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Danno da nascita indesiderata: č la madre che deve provare la volontā abortiva

Sanitā - -
Danno da nascita indesiderata: č la madre che deve provare la volontā abortiva
Per poter risalire induttivamente alla prova presuntiva è necessaria la raccolta di plurimi e distinti elementi fattuali che manifestino la volontà abortiva.
La vicenda aveva preso avvio dalla domanda di risarcimento proposta da due genitori nei confronti dell’azienda ospedaliera per i danni derivanti dall’omessa tempestiva diagnosi e rappresentazione di gravi malformazioni del feto, così da impedire alla gestante di esercitare il suo diritto di interrompere la gravidanza.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello di Milano avevano rigettato la domanda, argomentando sulla base di quanto già espresso dalla giurisprudenza delle sezioni unite per cui, in casi come quello in esame, i genitori hanno l’onere di dimostrare: a) che, se la donna avesse saputo della malformazione, avrebbe deciso di abortire; b) l’esistenza di un grave pericolo della donna come conseguenza del parto o un grave pericolo per la salute fisica o psichica della stessa (presupposto legale per esercitare il diritto di aborto dopo i 90 giorni).
Secondo la Corte d’appello, questa prova nel caso di specie era mancata. I genitori avevano pertanto proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero violato la regola del riparto dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

La Corte di Cassazione si è pronunciata con l’ordinanza 11123/2020, rigettando il ricorso.
La Suprema Corte ha dapprima ricordato l’orientamento assunto dalle Sezioni Unite per cui l'onere di provare che la madre, se fosse stata tempestivamente informata dell'anomalia del feto, avrebbe esercitato la facoltà di interrompere la gravidanza può essere assolto tramite presunzioni; graverebbe poi sul medico l’onere di provare che la donna non avrebbe optato per l'aborto.

Tuttavia, la valutazione della prova concerne una questione diversa: per giungere ad una presunzione è necessario il ricorso alla prova logica, e dunque è necessaria la raccolta di plurimi e distinti elementi fattuali (come, ad esempio, il ricorso ad un consulto medico per conoscere lo stato di salute del nascituro, la richiesta di esami specifici intesi ad escludere malformazioni, le precarie o alterate condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero a favore della possibilità di abortire in caso di malformazioni del feto) indispensabili per poter risalire induttivamente alla prova presuntiva semplice. Tali elementi fattuali devono essere forniti dalla parte che intende farne uso (in questo caso la madre).

Alla luce di queste premesse, la Cassazione ha ritenuto che i giudici di merito, nell’aver attribuito alla madre l’onere di allegazione e dimostrazione degli elementi fattuali da utilizzare nello schema logico-presuntivo (che sono cosa diversa dalle mere allegazioni di intento), non erano incorsi in violazione del principio dell’onere della prova ex art. 2697 c.c.


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