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Articolo 43 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

(D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327)

[Aggiornato al 10/12/2023]

Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico

Dispositivo dell'art. 43 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.

2. L'atto di acquisizione:

  1. a) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all'esproprio, l'atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un'opera o il decreto di esproprio;
  2. b) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;
  3. c) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento, entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già proposta;
  4. d) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
  5. e) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
  6. f) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;
  7. g) è trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, comma 2.

3. Qualora sia impugnato uno dei provvedimenti indicati nei commi 1 e 2 ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo, nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo.

4. Qualora il giudice amministrativo abbia escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed abbia disposto la condanna al risarcimento del danno, l'autorità che ha disposto l'occupazione dell'area emana l'atto di acquisizione, dando atto dell'avvenuto risarcimento del danno. Il decreto è trascritto nei registri immobiliari, a cura e spese della medesima autorità.

5. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano, in quanto compatibili, anche quando un terreno sia stato utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata nonché quando sia imposta una servitù di diritto privato o di diritto pubblico ed il bene continui ad essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.

6. Salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, nei casi previsti nei precedenti commi il risarcimento del danno è determinato:

  1. a) nella misura corrispondente al valore del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità e, se l'occupazione riguarda un terreno edificabile, sulla base delle disposizioni dell'articolo 37, commi 3, 4, 5, 6 e 7;
  2. b) col computo degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno sia stato occupato senza titolo.

6-bis. Ai sensi dell'articolo 3 della legge 1 agosto 2002, n. 166, l'autorità espropriante può procedere, ai sensi dei commi precedenti, disponendo, con oneri di esproprio a carico dei soggetti beneficiari, l'eventuale acquisizione del diritto di servitù al patrimonio di soggetti, privati o pubblici, titolari di concessioni, autorizzazioni o licenze o che svolgono, anche in base alla legge, servizi di interesse pubblico nei settori dei trasporti, telecomunicazioni, acqua, energia.(1)

Note

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 4-8 ottobre 2010, n. 293, ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità)".

Massime relative all'art. 43 Testo unico sulle espropriazioni per pubblica utilità

Cons. giust. amm. Sicilia n. 433/2019

In materia di occupazione abusiva di un immobile, la sopravvenuta irreversibile trasformazione del bene non comporta alcun trasferimento della proprietà (per accessione inversa) che rimane nella piena titolarità degli originari proprietari.

Cons. Stato n. 3070/2019

La condotta illecita tenuta dell'Amministrazione pubblica con l'occupazione abusiva di terreno altrui, quale che sia stata la sua forma di manifestazione, non può comportare l'acquisizione del bene, medesimo giacché essa configura un illecito permanente ex art. 2043 cod. civ.; d'altro canto la cessazione dell'illecito da essa commesso si verifica soltanto nelle ipotesi considerate rilevanti dall'ordinamento.

L'occupazione di un fondo sine titulo da parte della Pubblica Amministrazione e conseguente trasformazione da parte della stessa di un bene privato, integrando un illecito permanente, non è utile ai fini dell'usucapione, atteso che diversamente si rischierebbe di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, tenendo anche presente che l'apprensione materiale del bene da parte della Pubblica Amministrazione, al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante, non può essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini de quibus.

In materia di espropriazione, solo dalla data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001 è configurabile, in presenza di tutti i relativi presupposti, il possesso ad usucapionem di un terreno occupato sine titulo in pendenza di un procedimento espropriativo, perché solo l'art. 43 del medesimo D.P.R. n. 327/ 2001 ha imposto l'eliminazione della prassi della 'occupazione acquisitiva', e dunque solo da questo momento l'ordinamento ha individuato, ex art. 2935 c.c., il giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Quando vi è stata una patologia del procedimento espropriativo, l'interessato può proporre le domande risarcitorie, fermo restando il potere dell'Amministrazione di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, ai sensi dell'art. 42-bis del D.RR. n. 327/2001.

Cons. Stato n. 912/2019

La qualificazione giuridica della domanda, e quindi l'accertamento della causa petendi in rapporto alla natura delle situazioni soggettive dedotte, spetta al giudice il quale, a tal fine, non è vincolato dalle prospettazioni e/o argomentazioni delle parti. Nell'indagine diretta all'individuazione e qualificazione della domanda giudiziale, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell'atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta e tenuto conto altresì delle eventuali modifiche e trasformazioni che la domanda ha subito nel corso del giudizio.

Anche se l'atto di riassunzione del processo, in quanto privo di autonoma e distinta efficacia interruttiva della prescrizione attribuita agli atti indicati nei primi due commi dell'art. 2943 c.c., produce effetti che restano assorbiti e travolti dalla successiva estinzione del processo che con esso sia tardivamente riassunto, tuttavia lo stesso può essere considerato come atto di costituzione in mora, laddove ne presenti i requisiti.

Cons. Stato n. 3346/2014

L'occupazione di un fondo sine titulo da parte dell'Amministrazione (e conseguente trasformazione da parte della P.A. di un bene privato), integrando un illecito permanente, non è utile ai fini dell'usucapione, posto che diversamente si rischierebbe di reintrodurre nell'ordinamento interno forme di espropriazione indiretta o larvata, tenendo anche presente che l'apprensione materiale del bene da parte della P.A. al di fuori di una legittima procedura espropriativa o di un procedimento sanante non può essere qualificata idonea ad integrare il requisito del possesso utile ai fini de quibus.

Cass. civ. n. 8965/2014

In tema di espropriazione per pubblica utilità, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per l'esercizio dell'azione risarcitoria a seguito di occupazione acquisitiva o appropriativa non è sufficiente la mera consapevolezza di avere subito un'occupazione e/o una manipolazione senza titolo dell'immobile, ma occorre che il danneggiato si trovi nella possibilità di apprezzare la gravità delle conseguenze lesive per il suo diritto dominicale anche con riferimento alla loro rilevanza giuridica e, quindi, in particolare, al verificarsi dell'effetto estintivo-acquisitivo definitivo perseguito dall'amministrazione espropriante. L'onere di provare la ricorrenza del presupposto richiesto dall'art. 2947 cod. civ., coincidente con il momento in cui il trasferimento della proprietà venga o possa essere percepito dal proprietario come danno ingiusto ed irreversibile, grava sull'amministrazione e, in mancanza di tale prova, si deve ritenere, in adesione all'indirizzo giurisprudenziale della CEDU, che tale momento coincida con quello della citazione introduttiva del giudizio nel quale il proprietario richieda il controvalore dell'immobile (con i relativi accessori), incompatibile con il perdurare del suo diritto dominicale su di esso.

Cass. civ. n. 11963/2011

L'occupazione per fini di pubblica utilità non seguita da espropriazione determina, comunque, l'acquisto della proprietà in capo alla P.A. dell'area occupata al momento della sua irreversibile trasformazione e nei limiti della parte trasformata; tuttavia, ove risulti che l'opera programmata non sia stata completata e sia provato che è sopravvenuto un difetto di interesse della P.A. nel perseguimento dell'obiettivo inizialmente delineato, può essere accolta la domanda del privato volta alla restituzione dei beni occupati, che realizza la reintegrazione in forma specifica del pregiudizio subito, alla luce della previsione dell'art. 2058 del codice civile.

Cons. Stato n. 2113/2011

Nella liquidazione del danno da occupazione illecita, non ricorrendo il parametro dell'edificabilità legale, si deve tener conto di quello dell'edificabilità di fatto, dovendosi quindi fare riferimento alle obiettive caratteristiche della zona ed alla possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al contesto spaziale nel quale quest'ultimo concretamente si ponga in ragione del rapporto di fisica contiguità con aree limitrofe edificate o appartenenti alla medesima zona cui l'area espropriata è funzionale, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibilità con le generali scelte urbanistiche.

Cass. civ. n. 6838/2011

In tema di responsabilità della P.A. per occupazione illegittima di un fondo, non può riconoscersi efficacia di atto pubblico all'attestazione della data di ultimazione dei lavori per la realizzazione dell'opera pubblica, rilasciata dal capo dell'ufficio tecnico provinciale, non essendo individuabile alcuna disposizione che attribuisca a quest'organo, al riguardo, un potere certificativo con effetti "erga omnes", tale da consentire di ricollegare a quanto da lui dichiarato la fede privilegiata di cui all'art. 2700 c.c.

Cons. Stato n. 1521/2011

Nel caso di occupazione sine titulo di un terreno di proprietà privata, l'illecito posto in essere dall'Amministrazione permane fino al sopravvenire di un eventuale atto formale di acquisizione, con la conseguenza che fino a tale momento non inizia a decorrere il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno sofferto dall'originario proprietario dell'area.

Cons. Stato n. 676/2011

La procedura di acquisizione in sanatoria di un'area occupata "sine titulo", prevista dall'art. 43, T.U. 8 giugno 2001 n. 327, trova una generale applicazione anche con riguardo alle occupazioni attuate prima dell'entrata in vigore di detta norma, come testualmente si ricava anche dal successivo art. 57 che, richiamando i «procedimenti in corso», ha introdotto norme transitorie unicamente per individuare l'ambito di applicazione della riforma in relazione alle diverse fasi fisiologiche del procedimento sostanziale, mentre l'atto di acquisizione ex art. 43 è emesso ab externo del procedimento espropriativo e non rientra, pertanto, nell'ambito di operatività della normativa.

Laddove la P.A. abbia non solo affidato ad altro soggetto la realizzazione dell'opera pubblica, ma anche delegato lo stesso per lo svolgimento delle procedure espropriative, in caso di danni cagionati all'espropriato per occupazione illegittima, si configura la responsabilità solidale tra delegante e delegato quante volte vi siano elementi idonei a evidenziare un concorso di colpa fra di essi (anche solo per omesso controllo del primo sul secondo), e salva la diversa conclusione cui può pervenirsi sulla base di concreti e specifici elementi che escludano la responsabilità dell'uno o dell'altro dei predetti soggetti.

Cons. Stato n. 8363/2010

È nullo il provvedimento emanato dall'amministrazione nel corso del giudizio di ottemperanza in base all'art. 43 D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, successivamente dichiarato incostituzionale.

Corte cost. n. 293/2010

È costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega, l'art. 43 del T.U. n. 327 del 2001 in materia di espropriazione per pubblica utilità, che consente alla P.A. che abbia utilizzato per scopi di interesse pubblico un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario.

È incostituzionale, in reazione all'art. 76 Cost. (con assorbimento delle questioni ulteriori), l'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 per violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti con legge delega di mero riordino n. 50 del 1999, a sua volta collegata alla legge 15 marzo 1997 n. 59 (che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e di delegificazione). La norma censurata ha ad oggetto la disciplina dell'utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico e consente all'autorità che abbia utilizzato a detti fini un bene immobile in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, di disporne l'acquisizione al suo patrimonio indisponibile, con l'obbligo di risarcire i danni al proprietario (c.d. «acquisizione sanante»); la disposizione regola, inoltre, tempo e contenuto dell'atto di acquisizione, l'impugnazione del medesimo, la facoltà della pubblica amministrazione di chiedere che il giudice amministrativo «disponga la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo», fissando i criteri per la quantificazione del risarcimento del danno; anche la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi censurati, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. Orbene, la legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore delegato il potere di provvedere soltanto ad un coordinamento «formale» relativo a disposizioni «vigenti»; viceversa, l'istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata è connotato da numerosi aspetti di novità, rispetto sia alla disciplina espropriativa oggetto delle disposizioni espressamente contemplate dalla legge-delega 15 marzo 1997, n. 59, sia agli istituti di matrice prevalentemente giurisprudenziale. Alla stregua dei rilievi svolti, va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'intero art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, poiché la disciplina inerente all'acquisizione del diritto di servitù, di cui al comma 6-bis, appare strettamente ed inscindibilmente connessa con gli altri commi, sia per espresso rinvio alle norme fatte oggetto di censura, sia perché ne presuppone l'applicazione e ne disciplina ulteriori sviluppi applicativi. In tema di legislazione su delega, v. citate sentenze n. 340/2007 e n. 68/1991. Sulla illegittimità costituzionale di disposizioni strettamente ed inscindibilmente connesse ad altre espressamente censurate, v. citata sentenza n. 18/ 2009.

In relazione alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, va disattesa l'eccepita inammissibilità per difetto di rilevanza delle questioni per inapplicabilità "ratione temporis" della disposizione denunciata. Infatti, sussistendo sul punto un contrasto tra Corte di Cassazione e Consiglio di Stato circa l'applicabilità del citato art. 43 alle occupazioni appropriative verificatesi prima del 30 giugno 2003, data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327 del 2001, le ordinanze di rimessione hanno motivato in maniera non implausibile in ordine all'applicabilità della norma, richiamando la giurisprudenza assolutamente prevalente ed il «diritto vivente» del Consiglio di Stato.

Cons. Stato n. 775/2010

L'atto di acquisizione sanante ex art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, per i profili di discrezionalità che lo caratterizzano, esorbita dalla competenza dell'ufficio per le espropriazioni di cui all'art. 6 del D.P.R. n. 327 del 2001 - limitata agli atti meramente esecutivi della procedura ablatoria rituale -per rientrare nelle attribuzioni del Consiglio comunale in materia di acquisti e alienazioni immobiliari, di cui all'art. 42 D.Lgs. n. 267 del 2000.

Cons. Stato n. 3655/2010

Nell'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001 l'espressione "valutati gli interessi in conflitto" comporta la necessità di una valutazione comparativa tra l'interesse pubblico e quello privato, quest'ultimo inteso come interesse alla tutela di un diritto costituzionalmente garantito. Sotto questo profilo, quindi, la motivazione deve porre in luce esattamente i motivi d'interesse alla realizzazione dell'opera, indicando anche la non percorribilità di soluzioni alternative; deve dare preciso conto delle contingenze che hanno interrotto, sospeso, annullato o comunque non hanno condotto a buon fine il giusto procedimento espropriativo; della assoluta necessità, e non mera utilità, che l'immobile sia acquisito nello stato in cui si trova; infine, della natura della trasformazione subita e dunque del fatto che la mancata acquisizione costituirebbe uno spreco di risorse pubbliche.

L'acquisizione coattiva "sanante" introdotta dall'art. 43, comma 1, T.U. espropriazioni (D.P.R. n. 327 del 2001) è utilizzabile nelle ipotesi in cui il bene immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico sia stato concretamente e apprezzabilmente modificato dalla P.A. (in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della p.u.).

Il provvedimento di acquisizione sanante di aree di proprietà private illegittimamente occupate, introdotto dall'art. 43, T.U. 8 giugno 2001 n. 327, che assorbe la dichiarazione di pubblica utilità ed il decreto di esproprio, costituisce espressione di potere discrezionale che deve peraltro essere esercitato dopo aver acquisito, ponderato e valutato gli interessi in conflitto, nel senso che l'amministrazione procedente non deve considerare soltanto l'astratta idoneità dell'opera a soddisfare esigenze di carattere generale ma, in ragione della natura eccezionale della procedura, deve compiere una esaustiva ponderazione degli interessi in conflitto dando conto con una congrua motivazione della sussistenza attuale di un interesse pubblico specifico e concreto.

Cass. civ. n. 21203/2009

L'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001 non si applica nelle espropriazioni anteriori all'entrata in vigore del T.U. del 2001, in quanto l'art. 57 prevede la non applicabilità delle disposizioni del testo unico "ai progetti per i quali, alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza"; e non consente di utilizzare un criterio ermeneutico diverso dal mero riscontro temporale in ordine alla data del progetto contenente la dichiarazione di pubblica utilità, e neppure la distinzione, ove il progetto sia antecedente a tale data, tra procedure espropriative "in itinere" e procedure viziate "in radice" o caducate da un annullamento giurisdizionale.

Cass. civ. n. 15855/2009

Il ricorso per regolamento di giurisdizione non può essere convertito in una denuncia di conflitto di giurisdizione, ove non sussista una doppia affermazione o declinatoria di giurisdizione in cause che presentano identità di "petitum" sostanziale (nella specie, è stata esclusa la configurabilità del conflitto in relazione alla pronuncia del giudice che abbia condannato la P.A. alla restituzione di un'area a seguito della risoluzione di un contratto preliminare ed alla successiva decisione del giudice amministrativo che abbia escluso la restituibilità dell'area, per effetto di un decreto di acquisizione emanato ex art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001).

Cons. Stato n. 3723/2009

In materia di impianti di produzione di energia elettrica è consentita all'autorità amministrativa la costituzione di una servitù di contenuto non previsto specificamente nell'ordinamento, ma indicato nel provvedimento amministrativo, al di fuori delle fattispecie tipiche previste dal codice civile o da leggi speciali; ciò in quanto la disciplina civilistica prevista per la costituzione di servitù volontarie o coattive tra privati non assume valore vincolante posto che lo stesso codice civile, all'art. 834, comma 2, contempla espressamente la possibilità di regimi espropriativi speciali che trovano in apposite leggi la loro disciplina specifica ed esaustiva; in tal senso le norme che giustificano il regime speciale sono rinvenibili nell'art. 43, comma 6-bis D.P.R. n. 327 del 2001, nell'art. 1, comma 4, L. n. 10 del 1991 e nell'art. 12 D.Lgs. n. 387 del 2003 (nel caso di specie trattasi di costituzione coattiva di servitù di sorvolo del fondo altrui a mezzo delle pale di un aerogeneratore).

Cons. Stato n. 2877/2009

L'istituto dell'acquisizione sanante previsto dall'art. 43, T.U. n. 327 del 2001 è applicabile anche alle fattispecie in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta prima dell'entrata in vigore del T.U., ciò sulla scorta del tenore letterale della norma sancita dall'art. 57 del medesimo T.U.

Cons. Stato n. 6636/2008

L'art. 43 comma 1, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, nella parte in cui prevede l'acquisizione da parte dell'Autorità del bene immobile da essa utilizzato per scopi di interesse pubblico e modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento ablatorio o dichiarativo di pubblica utilità, con contestuale risarcimento del danno sofferto dal proprietario, non è applicabile per mancanza del presupposto di legge nel caso in cui il procedimento espropriativo è ancora in corso, in conseguenza dell'avvenuta proroga della dichiarazione di pubblica utilità.

L'art. 43. D.P.R. n. 327 del 2001 postula l'inutilizzabilità, quale che ne sia la ragione, del procedimento espropriativo da parte dell'amministrazione che è in possesso dell'area sulla quale è stata realizzata l'opera pubblica; viceversa, in mancanza della situazione patologica sopra descritta, vale a dire ogniqualvolta l'amministrazione possa ancora avvalersi del potere espropriativo, vuoi per avviare a definizione il relativo procedimento, ove già avviato, vuoi solo per provvedere all'acquisizione finale al demanio pubblico della proprietà dell'area, avvenga ciò legittimamente ovvero con tempi o forme assoggettabili ad impugnazione, l'art. 43 non può avere applicazione, per assenza del presupposto di legge.

Cass. civ. n. 7320/2008

In tema di espropriazioni, qualora alla dichiarazione di pubblica utilità segua l'occupazione dell'area, ma non la realizzazione dell'opera pubblica, non si è in presenza della cosiddetta occupazione appropriativa, atteso che a tal fine non è sufficiente la dichiarazione di pubblica utilità, poiché l'acquisto coattivo caratterizzante tale istituto si verifica soltanto nel momento in cui l'immobile, per l'avvenuta realizzazione dei lavori che ne comportano una radicale trasformazione nel suo aspetto materiale, muta fisionomia strutturale e funzionale per assumere quella di bene pubblico; pertanto, il proprietario non ha diritto al risarcimento del danno commisurato al valore integrale dell'immobile, che si giustifica solo se la restituzione dell'immobile non è possibile per effetto dell'irreversibile trasformazione dello stesso. Né tale diritto del proprietario è configurabile qualificando la fattispecie come occupazione usurpativa, quando la dichiarazione di pubblica utilità sia radicalmente mancante o nulla, poiché anche in tal caso è necessaria la trasformazione dell'area ovvero che questa sia servita a realizzare l'opera pubblica e ne costituisca una componente indispensabile per il suo completamento e per la sua funzionalità. Il proprietario ha invece diritto al risarcimento del danno consistente nella mancata percezione del reddito durante il periodo dell'abusiva detenzione da parte della P.A., che si concreta, di regola, nell'ammontare dei frutti naturali non goduti nel periodo dell'occupazione, salva la prova (a suo carico) del maggior danno derivante dalla perdita degli utili e dei vantaggi che avrebbe potuto trarre dall'utilizzazione del bene fino alla sua restituzione.

Cass. civ. n. 26732/2007

In tema di azioni di risarcimento da occupazione usurpativa, l'azione risarcitoria intrapresa dal privato per la perdita della proprietà, siccome relativa ad un danno arrecato da un mero comportamento dell'amministrazione, nel quale non è ravvisabile, nemmeno mediatamente, l'esercizio di alcun potere amministrativo, è attribuita alla giurisdizione del g.o. e non rileva l'adozione, conformemente all'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, di un autonomo atto di acquisizione dell'immobile utilizzato senza titolo, atteso che, rispetto alla suddetta azione risarcitoria, il richiamato art. 43 non può leggersi come deroga al principio della "perpetuatio iurisdictionis", apparendo quantomeno dubbia l'attribuzione all'atto di acquisizione di un effetto legalmente acquisitivo della proprietà (già realizzato per occupazione di una "res nullius" o per usucapione ventennale), concernendo la previsione della giurisdizione amministrativa posta dall'articolo in argomento le sole azioni di restituzione, dovendosi relazionare il principio "tempus regit actum" alla proposizione dell'azione, stante la mancanza di dichiarazione di pubblica utilità come postulato nell'occupazione usurpativa.

In tema di cessione volontaria di immobile, l'inadempimento da parte dell'espropriante con acquisizione alla proprietà pubblica avvenuta per irreversibile trasformazione del fondo occupato, comporta una sua responsabilità di natura contrattuale con obbligo di risarcire il danno, stante la non restituibilità del bene. La causa, al pari di tutte le controversie contrattuali, rientra nella giurisdizione del g.o., quale giudice dei diritti, senza che rilevi, ai fini della giurisdizione, l'emanazione, ai sensi dell'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001, di provvedimento di acquisizione sanante, in quanto, a prescindere dall'impossibilità di applicazione retroattiva della norma nel caso di dichiarazione di pubblica utilità emessa anteriormente alla sua entrata in vigore, è lo stesso art. 43 cit. che attribuisce la giurisdizione al g.a. nella diversa ipotesi di impugnazione di provvedimenti amministrativi ove sia esercitata un'azione volta alla restituzione di un bene utilizzato per scopi di interesse pubblico.

Cass. civ. n. 24397/2007

Nell'ipotesi di occupazione appropriativa, dell'illecito risponde sempre e comunque l'ente che ha posto in essere le attività materiali, di apprensione del bene e di esecuzione dell'opera pubblica, cui consegue il mutamento del regime di appartenenza del bene, potendo solo residuare, qualora lo stesso (come delegato, concessionario od appaltatore) curi la realizzazione di un'opera di pertinenza di altra amministrazione, la responsabilità concorrente di quest'ultima, da valutare sulla base della rilevanza causale delle singole condotte, a seconda che si tratti di concessione c.d. "traslativa", ovvero di delega ex art. 60 L. n. 865 del 1971. In ogni caso, gli atti e le convenzioni intercorsi, anche se si concretano in assunzioni unilaterali di responsabilità, rilevano nei soli rapporti interni tra gli enti eventualmente corresponsabili, mentre dei danni causati nella materiale costruzione dell'opera pubblica, risponde solo l'appaltatore-esecutore, in quanto gli stessi non sono collegabili né all'esecuzione del progetto, né a direttive specifiche dell'amministrazione concorrente, ma a propri comportamenti materiali in violazione del precetto generale dell'art. 2043 c.c.

Nell'ipotesi di occupazione appropriativa, il fatto che la legge attribuisca a determinate autorità quali il Prefetto, il Presidente della Giunta regionale od il sindaco, il potere di emettere sia il decreto di occupazione temporanea, che quello di esproprio, non comporta che le stesse siano legittimate passivamente nell'azione di risarcimento del danno derivato dall'illecito, in quanto anche se sono assegnatarie in via esclusiva di tale competenza funzionale, non sono identificabili con l'espropriante e non è possibile riferirne l'attività all'amministrazione di appartenenza in base al rapporto di immedesimazione organica.

Cons. Stato n. 3752/2007

Nel quadro normativo venutosi a formare con l'art. 34 D.Lgs. n. 80 del 1998 (come novellato dalla L. n. 205 del 2000) e con l'art. 53 del Testo Unico sull'esproprio n. 327 del 2001 la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo va riconosciuta non solo quando si impugni un atto del procedimento espropriativo (per qualsiasi suo vizio), ma anche quando il ricorso miri a ottenere la tutela del diritto di proprietà, in presenza di un comportamento dell'amministrazione connesso all'esercizio della funzione pubblica; tale connessione sussiste quando l'amministrazione abbia occupato il fondo privato in carenza del previo decreto di esproprio ai sensi di legge ed abbia continuato ad utilizzare il suolo altrui per scopi di interesse pubblico.

Cons. Stato n. 2582/2007

L'istituto giurisprudenziale dell'occupazione espropriativa - secondo il quale, anche in assenza di un atto di natura ablatoria, l'amministrazione acquisirebbe a titolo originario la proprietà dell'area altrui, quando su di essa ha realizzato in tutto o in parte un'opera pubblica, in attuazione della dichiarazione della pubblica utilità, con conseguente decorso, dalla data in cui si verifica tale acquisto, del termine quinquennale per il risarcimento del danno - non può ritenersi vigente, sia in quanto non è conforme ai principi della convenzione europea del diritti dell'uomo e del diritto comunitario, che precludono di ravvisare un'espropriazione "indiretta" o "sostanziale" in assenza di un idoneo titolo legale, sia in quanto è incompatibile con l'art. 43 D.P.R. 327/2001, che attribuisce all'amministrazione il potere discrezionale di acquisire in sanatoria, con atto ablativo formale, la proprietà delle aree occupate nell'interesse pubblico in carenza di titolo, escludendo così che una simile acquisizione possa avvenire in via di mero fatto.

L'art. 43 D.P.R. 327/2001 presuppone la perdurante sussistenza del diritto di proprietà e di un illecito permanente dell'Amministrazione che utilizza il fondo altrui, in assenza del decreto di esproprio, anche se è stata realizzata l'opera pubblica. Il testo e la ratio dell'art. 43, dunque, non consentono di ritenere sussistente un termine quinquennale, decorrente dalla trasformazione irreversibile dell'area o dalla realizzazione dell'opera, decorso il quale si verificherebbe la prescrizione della pretesa risarcitoria. Al contrario, l'art. 43 ribadisce il principio per il quale, nel caso di occupazione sine titulo, vi è un illecito il cui autore ha l'obbligo di restituire il suolo e di risarcire il danno cagionato, salvo il potere dell'Amministrazione di fare venire meno l'obbligo di restituzione ab extra, con l'atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio. In altri termini, a parte l'applicabilità della disciplina civile sull'usucapione (per la quale il possesso ultraventennale fa acquistare all'Amministrazione il diritto di proprietà pur in assenza dell'atto di natura ablatoria), l'art. 43 testualmente preclude che l'Amministrazione diventi proprietaria di un bene in assenza di un titolo previsto dalla legge.

Cons. Stato n. 250/2007

L'art. 43, D.P.R. 8 giugno 2001 n. 327 (T.U. sulle espropriazioni), che disciplina l'acquisizione dell'immobile utilizzato per scopi di interesse pubblico in assenza di un valido ed efficace provvedimento di espropriazione o dichiarativo della pubblica utilità - e, nella provincia di Bolzano, l'art. 32-bis, L. prov. 15 aprile 1991 n. 10, introdotto dall'art. 45, L. prov. 28 dicembre 2001 n. 19 - presuppone la valutazione degli interessi in conflitto, da condurre con particolare rigore; l'atto di acquisizione, che assorbe dichiarazione di pubblica utilità e decreto di esproprio, deve, infatti, non solo valutare la pubblica utilità dell'opera, secondo i parametri consueti, ma deve altresì tener conto che il potere acquisitivo in parola, avente, in qualche misura, valore "sanante" dell'illegittimità della procedura espropriativa, anche se solo ex nunc - ha natura eccezionale e non può risolversi in una mera alternativa alla procedura ordinaria; il nuovo provvedimento deve perciò trovare la sua giustificazione nella particolare rilevanza dell'interesse pubblico posto a raffronto con l'interesse del privato, e ciò a maggior ragione a seguito della parziale reintroduzione, ad opera del D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 302, dell'istituto dell'occupazione d'urgenza, con la conseguenza che la motivazione dell'atto di acquisizione dovrà essere particolarmente esaustiva della valutazione degli interessi in conflitto e, conseguentemente, più stringente dovrà essere il sindacato giurisdizionale.

Corte cost. n. 191/2006

Nel caso di occupazione appropriativa (che si verifica quando il fondo è occupato a seguito di dichiarazione di pubblica utilità e diviene di proprietà dell'amministrazione non in forza del decreto di esproprio, ma dell'irreversibile trasformazione avvenuta in esecuzione dell'opera di pubblica utilità) il proprietario del fondo non può che chiedere la tutela per equivalente. Diversamente, nel caso di occupazione usurpativa (che ricorre ove il fondo sia appreso in carenza "ab initio" della dichiarazione di pubblica utilità, nonché - secondo alcuni - anche nell'ipotesi di annullamento, con efficacia "ex tunc", della dichiarazione inizialmente esistente ovvero di sua inefficacia per inutile decorso dei termini previsti per l'esecuzione dell'opera pubblica), il proprietario può scegliere tra la restituzione del bene e, ove a questa rinunci così determinando il prodursi (dei presupposti) dell'effetto traslativo, la tutela per equivalente.

Ai fini di determinare i limiti della giurisdizione del giudice amministrativo, è irrilevante la circostanza che l'ordinamento giuridico riconosca a quest'ultimo oltre al classico strumento demolitorio (e/o conformativo) dei provvedimenti amministrativi, anche la possibilità di pronunciare condanne al risarcimento del danno sia per equivalente sia in forma specifica. Queste, infatti, costituiscono soltanto forme di tutela necessarie affinché sia effettiva la tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.

L'art. 53 comma 1 testo unico delle espropriazioni per pubblica utilità (D.Lgs. n. 325 del 2001, trasfuso nell'art. 53 comma 1 D.P.R. n. 327 del 2001), è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del g.a. le controversie relative a "i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati", non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere (in particolare, pertanto, è costituzionalmente illegittima la devoluzione alla giurisdizione esclusiva delle controversie relative all'occupazione usurpativa, ma non anche quelle nascenti da ipotesi di occupazione acquisitiva). La Corte ha precisato che questa pronuncia riguarda l'art. 53, cit. esclusivamente nella sua valenza di norma attributiva della giurisdizione al g.a. e, pertanto, senza che in alcun modo possa esserne coinvolta la norma nella parte in cui - essendo applicabile l'art. 43 D.P.R. n. 327 del 2001 - presuppone la possibilità che sia sindacato dal g.a. l'esercizio, da parte della P.A., del potere di acquisire al suo patrimonio indisponibile l'immobile modificato.

Cass. civ. n. 10222/2006

Relativamente alla questione di giurisdizione concernente fattispecie di occupazione appropriativa, per una causa introdotta dopo l'entrata in vigore della L. n. 205 del 2000, ma prima dell'entrata in vigore del T.U. espropriazioni (1° giugno 2003), è applicabile l'art. 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998, come modificato dall'art. 7 di quella legge, e non l'art. 53, né l'art. 43 dello stesso T.U., sicché, in considerazione che la Corte Cost., con sentenza n. 204 del 2004, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 34 nella parte in cui prevede siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto "gli atti, i provvedimenti e i comportamenti", anziché "gli atti e i provvedimenti" della p.a., va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, giacché con l'occupazione appropriativa la lesione del diritto di proprietà del privato è diretta conseguenza dell'irreversibile trasformazione dell'immobile di proprietà privata, e cioè di un comportamento dell'amministrazione, costituito da un'attività di carattere materiale.

Cons. Stato n. 4/2005

Qualunque lite suscitata da lesioni del diritto di proprietà provocate, in area urbanistica, dalla esecuzione di provvedimenti autoritativi degradatori, venuti meno o per annullamento o per sopraggiunta inefficacia ex lege va considerata controversia riconducibile all'esplicazione di un pubblico potere e rientra, pertanto, nella giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 34 D.Lgs. n. 80 del 1998 anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004.

Cons. Stato n. 2/2005

L'istituto dell'acquisizione c.d. sanante di cui all'art. 43, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 327 del 2001 rispetta i parametri imposti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dai principi costituzionali, perché: a) l'acquisto del bene avviene in virtù di un provvedimento previsto dalla legge e, soprattutto, con efficacia "ex nunc", sicché sono rispettate le esigenze di chiarezza dell'ordinamento e di preminenza del diritto; b) il provvedimento è sindacabile e l'esercizio della discrezionalità è circondato da particolari cautele di cui va verificato il rispetto in sede giurisdizionale; c) è in ogni caso assicurato il risarcimento del danno; d) in assenza dì provvedimento, la restituzione dell'area non può essere impedita, se non per scelta autonoma del privato che vi rinunci. Non trattandosi di stabilire quale è la normativa che disciplina una procedura espropriativa in itinere, ma solo di decidere - dopo l'annullamento passato in giudicato della precedente procedura - quale sorte vada riservata alla res "modificata" dall'Amministrazione e restata senza titolo nelle mani di quest'ultima dopo l'annullamento degli atti della procedura anzidetta, in sede di giudizio di ottemperanza non può non trovare applicazione la disposizione dell'art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, che, in caso di apprensione e modifica di "res sine titulo" o con titolo annullato, consente la possibilità di neutralizzare la domanda di restituzione del bene solo con l'adozione di un atto formale preordinato all'acquisizione del bene medesimo (con corresponsione di quanto spettante a titolo risarcitorio) ovvero con la speciale domanda giudiziale formulata, nel giudizio di cui è parola, ai sensi dello stesso art. 43 (fattispecie concernente procedura espropriativa interamente svoltasi sotto la vigenza della disciplina anteriore al D.P.R. n. 327 del 2001).

In caso di illegittimità della procedura espropriativa e di realizzazione dell'opera pubblica, l'unico rimedio riconosciuto dall'ordinamento alla P.A. per evitare la restituzione dell'area è l'emanazione di un legittimo provvedimento di acquisizione c.d. "sanante" ex art. 43 T.U. sulle espropriazioni per p.u. approvato con D.P.R. n. 327 del 2001 e con il riconoscimento al privato del ristoro del danno, in assenza del quale l'amministrazione non può addurre l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica quale causa di impossibilità oggettiva e quindi come impedimento alla restituzione.

Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità (dichiarazione di pubblica utilità e occupazione di urgenza), il proprietario dell'area può chiedere, mediante il giudizio di ottemperanza, la restituzione del bene invece che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l'area è stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell'opera pubblica; conformemente alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, deve ritenersi che la realizzazione dell'opera pubblica non costituisce impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata e ciò indipendentemente dalle modalità di acquisizione del terreno (occupazione appropriativa od usurpativa), che in tale ottica non assumono più rilevanza.

Una domanda di restituzione del bene e riduzione in pristino, conseguente all'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità e dei successivi atti della procedura espropriativa, costituisce una pretesa restitutoria, che non può essere preclusa da considerazioni fondate sull'eccessiva onerosità (art. 2058 c.c.) o sul pregiudizio derivante all'economia nazionale dalla distruzione della cosa (art. 2933 c.c.). La restituzione dell'area può essere preclusa solo dalla rinuncia, anche implicita della parte o dall'impossibilità oggettiva, che non è integrata dalla sola realizzazione dell'opera in assenza di un formale (e legittimo) provvedimento di acquisizione dell'area ai sensi dell'art. 43 T.U. espropriazioni.

Il proprietario del fondo illegittimamente occupato dalla P.A., in esito alla declaratoria di illegittimità dell'occupazione e all'annullamento dei relativi provvedimenti, può legittimamente domandare nel giudizio di ottemperanza la restituzione del fondo e la sua riduzione in pristino.

La realizzazione dell'opera pubblica non fa venir meno l'obbligo per l'Amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente espropriato, prevalendo infatti, ove possibile in fatto e richiesta dalla parte, la tutela in forma specifica su quella risarcitoria.

L'art. 57 D.Lgs. 327/01 (come modificato dall'art. 5 L. 166/02), il quale esclude l'applicabilità dell'art. 43 T.U. espropriazione alle procedure nelle quali risulti intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 327/01, non trova applicazione nella diversa ipotesi in cui gli atti della procedura espropriativa siano stati annullati con sentenza passata in giudicato, e le parti controvertano unicamente sull'obbligo di restituzione del fondo.

Cass. civ. n. 10280/2004

In tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, è necessario il preventivo accertamento della natura dell'area occupata, se edificabile o agricola, da condurre in base alla classificazione urbanistica - atteso il carattere solo residuale della cosiddetta edificabilità di fatto - poiché nel primo caso sarà applicabile il criterio, introdotto dall'art. 3, comma 65, L. 23 dicembre 1996 n. 662 (che ha aggiunto il comma 7-bis all'art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, convertito nella L. n. 359 del 1992), della semisomma del valore venale con il reddito dominicale rivalutato, senza la decurtazione del 40 per cento e con incremento del 10%, mentre, nel caso di terreno agricolo, il danno dovrà essere commisurato al valore sul mercato del terreno medesimo, che potrà tener conto, indicativamente, dei criteri di cui agli art. 15 e 16 L. 22 ottobre 1971 n. 865, ma senza considerazione delle potenzialità edificatorie (con esclusione, dunque, dell'applicabilità del citato art. 5-bis, comma 7-bis, della legge n. 359 del 1992). Peraltro, nella determinazione del danno da occupazione appropriativa di suoli agricoli, è consentito valorizzare l'area, rispetto al minimum dei valori tabellari di cui ai menzionati art. 15 e 16 della L. n. 865 del 1971, di quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, rispecchiando possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (ad es., parcheggio, caccia, sport, agriturismo), ma non gli indici di valutazione attinenti al concetto di edificabilità di fatto.

Cass. civ. n. 8777/2004

Esulano necessariamente dallo schema applicativo della c.d. occupazione acquisitiva (o accessione invertita) non soltanto le costruzioni che, pur assolvendo a finalità di pubblico interesse, restano di appartenenza privata, ma anche quelle che, benché realizzate dalla P.A., perciò per soddisfare interessi necessariamente pubblici, non sono precedute dalla prescritta dichiarazione di p.u. (c.d. occupazione usurpativa), indispensabile per attribuire loro la qualifica di bene demaniale o patrimoniale indisponibile.

Cass. civ. n. 3966/2004

Il comma 7-bis dell'art. 5-bis D.L. n. 333 del 1992 (conv., con modif., in L. n. 359 del 1992), introdotto dall'art. 3, comma 65, L. n. 662 del 1996, stabilisce, per la liquidazione del danno da occupazione appropriativa, regole di portata generale (rivolte a contenere la spesa pubblica), le quali operano indipendentemente dalla circostanza che il procedimento espropriativo sia stato promosso in base alla L. n. 865 del 1971 od in base ad altre leggi speciali (nella fattispecie, la L. n. 219 del 1981, relativa agli eventi sismici del 1980), e quindi - salva restando l'operatività di dette leggi al diverso fine della liquidazione dell'indennità espropriativa - si applica a tutti i casi in cui l'illecito acquisitivo riguardi fondi da qualificarsi come edificabili secondo le previsioni dei precedenti commi del medesimo art. 5-bis, vale a dire sulla scorta del prioritario parametro della classificazione urbanistica (cosiddetta edificabilità legale); nel difetto di tale edificabilità, si deve invece fare riferimento ai comuni canoni che operano in tema di risarcimento da fatto illecito, con quantificazione del danno correlata al valore di mercato del suolo.

Cass. civ. n. 5902/2003

L'istituto dell'occupazione appropriativa - da non confondere con la generica ed indeterminata apprensione "sine titulo" da parte di un ente pubblico, per qualsivoglia ragione e fine, di un bene immobile del privato - si colloca, oramai, in un contesto di regole sufficientemente chiare, precise e prevedibili, ancorate a norme di legge, le quali hanno recepito, confermandola, l'elaborazione giurisprudenziale della Corte di cassazione, costituente diritto vivente, ed hanno positivamente superato il vaglio di costituzionalità (cfr. sent. n. 188 del 1995, n. 369 del 1996, n. 148 del 1999). La riconosciuta necessità che l'occupazione appropriativa sia comunque presidiata da una valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, realizzata dalla P.A. per fini d'interesse generale (e, quindi, l'esclusione, dal suo ambito, delle vicende di occupazione usurpativa, non collegate ad alcuna utilità pubblica formalmente dichiarata, o per mancanza "ab initio" della dichiarazione di pubblica utilità o perché questa è venuta meno in seguito ad annullamento dell'atto in cui essa era contenuta o per scadenza dei relativi termini); la previsione che al privato va riconosciuto un risarcimento ragionevole, il cui importo è in ogni caso superiore a quello dell'indennità spettante in sede di espropriazione; l'esistenza, infine, di norme idonee ad assicurare una tutela effettiva in sede giudiziaria per l'esercizio dell'azione risarcitoria, anche sotto il profilo del termine di prescrizione, consentono di ravvisare un giusto equilibrio tra la garanzia del diritto di proprietà, prevista dalla normativa costituzionale interna e dall'art. 1 del protocollo n. 1 addizionale alla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (come interpretato dalla Corte di Strasburgo), e gli interessi generali della collettività.

Cass. civ. n. 4451/2001

In tema di espropriazione, l'occupazione cosiddetto "appropriativa" va distinta dalla cosiddetto "occupazione usurpativa", configurabile, a differenza della prima, soltanto in assenza (originaria o sopravvenuta) di una dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, così che l'acquisizione del bene alla mano pubblica non consegue automaticamente (come nell'occupazione appropriativa) all'irreversibile trasformazione di esso, ma è logicamente e temporalmente successiva, e dipende da una scelta del proprietario usurpato che, rinunciando implicitamente al diritto dominicale, opta per una tutela (integralmente) risarcitoria in luogo della (pur possibile) tutela restitutoria. Ne consegue che, a differenza dell'ipotesi di occupazione appropriativa, non è applicabile all'occupazione usurpativa, quanto alla liquidazione dei danni, lo “ius superveniens" di cui al comma 7-bis dell'art. 5-bis L. n. 359 del 1992, atteso che il riferimento legislativo alle "occupazioni illegittime di suoli per causa di P.U. esprime pur sempre un collegamento teleologico con le finalità perseguite a mezzo della procedura espropriativa, collegamento legittimamente predicabile nel solo caso di occupazione appropriativa. (Nell'affermare il principio di diritto che precede la S.C. ha, peraltro, nel caso di specie, ritenuto applicabile l'art. 5-bis , comma 7-bis , citato nella quantificazione del danno risarcibile, poiché, pur in assenza di qualsivoglia dichiarazione di P.U., il giudice di prime cure aveva qualificato come "appropriativa" l'occupazione “de qua", e, ciononostante, non erano state sollevate doglianze dalle parti, sì che la questione era divenuta irretrattabile per effetto del giudicato interno formatosi sul punto).

Cass. civ. n. 12408/2000

L'art. 5-bis D.L. 11 Luglio 1992 n. 333, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, nel dettare nuovi criteri per la determinazione della indennità di espropriazione di aree edificabili - disponendo che per la valutazione della edificabilità delle aree si devono considerare le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento della imposizione del vincolo preordinato all'esproprio (comma 3) e nello stabilire che, per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili, si applicano le norme di cui al titolo secondo L. 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni (comma 4), ha introdotto una generale ed incondizionata bipartizione dei suoli, agricoli ed edificabili, che non ammette figure intermedie, ed è associata ad una verifica oggettiva e non legata a valutazioni opinabili, che può essere data solo dalla classificazione urbanistica dell'area in considerazione. Ne consegue che non può essere classificata come edificabile un'area che gli strumenti urbanistici non preordinati alla espropriazione assoggettino a vincolo di inedificabilità, o alla quale gli stessi attribuiscano destinazione agricola, dovendo, in tal caso, la relativa indennità di espropriazione essere determinata secondo il criterio agricolo tabellare di cui agli artt. 16 ss. della L. n. 865 del 1971; e, per converso, ove il piano regolatore o il programma di fabbricazione, o altri strumenti equivalenti, prevedano l'edificabilità della zona in cui è ubicato l'immobile, siffatta destinazione legale è sufficiente ad imprimere allo stesso detta qualità.

Cass. civ. n. 9683/2000

In tema di liquidazione del danno da occupazione appropriativa, il criterio introdotto dal comma 7-bis dell'art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella L. n. 359 del 1992, aggiunto dall'art. 3, comma 65, della L. n. 662 del 1996 - che ha escluso la decurtazione del 40% prevista per l'indennità di espropriazione, ed aumentato l'importo del risarcimento così ottenuto del 10% - è inapplicabile ai suoli agricoli, per i quali, a differenza che per quelli edificabili, non ha mai subito modificazioni la regola secondo la quale la liquidazione del danno da occupazione illegittima deve essere commisurata al valore di mercato di detti suoli. Pertanto, dovendosi applicare, anche in materia di occupazione appropriativa, la suddivisione, sulla quale è impostato il sistema del citato art. 5-bis, tra aree edificabili ed aree agricole (cui sono equiparate quelle non classificabili come edificatorie), è evidente la necessità di accertare, al fine di stabilire se il danno debba essere commisurato all'uno o all'altro criterio. Detto accertamento va compiuto sulla base della classificazione urbanistica, senza che i criteri legali di classificazione dell'area possano essere obliterati per dare la prevalenza a criteri di effettualità. Tuttavia, la riconosciuta inedificabilità "ex lege", e la conseguente esclusione della valutabilità del bene come edificatorio, non comportano che necessariamente i suoli che tale qualifica non posseggano debbano essere valutati in base alla loro utilizzazione agricola, essendo tale conseguenza stabilita soltanto nei giudizi di opposizione alla stima dell'indennità di espropriazione. Pertanto, al proprietario deve essere consentito di dimostrare, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche ed attitudini in relazione alle utilizzazioni consentite dagli strumenti di pianificazione del territorio, che il valore agricolo del terreno, all'interno della categoria suoli inedificabili, sia mutato in conseguenza di una diversa destinazione del bene ugualmente compatibile con la sua ormai accertata inedificabilità, e che, di conseguenza, esso, in quanto suscettibile di sfruttamento ulteriore e diverso da quello agricolo, abbia un'effettiva valutazione di mercato che rispecchia tali possibilità di utilizzazioni intermedie tra quella agricola e quella edificatoria (Nella specie, si trattava di un suolo che, oltre ad uno sfruttamento agricolo, si prestava ad una, sia pur limitata, utilizzazione a parcheggio, nonché a campi da tennis).

Cass. civ. n. 8097/2000

La liquidazione della indennità di asservimento di un'area per la realizzazione di un elettrodotto ad opera dell'Enel va compiuta avendo riguardo ai criteri di cui all'art. 123 R.D. n. 1175 del 1933, che, nella materia, costituisce "lex specialis" rispetto alla regola generale contenuta nell'art. 46 L. n. 2359 del 1865. E, tuttavia, a seguito della entrata in vigore dell'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992, che ha previsto un più riduttivo criterio per la stima dell'indennità di espropriazione delle aree edificabili, la determinazione dell'indennità per servitù di elettrodotto, che venga costituita mediante un procedimento ablativo su dette aree, va effettuata tenendo conto delle modifiche introdotte dalla nuova normativa, con la conseguenza che il parametro del valore contemplato dal citato art. 123, ed alla cui diminuzione deve essere correlata l'indennità medesima, non va più calcolato alla stregua del prezzo di mercato del bene gravato, ma in base al parametro convenzionale indicato dal sopravvenuto art. 5-bis, per tutte e tre le componenti individuate dalla norma speciale, e cioè sia per la valutazione relativa alla determinazione di valore dell'immobile a causa dell'imposizione della servitù, sia per quella relativa al quarto del valore concernente la parte strettamente necessaria per il servizio delle condutture, sia per quella concernente le aree occupate dai basamenti dei sostegni delle condutture o da cabine o costruzioni di qualsiasi genere e relative a zone di rispetto, con la sola eccezione della prima di esse allorché si riferisca a fabbricati e comunque ad aree edificate, per i quali l'indennizzo continua a commisurarsi al relativo valore in comune commercio.

Cass. civ. n. 8020/2000

Nell'ipotesi di occupazione illegittima di un fabbricato con un'area latistante di terreno edificabile, devono adottarsi diversi criteri indennitari: quello del valore venale (art. 39 della L. n. 2359 del 1865) per il fabbricato, e quello introdotto dall'art. 5-bis della L. n. 359 del 1992 per la menzionata area, senza che abbia rilievo il vincolo pertinenziale o meno di quest'ultima, posto che le pertinenze, ancorché funzionalmente collegate con la cosa principale, conservano la propria individualità fisica e giuridica, con conseguente applicabilità della disciplina ad esse inerente, se diversa da quella della cosa cui accedono.

Cass. civ. n. 5512/2000

In tema di occupazione acquisitiva, il titolo risarcitorio è dato, sia nell'ipotesi di occupazione "sine titulo", sia nell'ipotesi di occupazione d'urgenza ormai scaduta, dalla impossibilità di restituzioni del bene, impossibilità che, nel secondo caso, acquisterà rilievo solo oltre il limite temporale della compressione del diritto dominicale, laddove, nell'ipotesi in cui manchi "ab origine" un provvedimento di autorizzazione all'occupazione del fondo privato, l'estinzione del diritto di proprietà su di esso e il suo contestuale acquisto a titolo originario da parte dell'ente pubblico si verifica nel momento in cui diviene irreversibile la trasformazione del fondo in vista della sua destinazione all'opera pubblica; è pertanto da escludere che, ai fini della decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento, possa farsi distinzione in relazione alla illegittimità originaria o successiva dell'occupazione, dovendosi ravvisare un illecito istantaneo, ancorché con effetti permanenti, e non un illecito permanente, anche nell'ipotesi in cui l'occupazione del fondo sia illegittima "ab origine".

Cass. civ. n. 5283/2000

L'espropriato che pretenda il diritto alla maggiorazione dell'indennità di espropriazione prevista dall'art. 16 del D.Lgs. n. 504 dei 1992 (pari alla differenza tra l'importo dell'imposta comunale sugli immobili pagata dall'espropriato o dal suo dante causa negli ultimi cinque anni e quello risultante dal computo dell'imposta effettuato sulla base dell'indennità) ha l'onere di provare i fatti che di tale diritto costituiscono fondamento (art. 2697 c.c.), trattandosi di un diritto patrimoniale disponibile, in relazione al quale non è ravvisabile alcun potere d'ufficio del giudice. Per altro verso, spetta all'espropriante l'onere di provare che il valore dichiarato ai fini dell'I.C.I. è inferiore all'indennità determinata, che va quindi ridotta ad un importo pari a quel valore, ai sensi del comma 1 della menzionata disposizione.

Cass. civ. n. 5096/2000

L'indennità di asservimento di un fondo, dovuta per effetto della costituzione di una servitù di elettrodotto, deve essere determinata secondo i criteri previsti dall'art. 5-bis del D.L. n. 333 del 1992, convertito, con modificazioni, nella L. n. 359 del 1992, che costituisce norma di grande riforma economico-sociale, e principio generale in materia di indennizzo espropriativo, e, come tale, derogabile solo in presenza di situazioni la cui peculiarità le sottrae alla disciplina comune, tenuto conto, oltretutto, che risulterebbe ingiustificata l'attribuzione di un indennizzo per l'asservimento maggiore di quello spettante per l'integrale ablazione. Ne consegue che è ingiustificata la distinzione di profili indennitari in senso stretto e risarcitori nella medesima indennità, con applicazione del citato art. 5-bis alla sola indennità per l'area occupata stabilmente, e della normativa speciale di cui all'art. 123 del R.D. n. 1775 del 1933 - che, peraltro, non detta propri criteri di stima del valore del bene - per le altre voci, dovendo, al contrario, l'art. 5-bis regolare anche quelle componenti dell'indennità che attengono alla diminuzione di valore del fondo, alla fascia di transito e relativa fascia di rispetto.

Cass. civ. n. 394/1999

Rispetto alle espropriazioni per pubblica utilità la nozione di opera pubblica è andata espandendosi, fino a ricomprendere ogni intervento del pubblico potere (non necessariamente estrinsecantesi nella realizzazione di una costruzione: art. 9 L. 22 ottobre 1971 n. 865; art. 5-bis D.L. 11 luglio 1992 n. 333, conv. in L. 8 agosto 1992 n. 359) diretto ad ottenere, nell'interesse della collettività, una modificazione durevole del mondo fisico. Da ciò consegue che gli effetti della cosiddetta "accessione invertita" possono determinarsi anche in presenza di opere la cui realizzazione prescinda, almeno in parte, da iniziative di tipo edificatorio.

Cass. civ. n. 1907/1997

Il fenomeno dell'occupazione appropriativa, in virtù del quale, a causa della radicale trasformazione del fondo privato con irreversibile destinazione all'opera pubblica, la proprietà del suolo, in mancanza di decreto di esproprio, finisce comunque per accedere alla proprietà dell'opera realizzata, dal momento in cui il suolo ha subito la trasformazione, o, qualora questa sia avvenuta nel corso dell'occupazione legittima, dallo scadere del relativo termine, comporta che il sacrificio per il diritto del privato può essere giustificato solo nella misura in cui all'attività di costruzione e manipolazione sia attribuito un vincolo di scopo e di rispondenza, in concreto, ai fini pubblici, mediante una rituale dichiarazione di pubblica utilità. Ne consegue che qualora l'atto in cui essa è implicita (approvazione del progetto dell'opera) sia carente dei termini, iniziali e finali, per l'esecuzione dei lavori ed il compimento della procedura espropriativa, la cui indicazione è imposta dall'art. 13 L. 25 giugno 1865 n. 2359, senza possibilità di successive indicazioni a sanatoria, al fine garantistico di non lasciare il privato indefinitamente esposto alla vicenda ablatoria, la carenza del potere espropriativo, da cui deriva l'inidoneità della procedura ad affievolire la pienezza del diritto dominicale, determina l'illegittimità "ab origine" dell'occupazione d'urgenza e l'illiceità permanente dell'opera pubblica, che oltre a legittimare la richiesta di restituzione del bene, impedisce la decorrenza del termine prescrizionale dell'azione di risarcimento che il privato ritenga di proporre, abdicando implicitamente alla proprietà.

Cons. Stato n. 1/1996

L'occupazione appropriativa di un suolo in favore della P.A., con definitiva perdita da parte del privato di tutte le facoltà inerenti al diritto di proprietà, si realizza allorché vi sia prevalenza del fine pubblico per il quale l'opera è stata progettata, che si ha allorché il manufatto acquista connotazioni sufficientemente univoche che ne rendano riconoscibile la destinazione, come nel caso in cui il bene subisce alterazioni fisiche e funzionali non emendabili, quali in particolare quelle derivanti dalla ultimazione sostanziale dell'opera pubblica programmata, vale a dire dalla realizzazione si essa in tutte le componenti essenziali, anche se necessitano completamenti e rifiniture per la sua effettiva destinazione a fini pubblici.

L'occupazione appropriativa del terreno da parte della P.A., con definitiva perdita da parte del privato di tutte le facoltà inerenti al diritto di proprietà, si perfeziona quando il bene subisca alterazioni fisiche e funzionali non emendabili, ovvero siano realizzate le componenti essenziali dell'opera pubblica, anche se necessitino completamenti e rifiniture per la sua effettiva destinazione a fini pubblici (nella specie, in sede di giudizio di ottemperanza, è risultato che l'opera era già stata completata prima dell'annullamento, da parte del giudice amministrativo nel precedente giudizio, del decreto di occupazione di urgenza).

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