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Articolo 1014 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Estinzione dell'usufrutto

Dispositivo dell'art. 1014 Codice Civile

Oltre quanto è stabilito dall'articolo 979, l'usufrutto si estingue [1350 n. 5, 2814]:

  1. 1) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni(1);
  2. 2) per la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona [1072, 1253];
  3. 3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito [1016, 1019](2).

Note

(1) Qualsiasi atto di esercizio è idoneo ad interrompere la prescrizione, anche qualora il suo contenuto sia meno ampio rispetto alle facoltà spettanti all'usufruttuario, come nel caso in cui si usi limitatamente della cosa, senza averne il pieno godimento.
(2) L'usufrutto può estinguersi anche per rinuncia abdicativa del titolare oppure per una sentenza che pronunci l'invalidità del titolo costitutivo, la nullità, l'annullamento, la rescissione o la revoca, ovvero ancora a seguito della risoluzione del titolo del costituente o, infine, per l'acquisto del bene mobile come libero tramite il possesso in buona fede (c.d. usucapio libertatis) ovvero a causa di un provvedimento di natura ablativa della pubblica amministrazione.

Brocardi

Amittatur ususfructus, cum etiam ipsa proprietas eo casu amittatur
Non utendo amittitur ususfructus
Rei mutatione interit usufructus
Ususfructus amissus ad proprietatem recurrit

Spiegazione dell'art. 1014 Codice Civile

Le cause estintive dell'usufrutto in generale

Il diritto di usufrutto è, come si e a suo luogo avvertito, un diritto essenzialmente temporaneo. Esso è quindi soggetto alle cause normali di estinzione che sono la morte dell'usufruttuario (o l’ estinzione della persona giuridica) e la scadenza del termine che sia apposto nel titolo o che risulti inderogabilmente dalla legge (nel caso di usufrutto costituito a favore di persone giuridiche). Queste due cause estintive, delle quali ci si è occupati illustrando l'art. 979, al quale del resto l'art. 1014 si richiama, operano automaticamente sul diritto di usufrutto provocandone l'estinzione piena e definitiva, sia nei rapporti tra proprietario e usufruttuario, sia erga omnes e quindi anche nei confronti dei terzi che abbiano acquistato diritti dall'usufruttuario (cessionari, creditori ipotecari ecc.).

Esaminando le altre cause estintive che si possono in un certo senso considerarsi eccezionali, vedremo che esse hanno natura o efficacia di­verse da quelle delle cause estintive naturali dell'usufrutto. Qui possiamo ricordare che l'usufrutto, oltre che con la morte del titolare, si estingue per effetto della dichiarazione di morte presunta (arg. ex art. 58 del c.c.), salvi gli obblighi che incombono sul proprietario (art. 62 del c.c.). Tale estinzione non ha effetto necessariamente definitivo perché può venir meno per effetto del ritorno o della prova dell'esistenza del presunto morto, nel qual caso l'usufrutto rivive salvo che non sia decorso il termine della prescrizione estintiva per effetto del non uso protratto per venti anni (art. 64 del c.c., ultimo comma).


L'estinzione per non uso

Come tutti i diritti reali su cosa altrui, l'usufrutto si estingue per il mancato esercizio da parte del titolare, prolungato per il periodo prescrizionale ordinario. Il nuovo codice, con riferimento all'enfiteusi, alle servitù e all'usufrutto, parla di una estinzione per non uso, ma non vi è dubbio che il non uso sia concettualmente una figura di prescrizione estintiva, alla quale di regola si applicano le norme po­ste in via generale dagli articoli 2934 e segg. c.c., che non è certo qui il caso di illustrare analiticamente. Va solo sottolineato che la durata del periodo prescrizionale, che nel vecchio codice era di trent'anni e nel nuovo codice è in linea generale di dieci anni, è stata stabilita in venti anni per tutti i diritti reali su cosa altrui, analogamente a quanto e stato stabilito per l'usucapione ordinaria. L'inerzia dell'usufruttuario deve essere assoluta, bastando a interrompere il corso della prescrizione estintiva un atto di volontario esercizio del diritto.

Problema assai delicato è quello se l'estinzione dell'usufrutto si possa verificare come effetto riflesso dell'usucapione che un terzo abbia fatto della cosa come libera. Se l'usufruttuario acquista il diritto dal proprietario durante il corso dell'usucapione della proprietà da parte di un terzo (ventennale o decennale) e non compie alcun atto idoneo a interrompere, sia pure con effetti limitati all'usufrutto, l’ usucapione, è dubbio se il terzo usucapisca la cosa come libera o se invece debba subire l'usufrutto che di per sè non sarebbe estinto. Questo problema non è che un aspetto del problema generale dell'ammissibilità nel nostro sistema della usucapio libertatis. Il nuovo codice non risolve espressamente il grave problema; ma se si considera che in un primo momento (nel Progetto della Commissione Reale e in successive elaborazioni) era stata formulata in sede di trascrizione una norma che sostanzialmente negava l'usucapio libertatis sia pure per l'interferenza dei principi della pubblicità, e che successivamente la norma è stata soppressa in seguito ad alcune autorevoli critiche, si dovrebbe concludere che la soluzione da accogliere sia quella positiva.


L'estinzione per consolidazione

Altra causa di estinzione dell'usufrutto è la riunione nella medesima persona dell'usufrutto e della proprietà (consolidazione). Qualunque sia la costruzione dogmatica che si accolga dell'istituto della consolidazione, che non è un modo di estinzione particolare dell'usufrutto ma riguarda tutti i diritti reali su cosa altrui ed è anzi un aspetto particolare del fenomeno della confusione, è certo che la ragione pratica alla quale l'istituto s'informa è questa: che, essendo il diritto reale su cosa altrui una limitazione del diritto di proprietà, per effetto della coesistenza nella medesima persona del diritto reale e della proprietà la limitazione scompare e la proprietà riacquista la pienezza della quale potenzialmente è sempre capace.

L'estinzione dell'usufrutto per consolidazione può avvenire se il proprietario acquista per atto inter vivos l'usufrutto, o se l'usufruttuario acquista per atto inter vivos o per successione mortis causa (eredità, legato) la nuda proprietà.

Si intende che se l'acquisto dell'usufrutto da parte del proprietario o quello della proprietà da parte dell'usufruttuario si risolve per il verificarsi di una condizione o viene dichiarato nullo o annullato o revocato con efficacia retroattiva, anche l'effetto estintivo viene meno e l'usufrutto rivive come se la consolidazione non fosse avvenuta. Restano però salvi i diritti acquistati dai terzi sulla base dell'avvenuta consolidazione?

La risposta non può essere uniforme per tutti i casi, perché si tratta appunto di vedere se la retroattività di quella causa invalidatrice o risolutiva dell'acquisto è opponibile o meno ai terzi secondo i principi generali. Così saranno retroattive erga omnes la risoluzione per il verificarsi della condizione e la nullità, salvi i temperamenti per questa disposti in sede di trascrizione (art. 2643 n. 6), mentre non sarà retroattivo l'annullamento per vizio del consenso (art. 1427 del c.c.), la risoluzione per inadempimento (art. 1453 del c.c.) e così via.

A differenza delle cause estintive sinora considerate (morte, scadenza del termine, non uso) che hanno un'efficacia assoluta, la consolidazione è una causa di estinzione che ha un'efficacia eminentemente relativa. Se l'usufruttuario ha ceduto il suo usufrutto, vi ha costituito un altro usufrutto o una servitù, ovvero lo ha ipotecato, l’estinzione dell'usufrutto per consolidazione nella persona dell'usufruttuario o in quella del proprietario non è opponibile al cessionario, al titolare dell'usufrutto o della servitù, al creditore ipotecario, i quali abbiano acquistato il loro diritto anteriormente alla consolidazione. A questa conclusione la dottrina dominante perveniva anche per il vecchio codice malgrado la mancanza di una base testuale. Ma adesso questa soluzione è espressamente sancita, per le ipoteche costituite sull'usufrutto, dall' art. 2814 del c.c., e non è dubbio che essa estenda la sua efficacia alle altre ipotesi di diritti costituiti dall'usufruttuario. La ratio è infatti identica, trattandosi di impedire che siano eluse le legittime aspettative dei terzi aventi causa dall'usufruttuario per un fatto volontario di questo. Quei diritti continueranno perciò la loro vita fino a quello che sarebbe stato il termine di estinzione naturale dell'usufrutto secondo il titolo costitutivo di questo.

D'altra parte gli aventi causa dell'usufruttuario non possono pretendere di estendere il loro diritto sulla proprietà piena, perché allo stesso modo in cui non possono essere pregiudicati dalla consolidazione, così non se ne possono giovare per estendere il loro diritto oltre i limiti in cui era stato inizialmente costituito.

L'estinzione dell'usufrutto per consolidazione importa anche l’estinzione dell'obbligo di restituzione per confusione, ma non l’ estinzione di quegli obblighi che sono anteriormente sorti per il proprietario o per l'usufruttuario. Così, se le parti non dispongono diversamente, non si estingue l'obbligo del proprietario di rimborsare l'usufruttuario delle somme che questi abbia anticipato per riparazioni straordinarie, per il pagamento di carichi imposti sulla proprietà, per il pagamento di debiti ereditari o di legati, nè si estingue l'obbligo dell'usufruttuario di pagare gli interessi sulle somme che siano state a quei fini erogate dal proprietario. La consolidazione peraltro non rende esigibili immediatamente gli obblighi di rimborso nè modifica l'obbligo del pagamento degli interessi.


L'estinzione per il totale perimento della cosa

Se l'oggetto dell'usufrutto viene meno per il perimento totale della cosa è naturale che l'usufrutto si estingua. Si deve a questo proposito porre in evidenza che il perimento della cosa deve essere tale da escludere ogni possibilità di ulteriore utilizzazione. Quindi non solo esso deve essere totale (nel caso di perimento parziale si applica la disposizione dell'art. 1016), ma non deve neppure dal perimento residuare alcunché, sia pure avente una natura diversa da quella della cosa perita. La legge fa più volte applicazioni di questo principio, anche se non è stato formulato in via generale (cfr. invece art. 170 Progetto preliminare): si è visto infatti che il perimento del gregge non importa l'estinzione dell'usufrutto il quale si conserva sulle pelli (art. 994 del c.c.), si vedrà che il perimento di un edificio fa spostare l'usufrutto sull'area e sui materiali (art. 1018 del c.c.) e così via. S'intende però che in questi casi l'usufruttuario dovrà render conto, alla fine dell'usufrutto, dei residui della cosa perita: in altri termini il principio fondamentale è che l'usufrutto si estingue se la cosa è interamente perita ma non se la cosa, anche per effetto del perimento, si è trasformata. Di tale principio si vedranno fra poco le estreme conseguenze (artt. 1017 e 1019).

Si può quindi concludere che la causa estintiva di cui ci stiamo occupando è piuttosto rara e che anzi, per quanto riguarda gli immobili, essa non può aver luogo che in ipotesi estreme (es. stabile occupazione di un terreno dal mare o da un fiume).


La rinuncia dell'usufruttuario

Un'altra causa di estinzione dell'usufrutto e certamente la rinuncia da parte dell'usufruttuario. Questa era stata espressamente menzionata dal Progetto della Commissione Reale (art. 166) ma non fu ricordata nella elencazione fatta nell'art. 1014 del testo definitivo, perché la Commissione delle Assemblee Legislative ritenne inopportuno risolvere il problema della rinuncia a proposito dell'usufrutto, dato che si tratta di un problema comune a tutti gli altri diritti reali su cosa altrui. A parte la bontà del rilievo, che pare per lo meno discutibile, non si può negare che la rinunzia unilaterale dell'usufruttuario sia una causa estintiva del diritto, indipendentemente dall'accettazione del proprietario.

La rinuncia dell'usufruttuario non deve essere considerata come una proposta di cessione dell'usufrutto nè la sua efficacia può essere subordinata alla manifestazione di volontà del proprietario. La rinuncia che importa come effetto immediato la perdita del diritto dell'usufrutto deve costruirsi piuttosto come una dichiarazione unilaterale recettizia che deve essere portata a conoscenza del proprietario e che risulta perfetta e irrevocabile sin da questo momento (analogamente a quanto deve dirsi per la dichiarazione di remissione del debito secondo la tesi accolta dall' art. 1236 del c.c.). Essa deve essere comunicata al proprietario perché l'effetto logicamente ulteriore della rinuncia è la consolidazione, deve risultare da atto scritto (art. 1314 n. 3 c. 1865) e deve essere .

Poiché per effetto della rinuncia si verifica la consolidazione, è chiaro che anche in questo caso si tratta di una estinzione relativa nel senso spiegato più sopra.

Diversa questione è se la volontà del proprietario sia necessaria perché si operi a suo favore l'acquisto ossia la consolidazione. Se egli non può impedire che l'usufruttuario rinunci al suo diritto, si potrebbe tuttavia pensare che possa impedire che si verifichi la consolidazione. Ma come non può ritenersi che la sua dichiarazione sia elemento costitutivo dell'acquisto, così non si può ammettere che una dichiarazione di rifiuto, sia pure emessa tempestivamente in un termine congruo, possa avere efficacia impeditiva dell'acquisto medesimo. Diversamente si dovrebbe ritenere che l'usufrutto diventi res nullius e, quindi, se ha per oggetto beni immobili, essere avocato al patrimonio dello Stato (art. 827 del c.c.)!


L’espropriazione del fondo come libero

L'usufrutto si può del pari estinguere in seguito ad espropriazione forzata del bene su cui è costituito. La ipotesi può presentarsi quando anteriormente alla costituzione dell'usufrutto (o alla trascrizione di esso se ha per oggetto beni immobili o beni mobili registrati) sia stata iscritta a favore di un terzo un'ipoteca o sia stato costituito un pegno o esista un privilegio a cui la legge riconosca un'efficacia reale (art. 2741 del c.c.). Se invece l'ipoteca, il pegno o il privilegio sono sorti posteriormente all'usufrutto, allora è chiaro che l'usufruttuario non può essere pregiudicato dall'azione esecutiva del creditore, se ha conservato nei modi di legge il suo diritto.

Nel primo caso invece il creditore può espropriare la cosa come libera senza preoccuparsi della posizione dell'usufruttuario. La questione ha maggiore importanza pratica per quanto riguarda gli immobili, rispetto ai quali si riteneva che il creditore ipotecario anteriore dovesse considerare l'usufruttuario come un terzo possessore e quindi agire esecutivamente nei suoi confronti per quanto riguardava l'usufrutto. Il nuovo codice ha seguito una diversa soluzione, avendo stabilito che l'usufrutto posteriore è del tutto inopponibile al creditore ipotecario e che egli può solo far valere nel giudizio di distribuzione del prezzo la ragione di credito che gli deriva dalla perdita del diritto reale, con preferenza sulle ipoteche iscritte posteriormente alla trascrizione dell'usufrutto (art. 2812 del c.c., primo e secondo comma).

In tal caso, come si vede, l'usufrutto si estingue e l'usufruttuario non ha verso il proprietario espropriato che una ragione d'indennità, la quale, in conseguenza della realità del diritto estinto, è collocata anteriormente ai crediti di coloro ai quali la costituzione dell'usufrutto sarebbe stata pienamente opponibile.


L’invalidità o l’inefficacia del titolo dell’usufruttuario o di quello del proprietario

Il diritto di usufrutto può infine venir meno se viene invalidato il titolo che lo ha costituito (nullità, annullamento, rescissione, revoca, riduzione, risoluzione). Qui la causa estintiva non incide sul diritto se non di riflesso come conseguenza dell'inefficacia del titolo dal quale l'usufrutto deriva. In questi casi l’ opponibilità della estinzione dell'usufrutto agli aventi causa dall'usufruttuario dipende dal fatto se alla nullità, annullamento ecc. del titolo debba o no riconoscersi, secondo le regole generali, efficacia retroattiva assoluta.

Lo stesso va detto per il caso che venga posto nel nulla il titolo del costituente. Se questo perde la proprietà per effetto di rescissione del titolo, di risoluzione per inadempimento, di revoca, di annullamento per cause diverse dalla incapacità legale, ciò non pregiudica le ragioni dell'usufruttuario che abbia acquistato anteriormente alla domanda (o alla trascrizione di questa, se vi è soggetta) diretta a invalidare il titolo del costituente. Se invece il titolo di questo era nullo o e annullato per incapacità legale del suo dante causa, o era sottoposto a una condizione risolutiva che si è verificata, o è soggetto a riduzione, allora si applica il principio resoluto iure dantis resolvitur et ius accipientis, salve le attenuazioni portate a questo principio in sede di trascrizione (art. 2643 , n. 6, 8 del Libro della Tutela dei diritti).

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

485 Come per gli altri diritti reali di godimento su cosa altrui, il termine di prescrizione del diritto di usufrutto è ridotto a venti anni (art. 1014 del c.c., n. 1). Nell'elencare le cause di estinzione dell'usufrutto non ho fatto menzione della rinuncia, perché la perdita di tale diritto in seguito a rinuncia non è che un corollario del principio che i diritti sono, in genere, rinunciabili: compito del legislatore è piuttosto d'indicare i diritti che non sono rinunciabili, anziché quello di fare, di volta in volta, l'applicazione del principio generale.

Massime relative all'art. 1014 Codice Civile

Cass. civ. n. 2754/2018

La sentenza che accoglie l'azione di annullamento di un contratto di vendita della nuda proprietà di una quota di un bene immobile fa venir meno l'estinzione dell'usufrutto su di essa gravante a seguito di riunione, verificatasi in epoca successiva al negozio annullato, dell'usufrutto medesimo e della proprietà in capo alla medesima persona, non quale effetto dell'estensione dell'efficacia della pronuncia di annullamento al successivo contratto traslativo del diritto di usufrutto, né della reviviscenza del diritto di usufrutto, bensì quale conseguenza, discendente dalla natura costitutiva e dal valore retroattivo della sentenza di annullamento, della negazione dell'effetto della consolidazione ex art. 1014, n. 2, c.c.

Cass. civ. n. 482/2013

La rinuncia all'usufrutto, quale negozio unilaterale meramente abdicativo, ha come causa la dismissione del diritto e, poiché il consolidamento con la nuda proprietà ne costituisce effetto "ex lege", non può essere considerata come una donazione, né necessita della forma prescritta dall'art. 782 cod. civ. (Rigetta, App. Ancona, 25/03/2006).

Cass. civ. n. 14731/2000

Al diritto reale d'uso sulle aree a parcheggio di cui all'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, secondo il testo introdotto dall'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765, è applicabile il modo di estinzione per non uso protrattosi per venti anni, previsto dal combinato disposto degli artt. 1014 n. 1) e 1026 c.c.

Cass. civ. n. 3811/1995

L'atto di esercizio idoneo ad escludere la prescrizione del diritto di usufrutto per non uso può essere compiuto anche per mezzo di terzi, come il comodatario al quale il bene sia stato dato in godimento.

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Consulenze legali
relative all'articolo 1014 Codice Civile

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Antonino V. chiede
sabato 06/11/2021 - Sicilia
“Coniugi in separazione di beni
Su un immobile hanno rispettivamente il diritto di usufrutto per 1/2 e la nuda proprietà è in capo al figlio.
Al decesso della madre cosa succede?
Il figlio acquiesce la proprietà di 1/2 e la nuda proprietà 1/2 e al Padre rimane il diritto di usufrutto di 1/2.
Oppure sussiste il diritto di accrescimento e quindi il figlio rimane con la nuda proprietà e il padre acquisisce il 100% del diritto di usufrutto?”
Consulenza legale i 11/11/2021
Il codice civile contempla espressamente la fattispecie della contemporanea titolarità del diritto di usufrutto in capo a più soggetti soltanto in ambito successorio.
Infatti, l’art. 678 del c.c. dispone che, quando a più persone è legato un usufrutto in modo che tra di loro vi sia il diritto di accrescimento, l'accrescimento ha luogo anche quando una di esse venga a mancare dopo aver conseguito il possesso della cosa su cui cade l'usufrutto.
Tale norma si riferisce alla particolare ipotesi in cui il testatore abbia disposto un legato di usufrutto in favore di più beneficiari e per quote eguali, stabilendo che il venire a mancare di uno dei legatari contitolari del diritto non comporta la consolidazione della singola quota con il diritto del nudo proprietario, ma determina l'espansione del diritto di usufrutto dei contitolari superstiti.

Come può notarsi, presupposto essenziale per l'operatività dell'accrescimento successivo all'acquisto è che uno dei beneficiari venga meno; occorre precisare che, sebbene possa sembrare che la norma faccia riferimento unicamente alla morte di uno dei cousufruttuari, in realtà la dottrina ha individuato anche altre ipotesi a seguito delle quali può dirsi venuto meno il diritto di uno degli usufruttuari, ipotesi che tuttavia in questa sede non è il caso di approfondire, in quanto esulano dal tema principale che il quesito pone.

Ora, quanto esplicitamente dettato dal codice civile in tema accrescimento nel legato di usufrutto si ritiene possa valere anche per il caso di costituzione di usufrutto con accrescimento per atto inter vivos.
Anche per contratto può stabilirsi che le quote di usufrutto, inizialmente spettanti a più soggetti, si accrescano, in seguito alla morte dei loro titolari, alle quote dei contitolari superstiti, fino a riunirsi tutte in capo all’ultimo usufruttuario superstite.

Infatti, malgrado il legislatore abbia voluto disciplinare l'usufrutto congiuntivo in relazione al solo legato, nulla vieta, d'altra parte, che anche l'atto inter vivos, a titolo gratuito o oneroso, possa costituire la fonte del diritto di accrescimento tra cousufruttuari, dato che tale figura non contrasta con il carattere essenziale e di ordine pubblico della temporaneità dell'usufrutto (in tal senso cfr. Cass. 17/11/2011 n. 24108; Cass. 28/12/2018 n. 33546).

E’ stato osservato che una clausola di accrescimento di tale tipo non possa configurare una ipotesi di violazione né del divieto dei patti successori di cui all'art. 458 del c.c. né del divieto di usufrutto successivo di cui all'art. 698 del c.c., in quanto in virtù di tale previsione non si viene in concreto a prefigurare quella c.d. "doppia chiamata" che costituisce il fondamento dei suddetti divieti.
Al contrario, con l’accrescimento si realizza una comunione di godimento dell'usufrutto conseguito ab origine nella sua interezza dai vari cousufruttuari, salva la temporaneità della compressione del godimento di ciascuno per effetto del simultaneo godimento esercitato dall'altro (in tal senso cfr. Trib. Bari 09/12/ 2004).

Ovviamente, perché possa configurarsi un usufrutto congiuntivo, caratterizzato dal diritto di accrescimento tra i contitolari (tale da impedire la consolidazione di qualsiasi quota dell'usufrutto con la nuda proprietà finché rimane in vita almeno uno dei contitolari originari), occorre che dall'atto costitutivo risulti in maniera inequivoca la volontà concorde delle parti di prevedere il diritto di accrescimento (così Cass. 10/01/1967 n. 101).
Nel caso specifico di usufrutto costituito contemporaneamente in favore di più persone per atto inter vivos, considerato che l'accrescimento non può farsi derivare dalla legge (poichè manca in materia una norma analoga a quella del citato art. 678 c.c.), occorre che esso sia espressamente previsto nell'atto costitutivo del diritto; in mancanza di espressa previsione, l'estinzione del diritto di uno dei contitolari determinerà la consolidazione pro quota del diritto a favore del nudo proprietario.

Pertanto, volendo trarre le conclusioni da quanto fin qui esposto, e rispondendo così al quesito richiesto, può dirsi quanto segue:
al decesso della madre se l’atto costitutivo del diritto di usufrutto non prevede espressamente il diritto di accrescimento in favore dell’usufruttuario superstite, si verificherà la consolidazione pro quota di quel diritto, in ragione di ½ indiviso, in favore del nudo proprietario, con la conseguenza che il figlio diventerà pieno proprietario per ½ indiviso, rimanendo nudo proprietario per l’altro ½ indiviso, sul quale continuerà a gravare il diritto di usufrutto del padre.

Claudio C. chiede
venerdì 26/06/2020 - Lombardia
“Sono o meglio ero proprietario di una prima casa. Lo scorso mese di dicembre ho venduto la nuda proprietà e ho l'usufrutto vitalizio
Volendo e se il nudo proprietario è d'accordo potrei vendere a lui l'usufrutto? Chiaramente andrei ad abitare in un altro appartamento”
Consulenza legale i 30/06/2020
L’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui che, come tale, è un diritto disponibile.
Ciò significa che l’usufruttuario può cedere tale diritto ad altri soggetti oppure può rinunciare al diritto stesso.
L’art. 980 del codice civile prevede infatti che l’usufruttuario possa cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo.
Si presuppone però che la cessione venga fatta a soggetto diverso dal nudo proprietario.
Infatti, se usufrutto e nuda proprietà si riuniscono invece in un unico soggetto si ha la cd. consolidazione la quale costituisce una delle cause di estinzione dell’usufrutto, come espressamente previsto dall’art. 1014 del codice civile.

Pertanto, nella presente vicenda più che di vendita occorre parlare di rinuncia al diritto di usufrutto.

La rinuncia è un atto unilaterale e come tale non necessita di consenso del nudo proprietario.
Tuttavia, a fini fiscali, essa è considerata come un atto di trasferimento.
Come ha infatti evidenziato la Suprema Corte con la sentenza n.2252 del 2019Ai fini fiscali, pertanto, la rinuncia ai diritti reali si considera alla stregua di un trasferimento, in quanto generativa di un arricchimento nella sfera giuridica altrui, come tale soggetta a imposta ipocatastale. La indicata giurisprudenza, applicabile alla fattispecie in esame stante l'espresso richiamo alle norme sull'imposta di registro, ha affermato che anche "la rinuncia all'usufrutto rientra a pieno titolo tra questi ultimi atti, essendo l'usufrutto un tipico diritto reale di godimento", per cui "il venir meno della cosiddetta imposta di consolidazione, alla luce delle comuni regole deducibili dall'ordinamento tributario, ha comportato l'assenza di imposizione ove il consolidamento derivi da un fatto (morte dell'usufruttuario, scadenza del termine), ma non ove il trasferimento derivi da un atto negoziale, cioè da uno specifico atto ben distinto dall'atto di separazione della proprietà dall'usufrutto". "Non vi sarebbe alcun logico motivo per assoggettare ad imposta la cessione dell'usufrutto di cui all'art. 980 c.c. e non la rinuncia negoziale al diritto stesso, che arreca al nudo proprietario un arricchimento identico a quello conseguito da chi riceve l'usufrutto".

Quindi, rispondendo al quesito in oggetto è possibile rinunciare al diritto di usufrutto.
Ciò potrà essere fatto mediante atto dal notaio con successiva trascrizione ai fini dell’opponibilità ai terzi.

Flavio D. chiede
martedì 11/02/2020 - Campania
“Con riferimento alla consulenza Q201924478 e facendo seguito alla documentazione già inviata per la stessa, in data 2 Gennaio ultimo scorso la moglie del defunto mio fratello ha rinunciato al suo diritto di usufrutto sui beni immobili in eredità che aveva accettato in data 28 Agosto 2019.
Uno degli immobili era gravato da vertenza condominiale per cui l'avvocato che sta conducendo l'appello alla prima udienza che si terrà il 13 Ottobre p.v.ha anticipato che comunicherà al giudice il decesso di mio fratello, le sue volontà con testamento olografo da cui risulta che i fratelli sono stati nominati nudi proprietari dell'immobile oggetto della causa d'appello e che la moglie, nominata usufruttuaria dello stesso immobile, in data 2 Gennaio 2020 ha rinunciato all'usufrutto dopo aver accettato l'eredità il 28 Agosto 2019. Con ciò chiedo di conoscere se la moglie può ritenersi completamente esclusa da ogni incombenza relativa alla conduzione della causa d'appello peraltro già precedentemente vinta.”
Consulenza legale i 20/02/2020
Diversi sono gli istituti giuridici che vanno qui presi in considerazione, sia per inquadrare correttamente la fattispecie che per giungere ad una soluzione più corretta possibile del caso in esame.

Come si è già detto nella precedente consulenza, a cui questa si riferisce, l’effetto della attribuzione dei beni che il de cuius ha voluto fare con il suo testamento è stato sostanzialmente quello di una vera e propria divisione del patrimonio ereditario, tecnicamente definita institutio ex re certa, in conseguenza della quale tutti i beneficiari delle disposizioni testamentarie hanno assunto la qualità di eredi, divenendo proprietari esclusivi o in comunione dei singoli cespiti ereditari.

In particolare, per l’immobile in questione, e per il quale pende un giudizio di appello, la situazione proprietaria vede i fratelli del de cuius nudi proprietari e la moglie usufruttuaria dello stesso.
Si è detto che norma applicabile, in materia di spese di lite, è l’art. 1013 del c.c., il quale, per le liti che riguardano tanto la proprietà che l’usufrutto, pone l’obbligo di risponderne in capo sia al proprietario che all’usufruttuario, ciascuno in proporzione del relativo diritto.
La situazione indubbiamente non può che mutare allorché l’usufruttuario, come avvenuto nel caso di specie, decida di rinunziare al suo diritto, facoltà correttamente esercitata mediante l’atto di rinunzia, stipulato innanzi al notaio in data due gennaio 2020, e che il notaio ha giuridicamente qualificato come “rinuncia unilaterale abdicativa”.

Il nomen iuris che il notaio ha voluto dare a tale negozio giuridico non è sicuramente casuale, in quanto occorre precisare che, tutte le volte in cui viene posto in essere un atto di rinuncia ad un diritto entrato a far parte in qualunque modo del patrimonio del rinunciante, tale rinuncia può assumere natura:
  1. abdicativa, come in questo caso, il che comporta che non ha carattere recettizio, cioè che non richiede la conoscenza né tantomeno l’accettazione da parte di altri soggetti.
In quanto tale, essa determina puramente e semplicemente l’abdicazione della quota o del diritto di cui il soggetto è titolare, senza ulteriori effetti negoziali dell’atto posto in essere; così, il rinunziante non sarà tenuto a corrispondere le spese concernenti il bene cui la rinuncia si riferisce per il tempo successivo ad essa, mentre rimarrà tenuto all’adempimento di tutte le obbligazioni, inerenti la cosa, sorte fino al giorno della rinuncia.
  1. liberatoria: trattasi di una particolare forma di rinuncia, espressamente prevista dall’art. 1104 del c.c. in tema di obbligo dei partecipanti alla comunione, la quale si caratterizza per la circostanza che alla rinunzia al diritto reale si accompagna la dismissione di una situazione debitoria, con la conseguenza che il titolare del diritto dismesso si libera da tutte le obbligazioni inerenti la cosa non solo per il futuro (ciò che è ovvio), ma anche per quelle già sorte.
In quanto tale, però, essa ha carattere recettizio, essendo destinata a produrre effetti negativi per coloro che beneficiano di tale rinuncia.

In ordine alla validità giuridica ed agli effetti della rinuncia al diritto di usufrutto, va detto che essa trova espressa conferma all’art. 2814 del c.c. ed all’art. 1014 del c.c., dalla lettura dei quali si evince non soltanto che è possibile una rinuncia abdicativa a tale diritto, ma anche che l’effetto di essa è quella di far riunire l’usufrutto alla nuda proprietà.

A fini di eventuali contestazioni future, è bene precisare che, a seguito di tale rinuncia, gli altri eredi non avrebbero alcun diritto di opporre che questa valga a configurare una rinunzia parziale all’eredità, espressamente vietata come tale dall’art. 520 del c.c., e ciò perché il suo effetto è quello di dismettere un diritto già acquisito al proprio patrimonio, e non di impedire che quel diritto vi entri a far parte.
Proprio perché si tratta di dismissione di un diritto già acquisito (sia pure per un breve periodo), e considerata la natura abdicativa e non liberatoria della rinuncia, è corretto affermare che colei che ne è stata titolare è tenuta a rispondere di tutte le obbligazioni sorte nel periodo che va dal suo acquisto alla sua dismissione, comprese, tra queste, le obbligazioni per spese di liti ricollegabili agli atti processuali compiuti in questo arco temporale.

Corretta è anche la decisione del difensore di fiducia di comunicare in giudizio l’evento interruttivo verificatosi, in quanto la rinuncia al diritto di usufrutto ha fatto perdere alla moglie, che ne era titolare, la capacità processuale, così come corretta è la precisazione che la medesima avrà comunque diritto ai compensi già maturati per le prestazioni rese nel corso della fase di appello, dalla costituzione in giudizio sino all’udienza in cui verrà comunicata l’intervenuta causa di interruzione.

Sebbene la moglie usufruttuaria dal momento della dichiarata interruzione non abbia più alcuna legittimazione passiva in quel giudizio, la medesima, tuttavia, sarà tenuta ex art. 1013 c.c. a partecipare ad ogni obbligazione per spese processuali maturate fino a questo momento, e ciò sulla base delle seguenti considerazioni.

Sul piano normativo, anche se non vi è una norma espressa che si occupa di tale questione, si ritiene che debba farsi applicazione analogica dell’art. 63 delle disp. att. c.c., il quale sancisce il principio (riferito alla materia condominiale, ma che può considerarsi di ordine generale) secondo cui chi cede dei diritti su una unità immobiliare, resta solidalmente obbligato con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento del trasferimento.

In giurisprudenza, invece, si ritiene che possa richiamarsi la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. II civ. n. 230 del 11.01.2010, alla quale si deve l’esatta qualificazione giuridica della obbligazione che il professionista, in particolare l’avvocato, assume nei confronti del proprio cliente.
In tale sentenza la S.C. riconosce piena legittimità giuridica ad un mandato professionale in forza del quale l’avvocato assume espressamente l’impegno di far ottenere al cliente un determinato risultato utile in cambio di un determinato compenso dovuto (ossia in ragione dell’effettivo raggiungimento del risultato stesso), il che comporta che l’avvocato avrà diritto al compenso solo quando al termine della causa, avrà raggiunto quel determinato risultato, dovendo la relativa obbligazione farsi gravare su colui o coloro che beneficeranno del risultato.

Al di fuori di tale particolare ipotesi, l’obbligazione del professionista, invece, è una tipica obbligazione di mezzi (e non di risultato), e pertanto il professionista avrà diritto ad essere compensato per lo svolgimento di ogni attività prodromica al raggiungimento del risultato auspicato.
Nel caso di specie l’attività del professionista da retribuire sarà quella svolta fino all’udienza di dichiarazione dell’evento interruttivo, le cui spese, come sopra anticipato, dovranno gravare sui fratelli nudi proprietari e sulla moglie usufruttuaria ex art. 1013 c.c., ossia in proporzione ai rispettivi diritti.
L’usufruttuaria rinunziante, indubbiamente, non potrà che restare estranea a qualunque altra obbligazione sorgerà da tale momento in poi, non avendo più alcun diritto e, dunque, alcuna legittimazione attiva o passiva, sul bene oggetto di causa.

E’ il caso a questo punto di fare un’ultima osservazione, anche se non espressamente richiesto nel quesito.
All’art. 3 dell’atto notarile di rinuncia abdicativa si dice che l’usufruttuaria rinunciante “cessa di possedere i beni innanzi descritti, che verranno conseguentemente consegnati ai signori…..il più presto possibile (fatta salvo, in ogni caso, per la signora …., fino alla data del 31 agosto 2020, il diritto di prelevare….”.
In considerazione di tale clausola negoziale, si consiglia di “allineare” al più presto la situazione giuridica che si è venuta a determinare (perdita del diritto di usufrutto risultante dai pubblici registri per effetto della trascrizione) alla situazione di fatto, provvedendo alla consegna formale dei beni per i quali è stata effettuata la rinuncia.
Si tenga conto che se gli altri eredi, ora pieni proprietari, non dovessero essere disposti a prendere volontariamente in consegna detti beni (che si consiglia di far constare da un verbale di consegna redatto inter partes), sarà purtroppo necessario ricorrere ad una specifica procedura prevista per tali casi dal codice civile agli art. 1209 e ss, ossia la c.d. offerta reale o per intimazione, per la quale ci si dovrà avvalere dell’intervento dell’ufficiale giudiziario.
Si tratta, comunque, di un passaggio indispensabile al fine di avere prova ad ogni effetto della perdita di possesso del bene.


Di M. C. chiede
mercoledì 29/01/2020 - Sicilia
“Per interrompere la prescrizione dell’usufrutto è sufficiente anche un solo atto di utilizzazione o sfruttamento del bene, come ad esempio una lettera con cui l’usufruttuario richiede alle persone che abitano l’immobile di versare un corrispettivo per tale occupazione.
Abito da 40 anni la casa donatami da mia madre di cui lei si è riservata l' usufrutto. Basterebbe una lettere con cui mi chiede di versarle un corrispettivo, per interrompere la prescrizione o io potrei, in seguito alla sua lettera, far vale il suo non uso quarantennale? Nel caso fosse così, cosa mi conviene fare per tutelarmi?
Grazie”
Consulenza legale i 31/01/2020
Le ipotesi di estinzione dell’usufrutto sono indicate nell’art. 1014 del codice civile e tra queste rientra il non uso protratto per venti anni.
Il non uso consiste, sostanzialmente, nell'inerzia del titolare del diritto.

Nella presente vicenda, leggiamo che Lei nudo proprietario abita da 40 anni l’immobile di cui Sua madre si era riservata l’usufrutto.
Stando quindi agli scarni elementi in nostro possesso, possiamo ritenere che il termine di prescrizione ventennale (a meno che non vi siano stati in precedenza atti interruttivi) sarebbe ormai ampiamente maturato da venti anni.
Da ciò ne consegue che una eventuale lettera inviata oggi dall’usufruttuaria non sarebbe idonea ad interrompere una prescrizione già avvenuta.

Ad ogni modo, per far valere l’estinzione dell’usufrutto occorrerebbe una sentenza che accerti e dichiari, appunto, l’avvenuta prescrizione per mancato uso ventennale.
Detta in altri termini, in mancanza di accordo tra le parti, Lei dovrebbe citare in giudizio Sua madre (previo tentativo di mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs 28/2010, che disciplina la Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali).
Tale sentenza rientra tra gli atti soggetti a trascrizione ai sensi dell’art. 2651 c.c.

LAURA M. chiede
giovedì 17/05/2018 - Liguria
“Nel 2014 è mancato mio marito, nel 2015 è mancato mio figlio Fabrizio, il notaio ha fatto le relative successioni. Mio figlio Fabrizio aveva redatto testamento nominando erede universale il fratello Ruggero e alle due figlie solo la legittima.
E' risultato che io ho avuto l'usufrutto dell'appartamento che abito, un terzo è a mio nome e 2 terzi a mio figlio Ruggero.
Alla mia morte le due figlie di mio figlio Fabrizio avrebbero diritto ad ereditare il mio terzo. Per rispetto alle volontà di mio figlio Fabrizio, non intendo lasciare nulla alle mie nipoti, pertanto ho chiesto al notaio di vendere la mia parte di appartamento a mio figlio Ruggero. Mio figlio Ruggero ha la proprietà della casa dove abita e il notaio mi ha detto che facendo questa operazione mio figlio Ruggero dovrebbe pagare l'IMU sull'abitazione che io abito come seconda casa. Chiedo a Voi se c'è una legge, avendo io l'usufrutto vita natural durante che esoneri mio figlio da tale tassa. Provvedo al pagamento tramite bonifico come le precedenti volte. Ringrazio e auguro una buona giornata.

Consulenza legale i 21/05/2018
L’intento prospettato nel quesito, di non far pervenire nulla nel patrimonio delle nipoti e nello stesso tempo di evitare di gravare l’altro figlio di ulteriori spese, richiede di conciliare la normativa civilistica con quella fiscale.
Intanto, come giustamente viene detto, sicuramente non a caso, ma perché consigliati magari dallo stesso notaio cui ci si è rivolti, il negozio giuridico da porre in essere sotto il profilo civilistico è quello della vendita, dovendosi escludere sia la donazione che la successione testamentaria.
Infatti, queste ultime due forme di trasmissione del proprio patrimonio, rischierebbero di essere soggette a riduzione ex artt. 554 e 555 c.c. poiché le nipoti avrebbero il diritto di succedere per rappresentazione al loro padre premorto secondo quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 467 e 536 c.c.

L’art. 467 c.c. dispone che la rappresentazione fa subentrare i discendenti (cioè le nipoti) nel luogo e nel grado del loro ascendente (il figlio premorto) in tutti i casi in cui l’ascendente non può subentrare, mentre l’art. 536 c.c. ultimo comma sancisce che “a favore dei discendenti dei figli, i quali vengono alla successione in luogo di questi, la legge riserva gli stessi diritti che sono riservati ai figli”.
Quindi, non resta altra soluzione che quella di realizzare un trasferimento a titolo oneroso in favore del figlio Ruggero.

Ora, considerato che l’unico bene per il quale si discute sembra essere l’appartamento di cui si ha l’usufrutto per intero e la nuda proprietà in ragione di un terzo, il trasferimento al figlio Ruggero di quest’ultima non sembra che possa gravare lo stesso di alcun particolare onere fiscale, quale può essere il pagamento dell’IMU.
Infatti, da una lettura della normativa di riferimento, ossia il D.lgs. 14 marzo 2011 n. 23 (che ha appunto istituito l’imposta municipale in sostituzione, per la componente di fiscalità immobiliare, di quella sul reddito delle persone fisiche), si evince che soggetti passivi tenuti al pagamento dell’IMU sono il proprietario di immobili (a titolo di piena proprietà) ovvero i titolari di diritti reali di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e superficie.
Ciò vale per tutti i Comuni d’Italia, potendo questi ultimi soltanto variare l’aliquota di base dell’imposta.

Il nudo proprietario, dunque, non è tenuto ad alcun pagamento di tale tributo, rimanendo soggetto passivo ai fini IMU e TASI soltanto il titolare del diritto di usufrutto.
Si tenga conto che quest’ultimo, qualora continui ad abitare la casa come abitazione principale, non sarà tenuto a versare le suddette imposte se l’immobile non ricade entro le categorie di lusso.
E’ chiaro che, essendo l’usufrutto un diritto essenzialmente temporaneo, esso si estinguerà alla morte dell’usufruttuario, e questo sarà il momento in cui colui che ne ha la nuda proprietà diventerà pieno proprietario, potendo a quel punto anche decidere di di trasferire l’immobile a terzi, qualora non sia disposto a sopportarne gli oneri fiscali.

Infine, si ritiene opportuno dare un ultimo suggerimento: qualora si voglia evitare un passaggio di denaro dal figlio alla madre per giustificare l’acquisto della nuda proprietà, potrebbe ricorrersi allo strumento abbastanza diffuso della cessione onerosa.
Si tratta di quel negozio giuridico per effetto del quale, l’alienante trasferisce un bene o un diritto su un bene ad un terzo in cambio di assistenza materiale e morale per tutta la sua vita.
In questo caso, dunque, il corrispettivo da versare per il trasferimento della nuda proprietà non consisterebbe in una somma di denaro, ma nella assunzione di una obbligazione di facere, ossia nel fornire a favore del cedente prestazioni assistenziali vita natural durante.
L’assistenza potrà avere contenuti diversi, come fornire una rendita, degli alimenti periodici, pulizia alla persona o alla casa, cure, compagnia, ecc.

Cesare N. chiede
martedì 27/12/2016 - Lombardia
“sono il nudo proprietario di un terreno con villetta singola da me abitata col mio nucleo familiare. Mia madre -usufruttuaria- non ha mai abitato il bene da oltre 20 anni, non ha le chiavi di casa non ha mai provveduto alla manutenzione del verde e veniva raramente a trovarci. Ha sempre pagato lei l'ICI. Poso chiedere al giudice di dichiarare estinto l'usufrutto di mia madre?
Ho costruito un box demolendo il precedente abusivo, ho istallato i pannelli solari sul tetto e rifatto la centrale termica perché fuori norma e tutto a spese mie senza alcun contributo di mia madre. Può farmele demolire e chiedere il ripristino? Ho costruito una piscina in giardino anche questa a mie spese può chiedere il ripristino e farmela demolire?
Le richieste di rilascio di concessione edilizia fatte al comune le ho firmate io come usufruttuario avendo un diritto reale firmando a mio nome come proprietario senza mettere anche la firma di mia madre come usufruttuaria. Può mia madre farmi demolire le opere oppure comune revocare la licenza edilizia?”
Consulenza legale i 11/01/2017
Alla prima domanda va data risposta positiva: se il bene, infatti, non è stato goduto dall’usufruttuario né sono stati esercitati i diritti ad esso connessi per oltre 20 anni, ai sensi dell’art. 1014 cod. civ. l’usufrutto si estingue per prescrizione “per effetto del non uso”.
A tal proposito, in ordine alla valenza del versamento delle imposte sull’immobile, purtroppo non esistono pronunce giurisprudenziali che possano aiutare a chiarire la questione: pare ragionevole ritenere, tuttavia, che il versamento delle imposte (come l’ICI) non possa considerarsi atto di esercizio dell’usufrutto, e quindi valido atto interruttivo della prescrizione.
Il pagamento dell’imposta, infatti, quale adempimento fiscale, è legato, ad avviso di chi scrive, alla mera esistenza formale del rapporto di usufrutto (l’obbligo fiscale è sorto con la registrazione del contratto/atto di usufrutto), ma non ha alcuna incidenza sulla sostanza del rapporto stesso.

Per quel che riguarda le domande sulle opere eseguite a proprie spese dal proprietario, il quale teme la richiesta di ripristino dello stato di fatto originario, va precisato quanto segue.
Si tratta certamente di interventi che fanno carico – anche sotto il profilo delle spese – solo al nudo proprietario.
Infatti le spese cui è tenuto l’usufruttuario sono solo quelle di manutenzione ordinaria, ovvero strettamente necessarie alla conservazione della cosa e delle sue qualità ed il cui esborso si renda normale e prevedibile in relazione al semplice godimento della cosa (ad esempio, tinteggiatura delle pareti, sostituzione di porte o finestre, sostituzione di singoli gradini delle scale, ecc.). Sono invece a carico del nudo proprietario tutti gli interventi che si sostanzino in un miglioramento dell’immobile nonché le spese per le riparazioni straordinarie, secondo quanto precisa l’art. 1005 del cod. civ.: “Riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”.
L’elenco non è tassativo: è più che legittimo ritenere, in ogni caso, che l’intervento di cui al quesito consistente nella demolizione del box abusivo e nel rifacimento della vecchia caldaia fuori norma siano interventi di natura straordinaria e che quindi si debba accollare il proprietario.
La Cassazione precisa che “(…) sono riservate al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della stessa.” (Cassazione civile, sez. II, 06/11/2015, n. 22703), per cui non possono che essere tali gli interventi che consistano in opere di una certa consistenza (demolizioni) e/o che servano a regolarizzare un abuso.

Tuttavia, a proposito di opere che incidano sulla “destinazione” della cosa ed in ordine alla domanda sulla possibile richiesta di demolizione e ripristino da parte dell’usufruttuaria, la risposta è strettamente legata alla questione relativa alla legittimità della concessione edilizia già ottenuta.

Si riporta in merito, di seguito, una recente sentenza del Giudice Amministrativo che ha confermato l’operato di un Comune che aveva dichiarato illegittima una D.I.A. presentata solo dal nudo proprietario, in forza di un principio generale desumibile proprio dalla richiamata disciplina dell’usufrutto; il fatto è analogo a quello che ci occupa, trattandosi di realizzazione di impianto fotovoltaico: “(..) si deve sottolineare che l'usufrutto è un diritto di godimento a contenuto generale, ossia un diritto al godimento della cosa nella sua piena capacità produttiva. Mentre, in altri termini, al titolare degli altri diritti reali su cosa altrui competono specifiche e tassative facoltà, all'usufruttuario spetta ogni facoltà di godimento della cosa ad eccezione di quelle escluse dal titolo costitutivo. L'ampiezza del contenuto del diritto in esame non può che limitare il contenuto del diritto del nudo proprietario considerato che una delle caratteristiche dei diritti reali è la cd. esclusività, ossia l'impossibilità, salva l'ipotesi di comunione, di coesistenza di un altro diritto di eguale contenuto sullo stesso bene.
Dal riconoscimento del diritto al godimento del bene nella sua piena capacità produttiva in capo all'usufruttuario, discende il corollario logico dell'impossibilità, per il nudo proprietario, di modificare la natura del bene o la sua destinazione economica. La nuda proprietà, quindi, è la condizione del proprietario del bene gravato da usufrutto, al quale pertanto è sottratto il potere di usare il bene e di farne propri i frutti, nonché quello di incidere sull'usufrutto mutando la destinazione economica del bene. Nel caso di specie l'utilizzazione dell'area, da parte del nudo proprietario, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico costituisce, senza dubbio alcuno, un mutamento della destinazione economica del bene attuabile solo con il consenso di ambedue i soggetti (nudo proprietario e usufruttuario) ai sensi dell'art. 981 c.c.. (…) Conseguentemente nessuna censura può essere mossa all'operato del Comune resistente che, venuto a conoscenza dell'esistenza di sentenze che privavano il ricorrente della situazione giuridica legittimante la presentazione della DIA, ha proceduto all'annullamento d'ufficio della denuncia di inizio attività ritenuta illegittima in base all'articolo 21-nonies legge 241/1990.” (T.A.R. Lecce, Puglia, sez. I, 07/05/2015, n. 1466).

Come si vede, il Comune potrebbe teoricamente annullare d’ufficio i provvedimenti già concessi, in forza della norma richiamata in sentenza (art. 21-nonies della Legge n. 241/1990): “1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21 octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. 2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.”

Chi ha posto il quesito avrebbe, quindi, potuto correre il rischio che l’usufruttuaria segnalasse all’Autorità competente l’illegittimità del provvedimento edilizio autorizzativo ai fini dell’ottenimento di una pronuncia di annullamento ufficiosa (con conseguente demolizione delle opere e ripristino della situazione antecedente). Tuttavia, tale rischio si ritiene non possa più concretamente sussistere poiché:
- pare che siano trascorsi oltre sei mesi dal rilascio del provvedimento edilizio potenzialmente illegittimo (se l’Autorità dovesse accorgersi dell’errore, sarebbe fuori termine per rimediare);
- sono trascorsi oltre 20 anni dalla costituzione dell’usufrutto, per cui l’usufruttuaria ha perso ogni diritto; per lo stesso motivo la signora non potrebbe rivolgersi all’Autorità Giudiziaria facendo valere le medesime domande e chiedere eventuali danni.

Irma M. D. chiede
martedì 28/10/2014 - Sardegna
“Ho ceduto il diritto di usufrutto, a titolo gratuito, di un autocarro di mia proprietà, con regolare atto notarile del 27/09/2010 ( scadenza: 27/09/2015). Il 16/09/2012, io e l'usufruttuario, abbiamo deciso di venderlo firmando unitamente, davanti funzionario comunale incaricato, il retro del CDP.
Ora nel CDP risulta una richiesta dell'atto di TRASCRIZIONE.
Nello stesso sono indicati:
i dati dell'acquirente ( sezione M );
il n° del certificato di proprietà, il prezzo del mezzo e, nuovamente i dati dell'acquirente seguiti dalla data e firma congiunta del venditore ( della nuda proprietà ) e dell' usufruttuario ( sezione T );
Nello spazio destinato all'autenticazione della firma è stato inserito il n° di repertorio, il primo timbro del funzionario comunale incaricato, nome e cognome dello stesso, i dati del proprietario della nuda proprietà, quelli dell'usufruttuario e la data.
Infine è stato ripetuto lo stesso timbro apposto in principio, applicata una marca da bollo di € 14,62, ancora un timbro e la firma del funzionario.
Nonostante ciò, al PRA si sono rifiutati fare la Trascrizione chiedendo altro ATTO NOTARILE per rinuncia all'usufrutto.
La domanda che Vi rivolgo è: "Se l'art 1014 (codice civile) al punto 2) indica l'estinzione del diritto d'usufrutto per la riunione dell'usufrutto e della proprietà nella stessa persona - 1072, 1253 - perché non hanno evaso la mia pratica? Perché dovrei produrre altro Atto Notarile se la Legge non lo richiede? Cosa posso fare per veder rispettato quello che credo sia un mio diritto?”
Consulenza legale i 12/11/2014
Un autocarro che risultava in nuda proprietà di Tizio e concesso in usufrutto a Caio è stato venduto a Sempronio.
L'atto di vendita è stato sottoscritto sia da Tizio che da Caio dinanzi a funzionario comunale dell'anagrafe.
Ai sensi dell'art. 1014 n. 2) c.c., l'usufrutto si estingue per la riunione nella stessa persona della qualifica di usufruttuario e di nudo proprietario, il che può avvenire, secondo la dottrina, in tre casi:
- l'usufruttuario acquista la proprietà;
- l'usufruttuario trasferisca al proprietario il diritto di cui è titolare;
- l'usufrutto e la nuda proprietà vengano acquistati contestualmente da un terzo.

Quindi, nel caso di specie, sembra proprio essersi verificata l'ipotesi dell'estinzione per "confusione".
Nel caso di confusione tra usufruttuario e proprietario la cancellazione dell'usufrutto avviene automaticamente e quindi non va annotata al PRA. La pratica di passaggio di proprietà può essere effettuata con la procedura già eseguita (firma dinnanzi a ufficio anagrafe) o anche dinnanzi agli uffici del PRA, con la presenza delle parti interessate.
La richiesta da parte del funzionario del PRA di avere un atto notarile di rinuncia all'usufrutto appare quindi priva di fondamento e presumibilmente nasce dall'ignoranza dei concetti giudici sopra esposti, che sono in effetti, non di immediata fruizione. Può darsi che nell'ufficio in questione non si sia mai verificato un caso analogo o che il funzionario di turno non ne abbia mai fatto esperienza.

Si consiglia di inviare una Raccomandata A.R. al direttore dell'ufficio PRA, esponendo il caso, e facendo rilevare che l'atteggiamento del funzionario concretizza un caso di rifiuto di un atto dovuto.
Si potrebbe anche proporre all'ufficio, al fine di trovare una veloce e pratica soluzione, se il dubbio del funzionario risiede nella incertezza sulla effettiva vendita dell'usufrutto, di riprestare il consenso alla cessione dello stesso con autentica di firma fatta dallo stesso PRA (invece che dall'ufficiale dell'anagrafe).

Si indicano qui di seguito tutti i passaggi necessari per procedere al trasferimento di proprietà di un autoveicolo/motoveicolo con certificato di proprietà.

COSA PORTARE
1. Certificato di Proprietà
2. Fotocopia della Carta di Circolazione (libretto di circolazione)
3. Due fotocopie del documento di identità/riconoscimento in corso di validità dell'acquirente
4. Codice fiscale di venditore e acquirente
5. Se acquista una società: certificato della camera di commercio in bollo o dichiarazione sostitutiva resa dal legale rappresentante
6. Eventuale delega per la presentazione della pratica, con fotocopia di un documento di identità del delegato
7. Eventuale fotocopia della fattura di vendita
ATTO DA PRESENTARE AL PRA
Atto di vendita in bollo da € 16,00 nel riquadro T del Certificato di Proprietà con firma del venditore autenticata oppure atto di vendita su modulo a parte in bollo da € 16,00 con firma del venditore e dell'acquirente autenticata.
Sono autorizzati ad autenticare le firme i notai, gli Uffici Comunali, il Pra, la Motorizzazione
Civile e i titolari degli sportelli telematici.
Se l'autentica di firma è fatta al Pra è obbligatorio presentare contestualmente la pratica.
Occorre portare una marca da bollo da € 16,00 e un documento di identità in corso di validità.
Se il veicolo è intestato ad una società deve firmare il legale rappresentante con documento di identità e una visura camerale non scaduta.
Se l'autentica di firma non viene fatta al Pra, l'acquirente deve presentare la pratica per il passaggio di proprietà entro 60 giorni dalla data dell'autentica.
Se l'autentica di firma viene fatta dal notaio su modulo a parte, l'atto di vendita deve essere in duplice originale.
MODULISTICA
L'acquirente deve compilare e firmare il modello TT2119 e il retro del Certificato di Proprietà.
Se non viene utilizzato il retro del Certificato di Proprietà per fare l'atto di vendita, occorre
compilare il modello NP-3B.

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