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Articolo 1460 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 07/03/2024]

Eccezione d'inadempimento

Dispositivo dell'art. 1460 Codice Civile

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie(1) o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto(2).

Tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede [1375](3).

Note

(1) L'inadempimento sussiste anche nel caso di adempimento inesatto, in quanto il creditore ha diritto all'esatta prestazione.
(2) Tuttavia, in considerazione della "ratio" sottesa alla norma, deve ritenersi che la stessa si applichi anche se sono previsti termini di adempimento diversi, quando l'eccezione sia proposta dalla parte tenuta ad adempiere per seconda.
(3) Pertanto, l'eccezione deve essere rigettata se l'inadempimento altrui è di lieve importanza, come, ad esempio, se un contraente ritarda solo di pochissimo tempo l'adempimento nel caso in cui non sia oggettivamente o soggettivamente rilevabile un termine (1457 c.c.) di adempimento.

Ratio Legis

L'istituto rappresenta una forma di autotutela per la parte che il legislatore prevede in considerazione della natura sinallagmatica del contratto, in base alla quale ciascuna prestazione trova giustificazione nella prestazione della controparte.

Brocardi

Exceptio non adimpleti contractus
Exceptio non rite adimpleti contractus
Inadimplenti non est adimplendum

Spiegazione dell'art. 1460 Codice Civile

Concetto di exceptio non adimpleti contractus

Nel caso in cui entrambe le obbligazioni corrispettive abbiano la stessa scadenza, se una delle parti non è disposta ad adempiere la propria obbligazione, l'altra parte può opporre l'exceptio non adimpleti contractus di cui occorre qui determinare la funzione e la struttura.


Funzioni dell'ex. n. a. c.: I) di evitare la rottura del rapporto di corrispettività temporale tra gli arricchimenti corrispettivi; II) di rendere più efficace la risoluzione per inadempimento la quale potrà, in tal modo, avvenire re adhuc integra.

Funzione. - I) L'exceptio non adimpleti contractus ha anzitutto una funzione diretta ed immediata: quella di evitare la rottura del rapporto di corrispettività, temporale tra gli arricchimenti.

Che n. a. c. non sia altro che l'espressione della volontà causale delle parti contraenti è presto dimostrato: queste infatti, con lo stabilire un'identica scadenza dei rispettivi adempimenti, hanno inteso fissare un rapporto di corrispettività temporale tra i due arricchimenti commutativi perseguiti con il contratto. L'avere le parti in un contratto sinallagmatico, posto un identico termine di scadenza per le rispettive prestazioni, costituisce la giustificazione dell'exc. n. a. c. e nello stesso tempo ne indica la precisa funzione, che è quella sopra indicata.

II) Ma accanto a questa funzione diretta ed immediata dell'exc. n. a. c., è da ricordare un'altra sua funzione, che si può chiamare indiretta e mediata, e che consiste nel rendere più efficaci i rimedi accordati alla parte fedele contro la rottura del rapporto di corrispettività teleologica esistente tra gli arricchimenti: in modo speciale, permette di rendere più efficace la risoluzione per inadempimento, la quale potrà, in tal modo, avvenire re adhuc integra.

Anche questa seconda funzione dell'exc. n. a. c. non pare dubbia.

Infatti, se il contraente fedele, anziché poter opporre l'exc. n. a. c., fosse invece tenuto ad eseguire ugualmente la sua prestazione quando l'altro contraente non è disposto ad eseguire la propria, all'adempiente non potrebbero poi spettare che queste vie:

a) chiedere l'adempimento forzato: ma in questo caso quel contraente che già ha adempiuto, correrebbe, tra l'altro, il rischio di una esecuzione forzata infruttuosa, ad es., perché la controparte è insolvibile: in tal modo verrebbe meno l'attuazione della volontà causale dei contraenti, la quale era appunto diretta, come abbiamo visto, al conseguimento di un reciproco arricchimento;

b) chiedere la risoluzione per inadempimento. Ma in questo caso quel contraente che già ha adempiuto verrebbe a correre un duplice rischio: α) quello di non vedersi restituire la propria prestazione in natura ma solo per equivalente [perché, ad es., detta prestazione non è più nel patrimonio dell'inadempiente, o questi ha costituito a favore di terzi dei diritti opponibili alla parte che chiede la risoluzione (1458); oppure perché detta prestazione è consistita in una attività personale o nell'uso di un bene]; β) quello, ancora più grave, di non vedersi restituire nemmeno l’equivalente della propria prestazione, ad es., perché l'inadempiente è una persona insolvibile.

Ora, questa situazione deteriore, in cui verrebbe a trovarsi il contraente fedele di fronte alla parte inadempiente, viene evitata appunto in forza dell'exc. n. a. c. accordata dall'art. 1460 alla parte pronta ad adempiere, contro l'altra parte che non è invece disposta ad eseguire la propria prestazione. Concludendo, ha da dirsi che questa exceptio:

1) ha il suo fondamento nella volontà causale delle parti contraenti, che è stata quella di stabilire un rapporto di corrispettività temporale tra gli arricchimenti reciproci, volontà che si ricava inequivocabilmente dall'avere esse posto un'identica scadenza alle rispettive obbligazioni;

2) è diretta a reagire contro il pericolo di rottura del suddetto rapporto di corrispettività temporale tra gli arricchimenti: è infatti indubitabile che l'exceptio n. a. c. costituisce un mezzo di coazione psicologica in quanto tende ad indurre l'inadempiente all'adempimento;

3) permette di rendere più efficaci i rimedi repressivi accordati alla parte fedele per la rottura del rapporto di corrispettività teleologica tra gli arricchimenti, soprattutto il rimedio della risoluzione per inadempimento la quale potrà così avvenire re integra [lo stesso dicasi per un eventuale contrarius consensus]: ad es., mediante l'exceptio n. a. c., si evita che terze persone possano acquistare diritti opponibili in sede di risoluzione (o di contrarius consensus).



Costruzione dell'exceptio non adimpleti contractus

Se questa che abbiamo visto è la funzione dell'exc. n. a. c., la costruzione giuridica di essa pare abbastanza semplice.

Dunque le parti contraenti, stabilendo un identico termine di scadenza per le loro obbligazioni, hanno inteso porre un rapporto di corrispettività temporale tra gli arricchimenti reciproci.
Il contenuto dell'obbligazione di ciascuna parte ha pertanto da ritenersi così stabilito dal punto di vista della loro esecuzione temporale:

a) le prestazioni delle parti contraenti devono essere eseguite in quel momento che è stato fissato dalle parti stesse e che è identico per entrambe le prestazioni;

b) scaduto quel momento senza che nessuna obbligazioni sia stata eseguita o, più in generale, senza che nessuna obbligazione sia estinta, si ha questo fenomeno: ex art. 1460, ciascuna obbligazione
viene ad avere un nuovo termine di adempimento la cui scadenza si avrà nel momento in cui la controparte offre la propria prestazione o la eseguisce (o, comunque, l'obbligazione di detta controparte si estingue: es. per confusione, remissione, ecc.).

Si tratta qui di un termine che presenta le seguenti caratteristiche:

1) è un termine che inerisce al contenuto dell'obbligazione, onde si può qui parlare di un betagte Forderung;

2) è un termine incertus quando;

3) è un termine posto a favore del debitore, il quale quindi può rinunziarvi;

4) è un termine accordato dalla legge, la quale ciò fa basandosi sulla volontà causale delle parti;

5) ma il carattere più saliente che presenta questo nuovo termine di adempimento è il seguente:

α) si tratta di un termine la cui scadenza dipende dalla volontà del creditore. Es., all'obbligo del venditore di consegnare la merce inerisce un termine la cui scadenza dipende dalla volontà del creditore, cioè del compratore, il quale può farlo scadere quando crede con l'esecuzione (o la semplice offerta) della propria prestazione (cioè del prezzo);

β) dato che la scadenza del nuovo termine di ciascuna obbligazione dipende dalla esecuzione della prestazione del creditore il quale appunto, a sua volta è nello stesso tempo, debitore, così la detta prestazione costituisce il contenuto dell'obbligazione corrispettiva di questo creditore. Es.: la scadenza dell'obbligazione del venditore di consegnare la merce dipende dal pagamento del prezzo da parte del compratore, onde la prestazione del prezzo costituisce il contenuto della corrispondente obbligazione del compratore.

Vedremo come questa natura, tutta particolare, del nuovo termine che, ex art. 1469, viene ad inerire al contenuto di ciascuna obbligazione corrispettiva costituisce la chiave di volta per risolvere il delicato problema della prescrizione estintiva delle obbligazioni corrispettive (in­fra, n. 4, sub VIII).


Conseguenze che derivano dalla nostra costruzione dell’exceptio

Le principali conseguenze che discendono dalla nostra costruzione dell’exceptio si possono così compendiare:
I) l'exceptio è opponibile a tutti quei terzi ai quali è opponibile il termine stesso;
II) se colui al quale spetterebbe l'exceptio eseguisce ugualmente la propria prestazione, non potrà ripetere quanto ha pagato, ancorché ignorasse l'esistenza del termine (1185);
III) il potere di rifiutare l'esecuzione della propria prestazione sino al momento dell'esecuzione (o dell'offerta) della controprestazione è «indivisibile», alla stessa stregua del termine medesimo;
IV) la parte che oppone l'exceptio non è tenuta agli interessi sulle somme che egli ritiene in forza dell'exc. medesima, appunto perché il suo è un debito il cui termine di pagamento non è ancora scaduto;
V) se è vero che è possibile opporre in compensazione un credito derivante da un contratto sinallagmatico, è altrettanto vero che se colui contro il quale è eccepita la compensazione oppone il termine di adempimento inerente alla propria obbligazione, la compensazione non potrà avvenire: infatti l’art. 1243 stabilisce che la compensazione legale e giudiziale «si verifica solo tra due debiti che siano ugualmente esigibili». (Si confronti anche il § 390 B.G.B.);
VI) se dal contratto sorge un diritto reale (1376) e il contraente esercita tale diritto, l'exc. n. a. c. può ugualmente essere opposta: così, se il compratore agisce in veste di proprietario della cosa comperata, cioè con l'azione di rivendica, l'exceptio può ugualmente essere opposta dal venditore che non abbia ancora ricevuto il prezzo, in quanto l'obbligo della consegna deriva dal contratto, e, come tale, è un obbligo il cui adempimento è sottoposto a termine il quale è costituito dall'esecuzione (o dall'offerta) della controprestazione a carico del compratore
VII) data la nostra costruzione, non sarà lecito al contraente deluso di valersi della prestazione da lui dovuta, come mezzo per ottenere la realizzazione del proprio credito (non sarà lecito, ad es., al venditore non pagato di far vendere all'incanto la cosa alienata): ciò potrà essergli concesso da norme speciali (es. dall'art. 1515), ma con l'exceptio n. a. c. egli può solo fare valere il termine di adempimento, non ancora scaduto, della propria obbligazione
VIII) quanto al problema del momento iniziale della prescrizione estintiva delle obbligazioni derivanti dai contratti sinallagmatici, è necessario qui svolgere alcune considerazioni, per eliminare dei facili equivoci. A prima vista si potrebbe infatti pensare che, essendo inerente al contenuto di ciascuna obbligazione un termine di adempimento (1460), la prescrizione estintiva non può iniziare il suo decorso che al momento in cui quel termine viene a scadenza.

Ma l'affermazione sarebbe del tutto inesatta. E l'errare sarebbe dovuto al fatto di non considerare lo speciale carattere del termine proprio di dette obbligazioni corrispettive.

Il problema qui discusso è senz'altro risolto applicando il disposto dell'art. 2935: «la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Infatti il carattere tutto speciale del termine inerente a ciascuna obbligazione corrispettiva ex art. 1460 è proprio questo, che spetta al creditore di quella obbligazione il fare scadere o meno quel termine mediante l'offerta della propria prestazione: pertanto, è facile osservare che, se viene lasciato alla sola volontà del creditore di fare scadere o meno il termine che inerisce all'obbligazione del proprio debitore, ciò significa che quel diritto può senz'altro essere fatto valere, secondo quanto dispone l'art. 2935 citato.

Prendiamo l'obbligo del compratore di pagare il prezzo: a quest'obbligo inerisce un termine di adempimento che viene a scadenza nel momento in cui il venditore eseguisce (o offre) la consegna della merce venduta. Quest'obbligo del compratore non è altro che, visto dal lato opposto, il diritto del venditore al prezzo: ora, il fare valere questo diritto, per usare l'espressione dell'art. 2935, dipende unicamente dalla volontà del creditore stesso. Nessuno vorrà dire che, qui, quel diritto non può essere fatto valere: infatti, per farlo valere basta che il creditore (venditore) esegua (o offra) la propria prestazione.

Si aggiunga a questa dimostrazione, basata sul disposto dell'articolo 2935, il principio generale, proprio di ogni ordinamento giuridico, per cui una persona non può trarre vantaggio da un proprio inadempimento, e la soluzione del problema non può più lasciare alcun dubbio: qui, infatti, non solo la scadenza del termine di adempimento è rimessa alla volontà del creditore, cioè dipende dal fatto della esecuzione (o offerta) da parte sua della propria prestazione, ma questa prestazione, si badi bene, costituisce nello stesso tempo il contenuto di una obbligazione a carico dello stesso creditore.

Se si ammettesse che, ad es., il diritto del venditore al prezzo non è soggetto a prescrizione sino a che esso non adempia al suo obbligo (di consegnare la merce) si avrebbe, come risultato, che l'inadempimento del venditore tornerebbe a tutto suo vantaggio. E questo è un risultato che nessuno vorrà accettare (si veda in proposito il § 202 B. G. B.).

Per le cause di sospensione e di interruzione della prescrizione non si può che richiamare gli articoli 2941-42 e 2943-45.


Disciplina giuridica dell’istituto: A) Presupposti per l’applicabilità dell’exceptio; B) Sfera di applicazione

A) Presupposti. Per l'applicabilità dell'exceptio n. a. c. sono richiesti:

I) un rapporto di corrispettività teleologica e temporale tra le obbligazioni.
Normalmente un tale rapporto sorge da un contratto sinallagmatico e tale corrispettività è la conseguenza naturale del sinallagma genetico che avvince le promesse che quel contratto costituiscono. Peraltro, quel rapporto di corrispettività può aversi anche fuori dell'ambito dei contratti sinallagmatici e persino fuori del campo contrattuale: basta la coesistenza di due obbligazioni commutative derivanti da una stessa fonte e da eseguirsi simultaneamente. Così, se un contratto bilaterale, già eseguito, viene annullato, o rescisso, o risolto, oppure su di esso viene ad incidere il contrarius consensus, le obbligazioni che in tale caso ne risultano per entrambe le parti saranno legate tra di loro da un vincolo di corrispettività teleologica e temporale: ciò è detto espressamente dal legislatore tedesco, ed è ammesso concordemente dalla nostra dottrina e dalla. nostra giurisprudenza;

II) l’inadempimento delle obbligazioni corrispettive.
Non basta che le due obbligazioni siano corrispettive ed abbiano un'identica scadenza: occorre anche che la parte la quale richiede l'adempimento alla controparte sia, dal canto suo, obbligata ad una prestazione non ancora eseguita, e che detta controparte, opponendo l'exceptio possa trattenere la propria prestazione, cioè, che anch'essa non abbia ancora adempiuto.

In secondo luogo, l'opponente deve limitarsi ad opporre la non avvenuta scadenza del termine di adempimento inerente alla sua prestazione: deve cioè semplicemente opporre che egli è tenuto ad adempiere solo in quel momento in cui la controparte offre la propria prestazione oppure la eseguisce. Se egli eccepisse l'inesistenza della sua obbligazione, perché, ad es., ancora non si è verificata la condizione sospensiva o il termine inerente alla vicenda della sua obbligazione, qui saremmo del tutto fuori dal campo di azione dell'exceptio non adimpleti contractus;

3) l'exceptio n. a. c. non dev'essere contraria alla buona fede (1460).
L'esercizio dell'exceptio non è da ammettersi tutte le volte in cui il rifiuto della prestazione, tenuto conto delle circostanze, sarebbe contrario alla buona fede.

Questo principio, contenuto nel capoverso dell'art. 1460, è una diretta derivazione dal principio dell'art. 1375: ci si riferisce qui indubbiamente alla c.d. buona fede oggettiva, la quale vuole significare nient'altro che la correttezza, la reciproca lealtà e probità di condotta da parte dei contraenti nei loro rapporti.

Non sempre, peraltro, sarà facile determinare il limite preciso che separa la buona dalla mala fede contrattuale. A questo proposito, mi limito qui ai seguenti rilievi:

α) l'inammissibilità dell'exceptio n. a. c. si avrà frequentemente nei casi in cui la parte di prestazione non adempiuta sia quantitativamente poco rilevante rispetto all'intera prestazione dovuta: questo è il caso espressamente considerato dal B.G.B. (§ 320 ). Altri casi sono stati ammessi dalla nostra giurisprudenza: così ad. es. si è dichiarata l'inammissibilità dell'exceptio nel caso in cui l'opponente, per fatto proprio, si è posto in condizioni di non poter restituire la prestazione difettosa ricevuta

β) quando risulti la violazione della buona fede da parte dell'opponente, il giudice potrà anche, d'ufficio, dichiarare l'inammissibilità dell'exceptio, vale a dire, anche senza una replicatio doli da parte dell'attore.

Nei contratti di durata, l'eccezione di inadempimento di una singola rata, o di una singola obbligazione si estende alle rate, o alle obbligazioni, successive, e cioè alle pretese relative a queste: così il somministrante può opporre all'avente diritto il suo inadempimento precedente. L'ipotesi della somministrazione costituisce l'unico caso in cui è ammessa l'exceptio n. a. c. anche se l'altrui inadempimento sia di lieve entità (1565): peraltro, in questo caso, il somministrante è tenuto a dare preavviso della sospensione (art. cit.).

Si deve infine osservare che, nei contratti di durata, qualora il contraente adempiente, nonostante un'inadempienza dell'altra parte, continui a godere della prestazione dell'inadempiente, sorge sempre, ex art. 1460, quella necessità di adeguatezza tra la parte non eseguita dall'adempiente e l'entità dell'inadempienza dell'altro contraente: altrimenti resterebbe violato quel principio di buona fede contrattuale di cui parla i1 capoverso dell'art. 1460. Così, ad. es., in un rapporto di locazione, in seguito ad una inadempienza del locatore, il conduttore, pur continuando a godere della cosa locata, cessa di pagare il canone locatizio: in questo caso è evidente che vi avrà da essere adeguatezza tra la parte di prestazione non eseguita dal conduttore e l'entità dell'inadempienza del locatore, altrimenti si verrebbe a violare il cpv. dell'art. 1460.

B) Sfera di applicazione. — Come già si è detto, l'exceptio n. a. c. trova la sua sfera normale di applicazione nel campo dei contratti sinallagmatici; essa è peraltro applicabile anche fuori del campo contrattuale: basta in ogni caso la coesistenza di due obbligazioni corrispettive derivanti da un'unica fonte e da eseguirsi simultaneamente.

Si tratta di una forma di garanzia sostanziale la quale è connaturale al particolare atteggiamento di due obbligazioni (cioè alla loro corrispettività) con identica scadenza: è questo il punto essenziale di differenza tra l'exceptio n. a. c. e il potere di ritenzione. Infatti quest'ultimo — data anche la sua diversa funzione e struttura prescinde dalla corrispettività delle obbligazioni, e inoltre dev'essere riconosciuto, caso per caso, dalla legge (per questa ragione, non deve ritenersi ammissibile un potere di ritenzione convenzionale).

Rimane esclusa l’opponibilità dell'exceptio n. a. c. nel campo delle limitazioni reciproche della proprietà; mentre sul problema dell’ammissibilità dell'exceptio in sede di procedimento esecutivo ci si limita a ricordare che Scaduto e Auletta si pronunziano in senso negativo, mentre in senso affermativo si pronunzia Cassin.


L’exceptio non adimpleti contractus nel processo: A) Legittimazione attiva e passiva; B) L’onere della prova; C) In quale momento del processo può farsi valere l’exceptio; D) La questione se il giudice, di fronte all’exceptio non adimpleti contractus, possa condannare l’opponente sotto la condizione dell’adempimento della controparte.

A) Legittimazione attiva e passiva.

Da chi può essere opposta l'exceptio n. a. c.? Anzitutto dal debitore e dai suoi successori od aventi causa. Spetta anche ai creditori del convenuto ex art. 2900, alla massa dei suoi creditori nel fallimento, nonché il fideiussore (arg. 1945).

A chi può essere opposta l'exceptio? La regola generale è che l'exceptio è opponibile a tutti coloro ai quali è opponibile un termine di adempimento non ancora scaduto: così essa si può opporre agli eredi della controparte, al cessionario del credito, ai creditori della controparte che agiscano con l'azione surrogatoria, alla massa dei creditori del fallito (art. 72 del R. D. 16 marzo 1 942, n. 267), ecc. E’ evidente che Tizio, il quale abbia acquistato la proprietà di una cosa da un compratore che non ha ancora pagato il prezzo della vendita a lui fatta, non può pretendere la consegna della cosa se il venditore eccepisce che l'autore dell'attore non ha ancora pagato il prezzo.

Per converso, può dirsi, in linea generale, che, l'exceptio è inopponibile, non solo all'attore il quale non può dirsi soggetto del negozio che dà luogo all'exceptio, ma neppure a quello che a tale negozio non ricollega il diritto che fa valere contro la persona che è debitrice della prestazione: così, per l'art. 1271, il delegato non può opporre al delegatario l'exceptio n. a. c. che avrebbe contro il delegante, mentre è opponibile al terzo nel caso di contratto a favore di terzi, in quanto «il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione (art. 1411).

Quid nel caso in cui una parte sia costituita da una pluralità di soggetti [pluralità originaria (es., vendita fatta da due persone ad un solo compratore), pluralità successiva (es., il venditore si trova di fronte agli eredi del compratore)]?

Qui è necessario considerare la natura dell'obbligazione.

Se la prestazione deve essere fatta a più persone, il debitore non può rifiutare di prestare a ciascuna di esse la parte che le spetta pretendendo che l'intera controprestazione sia adempiuta: in tale caso infatti ha da vedersi una pluralità di rapporti obbligatori in corrispondenza alla pluralità dei creditori, e ogni rapporto ha per suo oggetto una parte dell'oggetto complessivo. L'exceptio sarebbe invece opponibile quando si avesse l'indivisibilità della prestazione o della controprestazione.

Se la prestazione dev'essere fatta da più persone, il creditore non può rifiutare la propria parte di controprestazione al coobbligato che offra la sua parte di prestazione, per la stessa ragione vista precedentemente. L'exceptio n. a. c. sarebbe invece opponibile qualora si trattasse di debitori obbligati in solido [in tale caso si ha bensì ancora una pluralità di rapporti ma essi hanno un unico oggetto], oppure si trattasse di prestazione o di controprestazione indivisibile.

B) Per quanto riguarda l'onere della prova, non vi è dubbio che spetta all'attore, il quale voglia neutralizzare l'exceptio del convenuto, provare l’esecuzione (o l’offerta) della propria prestazione. E’ l’attore infatti che deve provare che il debito del convenuto — al quale egli richiede l’adempimento — è scaduto. In altri termini, il convenuto che oppone l’exceptio fa valere l’esistenza di un proprio credito che l’attore deve adempiere contemporaneamente alla prestazione da lui richiesta, onde il convenuto non deve provare altro che l’esistenza di detto suo credito, mentre sarà l'attore che dovrà provarne l'estinzione: ciò è detto espressamente nel capoverso dell'art. 2697.

In due soli casi l'onere della prova incombe al convenuto:

1) quando esso, anziché l'exceptio n. a. c., opponga l'exceptio non rite adimpleti contractus: qui il convenuto, opponendo un adempimento non esatto, deve provare detta inesattezza da lui affermata;

2) quando il convenuto abbia accettato, prima facie, la prestazione dell'attore a titolo di adempimento, abbia cioè compiuto un riconoscimento apparente della prestazione (il che si ha quando il ricevente afferma che la prestazione, così come si presenta, è tale da potersi ritenere atta all'estinzione dell'obbligazione): tale riconoscimento importa, evidentemente, lo spostamento dell'onere della prova sul convenuto che quel riconoscimento ha fatto, per le stesse ragioni viste un momento fa [così espressamente i1 § 363 B. G. B.].

C) Si deve dire che tale exceptio può farsi valere in qualsiasi grado della causa; né determina uno spostamento della competenza, giacché il valore della causa si determina dalla domanda (10 cod. proc. civ.); infine l'esistenza del termine di adempimento ex art. 1460 non può essere rilevata di ufficio (arg. 1185).

D) Facendosi valere con l'exceptio n. a. c. l'esistenza di un termine, qualora risulti che questo non è ancora scaduto (vale a dire, che l'attore ancora non ha adempiuto, o offerto di adempiere, la propria obbligazione), il giudice non può che respingere puramente e semplicemente l'azione avversaria, perché infondata: rimane in tal modo superata la questione se, di fronte all'exc. n. a. c., il giudice possa, o meno, condannare l'opponente sotto condizione dell'adempimento della controparte.


Cause che impediscono il sorgere o che estinguono l’exceptio non adimpleti contractus

Queste cause si possono così riassumere:

1) la rinunzia all'exceptio.

Sulla ammissibilità di tale rinunzia non vi possono essere dubbi: qui basta ricordare che essa si ha in tutti i casi in cui una parte si obbliga ad adempiere prima della controparte; o, il che è lo stesso, quando una parte accorda alla controparte un termine di adempimento successivo al proprio.

Un altro caso di rinunzia si ha nell'ipotesi di approvazione incondizionata, da parte del ricevente, della prestazione del solvens: si parla qui di approvazione assoluta dell'adempimento: se risulterà che la prestazione è stata diversa da quella che era dovuta, avrà da vedersi, ad es., un caso di prestazione in luogo di adempimento (1197); se essa risulterà incompleta o difettosa dovrà vedersi un vero e proprio caso di rinuncia all'exc. n. a. c., oppure all'exc. non rite a. c.;

2) la novazione.

Si allude qui alla novazione vera e propria. E’ certo che non si ha il fenomeno della novazione in tutti i casi in cui tra un rapporto precedente ed un altro successivo vi è un semplice nesso di consecuzione: può darsi che i pratici anche in questo caso parlino di novazione perché la parola «novazione» è di quelle che si prestano facilmente ad essere usate per indicare i fenomeni più disparati, caratterizzati semplicemente da una situazione nuova che si sovrappone ad una precedente, fenomeni questi che con la vera novazione nulla hanno a che vedere, perché in essi si ha una estinzione ed una nascita come fenomeni distinti e separati, ancorché tra di essi possa riconoscersi un nesso di subordinazione.

Per novazione ha da intendersi invece quel fenomeno in cui tra un rapporto precedente ed uno successivo ha da riconoscersi, non un semplice nesso di consecuzione, ma un nesso di genesi per cui la fine del rapporto precedente è la stessa ragione di essere del successivo.

Il negozio novatorio è sempre caratterizzato dalla causa novandi, cioè della volontà di (obbligarsi per) estinguere la precedente obbligazione, onde questa nuova obbligazione viene ad avere un nuovo fondamento causale. E’ appunto dal venir meno del fondamento causale originario che consegue la necessità che vengano pure meno nella nuova obbligazione le eccezioni inerenti alla precedente e legate a quel fondamento causale (arg. 1232): qui, e solo qui, sta il punto di distacco tra la novazione e il semplice fenomeno della modificazione di un rapporto obbligatorio in uno o più dei suoi elementi.

Se è così, deve dirsi che, dato che nella nuova obbligazione non ha più niente a che vedere i1 fondamento causale che si aveva nella precedente obbligazione, ora estinta, così l'exceptio non adimpleti contractus — la quale è appunto l'espressione concreta della volontà causale — viene meno, o non sorge affatto, nel caso di novazione dell'originaria obbligazione;

3) la prescrizione del credito del convenuto.

E’ presto dimostrato che il convenuto, prescritto il suo credito, non potrà più opporre l'exceptio.

Infatti, scaduto inutilmente il termine originario (cioè senza che nessuna prestazione sia stata eseguita, o, più in generale, senza che nessuna obbligazione sia estinta) e, apposto alle due obbligazioni il nuovo termine ex art. 1460, si avrà che, con l'estinzione dell'obbligazione dell'attore per prescrizione, viene a scadere l'obbligazione del convenuto, onde esso sarà subito tenuto a pagare.

Nel caso, peraltro, di estinzione per prescrizione del credito del convenuto, il problema potrebbe apparire complicato dal fatto che l'obbligazione estinta per prescrizione sopravvive come obbligazione naturale (2940): può l'exceptio n. a. c. essere giustificata da un rapporto giuridico naturale?

Il convenuto non può, in questo caso difendersi invocando detta obbligazione naturale dell'attore. Infatti le obbligazioni naturali, come testualmente dice l'art. 2034, non hanno altra rilevanza giuridica che la c. d. soluti retentio.

E questa conclusione rimane anche più evidente e persuasiva per chi voglia accogliere la costruzione dell'obbligazione naturale quale rapporto non giuridico, in quanto manca ad esso l'elemento della sanzione la quale ha sempre da considerarsi come un elemento necessario per la presenza di un obbligo giuridico. E a chi crede di affermare che la soluti retentio è un elemento sufficiente a conferire il carattere di rapporto giuridico all'obbligazione naturale, basta rispondere che anche l'art. 2035 esclude la ripetizione del pagato nel caso di un negozio con causa illecita, e qui nessuno vorrà sostenere che si tratti di un pagamento di un'obbligazione giuridica, per la semplice ragione che il negozio con causa illecita è nullo (1418) e quindi nessuna obbligazione giuridica può da esso sorgere;

4) l' impossibilità definitiva sopravvenuta della prestazione dell'attore, non imputabile ad esso.

Qui si ha l'estinzione dell'obbligazione dell'attore (1256), onde dovrà trovare applicazione l'art. 1463 (casum sentit debitor) di cui parleremo più avanti : comunque l'exceptio viene a mancare.

Invece l'impossibilità sopravvenuta imputabile all'attore importa soltanto una modifica oggettiva del rapporto [all'oggetto originario si sostituisce un nuovo oggetto: l'indennizzo (1218)] e il convenuto, attendendone il pagamento, può trattenere la propria prestazione in forza dell'exceptio n. a. c.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

239 Quanto alla c.d. ritenzione della controprestazione per inadempimento della prestazione (exceptio inadimpleti contractus), ho ammesso che essa non si possa far valere, se l'altra parte, per quanto non abbia eseguito, abbia offerto la prestazione; ho escluso, oltre alla ipotesi, considerata dalla Commissione reale (art. 48), in cui termini diversi siano stabiliti in contratto per l'esecuzione delle obbligazioni, anche la fattispecie di una diversità di termini risultanti dalla natura del contratto.
Dalle disposizioni degli articoli 1469, 1510, 1786 cod. civ. si è tratto il principio generale dell'art. 261, il quale, però, si applica non solo nel caso estremo di insolvenza o di fallimento, ma anche nella ipotesi meno grave in cui le condizioni patrimoniali dell'altro contraente siano divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione. La differenza tra l'art. 261 e 1'art. 81 si spiega con le gravi conseguenze cui potrebbe dar luogo l'adempimento della prestazione senza la sicurezza di ottenere la controprestazione, conseguenze che non si verificano nelle ipotesi alle quali si riferisce l'art. 81.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

662 La sospensione della prestazione è considerata legittima quando è conforme a buona fede (art. 1460 del c.c. e art. 1461 del c.c.; cfr. anche art. 1565 del c.c.); così se la prestazione non adempiuta è di lieve importanza, l'inadempimento di una parte non può invocarsi dall'altra per giustificare il proprio. Anche quando talvolta la legge consente la sospensione di fronte ad una inadempienza di lieve entità (art. 1565), la deviazione dal principio generale di proporzione è soltanto apparente, perché si pone in tal caso l'obbligo di preannunziare la sospensione della propria prestazione; in modo che l'insistere nell'inadempimento, nella specifica ipotesi legale, converte in grave ciò che grave di per sé non sarebbe. È da notare il ristretto ambito entro cui funziona la clausola del solve et repete (art. 1462 del c.c.). Essa non impedisce di opporre le eccezioni di nullità, di annullabilità o di rescindibilità del contratto, perché tali impugnative investono l'efficacia stessa della clausola, che non può esplicare validamente la sua funzione prescindendo dalla valida esistenza del contratto che la contiene, e quindi in contrasto con ogni principio di buona fede. Nell'ipotesi poi in cui ha pieno effetto, la clausola non deve servire a preordinare un'autotutela quando motivi gravi inducono a ritenere che ciò sia esorbitante. Il giudice, delibando l'eccezione, può constatare che essa presenta elementi di fondatezza, che vi sia addirittura già una prova semipiena o che sia possibile una pronta indagine sull'eccezione in tal caso, se si ammettesse una pronunzia sulla domanda, che non tenga conto delle eccezioni, si rivestirebbe il contratto di una forza giuridica superiore a quella che ha il titolo cambiario, contro il quale, non ostante il tradizionale rigore della relativa materia, sono opponibili le eccezioni personali di non lunga indagine (art. 65, secondo comma, legge cambiaria). Perciò l'art. 1462 consente che il giudice, anche di fronte alla clausola del solve et repete, possa rinviare la pronunzia sulla domanda quando esistono gravi motivi che giustificano una sospensione della condanna; salvo, a somiglianza di quanto dispone la legge cambiaria, il potere di imporre al debitore, se del caso, un cauzione.

Massime relative all'art. 1460 Codice Civile

Cass. civ. n. 7041/2023

In tema di inadempimento del contratto d'appalto, laddove l'opera risulti ultimata, il committente, convenuto per il pagamento, può opporre all'appaltatore le difformità ed i vizi dell'opera, in virtù del principio "inadimpleti non est adimplendum" al quale si ricollega la più specifica disposizione dettata dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., analoga a quella di portata generale di cui all'art. 1460 c.c. in materia di contratti a prestazioni corrispettive, anche quando la domanda di garanzia sarebbe prescritta ed, indipendentemente, dalla contestuale proposizione, in via riconvenzionale, di detta domanda, che può anche mancare, senza pregiudizio alcuno per la proponibilità dell'eccezione in esame.

Cass. civ. n. 3351/2023

La dichiarazione di fallimento non integra, ai sensi dell'art. 2119, secondo comma c.c., una giusta causa di risoluzione del rapporto, sicché esso non si risolve ex lege, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale, ma entra in una fase di sospensione, così deviando dall'ordinario principio di diritto comune, che attribuisce una tale tutela alla parte non inadempiente, in virtù dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., ovvero alla parte non insolvente, in virtù della facoltà di sospensione della propria prestazione ex art 1461 c.c. Un tale sistema si giustifica perché il curatore, a tutela della soddisfazione delle ragioni dei creditori cui la procedura fallimentare è finalizzata, abbia un tempo per valutare la convenienza di una scelta, autorizzata dal comitato dei creditori, tra il subentro nel rapporto, assumendone tutti gli obblighi del datore di lavoro fallito, ovvero lo scioglimento dal rapporto medesimo, senza assumerne alcun obbligo. Qualora, il curatore fallimentare opti per lo scioglimento del rapporto, esso cessa per effetto non già della dichiarazione di fallimento ex se, bensì, in presenza di un giustificato motivo oggettivo quale, ad esempio, la cessazione dell'attività di impresa, per effetto dell'esercizio di una facoltà comunque sottoposta al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi.

Cass. civ. n. 24427/2022

Una questione pregiudiziale idonea a configurarsi quale causa pregiudiziale postula non solo che vi sia una domanda di parte relativa ad un punto costituente un antecedente logico necessario, di fatto o di diritto, rispetto alla decisione della controversia principale proposta - che come tale può essere accertato in via incidentale - ma anche che tale questione assuma un rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un interesse giuridico concreto, che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione è stata sollevata.(Nella specie, in riferimento alla questione relativa all'accertamento della intervenuta risoluzione di un contratto di appalto prima del suo scioglimento per determinazione dei Commissari straordinari di una amministrazione straordinaria, la S.C. ha escluso che la stessa dovesse ritenersi una causa pregiudiziale in senso tecnico, essendo l'azione volta ad ottenere dalla committente il pagamento del corrispettivo dei lavori eseguiti, senza che la stessa potesse avvalersi dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., con la conseguenza di escludere altresì la qualità di parte soccombente, come tale legittimata all'appello, in capo all'amministrazione straordinaria, pure convenuta in primo grado).

Cass. civ. n. 17020/2022

In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l"exceptio non rite adimpleti contractus", di cui all'articolo 1460 c.c., si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell' immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perchè tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore.

Cass. civ. n. 4225/2022

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, l'esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Ne deriva che, in caso di risoluzione, rispetto alle reciproche prestazioni già eseguite, il rapporto deve intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio e con l'ulteriore conseguenza che l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c.. può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all'eccipiente e sempre che non vi sia una complessiva irregolarità di esecuzione del contratto.

Cass. civ. n. 4079/2022

In caso di appalto di servizi, a fronte dell'inadempimento, da parte dell'appaltatore, dell'obbligo di presentazione del documento unico di regolarità contributiva (DURC), il committente è legittimato a sospendere il pagamento delle prestazioni, ai sensi dell'art. 1460 c.c., stante la sinallagmaticità del rapporto contrattuale e l'esposizione del committente al rischio di rispondere in solido del versamento degli oneri previdenziali e contributivi ex art. 29 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276. (Fattispecie in tema di appalto di servizi di pulizia stipulato da un Condominio).

Cass. civ. n. 12719/2021

L'eccezione di inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione, in quanto la gravità dell'inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, mentre l'eccezione d'inadempimento non estingue il contratto, pur potendo il creditore avvalersi dell'eccezione anche nel caso di inesatto inadempimento. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 10/01/2018).

Cass. civ. n. 8760/2019

L'eccezione di inadempimento, anche se sollevata in buona fede, non ha effetti liberatori ma solo sospensivi; pertanto, quando ad essa faccia seguito una pronuncia di risoluzione del contratto per inadempimento della parte contro cui fu sollevata l'"exceptio inadimpleti contractus", gli effetti risarcitori, liberatori e restitutori della risoluzione restano disciplinati dalle previsioni dell'art. 1458c.c. art. 1458 - Effetti della risoluzione c.c. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva erroneamente attribuito all'eccezione ex art. 1460 c.c. un effetto liberatorio non considerando che, una volta risolto il contratto di durata, nella specie di affitto di azienda, l'effetto della risoluzione non poteva travolgere l'obbligo del pagamento dei canoni). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SEZ.DIST. DI SASSARI, 17/06/2016).

Cass. civ. n. 20939/2017

La disposizione di cui all’art. 1460, comma 1, ultima parte, c.c., secondo cui l'eccezione di inadempimento non è ammissibile quando termini diversi per l'adempimento siano stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto, dev’essere interpretata nel senso che, pure in tale ipotesi, l'eccezione va consentita solo quando sia già evidente che la controprestazione non potrà mai essere adempiuta o vi siano fondate probabilità di un ritardo tale da superare il termine fissato in contratto per la controprestazione, eccedendo i limiti della normalità secondo un’interpretazione di buona fede ovvero, ancora, vi sia un evidente pericolo di perdere la controprestazione.

Cass. civ. n. 13627/2017

Nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche, è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma. Tale accertamento, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, rientra nei poteri del giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 23759/2016

Le eccezioni di compensazione e di inadempimento differiscono per presupposti e funzione, i quali implicano una diversa distribuzione dell'onere probatorio: la prima, infatti, rileva quale fatto estintivo dell'obbligazione e presuppone che due soggetti siano obbligati l'uno verso l'altro in forza di reciproci crediti e debiti, sicché grava sulla parte che la invoca l'onere della prova circa l'esistenza del proprio controcredito; la seconda, invece, integra un fatto impeditivo dell'altrui pretesa di pagamento avanzata, nell'ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore, con la conseguenza che il debitore potrà limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento, gravando sul creditore l'onere di provare il proprio adempimento ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione .

Cass. civ. n. 22626/2016

Il giudice ove venga proposta dalla parte l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum" deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui, qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia di buona fede e quindi non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c..

Cass. civ. n. 18320/2015

In tema di risoluzione del contratto, qualora siano dedotte reciproche inadempienze, la valutazione comparativa del giudice intesa ad accertare la violazione più grave, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata, deve tenere conto non solo dell'elemento cronologico ma anche degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla funzione del contratto, sicché, ove manchi la prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, entrambe le domande vanno rigettate per insussistenza dei fatti costitutivi delle pretese azionate. (in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata di rigetto delle contrapposte domande di risoluzione sulla valutata equivalenza degli inadempimenti del locatore e del conduttore di un locale adibito a bar-pizzeria con annessa sala giochi, il primo per non aver fornito locali idonei all'uso pattuito e aver omesso la fornitura di videogiochi, il secondo perché moroso nel pagamento dei canoni e per non aver stipulato una polizza fideiussoria ed assicurativa).

Cass. civ. n. 336/2013

Ai fini della pronuncia di risoluzione, il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti per stabilire se costituiscano motivo di inadempienza a prescindere da ogni altra ragione di doglianza dei contraenti, ma deve, invece, procedere alla valutazione sinergica del comportamento di questi ultimi, attraverso un'indagine globale ed unitaria dell'intero loro agire, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell'inadempimento, perché l'unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono tutte le prestazioni inadempiute da ognuno non tollera una valutazione frammentaria e settoriale della condotta di ciascun contraente ma esige un apprezzamento complessivo. Ne consegue, pertanto, che nel delibare la fondatezza della domanda di accertamento dell'inadempimento di uno dei contraenti, ovvero di risoluzione contrattuale per inadempimento, il giudice deve tener conto, anche in difetto di una formale eccezione ai sensi dell'art. 1460 c.c., delle difese con cui la parte contro la quale la domanda viene proposta opponga a sua volta l'inadempienza dell'altra. (Così statuendo, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata nella parte in cui, nel dichiarare risolto per inadempimento del Comune ricorrente il contratto di appalto dallo stesso concluso con la società resistente, non aveva considerato le difese del primo volte ad escludere l'asserito comportamento inerte ascrittogli dalla seconda, né aveva valutato le doglianze afferenti l'inadeguatezza del progetto di massima trasmessogli da quest'ultima, a sua volta rimasta inerte a fronte della corrispondente contestazione ricevuta dall'ente).

Cass. civ. n. 15659/2011

In tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell'onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento, perché l'eccezione si fonda sull'allegazione dell'inadempimento di un'obbligazione, al quale il debitore di quest'ultima dovrà contrapporre la prova del fatto estintivo costituito dall'esatto adempimento.

Cass. civ. n. 12296/2011

In presenza di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione del medesimo per inadempimento, il giudice deve procedere a una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l'inadempimento che legittima la risoluzione. La valutazione della gravità dell'inadempimento, prendendo le mosse dall'esame dei fatti e delle prove inerenti al processo, è rimessa al giudice del merito ed è incensurabile in cassazione se la relativa motivazione risulti immune da vizi logici o giuridici.

Cass. civ. n. 5933/2011

L'eccezione d'inadempimento è invocabile, oltre che per paralizzare la domanda di adempimento, anche al fine di escludere il diritto della controparte di far accertare e richiedere la risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 14926/2010

La parte che si avvale legittimamente del suo diritto di sospendere l'adempimento della propria obbligazione pecuniaria a causa dell'inadempimento dell'altra non può essere considerata in mora e non è, perciò, tenuta al pagamento degli interessi moratori e degli eventuali maggiori danni subiti dall'altra parte per il mancato adempimento, nei termini previsti dal contratto, di quanto a lei dovuto, non essendo applicabile l'art. 1224 c.c., che ricollega alla mora del debitore il diritto del creditore al pagamento degli interessi di mora e dei maggiori danni conseguenti all'omesso pagamento della prestazione pecuniaria (Nella specie, si trattava di un contratto di compravendita nel quale la parte acquirente aveva giustificato il mancato pagamento del saldo a causa delle difformità e dei vizi del materiale consegnato).

Cass. civ. n. 13840/2010

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, il giudice di merito è tenuto a formulare un giudizio - incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato - di comparazione in merito al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti (tenuto conto non solo dell'elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto), si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale. In difetto di prova sulla causa effettiva e determinante della risoluzione, il giudice non potrà dichiarare risolto il vincolo contrattuale per inadempienze equivalenti delle parti, ma dovrà limitarsi al rigetto di entrambe le domande per l'insussistenza dei fatti giustificativi posti a sostegno di esse. (Nella specie; la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva dichiarato risolto per inadempienze reciproche, reputate equivalenti, il contratto di locazione di un bar, con annesso laboratorio di pasticceria, rispetto al quale, nello svolgimento del relativo rapporto, il conduttore lamentava l'inidoneità dei locali e delle macchine all'uso pattuito ed il locatore la morosità nel pagamento dei canoni, chiedendo entrambe le parti la risoluzione del contratto medesimo).

Cass. civ. n. 20614/2009

Nei contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento in caso di inadempienze reciproche, è necessario far luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti perché l'inadempimento deve essere addebitato esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento colpevole prevalente, abbia alterato il nesso di reciprocità che lega le obbligazioni assunte con il contratto, dando causa al giustificato inadempimento dell'altra parte. (Nella specie, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza di merito che - in relazione alla mancata stipula di un contratto definitivo di compravendita di un immobile - aveva ritenuto che la nullità dell'atto di provenienza in capo alla promittente venditrice avesse un'incidenza talmente decisiva e preponderante da rendere irrilevante il ritardo addebitabile alla controparte).

Cass. civ. n. 2720/2009

Nel caso in cui venga opposta, nei contratti con prestazioni corrispettive, l'eccezione "inadimplenti non est adimplendum", occorre verificare, secondo il principio di buona fede e correttezza sancito dall'art. 1375 cod. civ., in senso oggettivo, se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all'incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell'adempimento dell'altra parte.

Cass. civ. n. 9439/2008

In tema di obbligazioni, il principio secondo cui anche quando sia dedotto l'inesatto adempimento è sufficiente al creditore la mera allegazione dell'inesattezza della prestazione gravando sul debitore l'onere della prova contraria, non trova deroga nel caso in cui l'inesatto adempimento sia posto a fondamento dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c.

Cass. civ. n. 21973/2007

L'esercizio dell'eccezione d'inadempimento ex art. 1460 c.c., che trova applicazione anche in riferimento ai contratti ad esecuzione continuata o periodica, nonché in presenza di contratti collegati, prescinde dalla responsabilità della controparte, in quanto è meritevole di tutela l'interesse della parte a non eseguire la propria prestazione in assenza della controprestazione e ciò per evitare di trovarsi in una situazione di diseguaglianza rispetto alla controparte medesima; sicché, detta eccezione può essere fatta valere anche nel caso in cui il mancato adempimento dipende dalla sopravvenuta relativa impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore.

Cass. civ. n. 11430/2006

Il giudice, ove venga proposta dalla parte l'eccezione inadimplenti non est adimplendum, deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti avuto riguardo anche allo loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., deve ritenersi che il rifiuto di quest'ultima di adempiere la propria obbligazione non sia in buona fede e, quindi, non sia giustificato ai sensi dell'art. 1460, secondo comma, c.c. Tale valutazione rientra nei compiti del giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha accertato la congruità della relativa motivazione con cui era stata fatta applicazione dell'art. 1460 c.c., ritenendosi legittimo il rifiuto del lavoratore di adempiere la propria prestazione in ragione dell'inadempimento della datrice di lavoro che continuava a non assegnargli mansioni corrispondenti alla qualifica e professionalità raggiunte).

Cass. civ. n. 8425/2006

In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l'exceptio non rite adimpleti contractus, di cui all'articolo 1460 c.c., si fonda su due presupposti: l'esistenza dell'inadempimento anche dell'altra parte e la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell'immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all'inadempimento del locatore.

Cass. civ. n. 5938/2006

L'eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 c.c., attenendo al momento funzionale di ogni contratto a prestazioni corrispettive, trae fondamento dal nesso di interdipendenza che lega tra loro le opposte prestazioni, cioè dall'esigenza di simultaneità nell'adempimento delle reciproche obbligazioni scadute legate dal rapporto sinallagmatico. Pertanto, affinché il principio adimplenti non est adimplendum operi anche con riguardo ad inadempienze inerenti a rapporti sostanzialmente diversi, è necessario che le parti, nell'esercizio del loro potere di autonomia, abbiano voluto tali rapporti come funzionalmente e teleologicamente collegati tra loro e posti in rapporto di reciproca interdipendenza, onde tale principio non risulta applicabile a rapporti che siano indipendenti l'uno dall'altro. (Nella specie, la S.C. ha escluso che, proposta da un dirigente industriale azione per ottenere l'adempimento delle obbligazioni assunte dalla società datrice di lavoro con un contratto di transazione, potesse essere sollevata da quest'ultima l'eccezione di cui all'art. 1460 c.c., fondata sul mancato risarcimento del danno derivante da un reato asseritamente commesso dal dipendente in suo danno).

Cass. civ. n. 1690/2006

Non incorre in alcuna contraddizione il giudice di merito che apprezzi un comportamento di inadempimento come contrario a buona fede ai fini di giustificare un'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e poi lo consideri di scarsa importanza ai fini di un'azione di risoluzione del contratto per inadempimento. Infatti, i due piani di valutazione sono del tutto diversi. Ai fini della valutazione prevista dall'art. 1460 c.c. l'inadempimento della parte viene valutato solo nell'ottica della realizzazione del sinallagma contrattuale, al fine di considerarlo o meno giustificato in dipendenza dell'inadempimento dell'altra. Tale valutazione si esprime in un confronto fra i due inadempimenti e non nell'oggettiva valutazione di ciascuno di essi e può risolversi negativamente sia per il fatto che le prestazioni corrispettive inadempiute dovessero eseguirsi in tempi diversi (art. 1460, primo comma, c.c.), sia perché uno degli inadempimenti non appaia conforme a buona fede. Il piano di valutazione supposto dall'art. 1455 c.c. in ordine alla non scarsa importanza dell'inadempimento quale fatto giustificativo della risoluzione del contratto è, invece, del tutto diverso, giacché non è funzionale all'apprezzamento della realizzazione del sinallagma contrattuale, ma del suo scioglimento e l'inadempimento viene valutato non comparativamente alla condotta dell'altra parte, bensì nel suo significato oggettivo di impedimento alla realizzazione del sinallagma stesso.

Cass. civ. n. 24899/2005

L'eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 c.c. è opponibile quando sussista un rapporto di corrispettività e contemporaneità tra le prestazioni relative alle obbligazioni reciproche delle parti e la non contrarietà a buona fede dell'inadempimento da parte di colui che formula la relativa eccezione. La valutazione relativa a tali elementi, indispensabili per l'applicabilità della suddetta eccezione, si risolve in un apprezzamento di fatto demandato al giudice del merito ed è, pertanto, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 19556/2003

Il principio di autotutela sancito dall'art. 1460 c.c. (in forza del quale, nei contratti a prestazioni corrispettive, ciascun contraente può rifiutare la propria prestazione in costanza di inadempimento della controparte) deve ritenersi legittimamente applicabile anche nell'ipotesi di inadempimento di un diverso negozio, purché collegato con il primo da un nesso di interdipendenza — fatto palese dalla comune volontà delle parti — che renda sostanzialmente unico il rapporto obbligatorio (e la cui valutazione è rimessa al prudente e insindacabile apprezzamento del giudice di merito).

Cass. civ. n. 8314/2003

In tema di risoluzione contrattuale ed in ipotesi di eccezione di inadempimento, poiché l'art. 1460 c.c. non pone alcuna limitazione temporale o modale all'esperibilità dell'eccezione, salva l'ipotesi di termini differenziati di adempimento, e poiché l'esercizio della facoltà di sospendere l'esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, non è subordinato ad alcuna condizione e, in particolare, non alla previa intimazione di una diffida, né ad alcuna generica contestazione dell'inadempimento, l'eccezione stessa ben può essere dedotta per la prima volta in sede giudiziale, pur ove non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l'adempimento chiesto ex adverso.

Cass. civ. n. 6756/2003

Nel caso di contrapposte domande di esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare e di risoluzione di detto contratto per inadempimento, il giudice del merito deve procedere ad una valutazione comparativa ed unitaria degli inadempimenti che le parti si sono addebitati al fine di stabilire se sussista l'inadempimento che legittima la risoluzione ed il relativo accertamento è insindacabile in cassazione, se la motivazione risulta immune da vizi logici o giuridici.

Cass. civ. n. 4529/2001

L'exceptio inadimpleti contractus, di cui all'art. 1460 c.c., è invocabile, oltre che al fine di paralizzare la domanda di adempimento, anche nei confronti di una domanda di risoluzione del contratto promossa dalla controparte.

Cass. civ. n. 10764/1999

L'exceptio inadimpleti contractus di cui all'art. 1460 c.c. costituisce un'eccezione in senso proprio, rimessa pertanto alla disponibilità ed all'iniziativa del convenuto, senza che il giudice abbia il dovere di rilevarla od esaminarla d'ufficio. Essa, tuttavia, al pari di ogni altra eccezione, non richiede l'adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla (onde paralizzare l'avversa domanda di adempimento) sia desumibile, in modo non equivoco, dall'insieme delle sue difese e, più in generale, dalla sua condotta processuale, secondo un'interpretazione del giudice di merito che, se ancorata a corretti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di giudizio di legittimità.

Cass. civ. n. 2474/1999

La sospensione dell'esecuzione del contratto, ai sensi dell'art. 1460 c.c., non necessita di preventiva diffida ad adempiere e non contrasta con i principi di buona fede e correttezza anche se è formulata per la prima volta in giudizio per contrastare la domanda di adempimento della controparte, e ancorché l'adempimento di questa concerna un'obbligazione accessoria di quella principale, ma essenziale per l'equilibrio sinallagmatico del rapporto, e di tale gravità da menomare la fiducia sul corretto adempimento del contratto. (Nella specie l'acquirente di apparecchi telefonici forniti dalla Sip, da installare su autovetture, su cui doveva avvenire il collaudo e la connessione in rete, e perciò senza rimuoverli, aveva immesso nel mercato una valigetta per riporli, così rendendoli utilizzabili come portatili, e la fornitrice aveva sospeso l'esecuzione del contratto).

Cass. civ. n. 4743/1998

Il requisito della buona fede previsto dall'art. 1460 c.c. per la legittima proposizione della exceptio inadimplenti non est adimplendum non sussiste quando l'eccezione ha per oggetto un inadempimento non grave, nel raffronto tra prestazione ineseguita e prestazione rifiutata o sia determinata da motivi non corrispondenti alle finalità per le quali essa è concessa dalla legge, avuto riguardo all'obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) e alla tutela dell'interesse essenziale perseguito con la conclusione del contratto.

Cass. civ. n. 387/1997

Il principio che sorregge l'eccezione inadempleti contractus, e che trova la sua consacrazione nella formulazione dell'art. 1460 c.c., trae fondamento dal nesso di interdipendenza che nei contratti a prestazioni corrispettive lega le opposte obbligazioni e prestazioni nell'ambito di un rapporto sinallagmatico il cui contenuto, indipendentemente da esplicite previsioni negoziali, è — secondo il principio interpretativo integrativo correlato all'obbligo di correttezza delle parti (art. 1175 c.c.) — esteso alle cosiddette obbligazioni collaterali di protezione, di collaborazione, di informazione etc. Ne consegue che, in sede di valutazione comparativa delle condotte delle parti di un contratto di appalto, il giudice non può avere riguardo alle sole obbligazioni principali dedotte in contratto (e cioè, il pagamento del compenso, per il committente ed il compimento dell'opera, per l'appaltatore), ma anche a quelle cosiddette «collaterali» di collaborazione, privilegiandone l'apprezzamento quando il loro inadempimento da parte dell'obbligato abbia dato causa a quello del creditore.

Cass. civ. n. 307/1996

Con riguardo al mezzo di autotutela previsto dall'art. 1460 c.c. (utilmente invocabile anche nel contratto di lavoro subordinato tenuto conto della sua tipica natura di contratto a prestazioni corrispettive) se la parte chiamata successivamente ad adempiere non si avvale del rimedio consentito dall'exceptio inadimpleti contractus ed esegue invece la prestazione, deve eseguirla esattamente, non potendo più richiamarsi al principio inadimplenti non est adimplendum, dal momento che eseguendo, benché inesattamente, la prestazione dimostra di non volersi avvalere dell'eccezione, mentre all'altra parte non è interdetto di avvalersi, per l'inesattezza dell'adempimento, del potere di risoluzione del contratto.

Cass. civ. n. 1077/1995

Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando le parti si addebitino inadempimenti reciproci, proponendo l'una contro l'altra vicendevolmente domande contrapposte, come del resto nel caso in cui il convenuto si limiti a contrastare la domanda di risoluzione o di adempimento, giustificando la propria inadempienza con la inadempienza dell'altro contraente, il giudice del merito, ai fini della decisione, deve procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti dei contraenti, che, al di là del pur necessario riferimento all'elemento cronologico degli stessi, li investa nel loro rapporto di dipendenza (sul piano causale) e di proporzionalità, nel quadro sociale della funzione economico-sociale del contratto, in maniera da consentire di stabilire su quale dei contraenti debba ricadere l'inadempimento colpevole che possa giustificare l'inadempimento dell'altro, in virtù del principio inadimplenti non est adimplendum. Il suddetto giudizio comparativo dei rispettivi comportamenti delle parti contraenti deve riguardare questi fino al momento della proposizione delle domande giudiziali e delle eccezioni.

Cass. civ. n. 10506/1994

Per la legittima proposizione dell'eccezione di inadempimento (exceptio inadimpleti contractus) è necessario che il rifiuto di adempimento — oltre a trovare concreta giustificazione nei legami di corrispettività e interdipendenza tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate — non sia contrario a buona fede, cioè non sia determinato da motivi non corrispondenti alle finalità per le quali esso è concesso dalla legge, come quando l'eccezione è invocata non per stimolare la controparte all'adempimento ma per mascherare la propria inadempienza. Al fine del relativo accertamento assume rilevante importanza la circostanza che la giustificazione del rifiuto sia resa nota alla controparte solo in occasione del giudizio e non in occasione dell'attività posta in essere allo scopo di conseguire l'esecuzione spontanea del contratto. (Nella specie, in controversia relativa alla vendita, risalente al 1978, di un immobile di nuova costruzione, l'eccezione di inadempimento concernente irregolarità urbanistiche e la mancanza della dichiarazione di agibilità non era stata proposta dall'acquirente, già immesso nel possesso dell'immobile e debitore di una parte rilevante del prezzo, prima del giudizio e neanche nel resistere alla domanda di risoluzione per inadempimento, ma solo in occasione di una causa da lui proposta, poi riunita alla prima; la S.C. ha cassato per violazione di legge e vizio di motivazione la sentenza di appello che aveva accolto l'eccezione, in violazione dell'indicato principio, e senza valutare il concreto tenore del contratto circa le obbligazioni assunte dal venditore in merito alla conformità dell'immobile alle norme edilizie, nonché il fatto che l'acquirente era stato immesso nel possesso dei beni contestualmente alla conclusione del contratto).

Cass. civ. n. 6441/1993

L'eccezione d'inadempimento, di cui all'art. 1460 c.c., la quale, in via generale, presuppone che le reciproche prestazioni siano contemporaneamente dovute, è opponibile anche alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, a fronte di un evidente pericolo di perdere la controprestazione, avendo essa già dimostrato di non essere in grado di provvedere ai propri obblighi.

Cass. civ. n. 13445/1992

Allorquando il convenuto in risoluzione resiste all'avversa pretesa, eccependo inademplenti inadimplendum, spetta alla parte attrice l'onere di neutralizzare l'eccezione, provando il proprio adempimento o la non ancora maturata esigibilità di questo.

Cass. civ. n. 8344/1990

Con riguardo al giudizio di risoluzione per inadempimento di un contratto con prestazioni corrispettive, la reciprocità degli inadempimenti per cui il giudice è tenuto a valutare unitariamente il comportamento dei contraenti al fine di stabilire quale, tra gli inadempimenti reciprocamente contestati, sia il più grave ai fini della risoluzione, non può essere rilevata di ufficio dal giudice, ma deve essere esplicitamente dedotta come contenuto di una domanda riconvenzionale del convenuto di risoluzione del contratto per inadempimento dell'attore ovvero come contenuto di una eccezione di inadempimento dello stesso, restando escluso che la suddetta domanda od eccezione possa considerarsi proposta per il solo fatto della produzione in giudizio dei documenti che la giustificherebbero.

Cass. civ. n. 2596/1989

In tema di risoluzione di contratto a prestazioni corrispettive, l'exceptio inadimpleti contractus; sollevata dal convenuto per opporsi alla domanda di risoluzione, può trovare accoglimento solo previa valutazione comparativa del comportamento di entrambe le parti inadempienti, tenendo conto che - alla stregua della funzione di salvaguardia dell'equilibrio contrattuale perseguita dall'eccezione (avente efficacia dilatoria e non definitiva) - il rifiuto dell'adempimento è legittimo allorché serva a stimolare l'altro contraente ad eseguire una prestazione ancora possibile e non a precostituirsi una pretesa di risarcimento per una inadempienza già definitivamente verificatasi (o per cui siano intervenuti successivi accordi delle parti) ovvero che non abbia dato luogo a contestazioni o riserve nell'attualità del rapporto.

Cass. civ. n. 4624/1987

Al fine di stabilire la legittimità dell'exceptio inadempleti contractus e in definitiva la buona fede di chi solleva l'eccezione deve farsi riferimento all'epoca in cui questa è posta onde non rilevano gli avvenimenti successivi quali ad esempio la sopravvenuta svalutazione monetaria in relazione alla ridotta prestazione della controparte.

Cass. civ. n. 2708/1982

Nei contratti con prestazioni corrispettive l'eccezione d'inadempimento mira a conservare l'equilibrio sostanziale e funzionale tra le contrapposte obbligazioni. Pertanto, la parte che oppone l'eccezione, può considerarsi in buona fede, secondo la previsione di cui all'art. 1460 c.c., solo se il suo rifiuto di esecuzione del contratto si traduca in un comportamento che risulti oggettivamente ragionevole e logico nel senso che trovi concreta giustificazione nel rapporto tra prestazioni ineseguite e prestazioni rifiutate, in relazione ai legami di corrispettività e contemporaneità delle medesime.

Cass. civ. n. 1182/1982

Nei contratti con prestazioni corrispettive il carattere non essenziale del termine per la prestazione di una delle parti non osta a che il protrarsi nel tempo dell'inadempimento della prestazione medesima, ove sia tale da ledere un interesse non di scarsa importanza del contraente avente diritto, legittimi quest'ultimo a rifiutare l'adempimento della propria obbligazione, ai sensi dell'art. 1460. c.c.

Cass. civ. n. 6670/1981

In tema di risoluzione del contratto per inadempimento, colui che ha proposto l'eccezione di inadempimento, prevista dall'art. 1460 c.c., deve provare il fatto costitutivo dell'eccezione stessa e cioè l'inadempienza dell'altra parte, mentre spetta a colui contro il quale l'eccezione è rivolta dimostrare che l'inadempienza non è operante, ai fini della risoluzione, perché derivante dal comportamento della controparte. Pertanto, se in un preliminare di vendita una parte del prezzo viene corrisposta mediante girata di titoli cambiari a favore del promittente acquirente, incombe al promittente alienante, convenuto in giudizio per l'esecuzione del contratto, il quale opponga l'inadempimento della controparte, l'onere di dimostrare il mancato pagamento dei titoli da parte dell'emittente.

Cass. civ. n. 1944/1977

L'art. 1460 c.c., il quale autorizza il contraente, che non abbia ottenuto l'adempimento della prestazione di cui è creditore, a rifiutare quella di cui è debitore, sempre che il rifiuto non sia contrario a buona fede, appresta uno strumento di tutela non solo in sede processuale, con l'eccezione di inadempimento rivolta a paralizzare la domanda dell'altro contraente, ma anche al di fuori del giudizio, rendendo legittimo un rifiuto della prestazione, altrimenti non consentito.

Cass. civ. n. 3471/1976

La disposizione dell'art. 1460 c.c., che concerne l'eccezione di inadempimento, è del tutto distinta ed autonoma rispetto a quelle relative al concorso di cause nella produzione del danno. Dato che l'eccezione di inadempimento deve portare a stabilire se esista o meno una causa di giustificazione del rifiuto di adempiere di una delle parti contraenti, il giudizio relativo deve solo determinare la legittimità dell'uno o dell'altro tra i comportamenti contrastanti. Pertanto, ritenuta la illegittimità di uno di essi non resta margine all'efficienza causale dell'altro, circa il rifiuto di adempiere venuto in esame.

Cass. civ. n. 672/1976

In materia contrattuale il dovere del creditore di cooperare al fine di eliminare o attenuare il danno provocato dall'altrui inadempimento, ai sensi dell'art. 1226, secondo comma, c.c., va coordinato col diritto di autodifesa riconosciuto dall'art. 1460 c.c., per mezzo dell'eccezione inadimplenti non est adimplendum, e poiché l'esercizio di tale facoltà può determinare un aggravamento del danno è ipotizzabile un conflitto fra le norme predette, nel qual caso deve ritenersi prevalente quella di cui all'art. 1460 c.c. Tuttavia tale principio va circoscritto dal limite posto dalla stessa norma, e cioè dalla condizione che il rifiuto della propria prestazione da parte del contraente in bonis non sia contrario alla buona fede. Siffatta contrarietà può ritenersi esistente sia nell'ipotesi di sproporzione fra la prestazione insoddisfatta e quella di cui si chiede l'esecuzione, sia nei casi in cui l'inadempimento si esaurisce in un breve e tollerabile ritardo, ovvero sia giustificato da forza maggiore. Infine possono assumere rilievo, ai fini del giudizio sulla contrarietà alla buona fede, anche i motivi che hanno ispirato in concreto la reazione del contraente in bonis quando essi siano banali, sproporzionati e riprovevoli, così da dar luogo ad atti emulativi.

Cass. civ. n. 4233/1975

L'offerta non formale della prestazione, effettuata, con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado, dal contraente che agisca per l'adempimento di un contratto a prestazioni corrispettive, impedisce — se ingiustificatamente respinta — che il convenuto possa fondatamente sollevare la exceptio inadimplenti contractus.

Cass. civ. n. 2026/1970

Nei contratti con prestazioni corrispettive la diversità dei termini per l'inadempimento, dipendente da espressa pattuizione o dalla natura del contratto, impedisce a chi deve adempiere per primo e non adempie di giovarsi dell'exceptio inadimpleti contractus, mentre detta eccezione può essere utilmente invocata da chi è tenuto successivamente ad adempiere.

Cass. civ. n. 1894/1970

Le disposizioni degli artt. 1455 e 1460 c.c. hanno un diverso ambito di applicazione. La facoltà dei venditori di sospendere la loro prestazione, a norma dell'art. 1460 non esclude quella di domandare, a norma dell'art. 1455, la risoluzione per grave inadempimento della controparte.

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FULVIO M. P. chiede
martedì 08/12/2020 - Lombardia
“Buongiorno mi chiamo Fulvio P., vi contatto perché ho bisogno di un consiglio legale per sapere come muovermi.
Sono proprietario di un appartamento che ho locato, si tratta di un due locali con annesso sottotetto non abitabile e box, da circa un anno quando vi sono forti temporali, avvengono delle infiltrazioni di acqua nel sottotetto, acqua che filtra da due lucernari posti sullo stesso. L’attuale inquilina ha smesso da circa tre mesi di pagare l’affitto e le spese, adducendo come scusante il verificarsi di dette infiltrazioni, consiglio avuto dalla legale a cui si è rivolta. Per completezza di informazioni vi dico anche che nel sottotetto vi è comunque un bagno ed una camera adibita a stanza da letto che viene regolarmente utilizzata come tale.
Io da parte mia è circa un anno che invio mail all’amministratrice ed ai condomini per cercare di far sistemare il tetto condominiale, infatti si suppone che parecchie infiltrazioni siano dovute anche al fatto che vi sono diverse tegole rotte e ciò comporta che l’acqua filtri al di sotto e poi scorrendo arrivi ad infiltrarsi dai lucernai.
Purtroppo anche se volessi intervenire direttamente, cosa che ho provato a fare, non posso in quanto sul tetto non è presente la linea vita per poter lavorare in sicurezza, e conseguentemente non trovo (giustamente) nessuna impresa che si prenda la responsabilità di salire ad effettuare lavori, oltre al fatto che l’amministratrice non dà il consenso.
Ho chiesto da più di un anno di far installare la linea vita, cosa che finalmente sono riuscito a far mettere a verbale durante l’ultima assemblea condominiale avvenuta circa un mese fa ed è stato approvato anche un preventivo per eseguire i lavori.
Detto ciò comunque a tutt’oggi non è stato fatto ancora nulla anche se nel frattempo ho inviato altre due mail all’amministratrice ed ai condomini.
Ora i miei quesiti sono due; può l’inquilina smettere di pagare l’affitto anche se nel frattempo gode del immobile?
Come posso muovermi per far si che vengano eseguiti i lavori per la linea vita e conseguentemente si possa sistemare il tetto?
L’appartamento fa parte di una mini palazzina composta da sette appartamenti tutti con ingressi indipendenti.
Se aveste necessita di altre informazioni o della copia del contratto di affitto per potermi rispondere non esitate a chiedere.
Per il momento grazie in anticipo
Fulvio P.”
Consulenza legale i 15/12/2020
La sospensione del canone da parte del conduttore deve considerarsi del tutto illegittima. Egli porterebbe a sostegno della legittimità della sospensione del pagamento il fatto che a causa delle infiltrazioni l’appartamento locato sia divenuto del tutto inservibile all’uso per il quale lo stesso è destinato. Appare, astrattamente, ragionevole.

La giurisprudenza, tuttavia, è costante nel ritenere non legittima la sospensione o l’autoriduzione del pagamento del canone dovuto da parte del conduttore. In questo senso è molto significativo un passaggio di Cass.Civ.Sez.III, n.18987 del 27.09.2016: "Deve infine, e ad ogni buon conto, osservarsi che nell'ordinamento, come definitivamente chiarito da tempo da questa corte, non è rinvenibile un potere di autotutela del credito da parte del conduttore che, a fronte dell'inadempimento del locatore, decida di non corrispondere i canoni dovuti. In altri termini, al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti".

In considerazione del fatto che comunque l’appartamento continua ad assolvere alla sua funzione abitativa (per quanto limitata possa di fatto risultare dalle infiltrazioni), e ciò è dimostrato anche dal fatto che il conduttore continua comunque ad abitarvi, egli non può unilateralmente sospendere il pagamento del dovuto. La circostanza legittima il proprietario a pretendere la corresponsione dei canoni scaduti e a scadere fino a quando il vincolo contrattuale non venga meno per una delle cause previste dalle norme del contratto o dalla legge. Stante il perdurante inadempimento, il proprietario può, quindi, reagire intimando lo sfratto al conduttore e chiedendone la successiva convalida al giudice.
Ciò non vuol dire, però, che lo stesso sia al riparo da eventuali contestazioni da parte del conduttore: rimane, infatti, fermo per il proprietario, l’obbligo di far fronte alla manutenzione straordinaria dell’appartamento, obbligo il cui mancato adempimento potrebbe essere portato a fondamento per una legittima richiesta di risarcimento danni.

In questo senso, quindi, è importante insistere con il condominio affinché si ponga rimedio alla situazione in cui versa lo stabile.
Il n. 4) dell’art.1130 del c.c. ci dice che l’amministratore è tenuto a compiere ogni atto conservativo sulle parti comuni dell’edificio. Da un punto di vista di responsabilità civile, tale norma rende il professionista custode ai sensi dell’art. 205 del c.c. delle parti comuni dell’edificio e, nel caso specifico del tetto che funge da copertura dell’edificio. Posta la situazione compromessa in cui versa la copertura dell’edificio, l’amministratore dovrebbe prendere tutte le iniziative del caso per mettere in sicurezza tale parte comune, e ciò potrebbe essere fatto da parte sua, visto l’urgenza, senza una preventiva autorizzazione assembleare. Ovviamente la lentezza con cui gli altri proprietari tardano a prendere decisioni in merito, rende anche loro compartecipi del danno causato.

Dato il quadro giuridico sopra prospettato, si ritiene che si possa agire su due fronti. Da un lato si dovrebbe inviare una raccomandata al proprio conduttore pretendendo il pagamento dei canoni scaduti e persistendo l’inadempimento intimare lo sfratto per morosità con successiva richiesta di convalida giudiziaria. La raccomandata sarà sicuramente riscontrata dal legale dell’inquilino ma essa potrà essere un valido elemento da utilizzare nei confronti del condominio e del suo amministratore. Parallelamente alle contestazioni verso il conduttore, infatti, sarà necessario inviare una ulteriore raccomandata nei confronti dell’amministratore e degli altri proprietari con la quale intimare la pronta rimessa in pristino della copertura dell’edificio, con contestuale richiesta dei risarcimenti danni derivanti dalla situazione precaria in cui versa la copertura dello stabile, danni a cui non dovranno far fronte solo gli altri condomini, ma anche l’amministratore personalmente per violazione degli artt. 1130 n.4) e 2051 del c.c.

In merito al contenzioso aperto con l’inquilino è giusto precisare che a fronte del fatto che i canoni sono comunque da lui dovuti, egli potrebbe reagire alla richiesta del loro pagamento per vie legali, richiedendo a sua volta un risarcimento del danno derivati dalle infiltrazioni. Per capire se tale richiesta di risarcimento possa avere un fondamento, bisognerebbe avere maggiori informazioni sull’effettivo stato di salute dello stabile e, in ogni caso, sarebbe comunque onere dell’inquilino dimostrare l’entità dei danni e il fatto che essi trovino la loro causa dalla situazione di degrado in cui versa l’appartamento. Ciò non toglie che comunque potrebbe essere utile valutare una soluzione transattiva con l’inquilino che potrebbe essere a sua volta validamente utilizzata nel contenzioso aperto col condominio e il suo amministratore.









Giovanni A. chiede
mercoledì 27/05/2020 - Lombardia
“Spettabile Studio Brocardi ,
In Luglio 2019 purtroppo è deceduto mio padre a causa di un infarto. La morte è avvenuta nel appartamento in cui viveva da solo da lui preso in affitto con regolare contratto. A seguito del ritrovamento del corpo avvenuto in data 29/07/2019 l’appartamento è stato posto sotto sequestro dalla Procura della Repubblica. Il sequestro è durato dal 29/07/2019 al 03/09/2019 giorno in cui è avvenuto il dissequestro dell’immobile.
Ora, a seguito del fatto che mio padre aveva pagato anticipatamente il canone di tre mesi relativo al periodo dal 25/05/2019 al 24/08/2019, dal locatario mi viene richiesta la parte di canone relativa al periodo dal 25/08/2019 al 03/09/2019, periodo nel quale l’appartamento era posto sotto sequestro. L’importo relativo a questi giorni lo andrebbe a sottrarre dal deposito cauzionale versato alla stipula del contratto. E’ corretto pretendere un canone d’affitto per un periodo in cui non si ha a disposizione il bene in quanto è stato posto sotto sequestro? Esiste una legge o una sentenza che tratti del caso in questione?
Inoltre, siccome nel contratto d’affitto è presente la seguente dicitura ‘Ove nel corso della locazione venga dichiarata l’inabitabilità o l’inidoneità all'uso contrattuale di tutto o parte dei locali, per l’eventuale conseguente risoluzione del contratto, i locatori dovranno solo restituire la parte di pigione anticipata, proporzionalmente al mancato godimento escluso ogni altro compenso ed ogni ragione di danni, salva l’ipotesi del 2 cap. dell’Art. n. 1578 C.C.’ è pretendibile da parte nostra la restituzione della parte di pigione relativo al periodo del sequestro in quanto l’immobile era di fatto inabitabile?
Ringrazio anticipatamente e porgo cordiali saluti”
Consulenza legale i 31/05/2020
In base a quanto descritto, il padrone di casa-locatore ha tutto il diritto di pretendere da parte dell’erede del conduttore il pagamento dei canoni di locazione non ancora corrisposti.

Il motivo principale di tale conclusione, sta nel fatto che il provvedimento di sequestro penale che ha reso l’immobile locato non utilizzabile per i suoi fino abitativi, non è scaturito da un fatto che possa essere ricollegato ad un comportamento negligente del locatore stesso, e pertanto non possono essere a lui accollate le conseguenze dannose di tale provvedimento. Anche la clausola contrattuale citata nel quesito va interpretata nel senso appena descritto. La inabitabilità o inidoneità all'uso contrattuale di tutto o parte dei locali, deve infatti derivare da un fatto riconducibile al locatore.

La giurisprudenza in questo senso è assolutamente costante, ma per l’attinenza al caso descritto è giusto citare Cass. Civ., Sez.III, n.13142 del 25.07.2017. La materia del contendere trattata da tale pronuncia riguardava una società, conduttrice di un immobile commerciale, la quale richiedeva i danni alla società proprietaria dei locali. Tali danni, sosteneva la conduttrice, erano derivanti dal periodo di fermo della attività, il quale a sua volta era stato causato da un sequestro penale emesso dalla autorità giudiziaria a seguito della morte accidentale di una lavorante avvenuto all’ interno dei locali.
I Supremi giudici hanno respinto la richiesta risarcitoria, e confermato la sentenza impugnata, sostenendo che la società conduttrice non sia riuscita a dimostrare in giudizio che il fatto impeditivo, cioè la morte della lavorante e il conseguente sequestro penale, sia derivato da una responsabilità della società locatrice.

In questo senso è anche utile citare Cass.Civ, Sez.III, n. 20908 del 22.08.2018, anche questa attinente ad un caso del tutto analogo. Tale pronuncia affronta la possibilità di applicare l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 del c.c. al contratto di locazione. L’eccezione di inadempimento, permette ad uno dei contraenti, nei contratti a prestazioni corrispettive come la locazione, di non adempiere la propria prestazione, se l’altra parte non adempie a sua volta la propria. A fronte del fatto che l’abitazione non poteva essere abitata in forza di un sequestro penale, può il conduttore, invocando l’eccezione di inadempimento, rifiutarsi di corrispondere i canoni di locazione? A questa domanda la sentenza sopra citata, risponde: assolutamente no. Dice la sentenza: "La giurisprudenza non consente al conduttore di avvalersi dell'art. 1460 c.c., astenendosi dal versare il canone, ovvero riducendolo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti". Nel caso prospettato il locatore non ha fatto assolutamente mancare la sua prestazione, in quanto l’inabitabilità della casa è derivato da un fatto a lui non riconducibile.

Anonimo chiede
martedì 19/09/2017 - Campania
“Il condominio ha affidato in appalto all'Impresa lavori per € 200.000 - L'impresa ha eseguito lavori per € 170.000 a fronte di pagamenti per € 140.000 - differenza, da contratto, da versare a rate mensili - l'impresa è fallita - il curatore reclama il pagamento del saldo - va tenuto conto del mancato completamento dei lavori, di eventuali difetti rilevati dal direttore dei lavori, della impossibilità di assicurare le garanzie di legge nella determinazione del saldo?”
Consulenza legale i 08/10/2017
In base a quanto esposto, sembrerebbe che entrambe le parti del contratto, appaltante ed appaltatore, non abbiano adempiuto correttamente e completamente alle obbligazioni assunte con l’accordo.
L’appaltante, ovverosia il condominio, non ha pagato il corrispettivo pattuito, mentre l’appaltatore, l’azienda fallita, non ha eseguito i lavori a regola d’arte.

Il contratto d'appalto è un contratto a prestazioni corrispettive e dunque, quando una parte non adempie alle obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento oppure la risoluzione del contratto, fermo in ogni caso il diritto al risarcimento del danno (art. 1453cc c.c.).
Stando a quanto è dato sapere, il curatore dell’azienda fallita vuole agire in giudizio per richiedere l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria dedotta nel contratto d’appalto, ma per fare questo dovrebbe aver eseguito tutte le obbligazioni poste a suo carico.

Il condominio sarà pertanto legittimato ad eccepire in giudizio, a sua volta, l’inadempimento di controparte ex art. 1460 c.c.: “ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l'altro non adempie” (inadimplenti non est adimplendum).

Nel caso di inadempimento reciproco, il giudice dovrà svolgere una valutazione comparativa e unitaria degli inadempimenti delle parti, per stabilire se sussista o meno l’inadempimento che legittima la risoluzione.
Dovrà tener conto dell’elemento cronologico (chi è stato il primo a rendersi inadempiente) ed al rapporto di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute (l’incidenza di ciascuna obbligazione sull’equilibrio contrattuale), con riferimento alla causa del contratto, alla sua funzione economico-sociale (ex pluribus Cass. n. 14648 del 2013).

All’esito di questa valutazione, se un inadempimento risulterà prevalente sull’altro, si determinerà la risoluzione in capo a chi si è reso responsabile di questo; se la valutazione termina con un giudizio di equivalenza, il giudice respingerà entrambe le domande.

Per quanto riguarda, invece, la mancata conclusione dei lavori, occorrerà anzitutto capire e valutare se questi inadempimenti possono dirsi imputabili all’azienda fallita.
L’inadempimento determina la risoluzione del contratto, solo quando può dirsi imputabile.
L’inadempimento è imputabile quando il contraente non adempie la prestazione dovuta volutamente o per colpa, mentre non è imputabile quando l'obbligato, nonostante l’uso della diligenza, non sia riuscito ugualmente ad eseguire la prestazione.

L’inadempimento dell'obbligo di completare l’opera, sembrerebbe dipendere dall’inoperatività dell’azienda a causa del fallimento; fallimento che a sua volta potrebbe essere stato determinato dalla mala gestio degli amministratori (una cattiva gestione d’azienda) oppure potrebbe essere stato causato da un investimento rivelatosi errato od altri motivi non addebitabili all’amministrazione.

Dunque prima di poter affermare che il condominio possa dare rilievo alla mancata conclusione dei lavori, occorre valutare attentamente se vi è una concreta colpa degli amministratori dell’azienda per tale inadempimento.

Uguale valutazione andrebbe fatta con riguardo all’impossibilità di offrire la garanzia, attesa la liquidazione dell’azienda, ma con una precisazione in più: qui l’inadempimento non è attuale, ma meramente ipotetico, non essendo stato necessario far intervenire l'azienda per vizi dell’opera, e per di più non è certo detto che il fallimento dell’azienda comporti anche il venir meno delle garanzie di legge.
Ad esempio il diritto di ottenere una riduzione del prezzo per l’esistenza di vizi, potrebbe essere fatta valere nei confronti del fallimento, così come ogni pretesa risarcitoria.
Dunque una eventuale responsabilità per inadempimento dell'obbligo di garanzia potrà assumere rilevanza solo quando l'inadempimento diventerà attuale.