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Articolo 42 bis Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

(D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327)

[Aggiornato al 10/12/2023]

Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

Dispositivo dell'art. 42 bis Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.

2. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l'annullamento degli atti di cui al primo periodo del presente comma, se l'amministrazione che ha adottato l'atto impugnato lo ritira. In tali casi, le somme eventualmente già erogate al proprietario a titolo di indennizzo, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.

3. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, l'indennizzo per il pregiudizio patrimoniale di cui al comma 1 è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7. Per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma

4. Il provvedimento di acquisizione, recante l'indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l'emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l'assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione; nell'atto è liquidato l'indennizzo di cui al comma 1 e ne è disposto il pagamento entro il termine di trenta giorni. L'atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute ai sensi del comma 1, ovvero del loro deposito effettuato ai sensi dell'articolo 20, comma 14; è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell'amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2.

5. Se le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 4 sono applicate quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata o convenzionata, ovvero quando si tratta di terreno destinato a essere attribuito per finalità di interesse pubblico in uso speciale a soggetti privati, il provvedimento è di competenza dell'autorità che ha occupato il terreno e la liquidazione forfetaria dell'indennizzo per il pregiudizio non patrimoniale è pari al venti per cento del valore venale del bene.

6. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale; in tal caso l'autorità amministrativa, con oneri a carico dei soggetti beneficiari, può procedere all'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio dei soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua o energia.

7. L'autorità che emana il provvedimento di acquisizione di cui al presente articolo né dà comunicazione, entro trenta giorni, alla Corte dei conti mediante trasmissione di copia integrale.

8. Le disposizioni del presente articolo trovano altresì applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi è già stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato, ma deve essere comunque rinnovata la valutazione di attualità e prevalenza dell'interesse pubblico a disporre l'acquisizione; in tal caso, le somme già erogate al proprietario, maggiorate dell'interesse legale, sono detratte da quelle dovute ai sensi del presente articolo.

Massime relative all'art. 42 bis Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

Cons. Stato n. 3871/2019

In materia di espropriazione per pubblica utilità il provvedimento di acquisizione sanante emanato dall'amministrazione, ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001, determina l'improcedibilità delle domande di restituzione e di risarcimento del danno proposte in relazione all'area di proprietà del richiedente.

Cons. Stato n. 3467/2019

Le controversie sulla spettanza del potere/dovere ex art. 42-bis e delle correlate e presunte responsabilità sono del tutto inutili, in quanto il soggetto che adotta il provvedimento ex art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 e corrisponde il valore venale deve e può rivalersi sul soggetto ritenuto responsabile della illegittimità della procedura espropriativa e condannato a corrispondere il risarcimento del danno, dovendo essere tenuta distinta la questione della responsabilità per l'illegittimità della procedura espropriativa seguita da quella dell'individuazione del soggetto competente all'acquisizione, quale autorità attualmente utilizzatrice del bene.

Cons. Stato n. 3195/2019

La realizzazione di un'opera pubblica su un fondo oggetto di legittima occupazione in via di urgenza, non seguita dal perfezionamento della procedura espropriativa costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, ed è, come tale, inidonea, da sé sola, a determinare il trasferimento della proprietà in favore della P.A. Infatti, l'espropriazione deve sempre avvenire in buona e debita forma, e l'illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente.

La controversia che ha ad oggetto la restituzione di un suolo, ovvero il risarcimento del danno per la perdita della proprietà del medesimo, occupato d'urgenza, in forza di una dichiarazione di pubblica utilità e/o di indifferibilità e urgenza, ancorché illegittima perché priva dei termini iniziale e finale dei lavori, e in mancanza del completamento delle procedure di esproprio, è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, a causa del collegamento della realizzazione dell'opera fonte di danno con la dichiarazione suddetta, senza che rilevi la qualità del vizio da cui sia affetta quest'ultima, in quanto il comportamento della Pubblica Amministrazione è la conseguenza di un assetto di interessi conformato da un originario provvedimento ablativo, espressione di un potere amministrativo in concreto esistente, riguardante l'individuazione e la configurazione dell'opera pubblica sul territorio, cui la condotta successiva, anche se illegittima, si ricollega in senso causale.

Cass. civ. n. 13071/2018

Il risarcimento del danno da occupazione sine titulo integrato dall'importo complessivo del canone di locazione pari alla durata dell'occupazione configura un danno punitivo, se non viene provata la concreta intenzione del proprietario di mettere a frutto l'immobile in questione. Infatti, può accadere che il proprietario di un immobile, per libera scelta, decida di non trarne alcun guadagno.

Cons. Stato n. 3105/2018

La condotta illecita dell'amministrazione, quale che sia stata la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non può comportare l'acquisizione del bene medesimo, giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 c.c., ne consegue che la suddetta condizione di illiceità può cessare solo in conseguenza: a) della restituzione del fondo; b) di un accordo transattivo; c) della rinunzia abdicativa (e non traslativa, secondo una certa prospettazione delle SS.UU.) da parte del proprietario implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario a fronte della irreversibile trasformazione del fondo; d) di una compiuta usucapione, ma solo nei ristretti limiti individuati dal Consiglio di Stato (Sez. IV, n. 3988 del 2015 e n. 3346 del 2014); e) di un provvedimento emanato ex art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, solo impropriamente definito "acquisizione sanante".

Cons. Stato n. 1778/2017

Deve ritenersi legittimamente adottata una deliberazione con la quale il Consiglio comunale, ai sensi dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, ha disposto l'acquisizione sanante di un fondo privato, illegittimamente occupato per scopi di interesse pubblico, nel caso in cui, in tale provvedimento sia stato espressamente previsto che il trasferimento del diritto di proprietà alla mano pubblica si produrrà solo al momento dell'effettivo pagamento delle somme da parte della P.A. in favore della proprietà, senza alcuna efficacia retroattiva del medesimo provvedimento.

Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per una controversia proposta dal privato proprietario di un fondo per l'annullamento della delibera con la quale la P.A. che lo aveva illegittimamente occupato, ne ha disposto l'acquisizione sanante ex art. 42-bis, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, ove la controversia attenga esclusivamente alla quantificazione dell'importo dovuto in applicazione di detto articolo, non venendo in contestazione l'utilizzo, da parte dell'Amministrazione, di tale strumento né la legittimità dello stesso in relazione alla sussistenza dei presupposti normativamente previsti per la emanazione di un provvedimento di acquisizione sanante.

Cass. civ. n. 8810/2017

In materia di espropriazione per pubblica utilità, la necessità di interpretare il diritto interno in conformità col principio enunciato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, secondo cui l'espropriazione deve sempre avvenire in "buona e debita forma", comporta che l'illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione, sicché il privato ha diritto a chiederne la restituzione, salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente.

In caso di occupazione usurpativa, la natura permanente dell'illecito perdura fino al momento dell'atto abdicativo della proprietà da parte del privato ovvero dell'azione restitutoria da esso intrapresa, non essendo in sé l'occupazione suscettibile di determinare l'effetto acquisitivo in favore della P.A. Invero la perdita della proprietà da parte del privato, in questi casi, non è conseguenza dell'accessione invertita, essendo l'opzione del proprietario per una tutela risarcitoria, in luogo della pur possibile tutela restitutoria, a comportare un'implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato.

Cons. Stato n. 4457/2016

Ai fini della determinazione dell'indennità di cui all'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, l'Amministrazione - in sede di emissione di un provvedimento di acquisizione sanante - deve prevedere: a) una somma costituita dal valore venale del bene calcolato al momento dell'emanazione del provvedimento de quo; b) in aggiunta, deve prevedere una somma pari al 10% del valore venale per il ristoro del pregiudizio non patrimoniale; c) infine, deve prevedere una somma pari al 5% annuo sul valore venale per il periodo di occupazione illegittima.

Sebbene l'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 non espliciti la regola per cui il computo dell'indennità va riportato al valore del bene al momento dell'acquisizione sanante, la giurisprudenza è pacificamente orientata in tal senso, atteso che "...la norma prevede bensì la corresponsione di un indennizzo determinato in misura corrispondente al valore venale del bene e con riferimento al momento del trasferimento della proprietà di esso, sicché non vengono in considerazione somme che necessitano di una rivalutazione". L'indennità spettante ex art 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 deve pertanto essere computata con riferimento alla data di emissione del provvedimento, ferma restando la precisazione per cui il valore di mercato va determinato tenendo conto delle caratteristiche attuali del bene e, quindi, anche dell'irreversibile trasformazione del fondo nel frattempo intervenuta.

L'indennizzo pari al 10% del valore venale che va liquidato in sede di determinazione dell'indennità ex art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, è previsto dalla stessa norma per il solo pregiudizio non patrimoniale e non anche per quello patrimoniale; tale indennizzo costituisce un importo ulteriore, non previsto per l'espropriazione condotta nelle forme ordinarie, determinato direttamente dalla legge, in misura certa e prevedibile, per il quale il privato, in deroga alle regole ordinarie, è sollevato dall'onere della relativa prova. La voce del 10% per il pregiudizio non patrimoniale, infatti, istituisce un meccanismo di liquidazione automatica del citato profilo di danno che prescinde da una specifica allegazione e dimostrazione dello stesso.

Cons. Stato n. 2/2016

Con riferimento a una sentenza avente ad oggetto una domanda demolitoria di atti concernenti una procedura espropriativa, il commissario ad acta può emanare il provvedimento di acquisizione coattiva previsto dall'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327: a) se nominato dal giudice amministrativo a mente degli artt. 34 comma 1 lett. e), e 114 comma 4 lett. d) Cod. proc. amm. qualora tale adempimento sia stato previsto dal giudicato de quo agitur; b) se nominato dal giudice amministrativo a mente dell'art. 117 comma 3 stesso codice, qualora l'Amministrazione non abbia provveduto sull'istanza dell'interessato che abbia sollecitato l'esercizio del potere di cui al menzionato art. 42-bis.

Cons. Stato n. 4777/2015

Il nuovo istituto dell'acquisizione sanante di cui all'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 - introdotto dall'art. 34 comma 1 D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011 n. 111 a seguito della declaratoria di incostituzionalità per eccesso di delega del previgente art. 43 - è qualificabile come una "sorta di procedimento espropriativo semplificato, che assorbe in sé sia la dichiarazione di pubblica utilità, sia il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma".

Cons. Stato n. 4403/2015

L'istituto dell'acquisizione sanante previsto dall'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 è tale da porre nel nulla l'eventuale precedente condanna giudiziale alla restituzione del fondo occupato sine titulo, in quanto l'ordine di restituzione non incide sulla struttura dell'istituto stesso che presuppone appunto l'assodata lesione del diritto di proprietà altrui - dal momento che la restituzione è conseguenza dell'accertamento della proprietà dei beni -, non implica effetti costitutivi e non è idoneo a paralizzare un atto di Autorità che consapevolmente viola il diritto di proprietà senza contestarne la titolarità.

Cons. Stato n. 4193/2015

L'obbligo di restituzione del bene illegittimamente occupato nell'ambito di una procedura espropriativa non ricade sul soggetto che ha commesso l'illecito ma, come correttamente evidenzia l'art. 42-bis del D.P.R. n. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazione), su "l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico". E, in effetti, la norma positiva evidenzia un dato di palese e incontroversa ragionevolezza, atteso che sarebbe impossibile imporre la restituzione a un soggetto che non ha più la disponibilità del bene.

Cons. Stato n. 3988/2015

In linea generale deve escludersi che la P.A. possa usucapire aree illegittimamente occupate ed irreversibilmente trasformate nell'ambito di una procedura di espropriazione per p.u., impedendo in tal modo, addirittura, trattandosi di acquisto a titolo originario, che il proprietario possa chiedere l'applicazione dell'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 (sulla c.d. acquisizione sanante), norma la cui costituzionalità è stata riconosciuta dal giudice delle leggi con la recentissima sentenza n. 71/ 2015.

Corte cost. n. 71/2015

In tema di acquisizione sanante è infondata, con riferimento agli artt. 42, 111 comma 1 e 2, 117 comma 1, 3, 24, 97 e 113 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 che disciplina l'utilizzazione senza titolo, da parte della Pubblica Amministrazione, di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, prevedendo che l'Autorità che utilizza il bene possa disporne l'acquisizione, non retroattiva, al proprio patrimonio indisponibile, contro la corresponsione di un indennizzo patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfettariamente liquidato nella misura del 10 per cento del valore venale del bene, mentre per l'eventuale periodo di occupazione senza titolo è computato, a titolo risarcitorio, un interesse del 5 per cento annuo sul valore venale, salva la prova del maggior danno, con la precisazione che le nuove regole valgono non solo quando manchi del tutto l'atto espropriativo, ma anche laddove sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio.

Cass. civ. n. 735/2015

Alla luce della giurisprudenza comunitaria, deve ormai escludersi la possibilità di affermare in via interpretativa che da una attività illecita della P.A. possa derivare la perdita del diritto di proprietà da parte del privato. Caduto l'istituto della cd. occupazione acquistiva, in quanto contrastante con i principi affermati dall'art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU, diviene applicabile lo schema generale degli artt. 2043 e 2058 c.c., il quale non solo non consente l'acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell'immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione, ecc.), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell'art. 2043 c.c.: esattamente come sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa.

Alla luce della costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, deve ritenersi che, quando il decreto di espropriazione per p.u. non sia stato emesso o sia stato annullato, l'occupazione e la manipolazione del bene immobile di un privato da parte dell'Amministrazione si configurano, indipendentemente dalla sussistenza o meno di una dichiarazione di pubblica utilità, come un illecito di diritto comune, che determina non il trasferimento della proprietà in capo all'Amministrazione, ma la responsabilità di questa per i danni; in particolare, con riguardo alle fattispecie già ricondotte alla figura dell'occupazione acquisitiva, viene meno la configurabilità dell'illecito come illecito istantaneo con effetti permanenti e, conformemente a quanto sinora ritenuto per la c.d. occupazione usurpativa, se ne deve affermare la natura di illecito permanente, che viene a cessare solo per effetto della restituzione, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell'occupante che lo ha trasformato, ovvero della rinunzia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente.

Nel caso di occupazioni illegittime della P.A. nell'ambito di procedimenti espropriativi, si deve escludere che il proprietario perda il diritto di ottenere il controvalore dell'immobile rimasto nella sua titolarità. Infatti, in alternativa alla restituzione, al proprietario è sempre concessa l'opzione per una tutela risarcitoria, con una implicita rinuncia al diritto dominicale sul fondo irreversibilmente trasformato; tale rinuncia ha carattere abdicativo e non traslativo: da essa, perciò, non consegue, quale effetto automatico, l'acquisto della proprietà del fondo da parte dell'Amministrazione (3). La cessazione dell'illecito può aversi, infatti, per effetto di un provvedimento di acquisizione reso dall'Amministrazione, ai sensi del T.U. di cui al D.P.R. n. 327/2001.

L'illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l'irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un'opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all'acquisto dell'area da parte dell'Amministrazione ed il privato ha diritto a chiederne la restituzione salvo che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno. Il privato, inoltre, ha diritto al risarcimento dei danni per il periodo, non coperto dall'eventuale occupazione legittima, durante il quale ha subito la perdita delle utilità ricavabili dal terreno e ciò sino al momento della restituzione ovvero sino al momento in cui ha chiesto il risarcimento del danno per equivalente, abdicando alla proprietà del terreno. Ne consegue che la prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento dei danni decorre dalle singole annualità, quanto al danno per la perdita del godimento, e dalla data della domanda, quanto alla reintegrazione per equivalente.

Cons. Stato n. 2779/2014

In tema di acquisizione sanante il maggior danno previsto dall'art. 42-bis comma 3 seconda parte T.U. 8 giugno 2001 n. 327 non è sempre e comunque dovuto, bensì spetta soltanto se dalla parte interessata viene provato che il danno effettivamente subito è maggiore dall'ammontare dell'interesse del 5% annuo liquidato in ogni caso per il periodo di occupazione abusiva a titolo di risarcimento del danno.

In tema di acquisizione sanante, nel caso in cui l'indennità dovuta al proprietario coltivatore è calcolata, ai sensi dell'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327, in base al valore venale dei terreni agricoli - che è sempre maggiore del loro valore agricolo medio - viene meno la possibilità di riconoscere gli importi aggiuntivi previsti dall'art. 40 comma 4, ancorché a titolo di maggior danno, considerata anche la tendenziale omnicomprensività dell'indennità riconosciuta nell'ipotesi di acquisizione sanante, potendosi diversamente ritenere palesemente sproporzionato l'importo dovuto dall'Amministrazione ove utilizzi l'art.42-bis già citato.

Cons. Stato n. 2232/2014

Il procedimento di acquisizione sanante previsto dall'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327 può avere applicazione solo dove vi sia ancora da acquisire alla proprietà pubblica il bene, acquisito solo in via di fatto, da cui deriva l'ovvia conseguenza dell'impossibilità di applicare il meccanismo di acquisizione sanante (nella specie valutato in relazione al previgente art. 43 citato T.U.), nei casi in cui la Pubblica amministrazione già risulti titolare dell'area espropriata, in base ad una sentenza del giudice civile che abbia espressamente ravvisato tale titolarità, con una statuizione inequivocabile su cui si è formato il giudicato.

Cass. civ. n. 441/2014

In tema di acquisizione sanante, non è manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111 e 117 comma 1 Cost. - anche alla luce degli artt. 6 e 1 del I protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, resa esecutiva dalla L. 4 agosto 1955 n. 848 - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34 D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito con modifiche dalla L. 15 luglio 2011 n. 111, il quale ha introdotto l'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327, tenendo presente fra l'altro che: a) la "legalizzazione dell'illegale" non è consentita dalla giurisprudenza di Strasburgo neppure ad una norma di legge, né tanto meno ad un provvedimento amministrativo di essa attuativo, quale è quello che disponga la predetta (reintroduzione dell'acquisizione sanante; b) rivive con la norma in parola la possibilità per l'Amministrazione che utilizza un bene privato senza titolo per scopi di interesse pubblico, di evitarne la restituzione al proprietario (e/o la riduzione in pristino stato) attraverso il ricorso ad un atto di acquisizione coattiva al proprio patrimonio indisponibile, che sostituisce il procedimento ablativo prefigurato dal citato T.U., e si pone, a sua volta, come una sorta di procedimento espropriativo semplificato - con dubbio di elusione delle garanzie poste dall'art. 42 Cost. a tutela della proprietà privata -, il quale assorbe in sé sia le dichiarazione di pubblica utilità, che il decreto di esproprio, e quindi sintetizza uno actu lo svolgimento dell'intero procedimento, in presenza dei presupposti indicati dalla norma.

Cons. Stato n. 4318/2013

Dopo l'entrata in vigore dell'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327, disposto per effetto dell'art. 34 comma 1 D.L. 6 luglio 2011 n. 98 convertito con modificazioni dalla L. 15 luglio 2011 n. 111, nell'ipotesi di utilizzo di un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, la Pubblica amministrazione ha in ogni caso l'obbligo di far venir meno l'occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, dovendo scegliere a tal fine - alternativamente - tra l'emanazione di un provvedimento adottato in base alla disciplina ivi contenuta e - per l'appunto - sanante la situazione di illegittimità determinatasi, ovvero l'immediata restituzione del bene la cui occupazione si sia protratta contra ius previo ripristino dell'area e il pagamento dei danni da illegittima occupazione, senza che l'avvenuta realizzazione dell'opera pubblica precluda l'una l'altra via, tenendo presente che allo stesso tempo, non risulta esclusa dall'ordinamento la possibilità per le parti di accordarsi per una cessione bonaria dell'immobile alla Pubblica amministrazione con contestuale accordo per il ristoro dei danni derivanti dall'occupazione illegittima subita.

L'art. 42-bis T.U. 8 giugno 2001 n. 327, emanato a seguito della declaratoria di illegittimità dell'art. 43 avvenuta con sentenza Corte costituzionale 8 ottobre 2010 n. 293, non elimina il potere discrezionale dell'Amministrazione di disporre l'acquisizione sanante di un bene immobile che sia stato modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, agendo solo sul piano processuale, non riproponendo lo schema previsto dal comma 2 dell'originario art. 43, che attribuiva alla P.A. la facoltà e l'onere di chiedere la limitazione alla sola condanna risarcitoria ed al giudice il potere di escludere senza limiti di tempo la restituzione del bene, con il corollario dell'obbligatoria e successiva emanazione dell'atto di acquisizione, con l'avvertenza che la disciplina sopravvenuta non norma più, invece, i rapporti tra azione risarcitoria, potere di condanna del giudice e successiva attività dell'Amministrazione, con la conseguenza che ove il giudice amministrativo condannasse, in applicazione dei principi generali, l'Amministrazione alla restituzione del bene, il vincolo del giudicato eliderebbe irrimediabilmente il potere sanante della P.A. medesima, salva l'autonoma volontà transattiva delle parti, con conseguente frustrazione degli obiettivi perseguiti dal Legislatore.

Cons. Stato n. 1438/2012

In tema di espropriazioni, la domanda giudiziale volta alla restituzione di un'area privata occupata dalla Pubblica Amministrazione è improcedibile qualora sia stato emanato un provvedimento autoritativo di acquisizione ex art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001, anche se i fatti oggetto di causa sono antecedenti all'introduzione di tale normativa. Infatti, il comma 8 dell'art. 42-bis prevede espressamente che la disciplina ivi contenuta sì applica anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore.

In materia di espropriazione, l'art. 42-bis del D.P.R. n. 327/2001 che prevede l'emanazione di un provvedimento di acquisizione dei beni immobili privati occupati in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio è conforme ai principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. Infatti, tale norma consente l'emanazione di un provvedimento espresso e motivato previa valutazione degli interessi in conflitto da parte della P.A. e l'attribuzione dì un indennizzo al privato a seguito dell'emanazione di un provvedimento espresso e motivato.

Cons. Stato n. 6351/2011

Nell'ipotesi in cui sia realizzata l'opera pubblica ed il giudice amministrativo successivamente annulli gli atti ablatori, l'Amministrazione ai sensi dell'art. 42-bis del D.L. n. 98 del 2011, convertito nella L. n. 2011, valutate le circostanze e comparati gli interessi in conflitto, può decidere se demolire in tutto o in parte l'opera (affrontando le relative spese) e restituire l'area al proprietario, oppure se disporre l'acquisizione (evitando che sia demolito, paradossalmente, quanto altrimenti risulterebbe meritevole di essere ricostruito), con la corresponsione al privato di un indennizzo per il pregiudizio subito, patrimoniale e non patrimoniale. L'Amministrazione ha dunque l'obbligo giuridico di far venire meno la occupazione sine titulo e cioè deve adeguare la situazione di fatto a quella diritto.

Cons. Stato n. 5844/2011

In sede di risarcimento del danno per illecita occupazione, devono essere valutati "i danni morali" richiesti dall'appellante sulla base del nuovo art. 42-bis del T.U. Espropriazione n. 327/2001, introdotto dall'art. 34 della cd. "Manovra economica 2011" (D.L. 6 luglio 2011, n. 98), il quale, reintroducendo l'istituto dell'acquisizione sanante, prevede che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, anche con riferimento ai fatti antecedenti (comma 8 del predetto art. 42-bis).

In sede di risarcimento del danno non patrimoniale per illecita occupazione, (trattandosi di obbligazione derivante da illecito extracontrattuale, e quindi di debito di valore), tali somme, determinate con riferimento alla data della trasformazione irreversibile del bene, devono essere rivalutate equitativamente all'attualità sulla base degli indici Istat.

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Consulenze legali
relative all'articolo 42 bis Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

D. P. chiede
martedì 02/04/2024
“Nel lontano 1968, a seguito di lavori di sistemazione/ampliamento di strada comunale, tra il Comune di Torre Orsaia (Sa) e il mio defunto genitore vi fu la seguente permuta mai formalizzata da atti amministrativi:
- il mio genitore cedette porzione del proprio terreno all'Amministrazione Comunale per consentire l'ampliamento della strada comunale;
- l'Amministrazione Comunale, invece, contraccambiò concedendo al mio genitore l'occupazione di adiacente porzione della strada volta alla rettifica del confine così come materializzato, nello stato di fatto, da muretti delimitanti l'attuale sede stradale.
Recentemente, al fine di uniformare lo stato di diritto allo stato di fatto, ho contattato informalmente il locale U.T.C. per il quale sarebbe maturato l'usucapione sulla porzione occupata dalla sede stradale, mentre la porzione occupata dal privato dovrebbe essere oggetto di separata compravendita tra l'Ente ed il sottoscritto.
Su indicazione di un tecnico (successivamente interpellato dallo scrivente), invece, intendo proporre all'Amministrazione Comunale di formalizzare lo scambio bonario avvenuto in passato, senza alcun indennizzo e/o corrispettivo, semplicemente tramite provvedimento amministrativo che faccia ricorso alla c.d. “occupazione sanante” ai sensi dell'ex art. 42 bis D.P.R. n. 327/2001.
Quale soluzione sarebbe più corretta: quella prospettata dallo scrivente oppure quella più onerosa indicata dall'U.T.C.?”
Consulenza legale i 09/04/2024
Al fine di rispondere al suo quesito occorre chiarire i presupposti dell’usucapione da parte dell’Amministrazione Pubblica e il suo rapporto con l’acquisizione sanante ai sensi dell’art. 42-bis del T.U. sugli espropri.

Com’è noto, l’usucapione costituisce un modo di acquisto a titolo originario della proprietà che presuppone il possesso di un bene in modo continuato per un certo periodo di tempo accompagnato dal c.d. utilizzo uti dominus ossia della volontà del soggetto di utilizzare il bene come se ne fosse il proprietario.

L’acquisizione sanante, invece, è un istituto introdotto nel nostro ordinamento sulla spinta del legislatore europeo al fine di porre rimedio ad una prassi in uso nelle Amministrazioni che, in assenza di procedimenti espropriativi correlati da idonei indennizzi economici, sottraevano al privato il diritto di proprietà sul bene per ragioni di interesse pubblico.
Con l’acquisizione sanante, quindi, si consente proprio di regolarizzare la situazione sopra descritta ossia di far si che l’Amministrazione acquisti non retroattivamente il bene a fronte della corresponsione al privato di un indennizzo.

La giurisprudenza si è a lungo interrogata sui due istituti posto che l’eventuale usucapione del bene farebbe venir meno la necessità di un’acquisizione sanante con conseguente pregiudizio, ancora una volta, del diritto di proprietà del privato.

Tuttavia, nonostante le perplessità derivanti da detto pregiudizio, non vi è un orientamento univoco sul punto e non può non essere segnalato quell’orientamento che ritiene compatibili i due istituti vale a dire che consentono alla Pubblica Amministrazione di acquisire il bene occupato, senza titolo, per usucapione in presenza di stringenti presupposti e, quindi, facendo venir meno l’esigenza di regolarizzare la situazione di fatto illegittima per il tramite dell’acquisizione sanante.
I presupposti sopra indicati sono stati ben sintetizzati da una sentenza del Consiglio di Stato che ha chiarito come affinchè possa dirsi maturata l’usucapione da parte della Pubblica Amministrazione è necessario provare “il carattere non violento della condotta; l’esatta individuazione del momento della interversio possesionis; la decorrenza della prescrizione acquisitiva dalla data di entrata in vigore del testo unico dell’espropriazione (30 giugno 2003), perché solo l’art. 43 del medesimo t.u. 8 giugno 2001, n. 327 ha sancito il superamento dell’istituto dell’occupazione acquisitiva, e dunque solo da questo momento potrebbe ritenersi individuato, ex 2935 c.c., il “….giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 9 febbraio 2016, n. 2.).

Quanto detto però non esclude che, in assenza di un accertamento dell’intervenuta usucapione che deve provenire su impulso dell’Amministrazione, il privato possa chiedere al Comune di adottare il provvedimento ex art. 42-bis del T.U. Esproprio e, in caso di inerzia, adire il TAR compente per obbligare l’Amministrazione a pronunciarsi sull’istanza.

Infatti, la giurisprudenza amministrativa ha precisato che “Il proprietario di un immobile illecitamente occupato ed irreversibilmente trasformato non può d’altro canto obbligare l’amministrazione alla stipula di un contratto di vendita ovvero chiedere la corresponsione del suo valore economico se continua ad essere formalmente proprietario del bene; né il giudice può condannare l’amministrazione all’emanazione del provvedimento ex art. 42 bis DPR 327/2001, in quanto di natura discrezionale, ma può solo imporre l’obbligo di provvedere sulla relativa istanza avanzata dai proprietari privati” (ex multis TAR Lazio -Roma n. 677 del 2018).

In conclusione, quindi, appare percorribile, la strada dell’acquisizione sanante, certamente più economica per lei, con il rischio però, che in presenza dei presupposti di cui sopra il Comune possa opporre e far accertare l’intervenuta usucapione del bene.



B. R. chiede
domenica 30/07/2023
“Nel 2006 è stato costruito un porto Turistico a XXX. Conditio sine qua era la costruzione di un parcheggio su un'area prevista sia dal piano del porto che dal PRG. Senonché il proprietario dell'area dove era previsto il parcheggio fece causa al Comune e alla ditta appaltatrice per occupazione usurpativa e restituzione dell'area.
Per non perdere Il finanziamento a fondo perduto di 34.000.000 € Ditta e Comune dichiaravano finiti e collaudati tutti i lavori anche se non era vero, e pensarono di realizzare un parcheggio abusivo occupando senza titolo altro territorio.
Uno di questi proprietari cominciò una lunga causa che è terminata dopo 15 anni con una sentenza del Tar, che ha dato ragione al proprietario, ma con la facoltà al comune di avvalersi del art. 42 bis teu.
Prima di tale sentenza era stato raggiunto tra comune e privato un accordo transattivo approvato dalla g.e. e dal consiglio comunale.
Si chiede se tale accordo è ancora in essere, e se si può applicare l'art. 42 bis sull'area occupata senza titolo e solo per organizzare una truffa allo stato, spacciando l'area dove era stato realizzato il parcheggio come quella prevista in progetto, quindi fuori da un pubblico interesse.
Oppure l'applicazione del 42 bis dovrebbe essere utilizzato solo per l'area dove realmente era previsto sia dal piano del porto che dal prg il parcheggio già dotato di dichiarazione di pubblico interesse.”
Consulenza legale i 07/08/2023
Il quesito ha ad oggetto un profilo legato a una controversia tra privati e P.A. che ha avuto origine da una convenzione urbanistica che risale al 1976 e sulla quale il T.A.R. competente si è espresso solo nel mese di luglio 2023.
Pertanto, il primo elemento di cui tenere conto è che la sentenza emessa dal T.A.R. non è ancora passata in giudicato, cioè non è ancora diventata definitiva e potrebbe, quindi, essere in astratto riformata in tutto o in parte nel caso in cui le parti soccombenti decidano di proporre appello.
Inoltre, dalla sentenza si evince che privati e Comune hanno sottoscritto un accordo transattivo, la cui efficacia è però sospensivamente condizionato all’approvazione regionale della revisione del P.R.G., che però non risulta ancora neppure ancora approvata dal Consiglio Comunale.
Tale accordo, quindi, è ancora in essere, ma potrà avere effetto solo se e quando si sarà avverata tale condizione in esso fissata dalle parti. Non è possibile allo stato indicare eventuali rimedi utilizzabili nel caso in cui l’approvazione regionale non si verifichi, posto che potrebbero essere previste specifiche clausole nel testo dell’accordo, che però non è noto allo scrivente.
Quanto al punto di interesse del quesito, si rileva che la sentenza del T.A.R. ha accolto la domanda di accertamento dell’illegittimità dell’occupazione disposta dal Comune di una porzione immobiliare di proprietà del ricorrente, la quale deve essere perciò o restituita o acquisita ex art. 42 bis, T.U. Espropri.
In proposito, si rileva che la cosiddetta “acquisizione sanante” è un meccanismo ammesso dalla legge proprio per regolarizzare le situazioni di fatto simili a quella di specie, in cui l’Amministrazione abbia costruito un’opera pubblica in assenza di un valido procedimento espropriativo.
In particolare, la P.A., valutato il bilanciamento degli interessi in gioco e le circostanze eccezionali che giustificano l’acquisizione, acquisisce non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile l’immobile utilizzato senza titolo e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest'ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Pertanto, nel caso di specie il provvedimento di acquisizione, se l’amministrazione deciderà di esercitare tale facoltà, riguarderà la porzione effettivamente utilizzata senza titolo e non quella prevista dal progetto.
In ogni caso, va ricordato che l’eventuale atto emesso dal Comune può essere impugnato entro 60 giorni davanti al TAR nel caso in cui se ne contesti la illegittimità, mentre può essere opposto nel termine di trenta giorni davanti alla Corte d’Appello qualora si voglia contestare la misura dell’indennità quantificata dall’Amministrazione.

Anonimo chiede
lunedì 12/12/2022 - Puglia
“L'acquedotto pugliese ha eseguito dei lavori di prolungamento idrico e fognante su suolo pubblico però il prolungamento ha sconfinato per alcuni metri in una proprietà privata, DOMANDA: il proprietario del terreno può richiedere un risarcimento danni?

Consulenza legale i 19/12/2022
In assenza di una procedura espropriativa nei modi previsti dal Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità, l’occupazione del terreno privato da parte della Pubblica Amministrazione per la realizzazione di opere di pubblica utilità assume la natura di una c.d. “occupazione usurpativa”, istituto di natura giurisprudenziale elaborato dalla sentenza n.1907 delle SS.U.U. della Corte di Cassazione del 1997.
In particolare, si parla di occupazione usurpativa quando l’Amministrazione agisce in assenza di una dichiarazione di pubblica utilità o nell’ipotesi in cui essa divenga inefficace.

Tale comportamento della Pubblica Amministrazione costituisce un illecito extracontrattuale e la tutela del cittadino ingiustamente leso da tale comportamento illegittimo si sostanzia nella possibilità di agire per ottenere, alternativamente È opportuno precisare che la richiesta di risarcimento del danno in luogo alla restituzione del bene preclude la possibilità di agire successivamente per ottenerne la riconsegna dell'immobile in quanto è considerata come rinuncia al diritto di proprietà. Inoltre, il risarcimento del danno andrà commisurato sulla base valore venale del bene. Il giudice competente è il giudice ordinario.
Sul punto anche una recente sentenza delle S.S.U.U. della Corte di Cassazione hanno avuto modo di chiarire che “ In tema di conflitto di giurisdizione avente ad oggetto una controversia relativa a un'ipotesi di cosiddetto sconfinamento, ossia del caso in cui la realizzazione dell'opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai provvedimenti amministrativi di occupazione e di espropriazione, oltre che dalla dichiarazione di pubblica utilità, l'occupazione e la trasformazione del terreno da parte della Pubblica amministrazione costituisce un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere, che integra un illecito a carattere permanente, lesivo del diritto soggettivo (cd. occupazione usurpativa), onde l'azione di risarcimento del danno che ne è conseguita rientra nella giurisdizione del giudice ordinario” (Cassazione civile sez. un., 14 ottobre 2020, n.22193).
Trattandosi, poi, di un illecito permanente il termine di prescrizione quinquennale decorre giorno per giorno ossia finché perdura l’occupazione usurpativa.

Infine, occorre ricordare che l’ art. 42 bis del T.U. espropri consente all’Amministrazione, che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio, di disporre con un provvedimento che esso sia acquisito non retroattivamente al suo patrimonio non disponibile e che al proprietario sia riconosciuto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale.


D. V. chiede
lunedì 21/03/2022 - Campania
“Premetto che mi riservo di inviare i documenti richiamati di seguito come allegati.

Nel 2015 presentai un ricorso presso il TAR di XXX per l’esproprio da parte del Comune di alcuni terreni per dei lavori di sistemazione di alcune strade campestri;

Il ricorso si concluse con la sentenza n. 1107/2016 che condannava il Comune ad esprimersi sulla emanazione di un decreto sanante o la restituzione delle aree ed in caso di silenzio nominava un commissario ad acta che, stante il silenzio del Comune, si insediò ed emise il decreto sanante con la Delibera n. 2 del 5 febbraio 2019;

La liquidazione delle indennità avvenne secondo il calcolo riportato nella tabella (All.1) allegata alla Delibera con riferimento a quanto previsto dall’art.42bis, dpr 321/2001 (valore base+10%+5%/anno);

Nel calcolo il valore basico dei terreni espropriati fu ridotto di alcune somme (1.507,75€ e 1.054.15€- vedi col.8 della Tabella) che il Comune riteneva che fossero state già percepite, per cui le indennità liquidate risultarono inferiori a quelle previste;

Il 20/07/2021 ho presentato ricorso in Corte di Appello di XXX (vedi RG 399/2021, denominato “Opposizione alla stima” - All.2) chiedendo il ricalcolo delle indennità liquidate per le somme defalcate dal valore base. E ciò perché a me risultava che non avevo mai ricevuto queste indennità, e anche dopo molte inutili richieste al Comune perché mi mostrasse le quietanze di queste somme che riteneva fossero state già percepite;

A tale ricorso il Comune si costituiva eccependo la “Inammissibilità del ricorso per tardività della domanda” e per la “Infondatezza della domanda” (All.3);

Da parte mia venivano presentate delle Note scritte (All.4) relative, in particolare, alla eccezione di inammissibilità.

La CdA con l’Ordinanza (All.5) dell’8 marzo 2022 respingeva il ricorso perché “tardivamente proposto”.

Alla luce di quanto sopra, ed in particolare, stante, come dice la stessa CdA nella sua Ordinanza ” …pur nella consapevolezza di un disomogeneo quadro interpretativo in materia…”, desidero conoscere se, a parer Vostro, esistono gli estremi per ricorrere in Cassazione contro la inammissibilità del ricorso perché “tardivamente proposto” oppure mi conviene accettare il verdetto di inammissibilità.”
Consulenza legale i 30/03/2022
Il presente quesito dà l’occasione di affrontare un argomento interessante, sul quale la giurisprudenza non ha ancora trovato una riposta univoca, ossia il termine entro il quale il proprietario può contestare l’indennizzo offerto dalla P.A. a seguito dell’acquisizione sanante.
Con l’espressione “acquisizione sanante” ci si riferisce all’istituto disciplinato dall’art. 42 bis, T.U. Espropri, che permette all’Amministrazione che abbia occupato un immobile senza titolo, cioè senza svolgere un legittimo procedimento espropriativo, di conseguire la proprietà del bene, versando un indennizzo al privato quale ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito.

Il problema del termine sorge nel momento in cui il destinatario del provvedimento non concordi con la determinazione della somma compiuta dall’Amministrazione e intenda adire il Giudice per ottenere un indennizzo maggiore rispetto a quello che gli viene offerto.
In proposito, va ricordato che nell’ordinario procedimento espropriativo sono previsti due diversi regimi per le contestazioni relative all’indennità di espropriazione: la decadenza nel termine di trenta giorni per l’opposizione dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se successiva al decreto di esproprio, e -in mancanza di stima definitiva- la prescrizione decennale decorrente dal decreto di esproprio (art. 29, D. Lgs. n. 150/2011).
Nulla, invece, è espressamente previsto per l’acquisizione sanante, in relazione alla quale la giurisprudenza ha seguito due opposte linee interpretative.

La prima è quella adottata anche nel nostro caso dalla Corte d’Appello, che ritiene applicabile il termine breve di trenta giorni, in quanto la stima contenuta nel provvedimento di acquisizione sanante sarebbe caratterizzata dalla tipicità e definitività degli effetti.
Secondo questo indirizzo, sarebbe inoltre irrilevante la mancata menzione dell'acquisizione sanante nella norma di riferimento (art. 29 D.Lgs. cit.), che non avrebbe potuto fare espresso richiamo ad un istituto introdotto nell'ordinamento solo in epoca successiva (Cassazione civile sez. VI, 15 ottobre 2020, n. 22298).

Un diverso orientamento, invece, ritiene che “Argomenti testuali e sistematici militano nel senso che il suddetto termine non sia riferibile anche all'opposizione proposta avverso la determinazione dell'indennizzo nel provvedimento acquisitivo in questione.
In primo luogo, il termine di cui all'art. 54 si riconnette ad un iter procedimentale di determinazione della stima che è estraneo all'istituto di cui all'art. 42 bis, essendo collegato (e consequenziale) alla comunicazione del deposito della relazione di stima, cui segue il pagamento dell'indennità e l'emissione del decreto di esproprio, a norma del D.P.R. del 2001, art. 27, commi 1 e 2. Al contrario, il provvedimento di cui all'art. 42 bis contiene la deliberazione motivata della p.a. di acquisire il bene (cfr. commi 1 e 4) e, contestualmente, la determinazione dell'indennizzo per il pregiudizio in misura corrispondente al valore venale del bene (cfr. comma 3).
In secondo luogo, l'art. 42 bis (la cui introduzione nel D.P.R. 2001 si deve al D.L. 11 luglio 2011, n. 98, conv. in legge 13 marzo 2011, n. 111) non contiene richiami all'art. 54 che prevede il termine di trenta giorni, nè il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 29, contiene richiami all'istituto di cui all'art. 42 bis (già vigente alla data di entrata in vigore del decreto n. 150 del 2011).
Vertendosi in tema di termini per la tutela giurisdizionale di diritti, il principio cui attenersi è quello di stretta interpretazione, il quale impedisce di ravvisare termini perentori in mancanza di una espressa previsione normativa.
Ne consegue che l'opposizione alla liquidazione dell'indennizzo contenuta nel provvedimento di acquisizione di cui al D.P.R. 2011, art. 42 bis, è proponibile nel termine ordinario di prescrizione di cui all'art. 2946 c.c..” (Cassazione civile sez. VI, 17 giugno 2020, n. 11687).

In aggiunta a tali chiare argomentazioni della Suprema Corte, che è valsa la pena riportare integralmente, si nota che proprio il fatto che l’istituto dell’acquisizione sanante sia stato introdotto successivamente al D.Lgs. n. 150/2011 depone in realtà a favore della tesi più “garantista” per il privato.
Infatti, se il Legislatore avesse voluto disporre l’estensione del termine decadenziale anche a questa particolare fattispecie, non avrebbe dovuto far altro che modificare contestualmente pure l’art. 29, D.Lgs. n. 150/2011.
Ciò, tuttavia, non è avvenuto, con la conseguenza che il silenzio del Legislatore potrebbe essere interpretato non come una “svista”, ma come una precisa volontà di escludere l’articolo 42 bis dall’ambito di applicazione del termine de quo.

Inoltre, si nota che l’applicazione del termine breve potrebbe essere ritenuta un onere sproporzionato in capo al destinatario del provvedimento di acquisizione sanante, che già ha subito una grave lesione di un diritto protetto anche a livello sovranazionale dal primo protocollo addizionale della CEDU.
Va ricordato, in proposito, che tale norma ha costituito la base per la dichiarazione da parte della CEDU dell’illegittimità dell’istituto (di creazione giurisprudenziale) dell’occupazione acquisitiva o accessione invertita, ossia proprio la distorsione che ha dato luogo alla necessità da parte del Legislatore di introdurre nel T.U. Espropri il rimedio dell’acquisizione sanante.

In conclusione, vista l’incertezza della giurisprudenza, nonché la presenza di forti argomenti a favore della propria tesi, si consiglia di prendere seriamente in considerazione l’opportunità di ricorrere alla Suprema Corte, eventualmente anche per stimolare la rimessione della questione alle Sezioni Unite al fine di dirimere il contrasto.

Domenico V. chiede
giovedì 20/05/2021 - Campania
“Circa 45 anni fà il Comune di omissis occupò alcuni miei terreni per la sistemazione di alcune strade comunali; poichè nonostante le mie insistenze il Comune non ha mai voluto regolarizzare i lavori eseguiti, nel 2015 mi sono rivolto al TAR. A seguito di sentenza di condanna conclusasi con sentenza del 2016, e della inerzia del Comune, il Commissario ad acta nominato nel 2018 ha provveduto a sistemare la faccenda e a liquidarmi le indennità previste nel 2019.

Succesivamente, qualche mese fà ho scoperto che nei lavori di sistemazione (allargamento) di una delle strade il Comune aveva inoltre fatto costruire un canalone interrato di circa 1 m. di diametro per incanalare le acque piovane, provenienti dalla cunetta della strada allargata, fino ad un torrente sottostante; questo canalone attraversa per un centinaio di metri sottoterra alcuni miei terreni (per i quali il Comune non ha mai comunicato alcuna occupazione) sui quali sono stati anche costruiti dei pozzetti di ispezione che fuoriescono di circa 20-25 cm. dal terreno.

Ho incaricato un tecnico di visionare presso il Comune il faldone relativo ai lavori della strada interessata ed in esso non vi è alcuna traccia della costruzione di questo canalone.
Ho chiesto al Comune di regolarizzare la presenza di questo canalone e dei pozzetti proponendo di liquidarmi una indennità e costituendo una servitù di passaggio, ma nonostante le mie ripetute insistenze il Comune non prende alcuna decisione.

Alla luce di quanto sopra Vi chiedo:
-Quali azioni legali mi consigliate di intraprendere per risolvere questa situazione?
-Poichè la costruzione del canalone risale a oltre 30 anni, vi è prescrizione?”
Consulenza legale i 28/05/2021
In presenza dell’occupazione illegittima di un fondo da parte della P.A., la tutela del privato proprietario può essere attuata alternativamente mediante i seguenti strumenti: l’applicazione dell’art. 42 bis T.U. Espropri; la domanda di restituzione del bene; la domanda di risarcimento danni.
Solo il primo di questi non ha carattere giurisdizionale ma è rimesso all’iniziativa della P.A., mentre per i successivi è necessariamente richiesto l’intervento del Giudice.

Per quanto riguarda l’acquisizione sanante ex art. 42 bis T.U. Espropri è sufficiente ricordare che si tratta di un istituto che permette all’Amministrazione di regolarizzare non retroattivamente le occupazioni illegittime attuate ai fini espropriativi o per la costituzione di servitù, dietro il pagamento di un indennizzo.
Nel caso di specie, pare che un’istanza di questo tipo sia stata già proposta senza alcun esito e, dunque, rimangono aperte le strade giudiziali, che consistono anzitutto nell’instaurazione di un ricorso al Giudice amministrativo avverso il silenzio ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., allo scopo di obbligare la P.A. a dare una risposta esplicita (ex multis, T.A.R. Lecce, sez. III, 20 aprile 2020, n. 468).
Si nota però che il Comune non sembra molto collaborativo e che, comunque, il ricorso avverso il silenzio consentirebbe soltanto di ottenere che la P.A. si pronunci sull’istanza di acquisizione sanante, ma non che la accolga; pertanto, il presente parere si concentrerà soprattutto sulla possibilità sopra accennata di intentare un’azione per la restituzione del bene o per il risarcimento del danno.

Il primo problema che si pone è quello di individuare la giurisdizione corretta davanti alla quale introdurre il processo.
La risoluzione di tale questione preliminare è fondamentale anche in quanto il Giudice amministrativo e quello civile non sempre seguono orientamenti uniformi nella materia in esame e, dunque, per una migliore valutazione del caso è opportuno riferirsi alla giurisprudenza del Giudice che in concreto sarà incaricato di decidere la causa.

Sul punto, va considerato che, a differenza di quanto accaduto per la costruzione della strada, la realizzazione del canalone non è stata preceduta o prevista in alcun atto amministrativo, tanto che non ve ne è traccia negli archivi comunali.
Pertanto, la fattispecie può essere considerata come una occupazione usurpativa, che viene dalla giurisprudenza prevalente esclusa dalla giurisdizione del Giudice amministrativo, in quanto l'occupazione e la trasformazione del terreno da parte della Pubblica amministrazione costituiscono un comportamento di mero fatto, perpetrato in carenza assoluta di potere (Cassazione civile, sez. un., 14 ottobre 2020, n. 22193).
Tra l’altro, la giurisprudenza civile ed amministrativa concordano nel ritenere che lo stesso principio si applichi anche nell’ipotesi di cosiddetto sconfinamento, ossia del caso in cui la realizzazione dell'opera pubblica abbia interessato un terreno diverso o più esteso rispetto a quello considerato dai provvedimenti amministrativi di occupazione e di espropriazione (Cassazione civile, sez. un., 14 ottobre 2020, n. 22193; T.A.R. Palermo, sez. III, 07 dicembre 2020, n. 2717).

Nel caso specifico è poi necessario tenere conto anche del fatto che l’opera realizzata è un canalone e che in astratto potrebbe configurarsi la giurisdizione del Tribunale Regionale delle acque pubbliche ex art. 140, R.D. n. 1775/1933, secondo cui “sono devolute alla competenza del Tribunale regionale delle acque pubbliche tutte le controversie aventi ad oggetto un’occupazione di fondi che si renda necessaria per la costruzione di un’opera idraulica di derivazione, di utilizzazione o di regolamentazione di acque pubbliche, senza distinzione tra occupazioni che siano formalmente e sostanzialmente legittime ed occupazioni che non lo siano, ancorché l’interessato, denunciando l’illegittimità, chieda il risarcimento del danno che ne sia conseguito” (Cassazione civile, sez. VI, 12 dicembre 2018, n. 32069).
In proposito, però, la giurisprudenza è incline a ritenere che le acque piovane, quando non siano destinate a servire un interesse pubblico –come parrebbe nella fattispecie in esame-, non siano qualificabili come acque pubbliche e che le opere per il loro convogliamento non appartengano alle opere idrauliche, con la conseguenza che le relative controversie sono devolute al Giudice ordinario (Cassazione civile, sez. III, 09 febbraio 2000, n. 1451; T.A.R. Firenze, sez. I, 21 marzo 2013, n. 433; Tribunale Milano, 24.08.2005).

Tanto chiarito, secondo la Suprema Corte l'occupazione usurpativa determina le seguenti conseguenze giuridiche: a) viene in rilievo un illecito permanente; b) persiste il diritto di proprietà del bene del privato e, quindi, sono esperibili le azioni di restituzione (salva la rinuncia abdicativa); c) l'azione non è soggetta ad alcun termine prescrizionale; d) ove si opti per la tutela risarcitoria per equivalente, il risarcimento è integrale (Cassazione civile, sez. III, 11 dicembre 2020, n. 28297; Cassazione civile sez. I, 07 settembre 2020, n. 18584).
Tale illecito può cessare per effetto della restituzione del bene, di un accordo transattivo, di un provvedimento di acquisizione ex art. 42 bis (v. sopra), del compimento dell'usucapione da parte dell'occupante che ha trasformato il bene oppure della rinuncia del proprietario al suo diritto (Cassazione civile, sez. I, 13 febbraio 2020, n. 3646; Cassazione civile sez. I, 03 ottobre 2018, n. 24101).

Da tutto quanto sopra, discende che è innanzitutto necessario decidere se agire per la restituzione del bene o per il risarcimento, ricordando che tale ultima opzione viene considerata come una rinuncia da parte del proprietario al diritto alla restituzione.
Inoltre, dato che sono trascorsi circa 30 anni dalla realizzazione dell’opera, vi è il rischio che il Comune opponga l’avvenuta usucapione del bene.
Affinché tale domanda sia accolta, però, occorre l'allegazione e la prova da parte della P.A. della trasformazione della detenzione in possesso utile "ad usucapionem" ex art. 1141 c.c., cioè il compimento di idonee attività materiali di opposizione specificamente rivolte contro il proprietario-possessore, non essendo sufficienti né il prolungarsi della detenzione né il compimento di atti corrispondenti all'esercizio del possesso che di per sé denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene (Cassazione civile sez. I, 27 aprile 2018, n. 10289).
In ogni caso, per contrastare le eventuali pretese della P.A. è possibile controbattere che si tratta di un’opera interrata e su tale base richiamarsi ai principi secondo i quali il possesso clandestino non giova per l'usucapione se non dal momento in cui la clandestinità è cessata (art 1163 c.c.) e le servitù non apparenti, cioè prive di opere visibili e non permanenti destinate al loro esercizio, non possono acquistarsi per usucapione (art. 1061 c.c.).

In conclusione, tutte le suddette soluzioni presentano dei pro e dei contro, che è opportuno vengano valutati con l'assistenza di un legale, il quale potrà anche esaminare in modo più approfondito e diretto il caso di specie.


LUANA S. chiede
giovedì 11/03/2021 - Campania
“Salve, mi è stato notificato una informazione di garanzia per i reati di cui art.181 d.lgs.42/2004, art. 734 cp, e mi è stata notificata una ordinanza di convalida decreto di sequestro preventivo art.321 c.p.p..
Ho acquistato nell' aprile 2018 un terreno agricolo di circa 6 ettari, e da cdu risulta zona agricola, con indicazione di vincolo idrogeologico (confina con un Vallone). Abbiamo , visto il vincolo idrogeologico, richiesto autorizzazione alla trasformazione e mutamento di destinazione dei terreni, in disuso.Il terreno lo ho acquistato per l' azienda agricola, per poter mettere all' interno delle piantagioni (come indicato nel progetto). Abbiamo ricevuto regolare autorizzazione dalla Comunità montana, dopo l' ok della richiesta di nulla osta dal Comune. Abbiamo iniziato la pulizia del terreno. La Forestale è venuta a fare un accertamento, e ci ha sequestrato il terreno, dicendo che secondo loro, era un bosco e che avremmo dovuto chiedere autorizzazione paesaggistica. Il terreno è di 6 ettari, l' area in cui abbiamo lavorato è di 1,3 ettari circa, il sequestro l' hanno effettuato su 4 ettari. i restanti 2 ettari, che non hanno sequestrato, è venuto fuori in sede del controllo, che sulla mia proprietà esiste una strada comunale e un' area con depuratore comunale(nelle acque del Vallone) privi di espropri, autorizzazioni o altri permessi. Vorrei sapere come uscire da questa situazione. Soluzioni per il sequestro e l' accusa ricevuta (penale), e soluzioni con il Comune (strada e depuratore) nella mia proprità. Inoltre sul cdu come già detto il tecnico non ha indicato nè il vincolo paesaggistico, ed ha omesso anche l' indicazione della strada e del depuratore!”
Consulenza legale i 22/03/2021
Per quanto riguarda la questione della presenza sulla porzione di terreno non sequestrata di una strada e di un depuratore realizzati –a quanto si legge- senza titolo da parte del Comune, si osserva quanto segue.

È ormai entrato a far parte del nostro ordinamento il principio, da lungo tempo affermato dalla giurisprudenza della CEDU, secondo il quale la condotta illecita dell'Amministrazione incidente sul diritto di proprietà, indipendentemente dalla sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva), non possa comportare di per sé l'acquisizione autoritativa del fondo da parte della P.A., configurando un illecito di natura permanente ex art. 2043 c.c..

Di fronte alla realizzazione di un’opera pubblica in mancanza di un decreto di esproprio che abbia trasferito la proprietà del bene alla P.A., quindi, il privato proprietario mantiene il diritto di chiedere, anzitutto, la sua restituzione, previa rimessione in pristino, oppure il risarcimento per equivalente, nonché il risarcimento per la perdita delle utilità ricavabili dal bene illegittimamente occupato (Cassazione civile sez. I, 07 ottobre 2020, n. 21581).

Tenendo presente tale regola generale, nel nostro caso, dato che non è chiara la data nella quale siano avvenute l’occupazione e la successiva trasformazione del fondo, è opportuno svolgere alcune brevi considerazioni circa gli istituti della prescrizione e dell’usucapione.

In relazione alla voce di danno derivante dalla perdita del godimento dell’immobile conseguente alla sua occupazione illegittima, la giurisprudenza afferma che la prescrizione quinquennale del diritto ai sensi dell’art. 2947 c.c. decorra dalle singole annualità (T.A.R. Napoli, sez. V, 10 aprile 2020, n. 1372; T.A.R. Roma, sez. I, 09 luglio 2019, n. 9057).

Pertanto, non sarebbe a rigore possibile chiedere al Comune il ristoro di tale specifico danno eventualmente maturato prima del 2016, anche se- in ottica difensiva- si potrebbe tentare di fissare il dies a quo di decorrenza della prescrizione al momento della recente scoperta della presenza delle opere pubbliche, in ossequio al principio secondo cui "la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (art. 2935 c.c.).

Quanto alla possibilità che –in caso la trasformazione del terreno sia avvenuta più di venti anni fa- l’Amministrazione possa eccepire l’avvenuta usucapione e la conseguente perdita del diritto di proprietà sul bene da parte del privato, si segnala che la giurisprudenza civile pare ammettere tale evenienza senza particolari limiti (Cassazione civile sez. III, 11 dicembre 2020, n. 28297), mentre la giurisprudenza amministrativa tende ad escludere la predicabilità sistematica di una “usucapione pubblica”, ritenendo comunque che –a tutto concedere- il termine ventennale inizi a decorrere solo dalla data di entrata in vigore del T.U. Espropri (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2020, n. 5430).

Infatti, sino all’entrata in vigore del Testo Unico, la giurisprudenza italiana era ferma nell’applicare il principio contrario a quello illustrato nel primi paragrafi del presente parere, ritenendo che la trasformazione dell'area implicasse l’acquisto automatico della proprietà del suolo sul quale l'opera pubblica era sorta in capo all'Amministrazione ex art. 938 c.c..

Il privato, quindi, non aveva allora la possibilità di esperire un’azione restitutoria, non potendo più eccepire la propria qualità di proprietario nei confronti della P.A..

Come sopra accennato, tale orientamento è stato superato, dietro la spinta della giurisprudenza CEDU, solo con l’entrata in vigore del T.U. Espropri, avvenuta il 30.06.2003 (art. 59, D.P.R. n. 327/2001).

Ne discende che, per tutte le occupazioni antecedenti a tale data, il tempo durante il quale l'Amministrazione abbia esercitato un potere materiale sul bene occupato in epoca precedente alla entrata in vigore del citato D.P.R. non vale ai fini del computo del termine di usucapione dell'area.

Invero, dato che l'usucapione risponde ad una esigenza di certezza giuridica, premiando il possesso ininterrotto del bene e sanzionando l'inerzia del legittimo proprietario, tale istituto può operare soltanto nei casi in cui il privato possa esercitare i diritti posti a presidio della propria posizione (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2020, n. 5430).

L’applicazione di tale condivisibile tesi al caso specifico, quindi, dovrebbe essere sufficiente ad opporsi fondatamente ad una eventuale contestazione della P.A. circa l’avvenuta usucapione del fondo, non essendo ancora trascorso il termine ventennale calcolato a partire dal 30.06.2003.

Per completare il quadro, infine, è necessario un breve richiamo all’art. 42 bis T.U. Espropri, che disciplina l’istituto della cosiddetta “acquisizione sanante” introdotto dal Legislatore proprio al fine di regolare le situazioni analoghe a quella di specie, in cui un immobile sia stato utilizzato o trasformato per scopi di interesse pubblico, però in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità.

La norma da ultimo citata attribuisce alla P.A. la facoltà, sulla base di una motivata comparazione degli interessi in gioco, di acquisire non retroattivamente il bene nel proprio patrimonio indisponibile, corrispondendo al proprietario un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, calcolato secondo i criteri definiti dallo stesso art. 42 bis..

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, al fine di tutelare il diritto di proprietà sul fondo de quo, è opportuno contestare per iscritto al Comune che in occasione dei controlli della Forestale è emersa la presenza di opere pubbliche realizzate in mancanza di un valido ed efficace decreto di esproprio, chiedendo il risarcimento del danno derivante dalla illegittima occupazione del bene, nonché la sua rimessione in pristino e restituzione.

Nella stessa sede, inoltre, è possibile sollecitare la P.A. ad esprimersi sulla possibilità di emettere il provvedimento di acquisizione sanante, calcolando e versando l’indennizzo dovuto.

Qualora l’Amministrazione si rifiuti di restituire il bene o di acquisirlo ex art. 42 bis, sarà necessario rivolgersi al Giudice per veder riconosciuti i propri diritti restitutori e risarcitori sopra specificati (per ora è prematuro addentrarsi nella questione della giurisdizione del Giudice ordinario o amministrativo in relazione a tali domande, che renderebbe troppo dispersivo il presente parere e che verrà affrontata dal legale incaricato solo qualora si debba agire in giudizio nei confronti del Comune).

Nel caso in cui, invece, il Comune decida di procedere all’acquisizione sanante, ma attribuisca un indennizzo ritenuto insufficiente, è possibile adire il Giudice ordinario affinché quantifichi in via giudiziale le somme dovute (Cassazione civile, SS.UU., 15/10/2020, n.22374).
Per quanto riguarda i profili penalistici del quesito l’informazione di garanzia, nota anche come “avviso di garanzia”, è disciplinata dagli artt. 369 c.p. e 369 bis c.p.p.
Questa risponde all’esigenza di tutelare le prerogative difensive nel processo penale creando un collegamento tra gli atti d’indagine e la necessaria informazione di garanzia. Si tratta di un atto recettizio che deve essere inviato per posta con piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno e deve contenere altresì le norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto.
Nel caso di specie all’interno dell’atto vengono in evidenza l’art. 81 d.lgs. 42/2004 recante la fattispecie di “Opere eseguite in assenza autorizzazione o in difformità da essa" e l’art. 734 c.p. che disciplina il reato contravvenzionale “Distruzione o deturpamento di bellezze naturali".
Si tratta di due fattispecie che presentano alcune caratteristiche simili tra loro con riferimento all’ambito di applicazione della norma.
Il primo reato punisce colui che, in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità ad essa, esegua lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
Le pene previste dal primo comma della fattispecie in esame rimandano a quelle di cui all’art. 44 lett.c) D.P.R. 380/2001 (c.d. Testo unico dell’edilizia) che prevede, nello specifico, l’arresto fino a due anni e l’ammenda da 15.493 euro a 51.645 euro qualora la lottizzazione abusiva di terreni sia per finalità edilizia, come previsto dall’art. 30, comma primo, del medesimo decreto.
La pena viene applicata anche nell’ipotesi di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesaggistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso.
Il comma 1 bis dell’art. 181 d.lgs. 42/2004 prevede poi la pena della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al primo comma ricadano nelle ipotesi a) o b).
Rimane ferma l’applicazione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Qualora l’Autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1 quater la disposizione di cui al primo comma non si applica alle ipotesi previste dalle lettere a), b) e c) del comma 1 ter.
Segue il comma 1 quiquies che prevede l’estinzione del reato qualora vi sia rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa e, in ogni caso, prima che intervenga la sentenza di condanna.
L’art. 181 d.lgs. 42/2004 precisa infine che con la sentenza di condanna viene ordinata contestualmente la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. La copia della sentenza è trasmessa alla Regione e al Comune nel cui territorio è stata commessa la violazione.
Il secondo articolo menzionato nel quesito, l’art. 734 c.p., tutela l’interesse della comunità alla conservazione e al godimento del patrimonio estetico costituito dall’armonica fusione di forme e colori assunta dalla natura in particolari località (Cass. civ., sez. III, sent. 29508/2019).
La principale questione che viene dibattuta con riguardo a questa contravvenzione è quella riguardante la rilevanza del provvedimento con cui la Pubblica Amministrazione autorizza il soggetto interessato ad effettuare l’intervento sulle bellezze naturali oggetto di protezione.
In tal senso, con riguardo al d.lgs. 42/2004, è opportuno ricordare che non vi è un divieto assoluto ad eseguire opere di qualsiasi genere, ma la necessità di un permesso condizionato all’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata dalla competente autorità.
In tal senso vengono in evidenza menzionare tre articoli molto importanti.
L’art. 146 di cui sopra che prevede l’obbligo, in capo ai proprietari, possessori o detentori di beni tutelati, di sottoporre alla Regione o all’ente locale competente i progetti delle opere che intendono eseguire e, in caso di decorrenza del termine, la facoltà di richiedere un intervento sostitutivo della Soprintendenza o della Regione medesima.
Il successivo 147 prevede la necessità del medesimo provvedimento autorizzativo anche nell’ipotesi in cui l’opera sia eseguita da amministrazioni pubbliche.
Infine l’art. 153 impone l’obbligo di posizionare cartelli o altra informativa a carattere pubblicitario nelle prossimità dei beni paesaggistici.
Sul punto si segnala che parte della dottrina, in modo non unanime, ritiene che il conseguimento di un’autorizzazione escluda l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Tale ottenimento, anche quando inidoneo ad escludere l’integrazione dell’elemento oggettivo del reato, può assumere comunque rilevanza sul piano del profilo dell’elemento psicologico del reato.
In tal senso si potrebbe ipotizzare che l’assenza di dolo derivi dalla carenza della consapevolezza di offendere l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice. La consapevolezza dell’agente verrebbe meno anche in virtù dell’affidamento riposto nell’attività della Pubblica Amministrazione.
Tuttavia, alla luce dell’intervento della Corte costituzionale sull’art. 5 c.p., appare più corretto escludere la configurazione del reato contravvenzionale ex art. 734 c.p. qualora il fatto sia posto in essere da un soggetto munito di autorizzazione.
In questo modo si limita l’ambito di operatività dell’esclusione di responsabilità ai soli casi effettivamente meritevoli, negandola invece in tutte quelle circostanze concrete in cui, nonostante il conseguimento dell’autorizzazione, la consapevolezza dell’illeceità del fatto non possa essere seriamente posta in discussione.
Con riferimento ai rapporti tra l’art. 181 d.lgs. 42/2004 e 734 c.p. appare corretta l’interpretazione che propende per il concorso di reati, non essendo ravvisabile un rapporto di specialità tra le due fattispecie.
Infatti il reato previsto dal codice penale contiene l’elemento dell’evento naturalistico, assente nella norma di legge complementare. Mentre quest’ultima richiede l’assenza o la difformità dall’autorizzazione, aspetto invece irrilevante nella fattispecie codicistica (Cass. pen., sent. 37472/2014).
Venendo alle possibili soluzioni dal punto di vista degli aspetti penalistici.
Anzitutto nell’informazione di garanzia viene nominato un difensore d’ufficio che dovrebbe mettersi in contatto con Lei mediante una lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Tale difensore ha l’obbligo di informarla che Lei ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia, aspetto peraltro ripreso dalla stessa informazione di garanzia ex art. 369 e 369 bis c.p.p..
Vi sono due profili da tenere in considerazione.
Il primo è quello riguardante il sequestro ex art. 321 c.p.p. che si inserisce nel c.d. giudizio cautelare penale, parallelo rispetto al procedimento penale principale e concernete esclusivamente il provvedimento di sequestro.
Rispetto a quest’ultima è possibile proporre impugnazione.
Anzitutto l’art. 321 c.p.p. prevede al terzo comma la facoltà per il Pubblico Ministero, l’imputato o chiunque vi abbia interesse, di chiedere la revoca del sequestro quando risultino mancanti i presupposti che ne legittimano l’adozione.
Qualora si decidesse di contestare il merito del provvedimento di sequestro è possibile proporre richiesta di riesame ex art. 322 c.p.p., il cui procedimento è ben definito dall’art. 324 c.p.p.. Tuttavia è opportuno precisare che la proposizione della richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento, come chiarito dall’art. 321 u.c. c.p.p..
La richiesta va avanzata al Tribunale del capoluogo della provincia, in composizione collegiale, in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento entro dieci giorni dalla ricezione degli atti.
Fuori dai casi previsti dall’art. 322 c.p.p. è possibile proporre appello contro le ordinanze di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal Pubblico Ministero ex art. 322 bis c.p.p..
In questo caso competente è il Tribunale del capoluogo della provincia in cui ha sede l’ufficio che ha emesso il decreto.
In ultima analisi è possibile proporre ricorso per Cassazione contro le ordinanze emesse ai sensi degli artt. 322 bis c.p.p. e 324 c.p.p..
In alternativa a quanto sopra l’indagato o l’imputato possono valutare anche la proposizione del ricorso c.d. "omisso medio", attraverso il quale si può adire direttamente alla Corte di cassazione impugnando il decreto di sequestro esclusivamente per motivi di legittimità. Questa scelta processuale rende inammissibile la richiesta di riesame, precludendo ad ogni valutazione nel merito.
Sulla base di quanto esposto si può comprendere come la scelta della tipologia di impugnazione da proporre dipenda da scelte tecniche-strategiche da concordare con il proprio difensore.
Il secondo aspetto concerne più direttamente il procedimento penale il quale si fonda, invece, sulle fattispecie di reato di cui sopra.
Da questo punto di vista appaiono possibili diverse soluzioni.
Qualora non venga effettuata la richiesta di archiviazione da parte del Pubblico Ministero all'esito delle indagini (ipotesi in un certo senso rara), si potrebbe ipotizzare, in accordo con il proprio difensore, di affrontare il procedimento penale nella sua interezza e, nello specifico, il giudizio penale al fine di ottenere una sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. mettendo in evidenza le proprie tesi difensive nell’istruttoria dibattimentale.
Si potrebbe anche optare per alcuni dei riti alternativi al giudizio che offrono alcuni aspetti di premialità all’indagato-imputato.
Si elencano a titolo esemplificativo i seguenti.
Tra questi possono essere annoverati l’oblazione ex artt. 162 c.p. e 162 bis la quale si risolve in una chiusura anticipata del processo, provocata da una richiesta dell’imputato, di regolare in denaro la propria pendenza penale. Il termine oblazione deriva dal latino “oblatum offerre”, comportamento tenuto da colui che offre spontaneamente una somma di denaro al fine di ottenere l’estinzione del reato.
Merita specifica attenzione l’art. 162 c.p. che, riferendosi alle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda, prevede il pagamento di una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la contravvenzione commessa, oltre alle spese del procedimento. In questo senso vi si potrebbe ricondurre l’art. 734 c.p. che prevede la sola pena dell’ammenda.
Merita di essere menzionata anche l’applicazione della pena su richiesta delle parti (meglio nota come patteggiamento) disciplinata dall’art. 444 c.p.p. qualora sussistano i presupposti per la sua richiesta.
L’istanza di patteggiamento risulta ammissibile qualora si rispettino i limiti posti dalla disciplina del codice di procedura penale in base alla quale il c.d. progetto di sentenza va redatto tenendo in considerazione le eventuali circostanze previste dalla legge nonché tenendo in considerazione la diminuzione prevista come incentivo all’imputato per la scelta del rito speciale.
La medesima istanza di patteggiamento va concordata con il Pubblico Ministero e approvata, in udienza, dal Giudice.
È infine consigliabile presentare l’istanza subordinandola alla concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Quando si valuta in sede processuale la formulazione di un’istanza di patteggiamento bisogna prestare molta attenzione anche all’art. 653 comma 1 bis c.p.p. qualora il soggetto rivesta una qualifica soggettiva particolare tale per cui sarebbe successivamente soggetto ad un procedimento disciplinare.
Da ultimo si potrebbe valutare l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova disciplinato dagli artt. 168 bis c.p. e ss. e dall’art. 464 bis c.p.p. qualora sussistano i presupposti previsti dall’istituto giuridico medesimo.
Rimane comunque importante evidenziare che, nonostante il parere espresso da questa Redazione, ogni valutazione processuale dovrà essere concordata con il proprio difensore, sia egli d’ufficio oppure di fiducia.



Andrea S. chiede
martedì 06/08/2019 - Veneto
“Buongiorno,
con atto di compravendita a rogito notaio (omissis) in data 29/6/2017 sono entrato in possesso insieme alla moglie dell'edificio ubicato a (omissis).
Nel documento di rogito del notaio si legge, cito: "Quanto sopra viene compravenduto a corpo e non a misura, nello stato di fatto e di diritto in cui si trova attualmente, con ogni accessione, accessorio e pertinenza, e con ogni diritto, servitù attiva e passiva, uso, ragione ed azione inerente. Con il presente atto si fa espresso richiamo, in particolare, alla servitù di passaggio in atto di compravendita a rogito notaio (omissis) in data 2 aprile 1953, repertorio n. 4096, registrato a (omissis) in data 21 aprile 1953 al n. (omissis)".

Non è stata reperita dal notaio, da me interrogato, alcuna indicazione sulla servitù di elettrodotto gravante sul mio lotto, di qualunque tipo essa sia (volontaria o coattiva, anche se risulta estremamente probabile questa seconda).
L'edificio originale, ora oggetto di intervento di ristrutturazione e ampliamento, all'epoca del rogito era infatti dotato di linea aerea elettrica asservita da palo, il quale era posizionato nella adiacente strada privata che afferisce in via Vanzo e tangente esternamente alla recinzione del mio terreno. Il palo riceveva la linea aerea a monte proveniente da via Manzoni a SUD e la distribuiva con due linee aeree: una verso la mia abitazione, andando ad appoggiarsi ad una parete portante per alimentare le utenze domestiche; un'altra verso un edificio ubicato a EST, sorvolando la strada privata.
Dal muro della mia abitazione dipartiva poi una seconda linea elettrica di servitù fino alla casa del vicino ubicata dietro, sul lato NORD; tale linea sorvolava la mia proprietà.

Per procedere con la ristrutturazione ho dovuto provvedere alla rimozione contatore e distruzione presa, poi ho chiesto e ottenuto da e-distribuzione lo spostamento della linea elettrica; tale intervento è stato eseguito a spese del distributore.
Il vecchio palo è stato rimosso; al suo posto un nuovo palo, molto più grande, è stato installato non nella posizione originale ma più avanti e esattamente a metà della linea di recinzione (spezzando dunque la mia linea di proprietà e fisicamente la recinzione, venendo a costituire a mio avviso un aggravio sul fondo servente). Dal nuovo palo si dipartono due linee aeree di alimentazione: il primo cavo è destinato alla casa del vicino NORD citato sopra e fisicamente passa di nuovo sopra alla mia proprietà; il secondo attraversa la strada privata e va ad attaccarsi al muro di un altro edificio privato. Infine, una linea di tensione scende dal nuovo palo in una canaletta sul lato interno alla mia proprietà e si interra, per andare ragionevolmente ad intercettare il quadro elettrico di recinzione dell'edificio ubicato nell'angolo NORD-EST, di fatto uscendo nuovamente dal mio lotto e attraversando la strada privata.

Da me interrogato a riguardo, un conoscente che lavora al Catasto riporta che "la ricerca è stata effettuata in Catasto con la consultazione della partita d’impianto e in Conservatoria con la consultazione per soggetto e particella, dando entrambe esito negativo", ove per negativo si intenda l'assenza di riferimenti a servitù di elettrodotto o atti costitutivi delle stesse.

E' nel mio interesse, ovviamente, reperire l'atto costitutivo, di natura negoziale, giudiziale o amministrativa, teso a dar vita a quel diritto di servitù (in attuazione del precetto di legge, se coattiva, quale è il caso in esame, trattandosi di servitù di elettrodotto).

In mancanza dell'accordo negoziale, non essendo sufficiente il mero avverarsi dei requisiti legali, la costituzione di servitù coattiva è conseguenza di una sentenza (o di un provvedimento amministrativo) destinata a regolare le modalità concrete dell'esercizio del diritto, nonché a determinare "l'indennità dovuta" da parte del titolare del fondo servito al titolare di quello servente, costituendo il mancato pagamento della stessa causa legittima di opposizione all'esercizio della servitù.

Si tenga in considerazione infine che il Permesso di Costruire numero 016/18 del 26/02/2018 è stato rilasciato dal Comune di (omissis) dopo avere atteso l'autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Comune di (omissis), trattandosi il mio di lotto prossimo al corso del fiume (omissis). Nella relazione paesaggistica preparata dall'architetto e nel progetto depositato non vi è menzione alcuna della presenza di qualsivoglia palo, che deturpa la nuova facciata e sminuisce il valore dell'intero edificio. Non è mia intenzione impugnare la (presunta) assenza di liceità nell'esercizio della servitù in virtù dell'assenza della sua costituzione per una mera questione estetica, quanto segnalare che è assurdo per un privato dover attendere mesi per una Autorizzazione Paesaggistica (che valuta il progetto su un lotto senza alcun palo indicato), condizione necessaria per ottenere il Permesso di Costruire, e poi veder vanificati i propri sforzi per una oggettiva mostruosità.

Ho contattato e-distribuzione, come da consiglio di un loro operatore telefonico, scrivendo un fax in cui chiedo di accertare la presenza dell'atto costitutivo della servitù, al fine di verificarne i limiti e conoscere le mie facoltà quale proprietario del fondo servente.
Qualora non ricevessi risposta dal distributore, o che questa fosse (come mi attendo) nella direzione della assenza di qualsivoglia atto costitutivo, come mi devo muovere per fare valere i miei diritti? Desidererei ovviamente che la linea fosse interrata a spese del distributore, o quantomeno che la soluzione attuale con peggioramento del mio fondo dopo lo spostamento del palo fosse regolarizzata col pagamento della dovuta indennità. In questo caso, come verrebbe stabilita l'indennità?
E' possibile, al limite, iniziare una azione negatoria nei confronti di una servitù coattiva il cui atto costitutivo sia risultato impossibile da trovare?
Grazie, cordiali saluti.

Andrea S.”
Consulenza legale i 28/08/2019
Al fine di dirimere il presente quesito, va sin d’ora anticipato che la giurisprudenza ha confermato la necessità per l’E.N.E.L. (poi sfociata in e-distribuzione) di ottenere l’autorizzazione definitiva prescritta dall’art. 119 del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775 e dall’art. 9 del d.p.r. 18 marzo 1965, n. 342. Tale autorizzazione è infatti necessaria per imprimere carattere di pubblica utilità all’opera, con le conseguenze di disciplina che ne derivano, appunto per via del carattere pubblicistico delle proprie opere di installazione.

In linea di principio, dunque, il proprietario è tenuto a dar passaggio nei suoi fondi alle condutture elettriche aeree o sotterranee solo a chi abbia ottenuto permanentemente o temporaneamente l’autorizzazione dall’autorità competente e solo in tal modo l’ente può, così, legittimamente realizzare le linee di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica.

In relazione a tale autorizzazione l’E.N.E.L. ha diritto alla costituzione della servitù coattiva di elettrodotto (App. Cagliari, 14 aprile 1994, in Rass. giur. Enel, 1995, 173).

L’autorità preposta a concedere l’autorizzazione di cui sopra deve valutare la convenienza e la congruenza dell’impianto da realizzare, attraverso l’emissione di un provvedimento che è una implicita dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Tale dichiarazione, ad ogni modo, condiziona l’esercizio del diritto di costruzione e di gestione dell’elettrodotto nonché conferisce, a favore dell’ente, uno ius ad servitutem habendam. In caso di mancanza di un accordo volontario, è consentito o il ricorso al giudice, per la costituzione della servitù coattiva mediante sentenza, oppure quello alla procedura espropriativa, per imporre l’asservimento in via amministrativa (Cass., Sez. U., 13 maggio 1993, n. 5428, in Giur. It., 1994, I, 1, 1066).

Fatte le dovute premesse, pare opportuno affrontare il caso di specie, in cui ci si duole della mancanza di qualsivoglia accordo tra il privato e la P.A. e soprattutto di un valido provvedimento in merito.

Mancando qualsiasi provvedimento legittimo dell’autorità che autorizzasse e-distribuzione a realizzare l’opera, viene in soccorso il recente art. 42 bis T.U. Espr, il quale disciplina l’istituto della c.d. acquisizione sanante. In pratica, tale nuovo istituto (creato proprio per risolvere le numerose controversie in cui l’Autorità pretendeva di acquisire il bene una volta iniziata l’opera abusiva) consente alla P.A. di correggere i propri inadempimenti, acquisendo legittimamente il bene e indennizzando adeguatamente il privato.

Il fenomeno dell'acquisto del bene in capo alla pubblica amministrazione in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio è stato affrontato dal T.U. Espr. muovendo su due versanti. Da un lato ha dettato una specifica disciplina in punto di risarcimento da occupazione, da un altro lato ha introdotto l'innovativa figura dell'acquisizione sanante di cui all’art. 42 bis T.U. Espr..

L'articolo suindicato accomuna tutte le ipotesi di occupazione illegittima del fondo, ricomprendendo nel suo ambito di applicazione i due vecchi istituti dell'occupazione usurpativa ed espropriativa. La nuova disciplina è infatti destinata ad operare sia quando manchi del tutto l'atto espropriativo, sia in relazione alle ipotesi in cui siano stati annullati l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, il provvedimento che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera ovvero il decreto di esproprio.

Al fine di “rientrare nell'alveo della legalità”, si prevede l'obbligo per la p.a., qualora proceda all'acquisizione del fondo nei casi di interesse pubblico attuale ed eccezionale, di corrispondere un doppio indennizzo, comprensivo sia dei pregiudizi patrimoniali, sia di quelli non patrimoniali subiti dal privato illegittimamente espropriato, pari rispettivamente al valore venale del bene ed al dieci per cento di tale somma.

Per quanto esposto, ne consegue il diritto del privato proprietario a chiedere ed ottenere un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, forfettariamente determinato dallo stesso legislatore nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.

Va anche evidenziato che il comma 3 della medesima norma aggiunge che “per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”, ossia sul valore venale del bene.

Ad ogni modo, si rimanda alla lettura della norma, la quale disciplina in ogni dettaglio il procedimento.

Angela D. chiede
lunedì 25/02/2019 - Puglia
“Adesso le mie idee sono abbastanza chiare sui criteri indennitari dell'art. 42 bis, ma una cosa mi resta oscura, per cui vi prego di rispondermi non solamente dicendomi "é così, punto e basta", ma per cortesia datemi una spiegazione sia pure telegrafica ma che spieghi perché il comma 3 del 42bis , che fra l'altro recita : "....a titolo risarcitorio...l'interesse del 5 per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma", (il quale comma parla solo di pregiudizio patrimoniale) debba invece calcolarsi non solo sul pregiudizio patrimoniale, ma anche sul pregiudizio non patrimoniale, come mi avete detto più volte. Vorrei capire, ci tengo molto. Saluti DiBello Angela”
Consulenza legale i 01/03/2019
La questione oggetto del presente quesito necessita effettivamente di una ulteriore precisazione.

Questo perché il comma 3 dell'art. 42 bis T.U.Espr. stabilisce che per il periodo di occupazione antecedente senza titolo è computato a titolo risarcitorio l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato a titolo di pregiudizio patrimoniale.

Tuttavia, il medesimo comma, tramite l'inciso “se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno”, apre la via per poter quantificare diversamente (sia in melius che in peius) l'entità del risarcimento. Difatti, al contrario di quanto previsto all'inizio del comma in questione, ove la legge si riferisce espressamente al pregiudizio patrimoniale, qui si fa riferimento solo al danno, senza ulteriori specificazioni.

Se dunque, all'interno del procedimento, il privato ha dimostrato la sussistenza di un danno non patrimoniale (oltre che per la perdita definitiva del bene in seguito all'acquisizione definitiva sanante), anche per il pregiudizio morale subito durante l'occupazione illegittima, nulla vieta di pretendere un ristoro anche per tale periodo, qualora l'abuso (perché di abuso si tratta) dei propri poteri da parte dell'amministrazione abbia cagionato un patimento a livello personale.

Purtroppo non sussistono riferimenti giurisprudenziali in merito a tale particolare questione ma, visto che la norma già di per sé è stata più volta criticata per la sua asserita incompatibilità con gli articoli 1 e 6 del protocollo addizionale della CEDU, e ciononostante, per “il rotto della cuffia”, è stata salvata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 71/2015, non appare peregrino il profilarsi di un diritto ad ottenere un risarcimento per il danno non patrimoniale subito prima dell'acquisizione sanante, anche se il comma (almeno all'inizio) parla solo di pregiudizio patrimoniale.

D'altronde, in mancanza di espressa chiarificazione del legislatore, trattando la norma, in relazione al pregiudizio ante occupazione, solamente di un "danno" non meglio specificato, vale il brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

Per contro, qualora all'interno del procedimento nulla sia stato allegato, il risarcimento viene quantificato forfetarimente nel cinque per cento, ma solo rispetto al danno patrimoniale.

Angela D. chiede
giovedì 24/01/2019 - Puglia
“Il Caso: un ricorso risarcitorio per illegittima espropriazione per p.u. si è trasformato in ricorso ex art.42 bis D.P.R. 8.06.2001, n. 327 (cosi detta acquisizione sanante) davanti alla Corte d'Appello, dichiaratasi competente in unico grado, che si é pronunciata, con Ordinanza 702-ter co.5°cpc, stabilendo l'importo della indennità da versare all'espropriato. Essendo tale indennizzo non satisfattivo per la parte ricorrente, si chiede: L'Ordinanza in parola é ricorribile per cassazione, come un normale giudizio di Appello ? se si, entro quali termini decadenziali ? oppure si deve proporre reclamo ? se si , davanti a quale autorità ed entro quali termini?
Distinti saluti

Consulenza legale i 04/02/2019
Il fenomeno dell'acquisto del bene in capo alla pubblica amministrazione in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio è stato affrontato dal T.U. Espr. muovendo su due versanti. Da un lato ha dettato una specifica disciplina in punto di risarcimento da occupazione, da un altro lato ha introdotto l'innovativa figura dell'acquisizione sanante (art. 42 bis).

L'articolo suindicato accomuna tutte le ipotesi di occupazione illegittima del fondo, ricomprendendo nel suo ambito di applicazione i due vecchi istituti dell'occupazione usurpativa ed espropriativa. La nuova disciplina è infatti destinata ad operare sia quando manchi del tutto l'atto espropriativo, sia in relazione alle ipotesi in cui siano stati annullati l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, il provvedimento che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera ovvero il decreto di esproprio.

Al fine di “rientrare nell'alveo della legalità”, si prevede l'obbligo per la p.a., qualora proceda all'acquisizione del fondo nei casi di interesse pubblico attuale ed eccezionale, di corrispondere un doppio indennizzo, comprensivo sia dei pregiudizi patrimoniali, sia di quelli non patrimoniali subiti dal privato illegittimamente espropriato, pari rispettivamente al valore venale del bene ed al dieci per cento di tale somma.

Fatte le dovute premesse, si passa alla disamina dello specifico quesito.

Acclarato già da tempo che la giurisdizione in materia di espropriazione compete spetta al giudice ordinario, e non al giudice amministrativo (da ultimo sent. Corte Costituzionale n. 71/2015, in cui si chiarito che: “l’indennizzo per pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, in quanto previsto dal legislatore per la perdita della proprietà del predetto bene immobile, non può che conferire all’indennizzo medesimo natura non già di risarcimento ma indennitaria, con l’ulteriore corollario che le controversie aventi ad oggetto la domanda di determinazione o di corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa sono attribuite alla giurisdizione del Giudice ordinario”) è sorto più di recente un dubbio circa la competenza del giudice ordinario.

Più precisamente, il dubbio è emerso rispetto all'applicabilità dell’art. 29 co. 1 e 2 del d.lgs. n. 150 del 1 settembre 2011, secondo cui le controversie aventi ad oggetto l’opposizione alla stima di cui all’art. 54 del d.P.R. n. 327\2001 sull’espropriazione per pubblica utilità sono di competenza della Corte di Appello in unico grado nel cui distretto si trova il bene espropriato, ovvero se la relativa domanda sia invece soggetta all’ordinario principio del doppio grado di giurisdizione, a causa della mancanza di qualsiasi collegamento esplicito tra l’art. 42 bis d.P.R. 327\2001 e l’art. 29 d.P.R. n. 150\2011. Difatti, tale ultima norma non si riferisce espressamente all'istituto dell'acquisizione sanante, violando secondo alcuni la natura eccezionale e dunque tassativa delle ipotesi in cui si deroga al principio del doppio grado di giurisdizione.

Tuttavia, come confermato dalla Corte di Cassazione con sent. n. 15283/2016, evidenti esigenze di coerenza del sistema impongono l'applicabilità della disciplina della competenza in unico grado della Corte d'appello, in quanto dalla lettura sistematica di altre norme in materia di determinazione dell'indennità espropriativa emerge che tale competenza rappresenti la regola.

Del principio suesposto si è infatti fatto carico anche la Corte d'appello nella fattispecie oggetto del quesito, che per l'appunto si è dichiarata competente in unico grado.

Stabilita dunque una volta per tutte l'applicabilità dell'art. 29 D.LGS. n. 150/2011, quest'ultimo, ai commi 3 e 4 prevede degli specifici rimedi processuali avverso l'ordinanza di determinazione dell'indennità.

Ai sensi del comma 3, qualora il privato lamenti l'illegittimità della determinazione dell'indennità da parte della P.A. oppure, caso ben più frequente, una determinazione non soddisfacente, deve proporre opposizione innanzi alla Corte d'appello, entro trenta giorni dalla notifica del decreto di esproprio o dalla notifica della stima peritale, se quest'ultima sia successiva al decreto di esproprio.

Per quanto concerne invece i rimedi processuali avverso l'ordinanza della Corte d'appello che ha statuito in merito alla quantificazione dell'indennità, la questione non è di agevole soluzione, dato che l'unico approdo normativo è situato nell'articolo 29, ove si stabilisce che le relative controversie sono regolate dal rito sommario, imponendo dunque di applicare l'art. 702 quater c.p.c..

Orbene, tale ultima disposizione non è chiaramente applicabile alla fattispecie in esame, dato che prevede l'appellabilità dell'ordinanza di cui all'art. 702 ter e, considerato che non è “appellabile” una sentenza emessa della Corte di Appello, è necessario richiamare i principi generali in tema di impugnazione.

Ai sensi dell'art. 111 Cost.: “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge”.

Il riferimento alla libertà personale sembrerebbe limitare la portata dell'istituto al campo penale. Ma nei primi anni del 1948, la Cassazione estese tale concetto ai procedimenti civili, facendovi rientrare la libertà fisica ed in particolare ai diritti soggettivi (tra cui rientra il diritto all'indennità da esproprio) cioè tutto il mondo di cose e diritti che si muovono intorno alla persona e contribuiscono alla sua personalità (diritto di proprietà- status), lesi da provvedimenti giurisdizionali.

Secondo consolidati orientamenti della Corte di Cassazione, sono requisiti minimi di accesso al rimedio in esame, che abbiano ad oggetto sentenze dichiarate dalla legge non impugnabili (es: art. 618 – sentenza del giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi) o ogni altro provvedimento avente natura sostanziale di sentenza, anche se pronunciato nelle forme dell'ordinanza e del decreto (es: ordinanze di liquidazione dei compensi a favore di periti e consulenti tecnici).

Inoltre, condizioni necessarie e concorrenti ai fini dell'esperibilità del mezzo, sono:
  • il carattere decisorio del provvedimento, vale a dire l'idoneità a produrre, con efficacia del giudicato, effetti di diritto sostanziale (estinzione – modifica- costituzione di situazione giuridiche) attraverso la verifica del contenuto della sentenza;
  • il carattere definitivo del provvedimento, cioè l'idoneità ad incidere stabilmente sui diritti soggettivi delle parti senza che ne sia possibile la revoca o la modifica ovvero l'esperimento degli altri rimedi giurisdizionali).

In ossequio ai principi suindicati, l'ordinanza emessa dalla Corte dì appello, non esistendo altri mezzi di impugnazione, è ricorribile in Cassazione, entro i termini di cui agli articoli 325 e 326 c.p.c., ovvero entro sessanta giorni dalla notifica dell'ordinanza.

ALFREDO C. chiede
martedì 22/05/2018 - Lazio
“Una società nel luglio 2008 ha acquistato all'asta, tramite il tribunale civile, un appezzamento di terreno di circa 10 Ettari. Su tale terreno esisteva un esproprio da parte del Comune per la realizzazione di un campo sportivo. Esproprio mai definito ed effettuato in data febbraio 1989. La domanda: l'acquisto del terreno, notificato al Comune, ed effettuato tramite il Tribunale, interrompe l'azione di usucapione?
Grazie

Consulenza legale i 28/05/2018
Il problema che questo caso richiede di affrontare non è tanto quello dell’usucapione, quanto piuttosto quello della c.d. occupazione appropriativa o accessione invertita.
Da quanto viene detto nel quesito e nella successiva precisazione che è stata fatta pervenire a questa redazione, risulta che è stata iniziata (nell’anno 1989) una procedura espropriativa mai portata a compimento (si presume a seguito della notifica di un atto amministrativo appositivo di un vincolo preordinato all’esproprio sul bene), e che nell’arco temporale che va da quella data ad oggi, l’ente pubblico comunale, pur non avendo mai adottato un formale decreto di esproprio definitivo, abbia illegittimamente occupato il fondo, trasformandolo nell’anno 1990 in un campo sportivo, rendendone così di fatto impossibile la restituzione all’originario proprietario per irreversibile trasformazione.

Chiaramente, in Conservatoria così come al Catasto quell’appezzamento di terreno risulta ancora intestato al proprietario originario, e ciò si spiega facilmente per il fatto che, in mancanza di un formale decreto di esproprio, non si è mai potuto produrre l’effetto traslativo della proprietà.
Sarebbe superfluo ripercorrere qui le varie tappe della giurisprudenza sulla materia della c.d. occupazione appropriativa o accessione invertita, materia della quale si sono interessate sia le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (si segnalano, tra le tante, in particolare Sentenza a SS.UU. n. 12546/1992 e n. 8597/1998) che la Corte Costituzionale (sentenze nn. 188/1995 e 24/2000); si ritiene sufficiente dire che tale materia è stata oggetto di verifica da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale ha espresso forti dubbi circa la conformità dell’occupazione appropriativa con l’art. 1 del protocollo n. 1 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che tutela la proprietà privata.

Tale presa di posizione della Corte Europea ha comportato un radicale cambiamento nell’impostazione dei rapporti tra cittadino ed amministrazione, poi sfociato nel DPR 327/2001, contenente il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità e che, all’art. 42 bis, ha introdotto proprio la figura della c.d. acquisizione coattiva sanante.
Quest’ultima norma, infatti, disciplina gli effetti della utilizzazione da parte della pubblica amministrazione di un immobile occupato sine titulo, e precisamente modificato in assenza di valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità.
La mancanza del provvedimento di esproprio o del suo presupposto costituito dalla dichiarazione di pubblica utilità rende illegittimo il comportamento della pubblica amministrazione, con la conseguenza che il sacrificio della proprietà privata si configura quale illecito civile, facendo sorgere il diritto al risarcimento del danno.
La medesima norma, comunque, attribuisce all’amministrazione che utilizza sine titulo il bene, il potere discrezionale di porre in essere un atto di acquisizione al proprio patrimonio indisponibile da trascrivere nei registri immobiliari, fermo restando il diritto del proprietario al risarcimento del danno.

In quanto fondato su una valutazione discrezionale, l’atto di acquisizione al patrimonio indisponibile sarà sindacabile in sede giurisdizionale; trattasi di un provvedimento che deve essere emanato “valutati gli interessi in conflitto”, che può avere solo effetti ex nunc e che assorbe sia la dichiarazione di pubblica utilità che il decreto di esproprio.
Da questa disposizione, dunque, ne consegue che l’irreversibile trasformazione di fatto di un suolo privato non è più titolo di acquisto di un diritto, ma lo diventa mediante un atto, amministrativo o giurisdizionale, rompendosi così il binomio illecito-acquisto.

Diversa dall’occupazione appropriativa, di cui si è finora trattato, era invece l’altro istituto, sempre di origine pretoria, della occupazione usurpativa, la quale si configurava nel caso di apprensione di un fondo altrui in carenza di titolo, fattispecie universalmente ravvisata nell’ipotesi di assenza ab initio della dichiarazione di pubblica utilità (che nel nostro caso si presume vi sia stata) e da taluni anche nell’ipotesi di annullamento con effetti ex tunc della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l’esecuzione dell’opera pubblica (sempre nel nostro caso, invece, l’opera risulta essere stata eseguita, ossia la realizzazione del campo sportivo).
Si ammetteva che il privato proprietario, solo nel caso dell’occupazione usurpartiva, potesse scegliere tra la restituzione del bene o la tutela per equivalente, quest’ultima ovviamente nell’ipotesi in cui avesse deciso di rinunciare alla restituzione del bene.

In conclusione, dunque, non può sussistere alcun diritto della pubblica amministrazione (il Comune) all’acquisto per usucapione del bene, dovendosi far rientrare la fattispecie delineata nel quesito in quella della c.d. occupazione appropriativa, regolata dall’art. 42 bis del DPR 327/2001 (testo unico sulle espropriazione per pubblica), dalla quale ne consegue il diritto del privato proprietario a chiedere ed ottenere un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale subito, forfettariamente determinato dallo stesso legislatore nella misura del dieci per cento del valore venale del bene.
Va anche evidenziato che il comma 3 della medesima norma aggiunge che “per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l’interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma”, ossia sul valore venale del bene.

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