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Compilazione della cartella clinica incompleta

Sanità - -
Compilazione della cartella clinica incompleta
Sono responsabili i medici che non hanno adeguatamente compilato la cartella clinica del paziente ricoverato.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6209 del 31 marzo 2016, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di responsabilità medica.

Nel caso esaminato dalla Corte, due soggetti, in qualità di esercenti la potestà su due minori, avevano agito in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del danno subito dalla figlia in occasione del parto, che le avevano cagionato una grave insufficienza mentale.
Era stata convenuta in giudizio l’A.S.L. di riferimento, oltre i medici personalmente responsabili.

Il Tribunale, pronunciatosi in primo grado, aveva rigettato la domanda risarcitoria e tale sentenza veniva confermata anche dalla Corte d’appello, con la conseguenza che i genitori decidevano di proporre ricorso per Cassazione.

La Corte di Cassazione premetteva che “gli attori avevano prospettato la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera per non aver prestato alla (.) un'adeguata assistenza al parto e per non avere assicurato alla bambina un idoneo trattamento post-natale”.

Gli attori, inoltre, avevano dedotto dei “vuoti temporali", delle "carenze nella tenuta della cartella clinica" e che “la neonata era stata di fatto abbandonata a se stessa per sei ore, ossia per l'intervallo (compreso tra le 3,00 e le 9,00 del mattino del 2.12.1996) in relazione al quale non risultavano effettuate annotazioni in cartella clinica”.

La Corte d’appello, tuttavia, aveva “ritenuto che non potesse ascriversi a responsabilità dei sanitari la mancata effettuazione del tracciato cardiotocografico in luogo della mera auscultazione del battito cardiaco fetale (giacchè le condizioni della (…) non ne comportavano la necessità e, comunque, il tracciato di controllo non avrebbe potuto rilevare la presenza dell'asfissia)” ed aveva affermato, altresì, che “la fase post-natale fu gestita con corretta predisposizione di diagnosi e terapie nel momento in cui si evidenziò il peggioramento della bambina”, rilevando anche che "il trasferimento al reparto di rianimazione fu disposto con tempistica ragionevole, nè un suo anticipo avrebbe condotto a risultati terapeutici migliori".

Pertanto, secondo la Corte d’appello non poteva ravvisarsila sussistenza di nesso di causalità tra attività posta in essere dai sanitari e quanto ebbe a verificarsi in danno della neonata”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover confermare la sentenza di secondo grado, e accoglieva invece il ricorso proposto dai genitori ricorrenti.

Secondo la Corte, infatti, in base ai principi della responsabilità contrattuale, l’ospedale e i sanitari che siano convenuti in giudizio per responsabilità medica, “sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall'articolo 1218 codice civile, con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull'esattezza dell'adempimento) non può che ricadere a loro carico”.

Peraltro, secondo la Cassazione, “la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (…)”.

Inoltre, la Corte evidenziava che non poteva dubitarsi che, “nel caso in esame, le difficoltà presentate dalla neonata al momento del parto comportassero la necessità di un attento monitoraggio post-natale, al fine di cogliere tempestivamente eventuali peggioramenti delle condizioni e di assicurare un immediato intervento”.

Alla luce di tali considerazioni la Cassazione riteneva che il giudice di secondo grado avesse errato “laddove, a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l'ipotesi - formulata dai consulenti d'ufficio - che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza e non avesse avuto problemi, anche perchè al mattino le condizioni cliniche erano stabili".

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello, così pronunciando, aveva violato “il criterio secondo cui l'imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anzichè per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile)”, traducendosi in un inammissibile violazione del “criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all'esattezza del proprio adempimento”.

La Corte di Cassazione, dunque, accoglieva il ricorso, rinviando la causa alla Corte d’appello, affinchè la medesima decidesse tenendo in considerazione i principi sopra enunciati.


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