Cassazione civile Sez. II sentenza n. 4277 del 21 luglio 1984

(3 massime)

(massima n. 1)

Mentre la legittimazione ad causam, costituendo una condizione dell'azione, intesa come diritto potestativo di ottenere una qualsiasi decisione di merito, è riscontrabile d'ufficio, in ogni stato e grado, alla stregua della prospettazione della domanda, potendosene rilevare il difetto quando questa sia formalmente diretta a far valere un diritto altrui o ad ottenere una pronuncia contro un soggetto estraneo al rapporto dedotto in giudizio, le questioni sull'appartenenza all'attore del diritto controverso e sulla titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in causa attengono al merito e sono affidate alla disponibilità delle parti, con la conseguenza che sono riesaminabili in grado d'appello solo quando la parte interessata abbia impugnato sul punto la decisione di primo grado.

(massima n. 2)

Nell'imporre l'obbligo di fare un quid novi, il giudice della cognizione — affinché detta statuizione possa costituire idoneo titolo esecutivo — deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, diversamente da quanto avviene in tema di obbligo di ripristino di una situazione preesistente, nella quale ipotesi l'ordine di fare trova in tale situazione il necessario modello di raffronto da cui è dato desumere la misura, la portata ed i limiti del quid faciendum.

(massima n. 3)

Poiché l'atto di appello fissa definitivamente il contenuto e la portata delle doglianze dell'appellante, sono inammissibili, perché tardive, le eccezioni nuove dallo stesso formulate non in tale atto, ma nel corso del giudizio di gravame.

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