così Cass. N. 19153/2012; e n. 4689/1998)
  3. in materia societaria si viene a configurare una donazione indiretta tutte le volte in cui si consente a nuovi soci di entrare a far parte della compagine sociale dietro versamento del solo valore nominale delle quote e/o azioni, senza pagamento di un sovrapprezzo derivante dal consistente valore economico del complesso aziendale
  4. la cessione di azienda senza conteggio del valore di avviamento.
Dall’analisi di queste ipotesi, sicuramente non esaustive del panorama che l’esperienza pratica potrebbe offrire, se ne deve dedurre che molteplici sono quelli che potremmo definire spostamenti patrimoniali schermati, che possono consentire di raggiungere l’effetto tipico della donazione diretta attraverso un percorso composto da uno o più atti diversi.
Un breve cenno, infine, va fatto all’aspetto tributario delle donazioni indirette, e ciò soprattutto a seguito della reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni avvenuta con la Legge n. 262 del 3 ottobre 2006.
Tale legge, però, nulla ha esplicitamente previsto in ordine alla tassazione delle donazioni indirette, tant’è che successivamente alla sua introduzione è intervenuta l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 30/E del 11 agosto 2015, emanata in materia di Voluntary Disclosure, ed a seguito della quale è stata confermata la piena rilevanza delle liberalità indirette nell’ambito delle vigenti disposizioni tributarie.
La legge 262/2006 contiene a sua volta un richiamo al D.lgs. n. 346/1990 (c.d. TUS) e tra le disposizioni di quest'ultimo una attenzione particolare va rivolta agli articoli 1 comma 4-bis, 55 e 56-bis, riguardanti proprio le liberalità indirette
In particolare, il menzionato art. 1 comma 4 bis esclude dall'imponibilità le donazioni indirette non risultanti da atti soggetti a registrazione, specificandosi che, in conformità al principio di alternatività con l’imposta di registro o IVA, qualora la donazione indiretta sia collegata ad atti che abbiano ad oggetto il trasferimento o la costituzione di diritti immobiliari o il trasferimento di aziende per i quali siano dovute l’imposta di registro o l’IVA, l’imposta sulle donazioni non si applica (quindi, sarà possibile acquistare un immobile o un’azienda mediante provvista di un terzo, senza che tale donazione indiretta configuri una fattispecie assoggettabile ad imposta di donazione).
L’art. 56-bis (comma 1), a sua volta, stabilisce che le liberalità diverse dalle donazioni e da quelle risultanti da atti di donazione fatti all'estero a favore di residenti sono accertate e sottoposte ad imposta se ricorrano entrambe le seguenti condizioni:
  1. una dichiarazione relativa alla loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti di accertamento di tributi (evidentemente diversi dal tributo sulle donazioni);
  2. abbiano valore superiore ad una certa soglia, ossia:
- € 1.000.000,00 per coniugi e parenti in linea retta;
- € 100.000,00 per fratelli e sorelle;
- € 1.500.000,00 per soggetti portatori di handicap

Se ne deve dedurre che le liberalità indirette, anche se risultano da atto scritto non soggetto a registrazione, non sono normalmente accertabili qualora non vengano volontariamente registrate, fatta eccezione per quelle di importo oltre soglia e per le quali sia dichiarata l’esistenza nell’ambito di un procedimento di accertamento di tributi.
Tale orientamento trova la sua spiegazione nella impossibilità di individuare in modo univoco e certo l’esistenza dell’animo liberale in atti diversi dalla donazione tipica o al di fuori delle ipotesi di volontaria dichiarazione, finendosi in caso contrario per dare un connotato inquisitorio al sistema tributario in esame.


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