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Articolo 612 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Provvedimento

Dispositivo dell'art. 612 Codice di procedura civile

Chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna (1) (2) per violazione di un obbligo di fare (3) o di non fare, dopo la notificazione del precetto, deve chiedere con ricorso al giudice dell'esecuzione (4) che siano determinate le modalità dell'esecuzione (5).

Il giudice dell'esecuzione provvede sentita la parte obbligata. Nella sua ordinanza (6) designa l'ufficiale giudiziario che deve procedere all'esecuzione e le persone che debbono provvedere al compimento dell'opera non eseguita o alla distruzione di quella compiuta.

Note

(1) L'esecuzione degli obblighi di fare e non fare può essere attivata solo in presenza di un provvedimento giurisdizionale. La norma infatti indica espressamente che l'esecuzione in esame può essere attivata in presenza di una sentenza di condanna, ma la dottrina ritiene che sia sufficiente un qualsiasi provvedimento contenente una condanna. Inoltre, la riforma del 2005 ha accolto i principi enunciati nella sentenza della Corte costituzionale n. 336/2002, ritenendo attivabile tale esecuzione sulla base del verbale di conciliazione.
(2) Quanto ai provvedimenti cautelari e possessori, nel vigore della vecchia normativa si escludeva concordemente che la procedura de qua potesse essere applicata alla fase di attuazione dei provvedimenti di cui agli artt. 1168 e 1170 c.c. e 703 e ss. c.p.c., in quanto era lo stesso giudice che aveva emesso il provvedimento a determinarne le modalità attuative. Queste considerazioni valevano anche per i provvedimenti d'urgenza [v. 700]. La materia è stata riordinata dalla l. 353/90 che ha introdotto per i procedimenti cautelari una disciplina autonoma, estendendone la applicazione anche ai procedimenti possessori.
(3) Si precisa che l'obbligazione di facere e di non facere deve consistere in una prestazione fungibile ovvero nella creazione o distruzione di opere materiali in modo tale da poter essere realizzata o dal soggetto obbligato o, se questo risulta inadempiente, da un terzo con identico effetto satisfattorio per il creditore, con spese a carico dell'obbligato.
(4) La parola «pretore» è stata sostituita dalle parole «giudice dell'esecuzione» ai sensi dell'art. 93, d.lgs. 19-2-1998, n. 51, a decorrere dal 2-6-1999. Per la soppressione dell'ufficio del pretore si confronti l'art. 8 del c.p.c..
(5) Nell'ordinanza con cui il giudice determina le modalità concrete di esecuzione dell'obbligo di fare o non fare deve nominare l'ufficiale giudiziario competente a procedere all'esecuzione e le persone che sono tenute a provvedere al compimento delle opere non eseguite o alla distruzione di quelle compiute in caso di inadempienza del soggetto obbligato. Inoltre, con la stessa ordinanza il giudice può andare ad integrare il titolo esecutivo per ciò che riguarda le modalità pratiche di attuazione del comando, non potendo affidare la concreta determinazione delle modalità di iniziativa all'interessato.
(6) L'ordinanza di cui alla norma in analisi può essere revocata o modificata dal giudice che l'ha emessa e risulta impugnabile dagli interessati con l'opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell'art. 617 del c.p.c..

Ratio Legis

L'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare mira a realizzare gli obblighi positivi di fare e gli obblighi di non fare qualcosa, la cui violazione li ha convertiti in obblighi positivi di eliminare ciò che è stato fatto in violazione dell'obbligo originario. Pertanto, l'esecuzione di cui si discute mira a dare attuazione agli obblighi positivi, consistenti nel realizzare o nel distruggere qualcosa.

Brocardi

Facere
Faciendi necessitas

Spiegazione dell'art. 612 Codice di procedura civile

Gli artt. dal 612 al 614 c.p.c. dettano la disciplina per l'esecuzione forzata di tutti gli obblighi di fare e di non fare, attraverso cui è consentita l'attuazione coattiva non solo di diritti assoluti, ma anche di diritti relativi.

Costituisce opinione pacifica quella secondo cui il creditore può fare ricorso all’ esecuzione in forma specifica soltanto quando non sia in condizione di procurarsi l'utilità cui ha diritto mediante l'esercizio di poteri sostanziali, ossia compiendo egli stesso la necessaria attività.

L'attuazione coattiva degli obblighi incontra un limite di carattere generale nella natura della prestazione da eseguire, in quanto oggetto di esecuzione in forma specifica possono soltanto essere obblighi relativi a prestazioni fungibili.

Si ha fungibilità di un obbligo allorché la prestazione può essere realizzata da un soggetto diverso da quello originariamente obbligato, con eguale soddisfazione del titolare del diritto contrapposto.
In realtà, però, la non attuabilità coattiva degli obblighi che hanno ad oggetto prestazioni infungibili è stata superata per effetto della Legge n. 69/2009, la quale ha introdotto una misura coercitiva indiretta di carattere generale (si veda l’art. 614 bis del c.p.c..

Una particolare ipotesi di obbligo infungibile riguarda l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro, di cui all’art. 18 statuto dei lavoratori, il quale, secondo i principi generali, non è eseguibile in forma specifica, poiché la sua attuazione richiede la necessaria cooperazione del soggetto obbligato.

L'ordinanza per effetto della quale il giudice dell'esecuzione determina, secondo quanto previsto dalla norma in esame, le modalità dell'esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si presenta come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo; come tale, essa non attiene al diritto della parte di procedere all'esecuzione, ma ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che è soggetta soltanto al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali.
Di contro, il provvedimento con cui sempre il giudice dell’esecuzione, ancorché in forma di ordinanza, non si limiti a determinare le modalità dell'esecuzione, ma dirima anche una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza, in considerazione del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, ed è, come tale, impugnabile con l'appello.

Una ipotesi che si presenta molto spesso nella pratica riguarda l’esecuzione di opere soggette a licenze pubbliche.
È discusso in questi casi chi sia il soggetto legittimato a richiedere le eventuali autorizzazioni o concessioni amministrative.
Secondo parte della dottrina, la richiesta deve essere inoltrata dall'ufficio esecutivo, in quanto occorre che sia corredata dai progetti delle opere da eseguire.
La giurisprudenza ritiene che la legittimazione competa anche al giudice dell'esecuzione.

Non vi è concordia di opinioni neppure in relazione agli strumenti processuali utilizzabili per l'attuazione dell'obbligo di consegna dei minori e delle persone incapaci.
Secondo una tesi minoritaria, si tratta di obbligo ineseguibile, in considerazione del carattere strettamente personale delle obbligazioni connesse alla "consegna" del minore o dell'incapace.
Secondo altra tesi sarebbe utilizzabile il meccanismo dell'esecuzione per consegna.
Prevalente, invece, è la tesi di quella parte della dottrina secondo cui sarebbe applicabile il procedimento esecutivo per obblighi di fare, individuando il soggetto esecutato talvolta nel minore, talvolta nel soggetto obbligato alla consegna o a sopportare che l'avente diritto faccia visita al minore o lo abbia con sé per il periodo delle vacanze.

Il primo comma di questa norma menziona, come unico possibile titolo esecutivo per l'esecuzione degli obblighi di fare, la sentenza di condanna.
Tuttavia, è opinione comune quella secondo cui tale espressione debba essere interpretata estensivamente, ricomprendendovi qualsiasi provvedimento giudiziale di contenuto condannatorio, anche se non rivesta la forma di sentenza
Inoltre, sebbene non venga specificato il contenuto del precetto per obblighi di fare e non sia prevista la necessità di inserire nello stesso precetto una descrizione dell'obbligo di fare o non fare rimasto inadempiuto (a differenza di quanto previsto all’art. 605 del c.p.c.), si ritiene in dottrina che una tale descrizione, anche se sommaria o per relationem, debba essere inserita quantomeno per ragioni sistematiche.

Il primo atto rilevante di esecuzione è diversamente individuato dalla dottrina.
Taluno considera come tale il deposito del ricorso per la determinazione delle modalità di attuazione dell'obbligo; altri, invece, lo individua nel provvedimento con cui il giudice fissa la comparizione delle parti, mentre altri, infine, nella notifica del precetto.
A seguito del deposito del ricorso con cui si chiede di determinare le modalità dell’esecuzione, il giudice ordina la comparizione delle parti e, dopo aver sentito l'esecutato, determina, con ordinanza, le modalità di attuazione dell'obbligo.
In tale determinazione il giudice deve tener conto non soltanto del risultato da ottenere (come individuato dal titolo esecutivo), ma anche delle esigenze dell'esecutato.

Il provvedimento in forza del quale si procede alla nomina delle persone indicate al primo comma o alla fissazione delle modalità dell'esecuzione, ha natura e forma di ordinanza, come tale revocabile e modificabile.

Qualora, invece, il giudice dell'esecuzione sia chiamato a definire, sempre ex art. 612, una controversia insorta tra le parti circa il diritto di procedere all'esecuzione, l’eventuale corrispondenza delle richieste dell'istante al contenuto del titolo, la conformità dell'opera eventualmente compiuta in modo spontaneo dal debitore rispetto al titolo esecutivo, ovvero definisca modalità che vanno al di là dei limiti del titolo esecutivo e che incidono su posizioni di diritto delle parti, il provvedimento pronunciato, pur avendo la forma dell'ordinanza, assumerà la natura di sentenza.

Massime relative all'art. 612 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 18572/2019

La sentenza di mero accertamento di obbligo di fare infungibile non costituisce titolo esecutivo, potendosi procedere alla esecuzione forzata in forma specifica soltanto in base a sentenza di condanna, almeno implicita, ed in relazione ad una prestazione che possa essere attuata indifferentemente sia dall'obbligato originario, sia per mezzo dell'attività sostitutiva di un qualunque altro soggetto, con identico effetto satisfattivo per il creditore, ovvero quando non sia indispensabile alcuna attività materiale personale di cooperazione specifica del condannato. (In applicazione del principio, la S.C. ha escluso che la sentenza di mero accertamento dell'obbligo dell'ente previdenziale di inserire in determinati elenchi il nominativo di un lavoratore agricolo sia idonea ad essere posta a base di esecuzione forzata in forma specifica, coinvolgendo una pluralità di condotte – quali l'inserimento del nominativo negli appositi elenchi e la verifica della produzione dei conseguenti effetti sia economici che normativi – aventi ciascuna carattere infungibile).

Cass. civ. n. 17440/2019

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, l'ordinanza del giudice dell'esecuzione che decida in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva non è appellabile, ma reclamabile ex art. 624 c.p.c. ove tale decisione sia stata presa solo in vista della mera sospensione della procedura (che resta pendente) in attesa dell'esito del giudizio di merito da instaurare, mentre è opponibile ai sensi dell'art. 617 c.p.c. ove abbia dichiarato la definitiva chiusura del processo esecutivo. In nessun caso è possibile la proposizione dell'appello. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza di accoglimento dell'appello proposto dagli istanti in esecuzione per obblighi di fare avverso l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione aveva dichiarato ineseguibile la sentenza di accertamento della linea di confine tra due fondi e di condanna all'apposizione di cippi e alla ricostruzione della canalina ivi esistente, e improcedibile l'esecuzione).

Cass. civ. n. 32196/2018

In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare spetta al giudice dell'esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell'obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con l'appello là dove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tale caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell'esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi. La sentenza che decide sull'appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l'interpretazione fornita dal giudice del merito circa l'accertamento compiuto e l'ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla S.C. il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio, nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto.

Cass. civ. n. 30761/2018

Ove sia realizzata una costruzione in violazione delle distanze o dei confini, la riconosciuta illegittimità della stessa non ne comporta necessariamente la demolizione integrale, ma, unicamente, la riduzione entro i limiti di legge, con demolizione delle sole parti che superano tali limiti. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui venga ordinata la demolizione della costruzione illegittima, senza specificare l'esatta misura della inosservanza di distanze o confini, il relativo accertamento può essere effettuato esclusivamente dal giudice dell'esecuzione, nell'esercizio dei poteri previsti dall'art. 612 c.p.c.

Cass. civ. n. 23900/2018

La condanna al pagamento di una somma di denaro, che indichi specifiche modalità di adempimento, non può in alcun modo essere qualificata come condanna relativa ad un obbligo di fare e, pertanto, l'esecuzione ad essa relativa può trovare attuazione solo attraverso il procedimento di espropriazione forzata - che implica necessariamente l'aggressione coatta al patrimonio del debitore e la sua liquidazione - e non invece attraverso il procedimento di cui all'art. 612 c.p.c., che consente soltanto di fissare le modalità di attuazione di una determinata condotta materiale fungibile in sostituzione del debitore.

Cass. civ. n. 7402/2017

In tema di esecuzione forzata per obblighi di fare o di non fare, l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 612 c.p.c., che abbia assunto contenuto decisorio in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all’ammissibilità dell’azione esecutiva, non può considerarsi – neppure quando abbia provveduto sulle spese giudiziali – come una sentenza decisiva di un’opposizione all’esecuzione (e quindi impugnabile con i rimedi all’uopo previsti), consistendo essa nel provvedimento definitivo della fase sommaria di tale opposizione, sicché la parte interessata può tutelarsi introducendo il relativo giudizio di merito ex art. 616 c.p.c..

Cass. civ. n. 17314/2015

Il provvedimento emesso in forma di ordinanza dal giudice dell'esecuzione per obblighi di fare e di non fare, che dirima in concreto una controversia insorta tra le parti, ove assuma valore sostanziale di sentenza su una opposizione all'esecuzione, è soggetto al regime di impugnazione via via vigente per tale tipo di provvedimento, sicché, se emesso nel periodo tra il 1° marzo 2006 e il 4 luglio 2009, non è appellabile ma esclusivamente ricorribile per cassazione.

Cass. civ. n. 23182/2014

Nel processo di esecuzione di obblighi di fare o di non fare, dal principio di irretrattabilità dei risultati del processo esecutivo discende la definitività della constatazione di chiusura della procedura esecutiva, contenuta nel verbale delle operazioni dell'ufficiale giudiziario, compiute in ottemperanza all'ordinanza del giudice dell'esecuzione, sempreché il verbale e l'ordinanza non siano stati impugnati per vizi concernenti la non conformità di quanto eseguito o disposto rispetto al titolo esecutivo. Ne consegue che, sopravvenuta la definitività della constatazione della chiusura della procedura esecutiva, al creditore procedente, che pure ritenga non perfettamente eseguito il comando giudiziale, resta preclusa la facoltà di azionare ulteriormente il medesimo titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 14208/2014

In tema di esecuzione forzata, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 cod. proc. civ., determini le modalità dell'esecuzione di un obbligo di fare o non fare, non può essere impugnata con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost. poiché essa non ha contenuto definitivo e decisorio, restando soggetta solo al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali;mentre, ove il giudice, nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima anche una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, la stessa assume valore sostanziale di sentenza, ed è soggetta, come tale, all'appello.

Cass. civ. n. 3643/2013

La sentenza di condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi (nella specie, per l'accertata violazione del limite legale della proprietà stabilito dall'art. 913 c.c.), pronunciata nei confronti del dante causa, ha efficacia di titolo esecutivo altresì nei confronti dell'avente causa, che abbia acquistato dopo la formazione del giudicato, per atto tra vivi a titolo particolare, il fondo assoggettato all'esecuzione delle opere eliminative. Ove, tuttavia, il trasferimento del bene sia avvenuto prima dell'inizio del processo di esecuzione forzata di obblighi di fare, la legittimazione passiva all'azione esecutiva spetta esclusivamente a chi, tra l'alienante condannato e l'acquirente del diritto, abbia la materiale disponibilità della cosa, e possa, perciò, realizzare il risultato dovuto in base al titolo; qualora, invece, la titolarità o il possesso del bene vengano trasferiti nella pendenza del processo esecutivo, gli atti già compiuti contro il dante causa conservano validità nei confronti del successore, rimanendo a quest'ultimo consentito di interloquire sulle modalità dell'esecuzione, anche in sostituzione del primo.

Cass. civ. n. 3722/2012

In tema di esecuzione forzata, l'ordinanza, con la quale il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., determina le modalità dell'esecuzione forzata di una sentenza per violazione di un obbligo di fare o di non fare, si caratterizza come un provvedimento con il quale vengono fissate le regole dello svolgimento del procedimento esecutivo e, quindi, non attiene al diritto della parte di procedere all'esecuzione, bensì ai modi con cui questa deve essere condotta, con la conseguenza che essa è soggetta soltanto al rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi per eventuali vizi formali; mentre il provvedimento con cui il giudice, ancorché in forma di ordinanza (come espressamente indicato nell'art. 612 c.p.c.), nel determinare le modalità dell'esecuzione, dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, ha natura sostanziale di sentenza in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata, cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice, ed è, pertanto, impugnabile con l'appello. (Nella specie, in applicazione degli enunciati principi, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva dichiarato inammissibile l'appello proposto avverso una prima ordinanza, con cui il giudice dell'esecuzione, in una procedura relativa alla determinazione degli obblighi di fare previsti da una sentenza di divisione di un compendio immobiliare, si era limitato a disporre la comparizione delle parti e del c.t.u., dichiarando nello stesso tempo inammissibile l'appello avverso una seconda ordinanza, con cui il medesimo giudice aveva dato ordine al c.t.u. di procedere a tutte le attività e le opere necessarie secondo una delle soluzioni alternative precedentemente individuate dallo stesso consulente).

Cass. civ. n. 15727/2011

In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, spetta al giudice dell'esecuzione verificare se il risultato indicato dal creditore procedente nel precetto corrisponda a quello prescritto nel titolo esecutivo; a tal fine, il giudice interpreta il titolo e ne detta le modalità di esecuzione, determinando quali siano le opere da realizzare coattivamente, poiché la parte esecutata, che avrebbe dovuto eseguirle spontaneamente, è invece rimasta inadempiente. Se, nel compiere tale attività, il giudice dell'esecuzione abbia disposto il compimento di opere contrastanti con il titolo esecutivo, ovvero abbia risolto questioni sorte tra le parti circa la rispondenza delle pretese esecutive al contenuto del titolo, o abbia dichiarata la conformità (o non) al titolo delle opere già eseguite spontaneamente dall'obbligato, oppure abbia affrontato una controversia insorta tra le parti sulla portata sostanziale dello stesso titolo esecutivo, il provvedimento perde natura esecutiva per assumere quella di una statuizione cognitiva, e perciò non si presta più ad essere impugnato nei modi propri degli atti esecutivi. (Nella specie, la S.C., alla stregua dell'enunciato principio, ha cassato per vizio di motivazione l'impugnata sentenza di accoglimento di un'opposizione all'esecuzione, ritenendo sussistente un giudicato esterno derivante da precedente provvedimento del giudice dell'esecuzione, il quale, dpo aver nominato un consulente tecnico d'ufficio per l'individuazione degli spazi di parcheggio da assegnare ai singoli condomini, si era altresì pronunciato sulle questioni insorte in ordine alla conformità al titolo delle opere presupposte dai quesiti dettati al consulente, così decidendo in merito all'individuazione del preciso contenuto del diritto da riconoscersi ai creditori procedenti, nonché alla portata dell'obbligo del soggetto esecutato e, in definitiva, risolvendo la medesima questione poi oggetto dell'opposizione all'esecuzione).

Cass. civ. n. 6665/2011

In tema di esecuzione coattiva di obblighi di non fare, l'art. 2933 c.c. consente di ottenere il ripristino della situazione precedente soltanto nei limiti delle statuizioni contenute nella sentenza di condanna al "non facere" e, in caso di non adempimento spontaneo, mediante il procedimento di esecuzione coattiva disciplinato nell'art. 612 c.p.c.. Ne consegue che una pronuncia emessa in sede possessoria che abbia ad oggetto esclusivamente atti di molestia compiuti su una specifica porzione di terreno non può, nel procedimento instaurato ai sensi dell'art. 612 c.p.c., essere estesa ad ogni tipo di molestie realizzabili sui fondi, anche diversi da quello indicato nel ricorso possessorio, che si trovino nella disponibilità dei ricorrenti.

Cass. civ. n. 19605/2010

Il provvedimento giudiziale assunto, in forma d'ordinanza ai sensi dell'art. 612 c.p.c.. al fine di determinare le modalità di esecuzione degli obblighi di fare, nel sistema delle opposizioni esecutive introdotto dalla legge 50 del 2006 ed anteriore alla legge n. 69 del 2009, non può essere qualificabile come sentenza relativa all'opposizione all'esecuzione o provvedimento conclusivo di un'opposizione agli atti esecutivi ove il giudizio non si sia chiuso con la risoluzione di una controversia relativa al titolo esecutivo o al diritto d'intraprendere l'esecuzione forzata o la risoluzione di una questione relativa alla validità del titolo idonee a definire il giudizio, oltre ad un'espressa statuizione sulle spese di lite. Ne consegue che non è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione (unico mezzo d'impugnazione applicabile "ratione temporis" alle opposizioni esecutive) nel caso in cui il provvedimento del giudice dell'esecuzione, assunto ai sensi dell'art. 612 c.p.c. semplicemente non contenga la fissazione del termine per l'iscrizione a ruolo, trattandosi di provvedimento ordinatorio agevolmente integrabile, attraverso l'istanza formulabile ai sensi dell'art. 289 c.p.c., o mediante iscrizione direttamente eseguita dall'interessato e non certo idoneo a ritenere concluso il giudizio.

Cass. civ. n. 10959/2010

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare o non fare, il titolo esecutivo indica il risultato che deve essere raggiunto e l'ordinanza di cui all'art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della P.A., che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva dell'attuazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo.

Qualora, con riguardo all'esecuzione di una sentenza di condanna alla demolizione di opere edili, in sede di comparizione delle parti davanti al giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 612 c.p.c. insorgano contestazioni circa la necessità o meno del rilascio di apposita concessione amministrativa per il compimento dei lavori, ovvero in ordine all'individuazione del soggetto tenuto a richiedere il provvedimento concessorio, le relative questioni non investono l'esistenza del titolo ed il diritto dell'esecutante, ma attengono alle modalità dell'esecuzione stessa. Ne consegue che il provvedimento con cui il suddetto giudice statuisca sulle indicate questioni, così come il provvedimento con cui si limiti a disporre la sospensione dell'esecuzione fino al rilascio della menzionata concessione, integrano atti del processo esecutivo, come tali non impugnabili con l'appello.

Cass. civ. n. 11703/2009

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare, è inammissibile l'opposizione agli atti esecutivi proposta avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza, ex art. 487 c.p.c., di modifica o di revoca del provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., abbia determinato le modalità dell'esecuzione, in quanto, scaduti i termini per proporre opposizione avverso quest'ultimo provvedimento, non è possibile "recuperare" tale facoltà con un'istanza di modifica o revoca.

Cass. civ. n. 11458/2007

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, il provvedimento che il pretore pronuncia, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., per determinare le modalità dell'esecuzione, stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, e designando altresì l'ufficiale giudiziario e le persone che devono provvedere all'attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo, ha natura ordinatoria e configura un atto esecutivo, come tale impugnabile, da parte dei soggetti interessati, soltanto con l'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c. Qualora, nelle more di detto giudizio, il giudice dell'esecuzione modifichi l'ordinanza impugnata, dando luogo a un provvedimento ricognitivo di quello precedente, detto provvedimento, in quanto privo di contenuto precettivo autonomo, non ha bisogno di essere a sua volta impugnato, poiché l'opposizione già proposta è idonea a rimuovere gli effetti scaturenti da quello precedente. (Nella specie, l'ordinanza impugnata, da un lato, aveva impartito indicazioni circa le modalità di esecuzione del titolo, cagionando per questa parte la declaratoria di cessazione della materia del contendere, dall'altro, aveva confermato la pronuncia sulle spese resa nel precedente provvedimento, su cui la sentenza confermata dalla S.C. si è validamente pronunciata).

Cass. civ. n. 407/2006

I provvedimenti interinali di reintegrazione hanno il carattere della esecutività, ma non danno luogo ad esecuzione forzata, atteso che, con essi, non si realizza ad un'alternativa tra adempimento spontaneo ed esecuzione forzata, ma un fenomeno intrinsecamente coattivo di esecuzione che si svolge ex officio iudicis. Pertanto, la loro esecuzione deve avvenire omettendo l'osservanza delle formalità dell'ordinario processo di esecuzione e, quindi, senza preventiva notificazione del precetto, bastando, nei confronti dell'intimato, che il provvedimento sia notificato in forma esecutiva, con la conseguenza che le spese del precetto, ove intimato, non sono ripetibili.

Cass. civ. n. 13914/2005

In caso di compravendita di bene immobile stipulata (e trascritta nei registri immobiliari) in pendenza di giudizio di cognizione avente il medesimo ad oggetto ed al cui esito sia stato imposto un obbligo di fare mediante esecuzione di determinate opere (nel caso, demolizione), l'acquirente ha diritto a che, nell'ambito del successivo giudizio di determinazione delle modalità dell'esecuzione ex art. 612 c.p.c., gli vengano notificati il titolo esecutivo ed il precetto, al fine di essere posto in grado di svolgere in tale sede la propria attività difensiva.

Cass. civ. n. 13666/2003

L'esecuzione dei provvedimenti interinali in tema di reintegrazione e manutenzione del possesso si colloca al di fuori del processo di esecuzione previsto e regolato dal libro terzo del codice di procedura civile, stante la natura e funzione propria degli anzidetti provvedimenti, diretti a soddisfare in via temporanea ed urgente l'esigenza di tutelare il possessore da attentati che il suo potere di fatto sulla cosa abbia subito o stia subendo e perciò revocabili e modificabili dallo stesso giudice che li ha emessi. Ne consegue che l'esecuzione coattiva dei provvedimenti anzidetti non si realizza nelle forme dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare ex art. 612 c.p.c., ma si svolge senza essere vincolata a quelle forme o a quelle competenze sotto il controllo e la determinazione delle modalità dello stesso giudice che li ha emessi.

Cass. civ. n. 10994/2003

Anche prima della entrata in vigore delle disposizioni sul procedimento cautelare uniforme, i provvedimenti urgenti aventi come contenuto ordini di fare o di non fare, ovvero di consegna o rilascio, — e quindi tutti i provvedimenti cautelari aventi come contenuto ordini diversi dalla dazione di somme di denaro — non avevano natura di titolo esecutivo forzata; per la loro attuazione era ed è necessario rivolgersi al giudice della cautela affinché emetta i provvedimenti che si rendono necessari.

Cass. civ. n. 3992/2003

In tema di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, qualora il giudice dell'esecuzione, dopo aver pronunziato ex art. 612 c.p.c. per determinare le modalità dell'esecuzione (stabilendo il modo in cui, in concreto, deve essere eseguito ciò che illegittimamente non è stato fatto o deve essere distrutto ciò che illegittimamente è stato fatto, con designazione dell'ufficiale giudiziario e delle persone che devono provvedere all'attuazione pratica della volontà della legge accertata nel titolo), emetta una seconda ordinanza con la quale disponga nuovamente in ordine al mero svolgimento dell'esecuzione, rimane integrata una mera violazione dell'art. 131 c.p.c. rimediabile con le impugnazioni ordinarie ovvero, se ne ricorrono i presupposti, con l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. (sempre che il giudice non eserciti, anche su sollecitazione di parte, i poteri di relativa revoca ai sensi dell'art. 487 c.p.c.); ove per contro con la detta (seconda) ordinanza il giudice dell'esecuzione dirima una controversia insorta fra le parti in ordine alla portata sostanziale del titolo esecutivo ed all'ammissibilità dell'azione esecutiva intrapresa, va a tale provvedimento riconosciuta natura sostanziale di sentenza, in forza del suo contenuto decisorio sul diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata (cioè su una opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., proposta dall'esecutato o rilevata d'ufficio dal giudice), e come tale esso è impugnabile con l'appello. (In applicazione del suindicato principio, la S.C., nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha ritenuto avere il giudice dell'esecuzione correttamente disposto, con riferimento ad opere di demolizione, che dovesse tenersi conto delle regole e delle cautele fissate dalla legislazione urbanistica e suggerite dal c.t.u., in quanto la fissazione di tali regole faceva parte del provvedimento esecutivo, suscettibile di impugnazione per vizi di questo procedimento).

In tema di esecuzione forzata in forma specifica, il titolo esecutivo indica il risultato perseguito e l'ordinanza ex art. 612 c.p.c. stabilisce le modalità di ottenimento del medesimo. Ne consegue che, qualora la realizzazione del risultato richieda il rilascio di autorizzazioni, concessioni o altri provvedimenti da parte della pubblica amministrazione, che si pongano come elementi strumentali al conseguimento del risultato indicato nel titolo, il giudice dell'esecuzione ha il potere di richiederli, collocandosi tale richiesta nella fase esecutiva della realizzazione del diritto sostanziale riconosciuto con il titolo esecutivo. (In applicazione del suindicato principio, la Suprema Corte, nel rigettare le doglianze del ricorrente, ha ritenuto essere stato dal giudice dell'esecuzione, con riferimento ad opere di demolizione, correttamente richiesto — su indicazione del Ctu — il nulla osta del Genio civile e del Comune, trattandosi di richieste amministrative che il medesimo poteva e doveva proporre quali strumenti indispensabili per l'attuazione del diritto indicato nel titolo, appartenenti alla fase esecutiva del procedimento e non incidenti sulla posizione sostanziale dei creditori).

Poiché ai sensi degli artt. 2931 c.c. e 612, 613 c.p.c. la titolarità dei diritti e degli obblighi delle parti deve rimanere identica prima e dopo l'esecuzione forzata, la tutela esecutiva non può andare al di là dell'attuazione della situazione sostanziale, la quale, pertanto, non può essere modificata dal giudice dell'esecuzione. Ne consegue che chi intende ottenere l'esecuzione forzata di una sentenza di condanna per violazione di obblighi di fare (o di non fare) deve chiedere al giudice dell'esecuzione che siano determinate (con provvedimento revocabile o modificabile, ove non abbia avuto ancora esecuzione, dallo stesso giudice che l'ha emesso ai sensi dell'art. 487 c.p.c., nonché impugnabile con l'opposizione agli atti esecutivi) le modalità dell'esecuzione (art. 612, primo comma, c.c.), specificando la prestazione indicata nel titolo, da eseguirsi da parte del debitore.

Cass. civ. n. 3990/2003

In materia di esecuzione di obblighi di fare, l'ordinanza con la quale il giudice dell'esecuzione decide la controversia insorta tra le parti in ordine al contenuto della condanna ha natura di sentenza ed è, quindi, impugnabile con l'appello, ma il giudice del gravame deve limitarsi a pronunziare in ordine a detto profilo e non può stabilire le modalità dell'esecuzione, in quanto la fissazione di queste ultime è riservata alla competenza funzionale del giudice dell'esecuzione.

In materia di esecuzione forzata di un'obbligazione di fare (nella specie, avente ad oggetto la riduzione delle luci e vedute illegittimamente aperte in un edificio), derivante da una sentenza pronunciata nei confronti di più persone (nel caso in esame, comproprietarie dell'immobile), soggetto passivo dell'esecuzione è esclusivamente quella di esse che versa in una situazione possessoria che gli permetta di eseguire l'obbligazione e, quindi, non occorre che il titolo esecutivo ed il precetto siano notificati a tutti i soggetti obbligati; pertanto, l'obbligato che si trovi in detta situazione, identificato quale soggetto passivo dell'esecuzione, è legittimato a proporre opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), qualora non gli sia stato notificato il titolo esecutivo o il precetto, ovvero opposizione all'esecuzione (art. 615 c.p.c.), se non sia contemplato nel titolo come soggetto obbligato, oppure vanti una situazione possessoria prevalente e non pregiudicata dal titolo, ma non può eccepire la mancata notificazione del titolo esecutivo e del precetto agli altri coobbligati.

Cass. civ. n. 3979/2003

Qualora, con riguardo all'esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di opere per il ripristino di una stradella di accesso a un fabbricato, dopo la pronunzia dei provvedimenti ex art. 612 c.p.c. siano insorte difficoltà di esecuzione ed il pretore, adito da una delle parti, abbia emesso un'ordinanza onerando il direttore dei lavori di attivarsi per il rilascio di tutte le autorizzazioni e con concessioni amministrative prima di procedere alla demolizione, il provvedimento non configura una limitazione del diritto sostanziale dei creditori, trattandosi di richieste appartenenti alla fase esecutiva del procedimento, in quanto strumentali all'attuazione del diritto indicato nel titolo. Ne consegue che detto provvedimento non è impugnabile con l'appello.

Cass. civ. n. 3786/2003

In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare spetta al giudice dell'esecuzione accertare la portata sostanziale della sentenza di cognizione e determinare le modalità di esecuzione dell'obbligazione idonee a ricondurre la situazione di fatto alla regolamentazione del rapporto ivi stabilita, nonché verificare la corrispondenza a tale regolamentazione del risultato indicato dalla parte istante nel precetto, e, se del caso, disporre le opere necessarie a realizzarlo, con provvedimento impugnabile con l'appello là dove si discosti da quanto stabilito nel titolo da eseguire, giacché in tale caso esso non costituisce più manifestazione dei poteri del giudice dell'esecuzione e conseguentemente non è impugnabile nelle forme proprie degli atti esecutivi. La sentenza che decide sull'appello in ordine a tale questione è a sua volta ricorribile per cassazione per motivi concernenti l'interpretazione fornita dal giudice del merito circa l'accertamento compiuto e l'ordine impartito dal giudice della cognizione nella sentenza della cui esecuzione si tratta, la cui disamina non attribuisce tuttavia alla Corte Suprema di Cassazione il potere di valutarne direttamente il contenuto, bensì solamente quello di stabilire se l'interpretazione della sentenza è conforme ai principi che regolano tale giudizio nonché funzionale alla concreta attuazione del comando in essa contenuto.

In materia di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, ai fini di accertare la portata della sentenza della cui esecuzione si tratta il giudice dell'esecuzione può avvalersi anche di atti del processo diversi dalla sentenza, come la relazione del consulente tecnico cui sia stato dal giudice (della cognizione) affidato il compito di compiere le indagini poste a base dell'accertamento dei fatti e del comando formulato nella decisione.

Cass. civ. n. 9202/2001

L'efficacia esecutiva della sentenza di spoglio non è esaurita da un comportamento dell'obbligato, che solo apparentemente si sostanzia in un'esecuzione spontanea della decisione, perché il contrasto con la situazione possessoria tutelata continua ad essere presente, sebbene per effetto di altre situazioni create dall'obbligato; tale efficacia è invece esaurita dal ristabilimento dell'originaria situazione di possesso ottenuta attraverso l'esecuzione coattiva della sentenza, posto che questa può consentire l'eliminazione di ogni situazione di contrasto con il possesso che sia trovata in atto durante l'esecuzione forzata. (Sulla base di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto che potesse ottenersi l'eliminazione coattiva degli impedimenti al possesso diversi da quelli rispetto ai quali la sentenza costituente titolo esecutivo si era pronunciata, e anche successivi alla stessa e alla sua iniziale esecuzione spontanea).

Cass. civ. n. 6381/1997

Alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento di assegnazione del lavoratore a mansioni non equivalenti a quelle precedentemente svolte consegue la condanna del datore di lavoro ad adibire nuovamente il dipendente alle precedenti mansioni, essendo egli obbligato a rimuovere gli effetti dell'atto illegittimo, ma tale condanna ad un facere, oltre a non essere coercibile, non è equiparabile all'ordine di reintegrazione previsto, per le ipotesi di declaratoria di inefficacia, annullamento o nullità del licenziamento, dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che ha i caratteri della tipicità e dell'eccezionalità ed efficacia reale. (Nella specie il giudice di primo grado aveva ordinato alla società convenuta di riassegnare il lavoratore alle precedenti mansioni o ad altre di equivalente contenuto professionale; il giudice di appello, nel confermare tale sentenza, aveva in motivazione affermato l'applicabilità in via analogica dell'art. 18 legge n. 300 del 1970; la S.C. ha confermato quest'ultima sentenza correggendone la motivazione in base al riportato principio, nonché rilevando che «l'ordine» giudizialmente rivolto al datore di lavoro equivale ad una condanna ad un facere e dichiarando la mancanza di interesse del datore di lavoro a dolersi del riferimento nella pronuncia di condanna anche a mansioni equivalenti).

Cass. civ. n. 10109/1996

Il principio per cui l'ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro non è suscettibile di esecuzione in forma specifica può applicarsi anche nel caso di sospensione in via giudiziaria del provvedimento di trasferimento del lavoratore ad altra sede di lavoro, sussistendo pure in tale ipotesi la necessità di un comportamento attivo del datore di lavoro nell'ambito delle proprie competenze organizzative e funzionali, postoché egli può ottemperare all'ordine di reintegrazione assegnando il dipendente a mansioni diverse da quelle precedenti, purché ad esse equivalenti. Ne deriva che, ottenuta in via d'urgenza dal Pretore la sospensione del trasferimento, il lavoratore non è passibile di sanzioni disciplinari qualora, senza chiedere allo stesso Pretore la determinazione delle modalità di esecuzione del provvedimento di sospensione, ai sensi dell'art. 612 c.p.c., offra al datore di lavoro le proprie prestazioni nella sede originaria, rifiutandosi di assumere servizio in quella nuova.

Cass. civ. n. 2911/1995

In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare, ove il titolo esecutivo sia costituito da una sentenza di condanna all'esecuzione di opere rappresentanti un quid novum, la mancata indicazione specifica delle singole opere da eseguire non si traduce in un difetto di certezza e di liquidità del diritto riconosciuto dalla sentenza allorché, anche a seguito dell'integrazione del dispositivo con le altre parti della sentenza, compresa l'esposizione dei fatti, le opere da eseguire vengano qualificate dal loro preciso riferimento alle finalità della loro imposizione e, in particolare, all'eliminazione di un pregiudizio ben individuato, nonché ad una situazione di fatto sufficientemente precisata che valga ad individuare il tipo dell'intervento (nella specie, trattavasi di eliminare le cause della perdita di acqua da un laghetto, identificate nell'insufficiente compattezza del rilevato e nella mancanza di adeguate opere di ammortamento). In tali ipotesi, è rimessa al giudice dell'esecuzione la determinazione delle concrete modalità dell'opera o la scelta tra diverse articolazioni concrete di opere aventi comuni finalità e connotazioni.

Cass. civ. n. 10713/1994

Ai fini dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare, il verbale di conciliazione giudiziale non costituisce titolo esecutivo — e la questione può essere rilevata d'ufficio anche in cassazione — ai sensi dell'art. 612 c.p.c., il quale menziona, quale titolo per l'esecuzione, solo la sentenza (per tale, peraltro, dovendosi intendere, estensivamente, ogni provvedimento giudiziale di condanna), in considerazione dell'esigenza di un previo accertamento circa la fungibilità e quindi la coercibilità dell'obbligo di fare o di non fare. (Nella specie era stato chiesto l'annullamento di sentenza che aveva accolto, per una ragione di merito, un'opposizione a precetto; la S.C. sulla base degli esposti principi, ha proceduto a cassazione senza rinvio).

Cass. civ. n. 2021/1993

In tema di esecuzione di obblighi di fare o non fare, e per il caso in cui il creditore, insorgendo contro l'ordinanza del pretore determinativa delle modalità di tale esecuzione, chieda al medesimo pretore la revoca di detta ordinanza, domandando anche una pronuncia dichiarativa dell'illegittimità di quelle modalità, l'inammissibilità di quest'ultima domanda, discendente dalla scadenza del termine fissato dall'art. 617 c.p.c. per l'opposizione agli atti esecutivi, non incide sul potere-dovere di pronunciare sull'istanza di revoca, in considerazione della sua inerenza ad un provvedimento di natura ordinatoria, come tale revocabile da parte del giudice che l'ha emesso.

Cass. civ. n. 7124/1991

Nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al giudice dell'esecuzione il quale deve risolvere solo i problemi e le difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell'obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad integrare il titolo stesso.

Cass. civ. n. 12160/1990

La sentenza che abbia pronunciato il divorzio ancorché comporti per la donna la perdita del cognome del marito aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (ai sensi dell'art. 5, secondo comma, L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall'art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74), ove non contenga alcuna statuizione in ordine all'uso del detto cognome da parte della moglie, non costituisce titolo sufficiente per ottenere l'esecuzione forzata ex art. 612 c.p.c. della relativa inibitoria nei confronti della moglie che, malgrado la sentenza di divorzio, continui ad usare il cognome del marito, essendo a tal fine necessaria un'esplicita enunciazione del divieto del relativo uso.

Cass. civ. n. 9584/1990

L'ordine di reintegrazione del lavoratore nelle specifiche mansioni esercitate prima che fosse dal datore di lavoro illegittimamente destinato ad altro incarico, dequalificante rispetto alla conseguita posizione professionale, non è suscettibile di esecuzione forzata in quanto il facere con esso imposto consiste nel ripristino di un rapporto di collaborazione riferito ad un'attività determinata, mentre lo stesso datore di lavoro può legittimamente ottemperare a detto ordine assegnando il dipendente a mansioni diverse e caratterizzate soltanto dal requisito della equivalenza alle precedenti, in ragione del legittimo esercizio dello jus variandi.

Cass. civ. n. 9125/1990

, Cass. civ., , sez. lav., , 20 settembre 1990, n. 9584, , Pani c. Banco Sardegna.
Anche quando sia emesso nell'ambito di un procedimento di repressione di condotta antisindacale, l'ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato — salva la indiretta coazione conseguente all'obbligo di continuare a corrispondere la retribuzione — non è suscettibile di esecuzione specifica, tenuto conto della lettera e della ratio (quale risultante anche dai relativi lavori preparatori) dell'art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300 ed atteso, in particolare, che, mentre l'esecuzione specifica è possibile per le obbligazioni di fare di natura fungibile, la reintegrazione suddetta comporta non soltanto la riammissione del lavoratore nell'azienda (e cioè un comportamento riconducibile ad un semplice pati) ma anche un indispensabile ed insostituibile comportamento attivo del datore di lavoro di carattere organizzativo-funzionale, consistente, fra l'altro, nell'impartire al dipendente le opportune direttive, nell'ambito di una relazione di reciproca ed infungibile collaborazione.

Cass. civ. n. 8729/1987

In sede di esecuzione forzata di una sentenza di condanna alla demolizione di edificio, passata in giudicato, le questioni attinenti alla compatibilità di detta condanna con i poteri dell'autorità municipale in materia urbanistica restano precluse dalla formazione di detto giudicato e non interferiscono sulla giurisdizione del pretore, in ordine alla determinazione delle modalità della esecuzione a norma dell'art. 612 c.p.c., né possono autorizzare un'impugnazione davanti al giudice amministrativo delle decisioni adottate in proposito dal pretore medesimo, trattandosi di provvedimenti giurisdizionali, non amministrativi.

Cass. civ. n. 245/1987

La pronuncia di condanna al ripristino di una preesistente situazione dei luoghi, resa a carico della parte che l'abbia mutata con opere illegittime, non richiede, al fine della specificazione del comando giurisdizionale e della sua conseguente idoneità a costituire titolo esecutivo, l'individuazione e descrizione di tali opere, essendo sufficiente che dal complessivo contesto della decisione sia evincibile la suddetta situazione, implicando quella condanna la rimozione di tutto ciò che sia incompatibile con la situazione medesima (mentre resta devoluta al giudice dell'esecuzione la soluzione di eventuali problemi tecnici che insorgano in sede di concreta attuazione del comando).

Cass. civ. n. 6901/1986

Il giudice dell'esecuzione, chiamato a dare i provvedimenti necessari per l'attuazione di un obbligo di fare, accertato con sentenza emessa in un giudizio di cognizione, è tenuto — per renderne possibile la concreta attuazione — a procedere all'interpretazione della sentenza stessa, individuando la sua portata precettiva sulla base delle statuizioni contenute nel dispositivo e delle considerazioni enunciate nella motivazione, che costituiscono le premesse logiche e giuridiche della decisione. Siffatta interpretazione, che attiene ad un giudicato esterno, è incensurabile in sede di legittimità, sempreché non risultino violati i criteri giuridici che regolano l'estensione ed i limiti della cosa giudicata ed il procedimento interpretativo sia immune da vizi logici o giuridici.

Cass. civ. n. 2458/1985

L'ordine di reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal pretore ai sensi del primo comma dell'art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300 e non adempiuto spontaneamente dal datore di lavoro, è suscettibile di essere attuato in via esecutiva — oltre il mantenimento dell'obbligo della retribuzione — soltanto per quanto riguarda gli effetti realizzabili senza la collaborazione dell'obbligato (come, ad esempio, quello della ricostruzione della posizione contributiva presso gli enti previdenziali ed assistenziali) e non anche per quanto concerne la riammissione all'attività lavorativa presso l'azienda, derivando l'incoercibilità di tale particolare obbligo (la quale nulla toglie alla realità della tutela accordata dalla norma) dalla generale impossibilità di ottenere coattivamente l'esecuzione di un facere infungibile ed essendo lo stesso legislatore — con la previsione dell'obbligo del datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni dalla data della sentenza di reintegrazione fino all'attuazione di questa — a riconoscere l'impossibilità, o, quanto meno, la inopportunità, di una forzosa reimmissione del lavoratore nella organizzazione aziendale.

Cass. civ. n. 2072/1985

Nel procedimento esecutivo relativo ad obblighi di fare, qualora l'esecutato sostenga di avere spontaneamente adempiuto la propria obbligazione e l'esecutante lo contesti, il giudice dell'esecuzione deve stabilire se l'adempimento dell'esecutato sia conforme al comando espresso nel titolo esecutivo, mentre non rientra tra i suoi poteri quello di indicare per l'esecuzione una modalità incompatibile con il contenuto sostanziale del precetto. Pertanto, disposta con sentenza passata in giudicato la rimozione di un muretto di appoggio di una sopraelevazione per essere costruito su altro muro di proprietà aliena, il giudice dell'esecuzione non può ritenere eseguita la detta condanna anche senza la rimozione del muretto sol perché questo abbia perduto, a seguito dei lavori eseguiti dall'esecutato, la funzione di appoggio ove non venga meno la sua insistenza sull'altrui manufatto, alla cui rimozione era diretta la statuizione posta in esecuzione.

Cass. civ. n. 4277/1984

Nell'imporre l'obbligo di fare un quid novi, il giudice della cognizione — affinché detta statuizione possa costituire idoneo titolo esecutivo — deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, diversamente da quanto avviene in tema di obbligo di ripristino di una situazione preesistente, nella quale ipotesi l'ordine di fare trova in tale situazione il necessario modello di raffronto da cui è dato desumere la misura, la portata ed i limiti del quid faciendum.

Cass. civ. n. 1312/1984

La determinazione della misura concreta della distanza da rispettare tra due costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito della domanda diretta ad accertare la violazione delle norme sulle distanze fra edifici, senza alcuna possibilità per questo giudice di rimettere la relativa determinazione al giudice dell'esecuzione, il quale deve limitarsi a risolvere i problemi che possono insorgere in sede di attuazione dell'obbligo di fare, così come imposto dal titolo, e non già provvedere ad integrare il titolo onde renderlo effettivamente eseguibile.

Cass. civ. n. 6421/1983

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza del giudice ordinario recante condanna del privato ad un fare, la giurisdizione dello stesso giudice ordinario, con riguardo al procedimento di esecuzione di tale sentenza, ai sensi degli artt. 612 e ss. c.p.c., nonché con riguardo al giudizio di opposizione avverso l'esecuzione medesima, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., non può trovare limitazioni o deroghe per il fatto che l'attuazione di quell'obbligo implicherebbe indebite interferenze in un settore in cui la pubblica amministrazione esercita poteri discrezionali, come quello delle opere edilizie, trattandosi di circostanza che non investe le attribuzioni giurisdizionali del giudice dell'esecuzione o dell'opposizione all'esecuzione, ma solo il merito delle questioni alla sua decisione affidate, e che inoltre, per quanto riguarda la sua eventuale rilevanza sulla giurisdizione del giudice che ha reso quella sentenza posta in esecuzione, resta preclusa dalla formazione del giudicato.

Cass. civ. n. 2441/1983

La giurisdizione del giudice ordinario, secondo la previsione dell'art. 612 c.p.c., con riguardo all'istanza rivolta ad ottenere la determinazione delle modalità di esecuzione di un obbligo di fare inerente ad opere edili, non resta esclusa per il fatto che sia sopravvenuto un provvedimento del sindaco, reso nell'esercizio dei poteri di vigilanza e repressione in materia edilizia, di demolizione di quelle opere, trattandosi di circostanza rilevante soltanto in ordine alle decisioni di merito del suddetto giudice, sotto il profilo dell'incidenza dell'atto amministrativo sulla concreta possibilità di procedere ad esecuzione forzata.

Cass. civ. n. 6912/1982

L'attuazione coattiva del diritto, attribuito con la sentenza di divorzio o di separazione al coniuge non affidatario della prole minorenne, di visitare periodicamente i figli e di intrattenersi con loro per un certo tempo (cosiddetto diritto di visita), deve avvenire nelle forme dell'esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare, sicché la competenza spetta, quale giudice dell'esecuzione, al pretore del luogo in cui l'obbligo deve essere adempiuto, e cioè nel cui mandamento si trova il comune di residenza del minore.

Cass. civ. n. 5946/1982

L'inizio dell'esecuzione forzata di obblighi di fare, anche al fine delle modalità di introduzione delle opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. nonché dei poteri spettanti al giudice dell'esecuzione in caso di opposizione, non è segnato dalla notificazione del precetto, ma richiede il compimento di atti successivi.

La competenza del pretore, ai sensi degli artt. 16, 26 e 612 c.p.c., in ordine alla esecuzione di un provvedimento di affidamento di minore, in base alla riconducibilità dell'esecuzione medesima fra quelle attinenti ad obblighi di fare, non si estende al procedimento di carattere cognitivo che venga introdotto con opposizione a norma dell'art. 615 c.p.c., per il quale il giudice competente, stante la non utilizzabilità di criteri di valore, va individuato esclusivamente alla stregua dei criteri della competenza per materia. Pertanto, qualora detto provvedimento riguardi l'affidamento di un minore ad uno dei genitori naturali che l'hanno entrambi riconosciuto, e detta opposizione venga proposta avverso il precetto, prima cioè dell'inizio dell'esecuzione, l'opposizione stessa è devoluta al tribunale per i minorenni competente a conoscere dell'affidamento, ai sensi del combinato disposto degli artt. 615 primo comma c.p.c., 317 bis c.c. e 38 disp. att. c.c., tenendo conto che, in caso di genitori naturali non conviventi, l'esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive (art. 317 secondo comma c.c.), e che tale convivenza rappresenta il parametro per il collegamento fra esercizio della potestà genitoriale e competenza del tribunale per i minorenni sulle controversie idonee ad incidere su detta potestà.

Cass. civ. n. 5332/1982

Con riguardo all'esecuzione promossa per l'adempimento, nelle forme di cui agli artt. 612 e ss. c.p.c., di obbligo di fare (nella specie, demolizione di un fabbricato) a carico di un privato, in forza di sentenza di condanna resa dal giudice ordinario, e nel corso della causa di opposizione avverso l'esecuzione medesima, è inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione, da parte del debitore, diretto a sostenere che il provvedimento di condanna richiesto al giudice ordinario esorbiterebbe dai suoi poteri, perché ricadente nell'ambito riservato alle valutazioni della pubblica amministrazione, giacché una siffatta tesi può riflettersi sulla giurisdizione soltanto in sede di cognizione.

Cass. civ. n. 4798/1982

In tema di esecuzione forzata di un obbligo di fare, il ricorso alla procedura prevista dall'art. 612 c.p.c., affinché siano determinate le modalità dell'esecuzione, non è necessario nella particolare ipotesi in cui la stessa sentenza costituente titolo esecutivo abbia, con una statuizione di carattere ultrattivo, già disposto al riguardo, affidando il relativo incarico da svolgersi d'ufficio, pur se nel contraddittorio delle parti, dopo la conclusione del processo di cognizione ad un consulente tecnico già nominato nel corso di tale processo.

Cass. civ. n. 6500/1981

Ai sensi dell'art. 2933 c.c. l'inadempimento dell'obbligo di non fare può dare luogo ad esecuzione forzata in danno dell'obbligato solo qualora la condotta del trasgressore siasi concretizzata in un quid novi, suscettibile di essere posto coattivamente nel nulla, giacché soltanto in tal caso l'intervento del giudice può determinare il ripristino della situazione preesistente, compromessa ed alterata dal soggetto che era tenuto ad astenersi da qualsiasi modificazione. (In applicazione di tale principio si è, nella specie ritenuto che l'intimazione — emessa nel corso di un procedimento possessorio a carico del titolare di un frantoio — non fosse eseguibile in forma specifica mediante distruzione delle strutture del frantoio stesso potenzialmente idonee a consentire scarichi siffatti).

Cass. civ. n. 1918/1981

L'art. 612 c.p.c. detta la disciplina per l'esecuzione forzata degli obblighi di fare e, pertanto, non osta a che una pronunzia di condanna all'adempimento di un obbligo del genere ne determini le modalità di esecuzione, essendo tale statuizione riferibile al diverso caso dell'ottemperanza spontanea del soccombente alla sentenza. Né la fissazione di un termine a questo ultimo resta impedito dalla necessità del previo conseguimento di un'autorizzazione amministrativa (nella specie: edilizia), trovando l'eventuale temporaneo inadempimento giustificazione nella ritardata emanazione del predetto provvedimento.

Cass. civ. n. 1749/1980

La procedura esecutiva prevista dall'art. 612 c.p.c. è applicabile anche nelle ipotesi in cui trattasi di stabilire le modalità di esecuzione di opere ad iniziativa dell'esecutante, rispetto alle quali l'esecutato è tenuto ad un semplice pati.

Cass. civ. n. 292/1979

L'attuazione coattiva di un provvedimento relativo all'affidamento di minori, contenuto in una sentenza munita di efficacia esecutiva (nella specie, ordine di restituzione del minore ai genitori, a seguito di revoca della dichiarazione di adottabilità in esito a giudizio di opposizione) è disciplinata dalle norme sull'esecuzione forzata di un obbligo di fare, a norma dell'art. 612 c.p.c., e, pertanto, dopo la notificazione del precetto, deve essere proposto ricorso al pretore, il quale, sentita la parte obbligata, determina i tempi e le modalità dell'esecuzione.

Cass. civ. n. 2869/1978

L'interpretazione del titolo esecutivo, diretta a stabilire il contenuto dell'obbligo di fare, rientra nell'esclusiva competenza funzionale del pretore quale giudice dell'esecuzione, qualunque sia il valore pecuniario del facere, costituendo essa il logico e necessario presupposto dei provvedimenti demandatigli dall'art. 612 c.p.c.

Cass. civ. n. 1965/1977

La condanna ad un facere è legittima quando il contenuto di esso è precisamente determinato, ovvero determinabile dal giudice della esecuzione ex art. 612 c.p.c., ma non quando la sentenza sia così generica da richiedere, per essere eseguita, la soluzione di nuove controversie di diritto sostanziale. Pertanto, deve ritenersi censurabile, in quanto generica e contraddittoria, la sentenza che affidi il figlio minore alla madre divorziata residente all'estero, e stabilisca altresì alcuni giorni, della settimana, di affidamento al padre residente in Italia, senza stabilire specificamente i mezzi e i modi di trasferimento del minore o del padre.

Cass. civ. n. 4656/1976

In tema di esecuzione forzata di obblighi di fare o di non fare, l'ordinanza con la quale il pretore, anziché determinare le modalità dell'esecuzione (art. 612 secondo comma c.p.c.), risolva il contrasto insorto fra le parti sulla ricorrenza o meno di un adempimento spontaneo del precetto contenuto nel titolo esecutivo, ha contenuto e natura di sentenza, ove ne sussistano i requisiti formali indispensabili, e, pertanto, ancorché affetta da vizi comportanti nullità (quale la mancanza di motivazione), acquista autorità di cosa giudicata, in difetto di impugnazione. In tale ipotesi, la successiva pronuncia con la quale lo stesso pretore revochi quel provvedimento, erroneamente ritenendolo un'ordinanza, è viziata da violazione di giudicato interno, rilevabile d'ufficio anche dalla Corte di cassazione, cui spetta, a detto fine, il potere di interpretare e qualificare il provvedimento medesimo.

Cass. civ. n. 2674/1976

Nell'indagine volta a controllare se il titolo posto a base dell'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 612 c.p.c. abbia il requisito della liquidità, va distinta la condanna a fare un quid novi da quella che disponga di fare alcunché per il ripristino della situazione anteriormente esistente, giacché nella prima ipotesi il giudice di cognizione deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, mentre nella seconda ipotesi l'ordine di fare trova nella situazione anteriore da ripristinare il necessario modello di raffronto, da cui è dato desumere la misura, la portata e i limiti del quid faciendum. Pertanto il pretore, adito quale giudice dell'esecuzione per la determinazione delle modalità di attuazione dell'obbligo di reintegrazione nel possesso di una servitù, non esorbita dai limiti segnati ai suoi poteri dall'art. 612 c.p.c. qualora determini le opere necessarie per il ripristino dello stato di fatto preesistente allo spoglio, disponendo anche l'eliminazione di quelle che tale stato avevano alterato, perché solo in tal modo può aver luogo il detto ripristino, così come ordinato dal titolo esecutivo.

Cass. civ. n. 2773/1975

Non vi sono regole particolari dell'esecuzione degli obblighi di fare che stabiliscano quando il deposito del titolo esecutivo debba avvenire; neppure esiste una sanzione che comporti la improcedibilità dell'azione esecutiva. Quel che rileva, quindi, se il titolo non è stato depositato, è che nessun provvedimento il giudice della esecuzione abbia emesso, al quale la presenza di esso fosse indispensabile. (Nella specie, il pretore aveva rilevato che all'udienza di comparizione delle parti, fissata per la determinazione delle modalità dell'esecuzione, il titolo esecutivo risultava già prodotto).

Cass. civ. n. 1665/1975

Gli artt. 2931 e 2932 c.c. non attribuiscono al giudice, che emette una sentenza di condanna del convenuto all'adempimento di un obbligo di fare o di non fare, il potere di autorizzare l'attore a provvedere egli stesso all'esecuzione di tale obbligo a spese della controparte, nel caso di inadempimento di quest'ultima. Infatti, l'esecuzione degli obblighi di fare o di non fare, ancorché l'obbligo di non fare si concreti in un semplice pati da parte del debitore, deve essere attuata nella forma e con il procedimento prescritti dagli artt. 612 e 613 c.p.c., i quali escludendo l'autotutela del creditore, demandano esclusivamente al pretore, quale giudice dell'esecuzione, sia la concreta determinazione delle modalità dell'esecuzione sia la pronunzia sulle contestazioni che eventualmente insorgano al riguardo. Pertanto, la statuizione con la quale il giudice di merito autorizzi il creditore a provvedere direttamente all'esecuzione di uno dei predetti obblighi, a spese del convenuto, deve essere cassata senza rinvio, perché adottata al di fuori dei poteri conferiti allo stesso giudice dell'ordinamento giuridico.

Cass. civ. n. 1289/1973

Le sentenze di mero accertamento — quelle, cioè pronunciate nei giudizi che abbiano per oggetto l'accertamento e la dichiarazione di un determinato diritto — non sono titoli esecutivi, potendosi procedere alla esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare soltanto in base a sentenze di condanna, o in base a provvedimenti di natura strettamente giudiziale, quale quelli previsti dagli artt. 689, 691, 700, 703, c.p.c.

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Consulenze legali
relative all'articolo 612 Codice di procedura civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Luigi S. chiede
giovedì 26/04/2018 - Campania
“Ho avuto in 1 grado accoglimento totale da parte del giudice civile su una azione di manutenzione del possesso ( era stata creata una servitù di passaggio tra l'area comune condominiale e un terreno esterno al parco, appartenente ad alcuni condomini ) In seguito a tale sentenza i resistenti devono ripristinare lo stato dei luoghi, chiudere cioè il varco aperto sul muro condominiale.Orbene questi soggetti continuano a passare attraverso il varco e a lavorare in questo terreno noncuranti della sentenza,cosa fare?
P.s.La sentenza è stata notificata tre giorni fa a tutti i resistenti
grazie e distinti saluti”
Consulenza legale i 03/05/2018
La notificazione della sentenza è il primo passo utile da fare.
Ai fini della messa in esecuzione del provvedimento, tuttavia, non ogni modalità di notifica è rilevante ed utile.

a) Se la notifica è stata eseguita, infatti, presso l’avvocato che ha difeso controparte nel giudizio che si è da poco concluso, tale notifica sarà valida si soli fini del decorso del termine breve per l’impugnazione, ovvero – in parole più semplici- sarà valida solo per assegnare un termine breve (di 30 giorni) a controparte per appellare o meno la sentenza. Trascorso questo termine senza che sia stato proposto appello, la sentenza diventerà definitiva e non più impugnabile e occorrerà procedere con l’iter di seguito illustrato.

b) Se la notifica è già stata fatta alle controparti personalmente, dovrà essere seguita dalla notifica di un atto di precetto, ovvero un atto – sempre notificato all’indirizzo delle controparti personalmente (e non presso il loro avvocato, si noti bene) – che intima loro di eseguire spontaneamente gli obblighi di cui alla sentenza entro dieci giorni dalla notifica, pena l’esecuzione forzata.
Se trascorsi dieci giorni dalla notifica dell’atto di precetto non si otterrà l’adempimento spontaneo, si dovrà applicare la speciale disciplina del codice di procedura civile che riguarda l’esecuzione forzata degli obblighi di fare (nel nostro caso, la sentenza impone infatti a controparte di “fare” qualcosa, ovvero di chiudere il varco), contenuta negli articoli 612 e seguenti del predetto codice.

Si procederà, quindi, con un ricorso al Giudice dell’Esecuzione del Tribunale del luogo dove devono essere eseguiti gli obblighi di fare (luogo ov’è ubicato il varco), ricorso con il quale si chiede al Giudice di determinare d’ufficio le modalità dell’esecuzione. Il procedimento prevede il contraddittorio con la parte obbligata, che deve essere sentita (viene fissata, dopo il ricorso, un’apposita udienza per la comparizione delle parti).

Il Giudice, quindi, designerà sia l’ufficiale giudiziario che si occuperà dell’esecuzione in questione sia le “persone che devono provvedere al compimento dell’opera non eseguita” (art. 612 c.p.c.), ovvero ad esempio, nel nostro caso, l’impresa che dovrà edificare il muro a chiusura del varco.
Sarà sempre il Giudice, poi, a stabilire non solo le modalità ma anche i tempi dell’esecuzione stessa.
Se nel corso di quest’ultima dovessero insorgere delle difficoltà, l’Ufficiale Giudiziario potrà farsi assistere dalla forza pubblica e chiedere al Giudice di adottare i provvedimenti più opportuni per eliminarle.
Al termine del procedimento, la parte ricorrente presenterà la nota spese, spese che verranno liquidate dal Giudice con decreto ingiuntivo a carico della controparte.


F. D. M. chiede
mercoledì 21/09/2016 - Umbria
“sono stato appena condannato al risarcimento danni per una possessoria.
durante la fase cautelare mi e' stato imposto di eseguire dei lavori che io, secondo il mio parere avevo ben eseguito.
la controparte ha chiesto una c.t.u. per accertare se i lavori erano stati fatti secondo il dettato della ordinanza. il c.t.u. mi ha dato praticamente torto, quindi il giudice lo ha incaricato di fare i lavori,da lui ordinato, avvalendosi di una ditta esperta in materia.
il mio avvocato ha chiesto al giudice di richiamare il c.t.u. perche' la sua relazione era lacunosa,ma il giudice ha ritenuto di non farlo,allora abbiamo fatto reclamo al tribunale, ma anche questi ci ha rigettato il reclamo. a questo punto c.t.u. ha individuato una ditta, ritenuta specializzata, e dopo vari sopralluoghi con il titolare della ditta ha tentato di fare i lavori richiesti dal giudice, ma con esito negativo perche' i lavori si rivelavano assolutamente ineseguibili. sono trascorsi circa tre anni e c.t.u. non ha portato a termine i lavori anzi non li ha nemmeno iniziati. il c.t.u. ,del fatto, non ha relazionato il g.o.t. non ha rimesso nessuna fattura e semplicemente sparito. il g.o.t. nelle motivazioni della sentenza mi ordina di fare i lavori che un tempo aveva demandato al c.t.u., ma che evidentemente sono ineseguibili. io chiedo: posso citare in giudizio il c.t.u. e chiedere i danni perchè lui, con la sua condotta omissiva, ha condizionato il giudizio del giudice che se fosse stato informato dell'impossibilita' di eseguire i lavori da lui ordinato, sicuramente avrebbe emesso una sentenza diversa da quella che mi ha visto soccombente.”
Consulenza legale i 28/09/2016
Da quanto esposto nel caso in esame sembra emergere che, malgrado la parte soccombente si sia spontaneamente attivata per l’esecuzione dei lavori a seguito del giudizio cautelare, i lavori così eseguiti sono stati ritenuti dal CTU non conformi al dettato giudiziale, con la conseguenza che sarebbero di fatto rimasti ineseguiti e che, quindi, non sarebbe stata data attuazione all’ordine del Giudice.
Va anche rilevato che sembra sussistere una certa inerzia della parte istante nel portare ad esecuzione il titolo giudiziale, in quanto si dice che sono già trascorsi inutilmente tre anni da quando il CTU ha depositato la sua consulenza avente ad oggetto la determinazione delle concrete modalità esecutive.

Ciò posto, va innanzitutto chiarito che l’art. 612 del c.p.c., norma di riferimento in materia di esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare, rappresenta l’attuazione processuale dell’art.2931 c.c., con la conseguenza che il diritto determinato giudizialmente e suscettibile di esecuzione diretta sarà soggetto a prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c (cfr. Tribunale di Ragusa 31/03/2010 n. 323).
Avendo dunque la parte vittoriosa ancora pieno titolo ad ottenere l’esecuzione della sentenza, possono prospettarsi per la parte soccombente, in considerazione peraltro dei dubbi insorti in ordine al contenuto della consulenza tecnica d’ufficio, le seguenti strategie processuali alternative:

a) Ricorrere ad una azione di accertamento, essendo insorte contestazioni circa la corrispondenza dell’adempimento spontaneo e del precetto contenuto nella sentenza di condanna (in tal senso Cass. 24 maggio 1991 n. 5873)

b) Attendere che l’altra parte decida di mettere in esecuzione la sentenza emessa all’esito del giudizio di merito, che si presume sia stato svolto e definito.
Per tale ipotesi, infatti, la parte istante vincitrice, dopo la notificazione del precetto dovrà chiedere con ricorso al Giudice dell’esecuzione ex art. 612 cpc che siano determinate le modalità dell’esecuzione.

Il Giudice dell’esecuzione, a sua volta, per rendere possibile la concreta attuazione dell’obbligo di fare, sarà tenuto a interpretare la sentenza, individuandone la portata precettiva sulla base delle statuizioni contenute nel dispositivo e delle considerazioni enunciate in motivazione, che costituiscono le premesse logiche e giuridiche della decisione (così Cass. 22 marzo 1996 n. 2510).

A tal uopo potrà anche decidere di avvalersi di atti del processo diversi dalla sentenza, come la relazione del consulente tecnico di ufficio cui sia affidato dal Giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il compito di svolgere le indagini poste a base dell'accertamento dei fatti e del comando formulato nella decisione (cfr. Cass. 16 marzo 2003 n. 3786).
Il provvedimento che verrà emesso all’esito di tale fase avrà natura ordinatoria e sarà, oltre che revocabile dallo stesso Giudice che lo ha emesso ex art. 487 cpc, impugnabile dagli interessati con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi (così Cass. 10/12/1991 n.13287; Cass. 06/06/1988 n. 3802; Cass. 15/07/2009 n. 16471).

Si vuole evidenziare, peraltro, che ex art. 612 comma secondo cpc, il Giudice dell’esecuzione provvede sentita la parte obbligata (la quale potrà far rilevare l’ineseguibilità dei lavori ed i vani tentativi che sono stati esperiti per eseguirli) e designa un ufficiale giudiziario affinchè proceda all’esecuzione.
di obblighi di fare e di non fare, rappresenta l’attuazione processuale dell’art. 2931 c.c., con la conseguenza che il diritto determinato giudizialmente e suscettibile di esecuzione diretta sarà soggetto a prescrizione ordinaria decennale ex art. 2946 c.c (cfr. Tribunale di Ragusa 31/03/2010 n. 323).

L’art. 613 cpc, a sua volta, prevede che qualora nel corso dell’esecuzione insorgano difficoltà (quali potranno sempre essere le ragioni di ineseguibilità delle opere), lo stesso ufficiale giudiziario potrà redigere un verbale col quale chiedere al Giudice dell’esecuzione di emettere con decreto le opportune disposizioni.

In ordine ad un’eventuale azione di danni contro il CTU, invece, si è un po’ scettici, poiché si tratta di azione molto complessa investendo il delicato e controverso tema della responsabilità del prestatore d’opera professionale, per il quale è dubbio se possa parlarsi di obbligazione di mezzi (detta anche di diligenza o di comportamento) o di obbligazione di risultato.
In ogni caso si tenga conto che troverebbero applicazione le norme di cui agli articoli 64 cpc e 2236 c.c., norme che, ai fini del riconoscimento di eventuali responsabilità in capo al CTU professionista, presuppongono entrambe il dolo o la colpa grave.

G.D. chiede
martedì 08/08/2023
“Il quesito si pone come segue e riguarda le servitù costituite per scrittura privata autenticata e registrata.

È valido a tutti gli effetti il titolo di servitù di transito costituito a favore di 10 fondi dominanti contigui e del medesimo proprietario, a danno di 2 fondi serventi di un unico proprietario, di cui un fondo identificato catastalmente (nel titolo costitutivo) in maniera sbagliata, quindi nell'identificarlo in maniera scritta nel contratto contiene un errore nel dato catastale (foglio catastale sbagliato mentre particella corretta), fermo restando che l'altro fondo servente è correttamente identificato e il titolo trascritto in Conservatoria solo su questo (e non anche nelle informazioni dall'ispezione ipotecaria sull'altro fondo ), preso atto però che nell'allegato grafico facente parte della scrittura autenticata vi è l'estratto di mappa catastale e il tracciato del transito è su di questi disegnato, quindi si evince inequivocabilmente la servitù e la strada cementata da parte del proprietario del fondo dominante (a sue spese) come da accordi nel titolo?

È possibile tentare la liberazione (anche staordinariamente in via giudiziale) dalla servitù in ragione di tale vizio di forma e sostanza (assenza della trascrizione della servitù nella Conservatoria di una particella delle due (pubblicità immobiliare) stante l'errata indicazione scritta della particella identificata)? O si tratta di errore lieve trascurabile ai fini dell'opponibilità a terzi?

La servitù è costituita da oltre 20 anni ma non più esercitata con l'effettivo transito di autocarri da 10 anni e tutt'ora da 10 anni non se ne usa, vorrei sanare la situazione risolvendo la servitù di diritto o di accordo oppure, in ultima istanza, regolarizzare il titolo e la relativa trascrizione (il Notaio è deceduto) per pretendere tuttavia che si seguano le condizioni prescritte nella scrittura privata autenticata.

Non vorrei quindi, in sede di richiesta (per tramite di raccomandata o Legale) di eseguire quanto pattuito (manutenzione ordinaria della strada che negli anni si è danneggiata a causa degli eventi meteorici) che il proprietario dei fondi dominante si appellasse ai vizi descritti per non eseguire quanto da lui dovuto in forza del titolo costituito ma non debitamente trascritto ad entrambe le particelle catastali.

Preciso inoltre che:

Le volontà emerse nel titolo di costituzione si sono realizzate ed in concreto la servitù non può negarsi poiché vi sono opere stabili (strada cementata e ghiaiata sul fondo servente per accedere al fondo dominante).

Le parti non sono in reciproci e pacifici contatti, anzi ogni azione o tentativo di mediazione posto in maniera superficiale (errore nell'individuare la particella in maniera catastale nel titolo, omessa trascrizione su una particella del titolo in Conservatoria) può essere ottima iniziativa per avviare cause civili da parte del proprietario del fondo dominante seppur su presupposti assolutamente illogici o sproporzionati al caso, ciò pur di non eseguire la manutenzione prescritta dal titolo a carico del fondo servente.

Le opere di manutenzione e nuova cementazione della strada che si rendono necessarie giovano anche al proprietario del fondo servente e si chiede se in forza dell'indicazione nel predetto titolo di costituzione ("le manutenzioni e le eventuali bitumazioni o cementazioni saranno a carico del proprietario del fondo dominante") il proprietario del fondo servente deve concorrere nelle spese di manutenzione della strada oggetto della servitù?

Si chiede cortesemente un parere legale circa la validità del titolo di servitù in presenza di errori e vizi evidenziati al fine di chiedere al proprietario del fondo dominante di eseguire la manutenzione.

Si chiede anche un parere legale circa i presupposti (mancata manutenzione della strada, errori e omessa parziale trascrizione) per intentare un tentativo di mediazione (dinanzi a che Giudice/figura?) o in estremis la costituzione in giudizio (a norma di quale articolo del c.p.c.?) al fine di liberare il fondo servente dalla servitù di transito di autocarri o in ultima istanza pretendere il rispetto dei vincoli imposti dal titolo (manutenzione della strada a carico del fondo dominante) e mantenerlo attivo.

Grazie dell'attenzione.
Saluti.”
Consulenza legale i 17/08/2023
Per rispondere alla domanda principale che qui viene posta si ritiene possa essere decisivo richiamare quanto statuito dalla Corte di Cassazione, Sez. II civile, con sentenza n. 5208 del 16.03.2016.
In particolare, con tale sentenza la S.C. ha contribuito a chiarire un importante principio in tema di servitù prediali fornendo, con l’occasione, anche utili delucidazioni su alcuni concetti generali in materia di interpretazione del contratto.
Analogamente al caso in esame, quello di cui si è occupata la Corte di Cassazione riguardava la controversia tra due proprietari confinanti avente ad oggetto la costituzione di un servitù di passaggio a favore di uno dei due, controversia derivante dalla dedotta nullità da parte del proprietario del fondo servente del contratto costitutivo di servitù per inesistenza della particella catastale indicata nel medesimo contratto.

La Suprema Corte giunge alla conclusione secondo cui deve ritenersi ammissibile la regolare costituzione di una servitù prediale anche senza l’indicazione della particella catastale interessata, e ciò perchè gli elementi riportati nel contratto contestato consentono di individuare i fondi oggetto delle pattuizioni, per cui non può sussistere alcuna nullità in ordine all'oggetto del contratto, che risulta determinato.
D’altro canto, viene anche precisato, l'indicazione dei dati catastali non assume carattere necessario neppure nell'individuazione dell'immobile oggetto di una compravendita immobiliare, in quanto valore decisivo e prevalente è attribuito dalla giurisprudenza di legittimità all'indicazione dei confini, i quali, concernendo punti oggettivi di riferimento esterni, consentono la massima precisione (Cass. 24 aprile 2007 n. 9857).
Di contro, i dati catastali, avendo tra l'altro finalità di natura tributaria, hanno carattere meramente sussidiario.

Ebbene, una semplice lettura del contratto costitutivo di servitù (avente la forma della scrittura privata con sottoscrizione autenticata) e dei suoi allegati consente di individuare con estrema precisione le particelle sulle quali grava la servitù, e ciò per le seguenti ragioni:
a) viene esattamente descritta ed individuata, anche mediante indicazione dei confini, la fascia di terreno gravata da servitù;
b) le parti hanno allegato sub lettera “A” l’estratto di mappa ove risulta evidenziata quella medesima fascia di terreno.

A tutto ciò si aggiunga che, a prescindere da ogni possibile difetto nella costituzione della servitù, risulta ormai perfino trascorso il periodo di tempo richiesto dalla legge (artt. 1168 e ss. c.c.) per poterne vantare il venire ad esistenza per antico possesso, sussistendo opere visibili e permanenti destinate al suo esercizio.
Pertanto, rispondendo alle prime domande che vengono poste, può dirsi che non si ravvisa alcun valido presupposto per pretendere, nè in via giudiziale né in via stragiudiziale, la dichiarazione di estinzione e/o inesistenza della servitù su quella particella indicata come facente parte di un erroneo foglio di mappa.
A ciò si aggiunga che, trattandosi di servitù volontariamente costituita, la stessa, a differenza di quella coattiva, non può dirsi cessata per impossibilità di fatto di farne uso o per il venir meno della sua utilità.
In tal senso è orientata la giurisprudenza sia di legittimità che di merito, secondo cui le servitù volontarie possono venir meno soltanto per confusione, prescrizione o quando siano stipulate nuove pattuizioni, consacrate in atto scritto, che ne modifichino l’estensione o le sopprimano.
Proprio per tale ragione è sempre auspicabile che tra i patti negoziali, in forza dei quali la servitù viene costituita, sia previsto, accanto all’indicazione degli obblighi e diritti ed alla descrizione del fondo servente e di quello dominante, anche un termine finale, al raggiungimento del quale la servitù dovrà intendersi immediatamente ed automaticamente estinta (ciò che qui non è stato fatto).

La valida costituzione ed esistenza della servitù di cui si discute induce a poter ammettere che deve intendersi come attualmente valido e vincolante l’intero regolamento contrattuale che le parti hanno di comune accordo deliberato con la scrittura privata del 14.02.2001, ed in particolare quella clausola in forza della quale le parti convengono che “la realizzazione della strada, la sua eventuale bitumazione o pavimentazione in calcestruzzo, manutenzione…sono a totale carico del proprietario del fondo dominante…”.
Ovviamente, al fine di non incorrere in un abuso del diritto, il proprietario del fondo servente potrà pretendere soltanto quei lavori che risultino necessari e/o utili per rendere possibile il corretto esercizio della servitù, risultando peraltro tale pretesa conforme al disposto normativo ed, in particolare, al contenuto degli artt. 1030 e 1069 c.c.

La prima di tali norme prevede che, salvo che il titolo non disponga diversamente, il proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l'esercizio della servitù (così Cass. 7655/2004), e ciò in conformità al principio di carattere generale secondo cui servitus in faciendo consistere nequit (la servitù può sostanziarsi soltanto in un pati o in un non facere).
Ovviamente non possono farsi rientrare tra le prestazioni accessorie a cui tale norma fa riferimento i comportamenti indispensabili per l’esercizio della servitù, come nel caso in cui si richiede al proprietario del fondo servente di aprire il cancello per consentire il passaggio oppure nell'ipotesi di una servitù di presa d'acqua in cui il deflusso dell'acqua dal fondo servente dipenda dal fatto che il proprietario di questo azioni una pompa elettrica e proceda all'apertura di una saracinesca ( cfr. Cass.15101/2014; Cass. 4011/1981; contra Cass. 1131/1981).

L’art. 1069 c.c., invece, fa proprio riferimento al caso in cui debbano essere eseguite opere necessarie per conservare la servitù, ponendo l’obbligo di sostenere le relative spese in capo al proprietario del fondo dominante, ma precisando all’ultimo comma che se le opere giovano anche al fondo servente, le spese dovranno essere sostenute in proporzione dei rispettivi vantaggi.
In particolare è stato osservato che l’obbligo di contribuzione, previsto da quest’ultimo comma, sussiste non solo nell’ipotesi in cui il proprietario del fondo servente utilizza lo stesso apparato che rappresenta il mezzo per l’esercizio della servitù, ma in ogni altro caso in cui dai lavori eseguiti il proprietario del fondo servente tragga giovamento, il quale non può consistere in un semplice aumento di valore, ma in un vantaggio concreto.

Le predette regole, tuttavia, valgono “salvo che sia diversamente stabilito dal titolo”, ciò che le parti hanno in effetti convenuto nel caso di specie in forza della clausola a cui sopra si è fatto riferimento ed in conformità, peraltro, al principio di libertà ed autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 del c.c. ed a cui si ispira l’ordinamento giuridico italiano.

Sulla scorta di quanto fin qui detto, dunque, e fermo restando, come si è prima accennato, che il proprietario del fondo dominante può avanzare pretesa all’esecuzione delle opere a cui si fa riferimento nel contratto avendo riguardo al parametro della indispensabilità di dette opere per la conservazione della servitù (dovendosi, invece, ritenere esclusi gli interventi non strettamente necessari al godimento della servitù, come si legge in Cass. n. 492/1995), può rispondersi a quanto chiesto nell’ultima parte della consulenza nel seguente modo:
il proprietario del fondo servente può agire in giudizio per far dichiarare l’estinzione della servitù soltanto se riesce a dimostrare che per venti anni (termine generale di prescrizione per l’esercizio di ogni diritto) non si è fatto uso della stessa.
In difetto di ciò, l’estinzione della servitù potrà derivare soltanto da un successivo accordo negoziale raggiunto tra le medesime parti.

Dovendosi la servitù ritenere regolarmente e validamente costituita, il proprietario del fondo servente potrà pretendere che il proprietario del fondo dominante assolva all’obbligo assunto per contratto di sostenere per intero le spese necessarie per la manutenzione della stradella sulla quale la stessa servitù viene esercitata, purchè si rispetti il parametro della indispensabilità di tali opere.
In caso di inadempimento da parte del proprietario del fondo dominante, e dopo una prima diffida stragiudiziale, sarà necessario ricorrere all’autorità giudiziaria (Tribunale, competente ex art. 9 del c.p.c.), al fine di ottenere una sentenza di condanna per violazione di obbligo di fare, da poter mettere in esecuzione ex artt. 612 e ss. c.p.c. (la scrittura privata con sottoscrizione autenticata, purtroppo, non può farsi valere quale titolo esecutivo per obbligazioni di fare o di non fare, come si può evincere dal testo dell’art. 474 del c.p.c.).