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Articolo 37 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

(D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327)

[Aggiornato al 10/12/2023]

Determinazione dell'indennità nel caso di esproprio di un'area edificabile

Dispositivo dell'art. 37 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

1. L'indennità di espropriazione di un'area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene. Quando l'espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale, l'indennità è ridotta del venticinque per cento.(1)

2. Nei casi in cui è stato concluso l'accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all'espropriato ovvero perché a questi è stata offerta un'indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi di quella determinata in via definitiva, l'indennità è aumentata del dieci per cento.(1)

3. Ai soli fini dell'applicabilità delle disposizioni della presente sezione, si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione, esistenti al momento dell'emanazione del decreto di esproprio o dell'accordo di cessione. In ogni caso si esclude il rilievo di costruzioni realizzate abusivamente.

4. Salva la disposizione dell'articolo 32, comma 1, non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l'area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano paesistico, il piano del parco, il piano di bacino, il piano regolatore generale, il programma di fabbricazione, il piano attuativo di iniziativa pubblica o privata anche per una parte limitata del territorio comunale per finalità di edilizia residenziale o di investimenti produttivi, ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata.

5. I criteri e i requisiti per valutare l'edificabilità di fatto dell'area sono definiti con regolamento da emanare con decreto del Ministro delle infrastrutture e trasporti.

6. Fino alla data di entrata in vigore del regolamento di cui al comma 5, si verifica se sussistano le possibilità effettive di edificazione, valutando le caratteristiche oggettive dell'area.

7. L'indennità è ridotta ad un importo pari al valore indicato nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata dall'espropriato ai fini dell'imposta comunale sugli immobili prima della determinazione formale dell'indennità nei modi stabiliti dall'art. 20, comma 3, e dall'art. 22, comma 1, e dell'art. 22 bis qualora il valore dichiarato risulti contrastante con la normativa vigente ed inferiore all'indennità di espropriazione come determinata in base ai commi precedenti.(2)

8. Se per il bene negli ultimi cinque anni è stata pagata dall'espropriato o dal suo dante causa un'imposta in misura maggiore dell'imposta da pagare sull'indennità, la differenza è corrisposta dall'espropriante all'espropriato.

9. Qualora l'area edificabile sia utilizzata a scopi agricoli, spetta al proprietario coltivatore diretto anche una indennità pari al valore agricolo medio corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato. La stessa indennità spetta al fittavolo, al mezzadro o al compartecipante che, per effetto della procedura, sia costretto ad abbandonare in tutto o in parte il fondo direttamente coltivato, da almeno un anno, col lavoro proprio e di quello dei familiari.

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 22-24 ottobre 2007, n. 348 , ha dichiarato, "ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'art. 37, commi 1 e 2, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita)".
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 12-22 dicembre 2011, n. 338, ha dichiarato "ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell'articolo 37, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilita')".

Massime relative all'art. 37 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

Cons. giust. amm. Sicilia n. 434/2019

Nell'ambito dell'espropriazione per pubblica utilità, l'inclusione del terreno espropriato in una fascia di rispetto stradale vale a qualificarlo come non edificabile, e dunque il parametro risarcitorio va individuato in via equitativa con la precisazione che il valore commerciale della superficie occupata deve essere individuato avuto riguardo a quello delle aree edificabili limitrofe, ma solo in via parametrica e con esclusione della zona interessata dalla cessata salina. Sul valore così determinato va poi operata una decurtazione del 50%, non potendosi affermare una perfetta equiparazione tra la zona interessata dalla realizzazione dell'opera pubblica e le zone contermini a causa della diversa vocazione urbanistica vigente al tempo dell'occupazione.

Cass. civ. n. 4711/2018

Ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione dei suoli edificatori, l'adozione del metodo analitico-ricostruttivo comporta che l'accertamento dei volumi realizzabili sull'area non possa basarsi sull'indice fondiario di edificabilità, bensì su quello che individua la densità territoriale della zona, in quanto, solo mediante la sua applicazione, si include nel calcolo la percentuale degli spazi riservati ad infrastrutture e servizi a carattere generale, oltre che le spese di urbanizzazione relative alle opere poste in essere dall'amministrazione le quali assicurino l'immediata utilizzazione edificatoria dell'area. (Nella specie, la corte d'appello, nella pronuncia cassata, aveva considerato il terreno, ricompreso nel piano per insediamenti produttivi, come un'entità edificabile a sé stante avulsa dal piano, senza considerare i relativi "standard" per la superficie effettivamente edificabile, pervenendo poi ad un errato valore del bene ottenuto dalla "media" tra la stima analitica, basata su presupposti non corretti, e quella sintetica-comparativa).

Cass. civ. n. 13532/2017

Ai fini della determinazione dell'ammontare del risarcimento dovuto a seguito di una occupazione illegittima di un terreno da parte della P.A., la determinazione del valore del fondo per le aree edificabili può essere effettuata tanto con metodo sintetico-comparativo, volto ad individuare il prezzo di mercato dell'immobile attraverso il confronto con quelli di beni aventi caratteristiche omogenee, quanto con metodo analitico-ricostruttivo, fondato sull'accertamento del costo di trasformazione del fondo, non potendosi stabilire tra i due criteri un rapporto di regola ad eccezione, e restando pertanto rimessa al giudice di merito la scelta di un metodo di stima improntato, per quanto possibile, a canoni di effettività.

In sede di determinazione del valore di un'area edificabile, l'adozione dei metodo analitico-ricostruttivo comporta che l'accertamento dei volumi realizzabili sull'area non possa basarsi sull'indice fondiario di edificabilità, utilizzabile soltanto per definire il volume massimo consentito su di un'area, bensì su quello che individua la densità territoriale della zona; la valutazione mediante il predetto metodo deve tener conto, tra gli altri costi (es. spese tecniche e generali, oneri di acquisizione delle aree, utile d'impresa in rapporto alla redditività dei capitali investiti e ad un tasso d'attualizzazione per il tempo occorrente a realizzare le costruzioni), anche, delle spese di urbanizzazione relative alle opere che, poste in essere dall'Amministrazione, assicurano l'immediata utilizzazione edificatoria dell'area, detti oneri sono stabiliti dalla normativa urbanistica, e la loro incidenza sul prezzo degli immobili in regime di libero mercato non necessita di dimostrazione, dovendo il giudice di merito tenerne conto anche d'ufficio.

In sede risarcimento dei danni a seguito della irreversibile trasformazione del fondo, la valutazione dei beni, oggetto della tutela per equivalente, va effettuata al momento dell'irreversibile trasformazione dei fondo, in cui l'illecito è da considerare consumato e non al momento dello spossessamento, giacché, pur nella illiceità della condotta consistente nella manipolazione della proprietà altrui, è solo al momento in cui il bene assume una diversa consistenza, tale da poter essere definito come diversa res, che gli effetti della condotta assumono consistenza definitiva, cui soltanto può commisurarsi la connotazione del danno da risarcire.

Cons. Stato n. 897/2017

In sede di risarcimento dei danni derivati dall'occupazione di un terreno da parte della P.A., non è richiesta la prova rigorosa della proprietà (c.d. "probatio diabolica"), atteso che oggetto della pretesa azionata è non già il diretto e rigoroso accertamento della proprietà del fondo, bensì l'individuazione del titolare del bene avente diritto al risarcimento, potendo il convincimento del giudice in ordine alla legittimazione alla pretesa risarcitoria formarsi sulla base di qualsiasi elemento documentale e presuntivo sufficiente ad escludere un'erronea destinazione del pagamento dovuto.

In tema di danno da occupazione illegittima di un immobile, il danno è da ritenere "in re ipsa", essendo ricollegato alla perdita di disponibilità del bene, la cui natura è naturalmente fruttifera, e alla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile nell'esercizio delle facoltà di godimento e disponibilità, insite nel diritto dominicale. L'esistenza di un danno costituisce, così, oggetto di una presunzione "iuris tantum", superabile ove sì accerti che il proprietario si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile.

Nei debiti di valore i cosiddetti interessi compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno causato dal ritardato pagamento dell'equivalente monetario attuale della somma dovuta all'epoca dell'evento lesivo. Tale danno sussiste solo quando, dal confronto comparativo in unità di pezzi monetari tra la somma rivalutata riconosciuta al creditore al momento della liquidazione e quella di cui egli disporrebbe se (in ipotesi tempestivamente soddisfatto) avesse potuto utilizzare l'importo allora dovutogli secondo le forme considerate ordinarie nella comune esperienza ovvero in impieghi più remunerativi, la seconda ipotetica somma sia maggiore della prima, solo in tal caso potendosi ravvisare un danno da ritardo, indennizzabile in vario modo, anche mediante il meccanismo degli interessi, mentre in ogni altro caso il danno va escluso. Il giudice del merito è tenuto a motivare il mancato riconoscimento degli interessi compensativi solo quando sia stato espressamente sollecitato mediante l'allegazione della insufficienza della riva- lutazione ai fini del ristoro del danno da ritardo secondo il criterio sopra precisato".

Cass. civ. n. 5444/2015

In materia di determinazione dell'indennità di espropriazione per p.u., i criteri previsti dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, essendo stati introdotti a modifica del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, commi 1 e 2, concernono soltanto le procedure espropriative soggette al predetto testo unico - cioè quelle in cui la dichiarazione dì pubblica utilità è intervenuta dopo la sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le previsioni come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302, art. 57 - mentre nelle procedure soggette al regime pregresso, rivive la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e va, quindi, fatto riferimento al valore di mercato, atteso anche che la norma intertemporale di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell'indennità espropriativa solo per i "procedimenti" amministrativi di espropriazione in corso, e non anche per i giudizi.

Cass. civ. n. 13515/2014

Nel giudizio risarcitorio conseguente all'occupazione illegittima di un suolo, le domande con cui si alleghino un'ipotesi di occupazione appropriativa ed una di occupazione usurpativa - caratterizzate, rispettivamente, dall'irreversibile trasformazione del bene in assenza del decreto di esproprio e dalla trasformazione dello stesso in carenza, originaria o sopravvenuta, della dichiarazione dì pubblica utilità - sono tra loro differenti, per diversità di "causa petendi", sicché è inammissibile, in corso di causa, la modifica della prima nella seconda, quest'ultima comportando, attraverso la prospettazione di nuove circostanze e situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto originariamente azionato, introducendo nel processo un distinto tema di indagine e di decisione che altera l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia.

Cass. civ. n. 10785/2014

In materia di espropriazione per pubblica utilità sussiste un indissolubile collegamento tra l'indennità di espropriazione ed il momento del trasferimento della proprietà del bene. Ne consegue che l'ammontare dell'indennità va determinato alla data del provvedimento ablatorio, con riferimento al regime urbanistico vigente, tenendo conto di tutti i vincoli a carattere conformativo, e tra questi del vincolo archeologico, che è idoneo a far classificare il terreno come legalmente non edificabile e comporta una compressione dello “ius aedificandi", a salvaguardia di interessi pubblici di natura culturale, da ritenersi legittima alla luce della giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale. Tale vincolo, peraltro, non è di ostacolo alla commercialità del bene o a considerarne una redditività diversa da quella del suo sfruttamento meramente agricolo, sicché, ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione, occorre tenere conto delle ulteriori possibili utilizzazioni del fondo, diverse da quelle edificatorie, avendo presente l'incremento di valore determinato dai suoi particolari pregi, anche riconnessi alla natura del vincolo apposto.

Cass. civ. n. 9488/2014

Ai fini della determinazione dell'indennità di espropriazione di quelle porzioni del territorio comunale che siano sprovviste di destinazione urbanistica per l'avvenuta decadenza del vincolo di inedificabilità in virtù della decorrenza del termine previsto dall'art. 2 della L. 19 novembre 1968, n. 1187 (cosiddette "aree bianche", tra cui rientrano anche quelle aree che non abbiano ancora ricevuto una destinazione dallo strumento urbanistico) non rivive la condizione urbanistica preesistente (eventualmente agricola), ma si applica la disciplina transitoria prevista dalla norma di salvaguardia di cui all'art. 4, ultimo comma, della L. 28 gennaio 1977, n. 10, cosicché agli effetti dell'accertamento del valore del fondo va applicato il criterio della edificabilità di fatto. Trattasi di un criterio che enuclea il trattamento indennitario attraverso l'accertamento del valore delle aree circostanti ed omogenee, costituenti nel loro insieme un microsistema urbanistico, sempreché risulti accertata la compatibilità con le generali scelte urbanistiche, avuto riguardo anche ai vincoli legislativi ed urbanistici idonei ad incidere sull'edificabilità effettiva della zona, con la conseguente eventuale esclusione radicale di ogni attitudine all'edificabilità dell'area.

Cass. civ. n. 7251/2014

In tema di espropriazione per pubblica utilità, pur dovendosi affermare il primato dell'edificabilità legale, con la necessità di riscontro dell'attitudine allo sfruttamento edilizio alla stregua della disciplina urbanistica, l'edificabilità di fatto costituisce criterio integrativo necessario alla verifica della concreta realizzazione di costruzioni e alla quantificazione delle potenzialità di utilizzo del suolo al momento in cui si compie la vicenda ablativa, cosicché va esclusa l'edificabilità di un suolo quando le dimensioni dell'area sono insufficienti per edificare, per l'esaurimento degli indici di fabbricabilità della zona a causa delle costruzioni realizzate, per la distanza dalle opere pubbliche, per l'esistenza di prescrizioni e di vincoli legislativi ed urbanistici che incidono in misura determinante sulla edificabilità effettiva, quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori.

Cons. Stato n. 17/2013

La questione di diritto riguardante l'attuale esistenza o meno - a seguito dell'entrata in vigore del testo unico sugli espropri - della regola secondo cui va intesa come abdicazione del diritto di proprietà la proposizione di una domanda risarcitoria (questione rimessa d'ufficio all'esame dell'Adunanza Plenaria da parte del Consiglio di giustizia della regione siciliana) non va decisa qualora in sede d'appello l'oggetto del contendere risulti solo il quantum del risarcimento dovuto all'originario ricorrente, sicché vanno restituiti gli atti al giudice rimettente, affinché verifichi se solo per la prima volta in appello l'amministrazione abbia contestato che vi sia stata una irreversibile trasformazione delle aree da essa occupate.

Cass. civ. n. 8489/2011

È rilevante e non manifestamente infondata la q.l.c. del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, art. 16, comma 1, oggi D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, art. 37, comma 7, nella parte in cui, in caso di omessa dichiarazione/denuncia I.C.I. o di dichiarazione/ denuncia di valori assolutamente irrisori, non stabilisce un limite alla riduzione dell'indennità di esproprio, idoneo ad impedire la totale elisione di qualsiasi ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l'ammontare della indennità, pregiudicando in tal modo anche il diritto ad un serio ristoro, spettante all'espropriato, con riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, anche in considerazione del disposto dell'art. 6 e dell'art. 1, del primo protocollo addizionale della convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

È rilevante e non manifestamente infondata la q.l.c. del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, art. 16, comma 1, oggi D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, art. 37, comma 7, nella parte in cui, in caso di omessa dichiarazione/denuncia i.c.i. o di dichiarazione/denuncia di valori assolutamente irrisori, non stabilisce un limite alla riduzione dell'indennità di esproprio, idoneo ad impedire la totale elisione di qualsiasi ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo espropriato e l'ammontare della indennità, pregiudicando in tal modo anche il diritto ad un serio ristoro, spettante all'espropriato, con riferimento all'art. 117 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, anche in considerazione del disposto dell'art. 6 e dell'art. 1, del primo protocollo addizionale della convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali

Cass. civ. n. 2419/2011

Qualora un'area venga legittimamente occupata a fini espropriativi e poi restituita dopo la revoca degli atti ablativi ad essa inerenti, l'occupazione si considera avvenuta fin dall'origine per causa di pubblica utilità, per cui l'indennità ad essa relativa va calcolata in base agli interessi legali sull'indennità virtuale di espropriazione, e non sul valore venale del suolo.

Cass. civ. n. 16750/2010

Nel giudizio di risarcimento del danno conseguente alla occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo senza titolo, la qualificazione della domanda risarcitoria da parte del giudice in primo grado come di accessione invertita non esclude l'ammissibilità di una riqualificazione della stessa in occupazione usurpativa da parte del giudice di appello, anche tenuto conto che la differenza pratica tra le due forme di illecito si è quasi dissolta dopo le sentenze della Corte Cost. n. 348 e 349 del 2007.

Cass. civ. n. 7269/2010

Al fine di individuare il valore venale del suolo, che costituisce il presupposto per la determinazione dell'indennità di espropriazione, la stima con metodo analitico costituisce criterio sussidiario, da utilizzare quando non sia possibile il ricorso al metodo sintetico-comparativo con riferimento ai prezzi di mercato di aree omogenee. Rientra tra i compiti del giudice di merito stabilire se sussistono gli elementi occorrenti per la ricerca del presumibile valore comparativo dell'area, con apprezzamento il cui controllo è precluso in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 22756/2009

Nella determinazione dell'indennità di espropriazione, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (Corte Cost. n. 348 del 2007) dell'art. 5-bis, commi 1 e 2, D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992 n. 359, i criteri previsti dall'art. 2, comma 89, L. 24 dicembre 2007 n. 244, in quanto introdotti come modifica dal D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, art. 37, commi 1 e 2 (t.u. espropriazioni), si applicano soltanto nelle procedure espropriative soggette al predetto t.u. - cioè quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità è intervenuta dopo la sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le previsioni dell'art. 57, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 302 -, mentre nelle procedure soggette al regime pregresso rivive la L. 25 giugno 1865 n. 2359, art. 39 e va, quindi, fatto riferimento al valore di mercato perché la norma intertemporale di cui all'art. 2, comma 90,1. n. 244 del 2007 prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell'indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi.

Cass. civ. n. 19986/2009

Nei giudizi aventi ad oggetto la determinazione dell'indennità di espropriazione, relativi a procedimenti in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, una volta venuto meno - a seguito della C. Cost. n. 348 del 2007 - il criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv., con mod., nella L. 8 agosto 1992 n. 359, trova applicazione il criterio del valore venale del bene previsto dall'art. 39 L. 25 giugno 1865 n. 2359, e non si applica l'art. 2, comma 89, lett. a, L. 24 dicembre 2007 n. 244 che, avendo introdotto modifiche all'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, segue la disciplina transitoria prevista dall'art. 57 D.P.R. n. 327, cit., ed è quindi inapplicabile nei procedimenti espropriativi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia stata emessa prima del 30 giugno 2003, mentre la norma intertemporale di cui all'art. 2, comma 90, L. n. 244, cit. prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell'indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi.

Cass. civ. n. 8731/2009

A seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992 (conv. con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992) e all'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. n. 327 del 2001, lo "ius superveniens" costituito dall'art. 2, commi 89 e 90, lett. a), L. R. 244 del 2007, si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso. Invero, nei giudizi aventi a oggetto la determinazione dell'indennità dovuta per le requisizioni compiute dal sindaco di Napoli nella qualità di ufficiale del Governo, per provvedere alle finalità di cui all'art. 3 L. n. 874 del 1980, una volta venuto meno - a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale - il criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992, trova applicazione il criterio del valore venale del bene previsto dall'art. 39 L. 25 giugno 1865 n. 2359, e non si applica l'art. 2, comma 90, L. n. 244 del 2007, secondo cui quando l'espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale l'indennità è ridotta del 25 %.

Cass. civ. n. 23559/2008

Determinata l'indennità di espropriazione, qualora l'ammontare di questa sia fatta oggetto di ricorso per cassazione (nella specie sia da parte dell'espropriante che ne deduceva la eccessività, sia dell'espropriato che ne lamentava la inadeguatezza) e nelle more di tale giudizio sopravvenga (a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale) l'art. 2, comma 89, L. 24 dicembre 2007 n. 244 - che ha fissato nuovi parametri per la liquidazione di tale indennità - deve trovare applicazione lo "ius superveniens". Il comma 90 dell'art. 2 della ricordata legge, infatti, estende l'applicazione dei criteri di liquidazione dell'indennità come fissati dal precedente comma 89 (cioè determinando l'indennità stessa nella misura pari al valore venale del bene) a tutti i procedimenti espropriativi in corso, salvo che la determinazione sia comunque divenuta irrevocabile e, pertanto, anticipa la data di decorrenza dell'applicabilità del criterio in questione che regola, quindi, anche i procedimenti ablativi anteriori al 30 giugno 2003 (di entrata in vigore del D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327).

Qualora nelle more del giudizio diretto alla determinazione dell'indennità di espropriazione sopravvenga la nuova disciplina di cui all'art. 2, comma 89, L. n. 244 del 2007 e questa sia applicabile quanto alla misura dell'indennità non trova - peraltro - applicazione l'aumento del 10 per cento dell'indennità stessa previsto dal comma 2 dell'art. 37 D.P.R. 327 del 2001, se il giudice di appello abbia accertato, senza impugnazioni sul punto, che nel caso concreto la cessione volontaria non era stata possibile per colpa degli espropriati, tanto che aveva applicato la falcidia del 40% già prevista dalla previgente disciplina dei criteri di liquidazione della indennità di cui all'art. 5-bis L. n. 359 del 1992.

Cass. civ. n. 19590/2008

I crediti per le indennità dovute nei procedimenti ablativi hanno la natura di obbligazioni di valuta, trattandosi di obbligazione pecuniaria tale sin dall'origine e soggetta, quindi, al principio nominalistico. La natura reintegratoria della perdita dei beni espropriati della indennità in questione - in particolare - importa che il valore cui ha rapportato quest'ultima è quello degli immobili acquisiti al momento del decreto di espropriazione. "Naturaliter", ai sensi dell'art. 1282 c.c., sulle somme liquidate a tale titolo decorrono gli interessi al tasso di legge, dalla data dello stesso decreto. Gli interessi compensativi sono, infatti, dovuti sulle somme rimaste a disposizione dell'espropriante e non pagate all'avente diritto fino al momento del saldo. Deriva da quanto precede, pertanto, che la domanda diretta a ottenere tali interessi, pur se proposta successivamente all'opposizione al decreto di espropriazione, costituisce una mera "emendatio libelli", sì che qualora (come nella specie) il procedimento sia iniziato prima del 30 aprile 1995, di entrata in vigore della L. n. 353 del 1990, la stessa può prospettarsi fino alle conclusioni e non è impedita dalla mancata accettazione del contraddittorio a opera delle controparti

La disposizione di cui all'art. 16 D.L. n. 504 del 1992 - che in caso di espropriazione per pubblica utilità prevede che l'indennità di espropriazione sia pari all'importo indicato dall'espropriato nell'ultima dichiarazione ai fini i.c.i. - costituisce un meccanismo antielusivo del tributo locale e non un criterio di determinazione dell'indennità e quindi su di essa non ha alcun rilievo l'aggancio al valore venale dell'indennità di espropriazione di cui alla sentenza n. 348 del 2007 della Corte Costituzionale. La stessa comunque, non solo non trova applicazione nell'eventualità il proprietario espropriato abbia totalmente omesso la presentazione della denuncia i.c.i. ma è - certamente - inapplicabile nell'eventualità in cui l'esproprio sia del 1983, atteso che l'i.c.i. è stata istituita unicamente con decorrenza dal 1993.

Cass. civ. n. 14459/2008

In tema di espropriazione di area fabbricabile, qualora il valore dichiarato ai fini dell'I.C.I. risulti inferiore all'indennità di espropriazione stabilita secondo i criteri previsti dalle disposizioni vigenti, il principio per il quale l'indennità è pari al valore di mercato, enunciato dalla Corte Cost. con la sentenza n. 348 del 2007, comporta una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 16, comma 1, D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, applicabile "ratione temporis", tesa ad evitare che il collegamento in funzione antievasione tra indennità di esproprio e valore dichiarato ai fini dell'I.C.I. sia fatto con riferimento al valore indicato in una dichiarazione del contribuente che risulti infedele (collegamento che realizzerebbe la finalità antielusiva, ma sacrificherebbe ingiustificatamente il diritto costituzionalmente tutelato al serio indennizzo), piuttosto che a quello indicato nella dichiarazione sottoposta all'accertamento del comune o, eventualmente, emendata e rettificata dallo stesso proprietario, in modo che l'indennizzo non sia del tutto ed aprioristicamente svincolato dal valore commerciale del bene espropriato. Pertanto l'indennità, determinata (con provvedimento amministrativo o con pronuncia giurisdizionale in seguito all'opposizione alla stima) avendo riguardo al valore di mercato, può essere concretamente erogata solo dopo la regolarizzazione della posizione tributaria dell'espropriato, attraverso la rettifica del valore indicato nella dichiarazione, (a seguito di accertamento del comune o su iniziativa del contribuente) e la liquidazione dell'imposta dovuta, con interessi e relative sanzioni.

Cass. civ. n. 14051/2008

La sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992) e l'art. 37, commi 1 e 2 D.P.R. n. 327 del 2001 non possono trovare applicazione nel giudizio di cassazione pendente qualora il ricorrente non abbia censurato l'ammontare dell'indennità di espropriazione. Non può, infatti, in una tale evenienza, affermarsi che al momento della pronuncia di incostituzionalità e di entrata in vigore delle nuove disposizioni normative la congruità dell'attribuzione indennitaria fosse ancora in discussione.

La sentenza n. 348 del 2007 della Corte costituzionale (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992) e l'art. 37, commi 1 e 2 D.P.R. n. 327 del 2001 non possono trovare applicazione nel giudizio di cassazione pendente qualora il ricorrente non abbia censurato l'ammontare dell'indennità di espropriazione. Non può, infatti, in una tale evenienza, affermarsi che al momento della pronuncia di incostituzionalità e di entrata in vigore delle nuove disposizioni normative la congruità dell'attribuzione indennitaria fosse ancora in discussione.

In tema di espropriazione per pubblica utilità, qualora in esito al giudizio di opposizione alla misura dell'indennità il giudice del merito abbia liquidato, da un lato, l'indennità di occupazione calcolando gli interessi sul valore di mercato dei beni espropriati e, dall'altro, l'indennità di espropriazione sul presupposto della natura edificatoria del terreno espropriato e l'espropriante abbia proposto ricorso per cassazione denunciando esclusivamente la riconosciuta natura edificatoria del bene espropriato, correttamente, una volta accolto tale ricorso dal Supremo Collegio, il giudice del rinvio quantifica l'indennità per occupazione d'urgenza sulla base del valore venale attribuito al bene (per avere accertato la natura non edificatoria dell'area) e non sulla base degli interessi sulla misura dell'indennità di espropriazione in concreto liquidata (in base ai parametri di legge).

Il valore venale di un'area fabbricabile suscettibile di espropriazione deve essere determinato, ai fini dell'imposta di registro, sulla base della indennità di esproprio calcolata secondo i criteri di legge, senza tenere conto della possibile riduzione della indennità medesima prevista un tempo dall'art. 16 D.Lgs. n. 504 del 1992 e attualmente dall'art. 37, comma 7, D.P.R. n. 327 del 2001, nella eventualità che nell'ultima dichiarazione o denuncia presentata ai fini della applicazione dell'imposta comunale sugli immobili l'espropriato abbia indicato un valore inferiore. Tale falcidia, infatti, oltre ad avere funzione punitiva è meramente eventuale, essendo consentito al contribuente evitarla mediante la regolarizzazione della propria denuncia fiscale.

Cass. civ. n. 5265/2008

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 80 L. 14 maggio 1981 n. 219, sollevata per contrasto con l'art. 117 Cost., in relazione all'art. 1 del Primo Protocollo della CEDU, nella parte in cui prevede un criterio liquidatorio speciale non dissimile (per il profilo dello scostamento dal valore integrale del bene) da quello adottato, in via generale, dalle disposizioni dell'alt. 5-bis D.L. 11 luglio 1992 n. 333, convertito, con modifiche, nella L.8 agosto 1992 n. 359 e dell'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, dichiarate incostituzionali con la sentenza della Corte Cost. n. 348 del 2007 per contrasto con l'art. 1 Primo Protocollo CEDU, «come interpretato dalla Corte di Strasburgo», costituente «parametro integrativo dell'art. 117 Cost.», quanto all'ivi prescritto necessario (ragionevole) allineamento dell'indennizzo al valore pieno di mercato del bene espropriato, considerato che secondo la stessa sentenza obiettivi legittimi di utilità pubblica come quelli perseguiti da misura di riforma economica o di giustizia sociale possono giustificare un indennizzo inferiore al valore di mercato effettivo, il che si verifica con la L. 14 maggio 1981 n. 219, avente natura speciale, temporanea ed eccezionale, in quanto volta a porre rimedio alle conseguenze degli eventi sismici del novembre 1980 e febbraio 1981, e non assumendo rilevanza il fatto che l'art. 37, comma 1, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, come sostituito dall'art. 2, comma 89, L. 24 dicembre 2007 n. 244, preveda, in via generale, per le espropriazioni finalizzate ad attuare interventi di riforma economico-sociale, una riduzione (del 25%) più contenuta di quella consentita dalla legge del 1981, sia in ragione della specialità, temporaneità ed eccezionalità della legge stessa, sia perché comunque, in linea di principio, l'avanzamento, nel prosieguo della legislazione, del livello di garanzia di un valore costituzionale non comporta l'illegittimità della normativa precedente attestata su un livello inferiore di tutela.

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv., con modifiche, nella L. 8 agosto 1992 n. 359 ed all'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, da parte della sentenza n. 348 del 2007 della Corte Cost., lo "ius superveniens" costituito dall'art. 2, comma 89, lett. a, L. 24 dicembre 2007 n. 244 si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso, come confermato dalla norma intertemporale di cui all'art. 2, comma 90, L. n. 244 cit.

Cass. civ. n. 3189/2008

In tema di espropriazione, il terreno sito in zona di estensione secondo lo strumento urbanistico, non muta la natura edificabile per effetto di una variante che lo destini in parte ad istruzione, in parte a verde naturale ed attrezzato ed in parte a viabilità, qualora sia situato in zona della città completamente urbanizzata ed edificata in modo denso da anni e sia dotato, fin da prima dell'occupazione, di tutti i servizi e reti tecnologiche, atteso che il carattere edificatorio del terreno espropriato può essere desunto, oltre che dalla destinazione risultante dagli strumenti urbanistici adottati od in via di adozione, da altri elementi certi ed obiettivi che attestino una concreta attitudine all'edificazione, come ubicazione, accessibilità, sviluppo edilizio nella zona circonvicina, esistenza di servizi pubblici essenziali.

Cass. civ. n. 3175/2008

In tema di indennità di espropriazione, la sentenza n. 348 del 2007 della Corte Cost., che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 5- bis, commi 1 e 2 D.L. 11 luglio 1992 n. 333 conv., con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992 n. 359, produce i suoi effetti nei giudizi pendenti alla data della sua pubblicazione, ma il giudice dell'impugnazione non può determinare la misura dell'indennità in misura maggiore rispetto alla sentenza di merito impugnata dalla sola amministrazione espropriante, stante il divieto della "reformatio in peius".

Cass. civ. n. 19/2008

In tema di espropriazione, il diritto all'indennità di esproprio non va penalizzato in caso di omessa od infedele dichiarazione I.C.I. Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va interpretata nel senso che l'evasore totale non perde il suo diritto all'indennizzo espropriativo, ma è unicamente destinato a subire le sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I. che aveva tentato di evadere, potendo l'erogazione dell'indennità di espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non superi il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per l'I.C.I. stessa, ed a seguito della regolarizzazione della posizione tributaria con concreto avvio del recupero dell'imposta e delle sanzioni. Analogamente l'evasore parziale resta soggetto alle stesse conseguenze per il minor valore dichiarato e, salva rettifica da parte dello stesso proprietario, il comune può procedere ad accertamento del maggior valore del fondo agli effetti tributari per poi commisurare, in via definitiva, l'indennità espropriativa che, quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele.

Cass. civ. n. 26275/2007

La declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 348 del 2007 della Corte Cost., dell'art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, conv., con modifiche, nella L. n. 359 del 1992, per contrasto con l'art. 117, comma 1, Cost., introdotto dalla legge Cost. n. 3 del 2001, determina la cessazione di efficacia "erga omnes" con effetto retroattivo della norma relativamente a situazioni o rapporti cui sarebbe ancora applicabile la norma stessa, di talché, ove sia ancora in discussione, nei giudizi pendenti, la congruità dell'attribuzione indennitaria, i relativi rapporti di credito non possono più essere regolati dalla norma dichiarata incostituzionale, a nulla rilevando l'anteriorità dell'espropriazione rispetto all'introduzione del parametro costituzionale per contrasto col quale la disposizione citata è stata espunta.

Cass. civ. n. 8731/2007

A seguito della declaratoria d'illegittimità costituzionale del criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992 (conv. con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992) e all'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. n. 327 del 2001, lo "ius superveniens" costituito dall'art. 2, commi 89 e 90, lett. a), L. n. 244 del 2007, si applica retroattivamente per i soli procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi in corso. Invero, nei giudizi aventi a oggetto la determinazione dell'indennità dovuta per le requisizioni compiute dal sindaco di Napoli nella qualità di ufficiale del Governo, per provvedere alle finalità di cui all'art. 3 L. n. 874 del 1980, una volta venuto meno - a seguito della sentenza n. 348 del 2007 della Corte Costituzionale - il criterio di indennizzo di cui all'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992, trova applicazione il criterio del valore venale del bene previsto dall'art. 39 L. 25 giugno 1865 n. 2359, e non si applica l'art. 2, comma 90, L. n. 244 del 2007, secondo cui quando l'espropriazione è finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale l'indennità è ridotta del 25%.

Corte cost. n. 348/2007

Sebbene, da un lato, l'art. 42 Cost. non garantisca all'espropriato il diritto ad un'indennità esattamente commisurata al valore venale del bene e, dall'altro lato, l'indennità stessa non possa essere (in negativo) meramente simbolica od irrisoria, ma debba essere (in positivo) congrua, seria, adeguata, la mediazione tra l'interesse generale sotteso all'espropriazione e l'interesse privato, espresso dalla proprietà privata, non può fissarsi in un indefettibile e rigido criterio quantitativo, ma risente sia del contesto complessivo in cui storicamente si colloca, sia dello specifico che connota il procedimento espropriativo, non essendo il legislatore vincolato ad individuare un unico criterio di determinazione dell'indennità, valido in ogni fattispecie espropriativa. Questa essenziale relatività dei valori in giuoco impone una verifica settoriale e legata al contesto di riferimento nel momento in cui si pone il raffronto tra il risultato del bilanciamento operato dal legislatore con la scelta di un determinato criterio «mediato» ed il canone di adeguatezza dell'indennità. Un'indennità «congrua, seria ed adeguata» non può adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale, per attingere risultati marcatamente lontani da essa. Sono, pertanto, costituzionalmente illegittimi l'art. 5-bis, commi 1 e 2, D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv., con mod., dalla L. 8 agosto 1992 n. 359, e l'art. 37, commi 1 e 2, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, considerato che gli stessi (da un lato, facendo riferimento al reddito dominicale, il quale, pur mantenendo un sia pur flebile legame con il valore di mercato, produce il risultato pratico di dimezzare, il più delle volte, l'indennità, e, dall'altro lato, prevedendo un'ulteriore detrazione del 40 per cento, che è priva di qualsiasi riferimento, non puramente aritmetico, al valore del bene, ma costituente effetto di un comportamento dell'espropriato, essendo esclusa in caso di cessione volontaria) prevedono un'indennità oscillante - nella pratica - tra il 50 ed il 30 per cento del valore di mercato del bene, la quale è ulteriormente falcidiata dall'imposizione fiscale, che si attesta su valori di circa il 20 per cento.

Cass. civ. n. 16299/2007

In caso di cessione volontaria di un immobile sottoposto a procedura di espropriazione per pubblica utilità da parte di un comune, la domanda volta ad ottenere la differenza tra la maggiore imposta comunale sugli immobili pagata dal cedente e quella che sarebbe dovuta computando l'imposta sulla base dell'indennità di esproprio, ai sensi dell'art 16 del D.Lgs. n. 504 del 1992, sussiste la giurisdizione del g.o. e non di quello tributario.

Cass. civ. n. 10867/2007

L'art. 16 D.Lgs. n. 504 del 1992, nell'introdurre un meccanismo correttivo dell'indennità determinata secondo i criteri dell'art. 5-bis, D.L. n. 333 del 1992, conv. in L. n. 359 del 1992, prende in considerazione l'ultima denuncia presentata dall'espropriato prima dell'emissione del decreto di esproprio, e non del decreto di occupazione.

Cass. civ. n. 9891/2007

Ai fini della determinazione dell'indennità espropriativa, la destinazione a zona edificabile nello strumento urbanistico generale è condizione necessaria e sufficiente per l'adozione del criterio previsto per le aree edificabili dall'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992, conv. in L. n. 359 del 1992, tanto più qualora tale destinazione sia confermata dallo strumento attuativo, come nella fattispecie di aree destinate dal piano regolatore ad insediamento di attività commerciali, laboratori artigianali, e per questo inserite in un piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.), che, comunque, anche ove sia in variante rispetto al piano regolatore generale nel senso di attribuire prerogative di edificabilità, è su tale punto strumento conformativo.

Cass. civ. n. 20411/2006

In materia di espropriazione per pubblica utilità, l'art. 5-bis L. n. 359 del 1992, contenendo un nucleo di principi generali validi anche ove la procedura ablativa è disciplinata in via di specialità da altre norme, atteso il riferimento al concetto di edificabilità legale, in mancanza del quale si applicano le norme di cui al titolo II della L. n. 865 del 1971, comporta la determinazione dell'indennità di espropriazione secondo i criteri del valore agricolo medio non solo ove si tratti di espropriazioni preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte o per conto dello Stato e degli altri enti pubblici, ma anche riguardo ad espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi privati, dichiarati di pubblica utilità.

Cass. civ. n. 9131/2006

In tema di imposta di registro e di in.v.im., ai fini della determinazione della base imponibile, l'area edificabile costituisce un genere articolato nelle due specie dell'area edificabile di diritto, così qualificata in un piano urbanistico, e dell'area edificabile di fatto, vale a dire del terreno che, pur non essendo urbanisticamente qualificato, può nondimeno avere una vocazione edificatoria di fatto in quanto sia potenzialmente edificatorio anche al di fuori di una previsione programmatica. Una siffatta edificabilità non programmata, o fattuale o potenziale, si individua attraverso la constatazione dell'esistenza di taluni fatti indice, come la vicinanza al centro abitato, lo sviluppo edilizio raggiunto dalle zone adiacenti, l'esistenza di servizi pubblici essenziali, la presenza di opere di urbanizzazione primaria, il collegamento con i centri urbani già organizzati, e l'esistenza di qualsiasi altro elemento obbiettivo di incidenza sulla destinazione urbanistica. Ne deriva che, essendo l'edificabilità di fatto una specie di edificabilità rilevante giuridicamente - perché presa in considerazione dalla legge sia ai fini dell'I.C.I. (art. 2 comma 1 lett. b) primo periodo seconda ipotesi D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504) che della determinazione dell'indennità di espropriazione (art. 5 bis comma 3 D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv. nella L. 8 agosto 1992 n. 359, e art. 37 comma 5 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327) - è anch'essa un'edificabilità "di diritto", differenziandosene per il fatto di non essere (ancora) oggetto di pianificazione urbanistica,con l'ulteriore conseguenza che, poiché l'edificabilità di fatto è una situazione giuridica oggettiva, nella quale può venirsi trovare un bene immobile e che influisce sul suo valore, essa è rilevante anche ai fini delle imposte di registro e in.v.im. (nella specie, il giudice di merito aveva erroneamente ritenuto che la mancata inserzione dell'area in un piano urbanistico ne escludesse l'edificabilità di fatto, e quindi la rilevanza giuridica ai fini delle dette imposte).

Cass. civ. n. 3146/2006

Ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, la ricognizione della qualità edificatoria o meno dell'area va operata con riferimento alla data del decreto di esproprio, dovendosi interpretare la formula "al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio", di cui all'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, nel senso della irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini della stima del bene, e non nel senso della necessità di retrodatare la qualificazione della natura del terreno all'epoca dell'imposizione di detto vincolo, giacché, altrimenti, nell'ipotesi di mutamento di destinazione dell'area, sopravvenuta nelle more dell'espropriazione, l'indennizzo verrebbe ad essere inficiato di astrattezza, in contrasto con la previsione dell'art. 42, comma 3, Cost.

Cass. civ. n. 2611/2006

Il vincolo di inedificabilità di tipo paesistico, che rivela una qualità insita nel bene, sì che la proprietà su di esso è da intendere limitata fin dall'origine, è da considerare vincolo conformativo, non soggetto a decadenza (Corte Cost. n. 55 e 56 del 1968), che incide sul valore del bene in sede di determinazione dell'indennizzo per un'eventuale espropriazione, tanto da rendere irrilevante, sempre ai fini della valutazione del bene, il regime imposto su di esso dalla disciplina urbanistica, che comunque è tenuta ad uniformarsi alla pianificazione paesistica (Corte Cost. n. 327 del 1990): dette situazioni limitative sono inerenti alla natura dei beni, e possono derivare da previsioni di legge, per via della ubicazione degli stessi (nella specie, corsi d'acqua e relative sponde).

Cass. civ. n. 19635/2005

La triplicazione dell'indennità di espropriazione in favore del proprietario diretto coltivatore, stabilita dall'art. 17, comma 1, della L. n. 865 del 1971 (nel testo modificato dall'art. 14 della legge n. 10 del 1977) per il caso di cessione volontaria, spetta all'espropriato tutte le volte che l'espropriante non abbia formulato un'offerta di indennità provvisoria seria, attendibile, effettivamente commisurata ai criteri legali e adeguata alla natura e al valore dell'immobile (sì da garantire, e non elidere, la facoltà di scelta dell'espropriando per la cessione volontaria o per la contestazione dell'indennità offerta), secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di espropriazione delle aree edificabili, i quali vanno applicati anche all'espropriazione delle aree inedificabili, perché identico è il tenore delle relative norme, che prevedono un prezzo maggiorato nella sola fattispecie di cessione volontaria e ne impongono il calcolo secondo un parametro rigidamente predeterminato ed automatico (il 40% in più per le aree edificabili e la triplicazione per quelle agricole), che non lascia spazio alcuno né al potere discrezionale dell'espropriante, né alla contrattazione tra le parti (al contrario della maggiorazione spettante al proprietario non coltivatore diretto, per la quale l'art. 12, comma 1, della L. n. 865 del 1971 fissa soltanto un importo massimo entro il quale è rimessa all'autonomia delle parti la possibilità di raggiungere l'accordo), e perché le medesime considerazioni, che hanno indotto la giurisprudenza ad equiparare l'ipotesi di cessione volontaria a quella in cui la stessa non possa concludersi per fatto imputabile all'espropriante, valgono nella fattispecie in cui unico e unitario è il sub-procedimento di determinazione e offerta dell'indennità provvisoria, identica la sua disciplina e identica, soprattutto, la consistenza della posizione dell'espropriando, di diritto soggettivo

Cass. civ. n. 2970/2003

La disposizione dell'art. 16 D.Lgs. n. 504 del 1992 (la quale prevede una riduzione dell'indennità d'espropriazione nell'ipotesi in cui il valore del bene, indicato dall'espropriato ai fini dell'I.C.I., risulti inferiore alla menzionata indennità, oppure una maggiorazione di quest'ultima, pari alla differenza tra l'importo dell'imposta pagata dall'espropriato e quello risultante dal computo dell'imposta effettuato sulla base dell'indennità) risponde al fine di introdurre un elemento dissuasivo dell'elusione e non dell'evasione dell'imposta. Ne deriva che la menzionata disposizione non è applicabile (neppure in via interpretativa) al caso di omessa presentazione della dichiarazione ai fini I.C.I., e ciò va confermato anche dopo la sentenza n. 351 del 2000 - ribadita con ordinanza n. 539 del 2000 - della Corte Cost.

Cass. civ. n. 125/2001

Al fine della determinazione dell'indennità d'espropriazione di un fondo edificabile in base al piano regolatore ed incluso in un piano per l'edilizia economica e popolare, la valutazione delle possibilità legali ed effettive di edificazione, al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione, ai sensi dell'art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, introdotto con la legge di conversione n. 359 del 1992, deve tenere conto delle previsioni di tale piano per l'edilizia in punto di densità volumetriche, quali varianti del piano regolatore, quando esse si traducano in indici medi di fabbricabilità, correlati (o correlabili) al totale della superficie al lordo dei terreni da destinarsi a spazi liberi, ed inoltre si riferiscano all'intera area del piano stesso o ad una porzione differenziata per situazioni indipendenti dal progetto espropriativo. Tale valutazione deve, invece, trascurare la maggiore o minore fabbricabilità che il fondo venga a godere o subire per effetto delle disposizioni del piano per l'edilizia attinenti alla collocazione sui singoli fondi di specifiche edificazioni ovvero servizi ed infrastrutture.

Corte cost. n. 262/2000

La mancata decurtazione del 40% dell'indennizzo connessa, ai sensi dell'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992 (conv. con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992), all'esercizio della facoltà di cedere l'area all'ente espropriante non comporta alcuna lesione dei principi di uguaglianza e del diritto di difesa del soggetto espropriato.

Cass. civ. n. 5940/2000

L'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992 prevede, per le espropriazioni successive alla data di entrata in vigore della legge stessa, che la indennità di espropriazione dei suoli edificatori subisca in ogni caso la riduzione del 40%, consentendo soltanto - allo scopo di favorire la determinazione non contenziosa di detta indennità - che il proprietario del suolo espropriando ne convenga la cessione volontaria per un prezzo non superiore del 50% della indennità provvisoria, determinata pur sempre ai sensi del predetto art. 5-bis. Ne consegue che il proprietario viene posto di fronte all'alternativa, qualora non intenda accettare la indennità offerta, tra la cessione volontaria, con gli indicati benefici di legge, e il rifiuto della indennità stessa, con conseguente sua rideterminazione ad opera delle competente commissione provinciale, nei confronti della quale potrà proporre opposizione al fine di ottenere una nuova liquidazione in via giudiziale, senza, peraltro, potersi sottrarre alla decurtazione, nemmeno nella ipotesi in cui l'indennità accertata giudizialmente risulti superiore a quella offerta dall'amministrazione ed a quella determinata dalla predetta commissione, in quanto la decurtazione è prevista dalla legge come criterio generale di determinazione della indennità, e non come sanzione a carico dell'opponente.

Cass. civ. n. 3873/2000

Il momento al quale, ai sensi dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, deve essere ancorata la valutazione dell'immobile per la determinazione dell'indennità d'esproprio è quello del verificarsi della vicenda ablativa, con conseguente irrilevanza della situazione urbanistica del bene, sia antecedente, sia successiva all'epoca del vincolo che lo ha destinato all'espropriazione. (Nella specie, la S.C., nell'interpretare l'art. 49 della L.R. Lombardia n. 51 del 1975, applicabile al comune di Corbetta nel momento della vicenda ablativa, ha stabilito che la disposizione aveva imposto alle aree in oggetto lo specifico limite di edificabilità dei terreni aventi destinazione agricola, ponendo, dunque, non un vincolo preordinato all'espropriazione dei terreni, bensì un limite legale all'edificazione, fissato in via generale e preventiva per intere categorie di immobili).

Cass. civ. n. 3307/2000

In tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della valutazione della edificabilità delle aree a norma dell'art. 5-bis , comma 3, del D.L. n. 333 del 1992, convertito, con modif., nella L. n. 359 del 1992, deve tenersi conto della destinazione dell'area alla edificazione disposta dagli strumenti urbanistici generali - indipendentemente dalla esistenza di elementi sintomatici della cosiddetta edificabilità di fatto - mentre non si può tenere conto, a tali effetti, di quei vincoli che siano direttamente e immediatamente finalizzati alla espropriazione del bene, come quelli presenti nei piani di zona per l'edilizia residenziale pubblica, finalizzati all'acquisizione di aree fabbricabili da cedere a prezzi controllati ad enti pubblici o privati per la realizzazione di alloggi di tipo economico e popolare. Pertanto, l'inclusione dell'area espropriata nella zona del piano regolatore destinata alla edilizia residenziale pubblica costituisce elemento decisivo nel giudizio sulla sua vocazione edificatoria. Né detta destinazione esclude attività edificatorie da parte dei privati, in quanto la finalità della provvista di alloggio in favore dei lavoratori e delle famiglie meno abbienti, che caratterizza l'edilizia residenziale pubblica, non richiede necessariamente la previa acquisizione dell'area da parte dei comuni o di altri enti pubblici, essendo previste anche forme di edilizia assistita o agevolata, che consentono agli interessati di provvedere alla costruzione o al recupero di alloggi attraverso la concessione di mutui agevolati, resi possibili da un contributo dello Stato sugli interessi dovuti agli istituti di credito.

Cass. civ. n. 1816/2000

Ai fini della determinazione del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva secondo i criteri fissati nel comma 7-bis dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, la valutazione del carattere edificatorio dei fondo va effettuata non al momento dell'imposizione del vincolo preordinato all'esproprio ma a quello dei verificarsi della vicenda ablativa, coincidente con la data di scadenza della occupazione legittima.

Cass. civ. n. 1698/2000

Al fine di determinare l'indennità d'espropriazione di un'area, si deve tenere conto dei vincoli di destinazione derivanti dal programma di fabbricazione nell'ambito della zonizzazione di un territorio, trattandosi di vincoli conformativi della proprietà e non di vincoli destinati all'espropriazione. Ne consegue che, nel caso in cui il terreno espropriato sia compreso in un piano di fabbricazione (e, nella specie, inserito in sottozona destinata ad attrezzature amministrative e pubblici servizi) non è necessaria la prova diretta a dimostrare che prima della variante apportata al piano di fabbricazione l'area stessa avesse destinazione edificabile e non agricola, posto che detto piano costituisce strumento urbanistico conformativo (non vincolo preordinato all'espropriazione) e che, ai sensi dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, l'indagine circa la natura dell'area, sotto il profilo legale, va eseguita con riferimento al menzionato strumento.

Cass. civ. n. 1684/2000

In tema di determinazione della indennità di esproprio, i terreni non legalmente edificabili, anche se suscettibili di una utilizzazione differente da quella agricola, devono essere valutati secondo parametri omogenei a quelli adottati per i terreni agricoli, non potendosi più sostenere, a seguito dell'intervento della Corte Cost. con la sentenza n. 261 del 1997, la esistenza di un "tertium genus", oltre quelli delle aree edificabili e delle aree agricole. Né assume, di per se, alcun rilievo, in contrario, la circostanza che i terreni in questione, originariamente ricompresi, in base agli strumenti urbanistici, nella Zona E (agricola), abbiano successivamente ottenuto, in sede di variante al P.R.G., l'attribuzione della destinazione urbanistica F (attrezzature di interesse comprensoriale), ove tali attrezzature non siano idonee a far sorgere possibilità legali di edificazione, in assenza, tra l'altro, di un piano comunale particolareggiato, come nel caso di specie, in cui, consistendo le attrezzature di cui si tratta in un impianto di compostaggio e raccolta di rifiuti solidi urbani, ricompreso tra le industrie insalubri di prima classe (art. 217 T.U. leggi sanitarie), esse non sarebbero potute in nessun caso essere dislocate in aree destinate alla edificazione.

Cass. civ. n. 1220/2000

I vincoli di inedificabilità generali concretano un modo d'essere della proprietà immobiliare e, in quanto investono una pluralità indifferenziata di proprietà (in funzione delle caratteristiche del bene o del rapporto, di norma spaziale, con un'opera o un bene pubblico) vengono considerati conformativi e non suscettibili d'indennizzo. Ne deriva che tali vincoli, se sono inderogabili, incidono sulla qualificazione del bene; se, invece, sono derogabili (relativi), una volta approvata la deroga essi incidono sulla valutazione del bene stesso. (La S.C. ha così cassato la sentenza che aveva qualificato come edificabile un suolo ricadente in zona classificata come B/2 e ricadente nella fascia ferroviaria di rispetto di cui all'art. 49 del D.P.R. n. 753 del 1980, senza che la riduzione della distanza di rispetto risultasse autorizzata ai sensi dell'art. 60 dello stesso D.P.R.).

Cass. civ. n. 425/2000

In tema di espropriazione per pubblica utilità, qualora in esito al giudizio di opposizione alla misura dell'indennità il giudice del merito abbia liquidato, da un lato, l'indennità di occupazione calcolando gli interessi sul valore di mercato dei beni espropriati e, dall'altro, l'indennità di espropriazione sul presupposto della natura edificatoria del terreno espropriato e l'espropriante abbia proposto ricorso per cassazione denunciando esclusivamente la riconosciuta natura edificatoria del bene espropriato, correttamente, una volta accolto tale ricorso dal Supremo Collegio, il giudice del rinvio quantifica l'indennità per occupazione d'urgenza sulla base del valore venale attribuito al bene (per avere accertato la natura non edificatoria dell'area) e non sulla base degli interessi sulla misura dell'indennità di espropriazione in concreto liquidata (in base ai parametri di legge).

In tema di criteri per la determinazione dell'indennità d'espropriazione, il tenore letterale dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992 (nella parte in cui prevede che ai fini della valutazione dell'edificabilità delle aree si deve fare riferimento "al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio") intende solo riaffermare il principio dell'irrilevanza del vincolo espropriativo ai fini dell'accertamento del valore del bene. Esso, pertanto, non opera uno spostamento nel tempo del momento al quale bisogna aver riguardo per determinare il valore del bene; momento che resta fissato in quello dell'emissione del decreto d'espropriazione (non del decreto d'occupazione), siccome bisogna tener conto delle caratteristiche dell'area espropriata allorquando il proprietario ne è privato, senza che possano avere influenza gli aumenti o le diminuzioni del valore del suolo dipendenti dall'espropriazione o dalla realizzazione dell'opera pubblica (v. Corte Cost. n. 283 e 442 del 1993).

Cass. civ. n. 13656/1999

Ai fini della determinazione dell'indennità di esproprio, il principio desumibile dall'art. 19, comma 9, L. 22 ottobre 1971 n. 865, relativamente alle aree edificate in assenza di concessione edilizia, ha carattere inderogabile e natura sanzionatoria, concorrente con la demolizione, e non consequenziale ad essa, essendo quest'ultima posta a cura e spese del proprietario, e non nell'interesse dello stesso, conseguendone che l'indennità determinabile ai sensi dell'art. 5-bis L. 8 agosto 1992 n. 359, deve commisurarsi al valore della sola area, pur se riguardo alla costruzione abusiva non sia stata disposta o eseguita la demolizione.

Cass. civ. n. 26/1999

Il criterio di liquidazione dettato dal comma 7- bis dell'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992 (conv. con modificazioni dalla L. n. 359 del 1992), introdotto dall'art. 3 comma 65 L. n. 662 del 1996 si applica in relazione al danno subito dal proprietario di un immobile a seguito della perdita del diritto dominicale sul bene, per effetto della sua occupazione acquisitiva, o espropriazione sostanziale, con acquisto della diritto di proprietà sullo stesso da parte del soggetto occupante, e quindi non è applicabile nel caso in l'occupazione, legittima o illegittima, pur avvenuta in vista di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, non abbia comportato la perdita della proprietà da parte del titolare del bene. (Nella specie era mancata l'esecuzione dell'opera pubblica e il terreno era stato poi restituito all'avente diritto).

Cass. civ. n. 4823/1980

Nella determinazione del valore di mercato di un bene immobile, al fine della quantificazione dell'indennità di espropriazione, i riflessi negativi derivanti dalle previsioni degli strumenti urbanistici vanno computati nel caso di limiti di edificabilità, i quali si traducono in una qualificazione delle zone del territorio, con l'individuazione dei tipi edilizi realizzabili, all'infuori di procedimenti ablatori, ma non nel caso di vincoli preordinati alla espropriazione per pubblica utilità, anche se l'espropriazione sia stata in effetti promossa per realizzare una finalità diversa da quella programmata con i vincoli stessi, atteso che, pure in tale ultima ipotesi, il pregiudizio deriva da un atto di procedimento ablatorio, e resterebbe definitivamente non indennizzato, se calcolato in riduzione di quel valore.

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