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Articolo 1013 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Spese per le liti

Dispositivo dell'art. 1013 Codice Civile

Le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l'usufrutto sono sopportate dal proprietario e dall'usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse(1).

Note

(1) Al fine di individuare specificamente quale sia l'interesse, è necessario calcolare il valore dell'usufrutto e della nuda proprietà e, sulla relativa proporzione, si ripartiscono le spese; se, però, l'interesse di ogni titolare non corrisponde perfettamente al rispettivo diritto, si dividono le spese, dovendosi, in tal caso, richiedere l'intervento del giudice al fine di individuare il criterio di spartizione delle stesse.

Spiegazione dell'art. 1013 Codice Civile

L'onere delle spese di lite

Il principio secondo cui l'usufruttuario è tenuto personalmente, anche se di regola solo nei confronti del proprietario, a sopportare i carichi che incidono sul godimento, trova una ulteriore applicazione nell'art. 1013 che provvede a ripartire tra proprietario e usufruttuario l'onere delle spese delle liti che riguardano sia la proprietà che l'usufrutto. Nei rapporti interni tra i due soggetti il criterio di ripartizione è dato dalla misura del rispettivo interesse, criterio che sostanzialmente corrisponde a quello generale di ripartizione dei carichi e dell'onere delle riparazioni.

Qui si intende che l'obbligo dell'usufruttuario non è limitato al pagamento degli interessi sulle somme pagate dal proprietario, ma ha per oggetto una parte delle spese, la cui entità si può determinare caso per caso secondo la natura della lite e la influenza che essa ha sul diritto dell'uno dell'altro.

Non è stato riprodotto dall'art. 1013 il primo comma dell'art. 510 del codice del 1865 che poneva a carico esclusivo dell'usufruttuario le spese delle liti riguardanti l'usufrutto e le condanne a cui le stesse liti potessero dar luogo. Ma non vi è dubbio che allo stesso risultato si debba pervenire per il codice nuovo, argomentando semplicemente dall'art. 1013 che il concorso tra proprietario e usufruttuario è stabilito solo per le liti d'interesse comune: al di fuori di questa ipotesi ognuno sopporta le spese e le altre conseguenze delle liti the riguardano il suo diritto, l'usufruttuario per le liti che riguardano l'usufrutto, il proprietario per le liti che riguardano la nuda proprietà o per quelle che, pure riferendosi alla proprietà piena, hanno per oggetto un rapporto anteriore alla costituzione dell'usufrutto.

Qualche dubbio (già avanzato per l'interpretazione dell'art. 510) può sorgere quando si tratta di determinare l’ ambito di applicazione dell’art. 1013. Tale norma si deve anzitutto applicare alle ipotesi in cui al giudizio in cui si tratta di decidere una questione d'interesse comune abbiano partecipato sia il proprietario che l'usufruttuario. In tal caso l'art. 1013 determina il criterio del riparto delle spese con esclusivo riguardo ai rapporti interni e non opera nei confronti del terzo il quale, se la sentenza non stabilisce alcun modo di riparto o non pronuncia condanna solidale, potrà agire per quote identiche contro il proprietario e l'usufruttuario (art. 97 del c.p.c.).

Ma se, pur trattandosi di questioni d'interesse comune, al giudizio abbia partecipato solo uno degli interessati, si applica ancora l'art. 1013? Per quanto la questione sia stata variamente risolta, si ritengono fermi i seguenti risultati:
a) il problema non si pone neppure quando la controversia alla quale ha partecipato il solo proprietario o il solo usufruttuario abbia avuto ad esso esito sfavorevole. In tal caso a colui che non ha partecipato al giudizio la sentenza non è opponibile e non può esser riversato, neppure in parte, l'onere delle spese di lite;

b) lo stesso va detto per il caso in cui, pur ricorrendo la necessiti del litisconsorzio (art. art. 1012 del c.c. capov.), il proprietario non sia stato chiamato e nessuna delle parti nè il giudice abbia rilevato la difettosa integrazione del giudizio;

c) nel caso in cui il proprietario ovvero l'usufruttuario (che sia convenuto da un terzo) ottengano un risultato favorevole nel giudizio, il problema che ci occupa dipende dal problema pia generale se colui che non ha partecipato al processo possa giovarsi, non solo di fatto, degli effetti favorevoli della sentenza. Nei casi in cui questo problema può avere soluzione affermativa non dovrebbe essere dubbio che l'art. 1013 trovi senz'altro possibilità di applicazione.

Si deve infine avvertire che la ripartizione delle spese secondo il criterio posto dall'art. 1013 non ha luogo quando l'usufruttuario ha diritto alla garanzia per l'evizione (costituzione di usufrutto a titolo oneroso ovvero costituzione a titolo gratuito nelle ipotesi previste dall'art. 344 del Libro delle Successioni) e si tratta di liti the portano o avrebbero potuto portare alla evizione dell'usufruttuario. In tal caso l'usufruttuario, anche se partecipa al giudizio, non e tenuto a concorrere alle spese di lite e se subisce (la condanna nei confronti del terzo, deve esserne tenuto indenne dal proprietario.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

484 L'art. 1012 del c.c., prevedendo che durante l'usufrutto un terzo commetta qualche usurpazione sul fondo o altrimenti offenda le ragioni del proprietario, sancisce, in conformità dell'art. 511 del codice del 1865, l'obbligo dell'usufruttuario di farne denuncia al proprietario. Inoltre l'articolo in esame consente all'usufruttuario, il quale deve però chiamare in giudizio il proprietario, di far riconoscere l'esistenza di servitù a favore del fondo o l'inesistenza di servitù che altri pretenda di esercitare sul fondo medesimo. Con criterio identico a quello adottato dal codice del 1865 (art. 510, secondo comma) e cioè in proporzione del rispettivo interesse, è regolata la ripartizione tra proprietario e usufruttuario delle spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l'usufrutto (art. 1013 del c.c.).

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Flavio D. chiede
lunedì 09/12/2019 - Campania
“A seguito del decesso di mio fratello che era sposato e senza figli nel testamento olografo tra le altre disposizioni ha lasciato in eredità ai 4 fratelli una sua abitazione con usufrutto alla moglie. Per tale abitazione ha concluso con successo da vivente una causa civile con un suo confinante che si è appellato. Chiedo di conoscere chi gli dovrà subentrare in appello se la moglie o i 4 fratelli oppure indistintamente tutti e con quale suddivisione delle spese sia per l'avvocato difensore sia legali se soccombenti.”
Consulenza legale i 16/12/2019
La soluzione di questo caso necessita preliminarmente di chiarire in quale posizione si trovano i soggetti nominati nel testamento, o meglio di stabilire chi di loro ha acquistato la posizione di erede e chi quella di legatario.
Per fare ciò sarebbe in realtà opportuno leggere con attenzione il testamento a cui ci si riferisce, in quanto è solo da una corretta interpretazione della volontà testamentaria nel suo complesso che si può risalire a quelle che sono state le reali intenzioni del testatore.

Ora, dando per presupposto che la volontà del testatore sia stata quella di nominare i fratelli eredi universali di tutti i suoi beni e di lasciare alla moglie l’usufrutto generale sugli stessi (tra cui la casa di abitazione di cui si discute), va detto che la giurisprudenza, in particolare quella della Corte di Cassazione (si veda da ultimo Cass. Sent. 13868/2018), chiamata in diverse occasioni a stabilire se l’attribuzione di usufrutto generale debba considerarsi come istituzione di erede o se, al contrario, debba valere come attribuzione di un legato (con esclusione di una successione in universum ius), è giunta alla conclusione che la disposizione con la quale il testatore attribuisce ad uno degli eredi l’usufrutto generale di tutti i suoi beni integra un’ipotesi di legato in sostituzione di legittima ex art. 551 del c.c., il quale attribuisce al beneficiario la qualità di legatario e non di erede.

E’ stata anche precisato che per ammettersi la natura sostitutiva del legato deve risultare una manifestazione di volontà certa ed univoca del testatore di voler soddisfare il legittimario con l’attribuzione di quei beni determinati senza chiamarlo all’eredità, e che non è neppure necessario che il testatore impieghi formule sacramentali, come la formula “in sostituzione di legittima” (così Cass. 5779/2006).

Logico corollario di tale conclusione sarà che, avendo assunto soltanto i fratelli la posizione di eredi, è nei loro confronti che dovrà proseguire il giudizio di appello.
In tal senso si esprime chiaramente l’art. 110 del c.p.c., secondo cui, in caso di morte di una delle parti, il giudizio viene proseguito dal successore universale o in suo confronto.
Ciò non significa, però, che la moglie usufruttuaria non sia tenuta a sostenere alcuna spesa per tale giudizio, in quanto occorre tenere conto anche delle norme dettate dal codice civile in materia di usufrutto, ed in particolare dell’art. 1013 c.c., rubricato appunto “Spese di lite”.

Secondo il chiaro disposto contenuto in tale norma, infatti, le spese di lite (quali sono quelle in esame) devono essere ripartite tra nudo proprietario ed usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse.
Trattasi di norma che trova chiaramente applicazione soltanto in caso di liti comuni come quello qui descritto, ossia quando vi è comunanza di interessi, mentre qualora il nudo proprietario o l’usufruttuario sopportino spese per difendere il loro singolo diritto, non vi sarà alcun carico da ripartire.

Per quanto concerne il concetto di “rispettivo interesse”, questo dovrà stabilirsi, almeno in linea teorica, in base alla proporzione tra il valore dell’usufrutto, determinato tenendo conto del reddito medio annuo e della sua durata, rispetto al valore della piena proprietà.
Tuttavia, la determinazione concreta può anche essere affidata al prudente apprezzamento del giudice, il quale terrà conto di altri elementi, quali l’interesse che ciascuno può avere nella lite.
Il fatto, poi, che ex art. 110 c.p.c. il processo debba proseguirsi nei confronti del successore o dei successori a titolo universale (tra i quali sussiste litisconsorzio necessario ex art. 102 del c.p.c.), non esclude la facoltà per i medesimi di avvalersi dell’istituto processuale dell’intervento volontario su istanza di parte, e dunque di avanzare istanza al giudice ex art. 106 del c.p.c. per chiamare in causa anche la moglie usufruttuaria dell’immobile.

Tutto quanto fin qui detto vale per l’ipotesi in cui il testatore abbia disposto della nuda proprietà di tutti i suoi beni in favore dei fratelli (eredi) e dell’usufrutto, sempre di tutti i suoi beni, in favore del coniuge (legatario).
Nel caso in cui, invece, l’attribuzione a soggetti diversi dell’usufrutto e della nuda proprietà riguardi solo quell’immobile, mentre dal tenore delle altre disposizioni si possa dedurre che il testatore abbia voluto nominare erede anche la moglie, allora tutti i beneficiari delle disposizioni testamentaria avranno acquisito la qualità di eredi e, pertanto, sarà nei confronti di tutti che ex art. 110 c.p.c. dovrà essere proseguito il processo di appello.
In ordine alla suddivisione delle spese di lite (sia per onorari di avvocato che per eventuale soccombenza), invece, resterà sempre applicabile il suddetto art. 1013 c.c., e quindi varrà anche in questo caso quanto prima sostenuto.

Si ritiene possa essere utile, per concludere, fare un’ultima precisazione.
Dalla lettura del quesito non si riesce ad intuire se l’appello sia stato proposto prima o dopo la morte del testatore-parte vittoriosa.
Si tenga conto che, se l’evento morte si è verificato prima dell’atto di impugnazione della sentenza, detta impugnazione deve essere rivolta e notificata agli eredi, indipendentemente dalla eventuale ignoranza dell’evento da parte del soccombente, anche se incolpevole.
Qualora l’impugnazione sia stata proposta, invece, nei confronti del defunto, non potrà trovare applicazione l’art. 291 del c.p.c., il quale prevede la fissazione in favore dell’appellante di un termine per rinnovare la notificazione della citazione.

A stabilire tale principio è stata la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, con sentenza n. 26279 del 16.12.2009, la quale ha ravvisato in capo alla parte appellante l’onere di verificare se eventualmente la parte vittoriosa non sia più in vita, facendo rilevare che tale accertamento può agevolmente effettuarsi mediante la consultazione dei registri di stato civile (dato che la morte di ogni persona viene annotata a margine del suo atto di nascita, come dispone l’art. 81 del D.P.R. 03.11.2000 n. 396).