La vicenda riguardava un uomo
condannato alla
pena di un anno di
reclusione e 3.000 euro di
multa per aver
coltivato in casa propria due piantine di
cannabis ed aver
conservato presso di sé 11 grammi della sostanza stupefacente prodotta.
La norma incriminatrice delle condotte di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope è l’art.
73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (
T.U. sugli stupefacenti). Occorre innanzitutto precisare che il
bene giuridico da essa tutelato è la
salute, sia individuale che collettiva, ossia un valore costituzionalmente protetto che giustifica l’anticipazione della sanzione al solo fatto della coltivazione della pianta idonea a produrre stupefacente.
La Suprema Corte ha affermato che per la configurazione del
reato di coltivazione di stupefacenti è sufficiente che la pianta sia conforme al tipo botanico previsto e che essa abbia l’attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a produrre sostanze stupefacenti, e questo indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediato.
Devono, tuttavia, ritenersi
escluse dal campo applicativo della
norma penale quelle attività di coltivazione di
modestissima entità che, per la loro
coltivazione in forma domestica, per le
rudimentali tecniche utilizzate e per lo
scarso numero di piante comportano la produzione di limitatissime quantità di stupefacente ed appaiono destinate ad un
uso strettamente personale del coltivatore.
La Cassazione osserva che, a fronte di un’attività di coltivazione di marijuana, il nostro ordinamento prevede una risposta sanzionatoria graduata: sono lecite, e quindi non punibili, le coltivazioni domestiche di minima entità effettuate con tecniche e strumenti rudimentali da cui sia possibile ricavare solo una modestissima quantità di sostanza, destinata ad un uso esclusivamente personale.
È invece prevista una
sanzione amministrativa, ex art.
75 del T.U. sugli stupefacenti, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale se queste non sono in minima quantità, e ciò vale anche anche se sono state ottenute da una coltivazione domestica lecita. Tuttavia, se il fatto è di particolare tenuità, è possibile applicare l’art.
131 bis c.p. escludendone la
punibilità.
In caso di coltivazione illecita di piante, invece, è possibile applicare l’art.
73 comma 5 del T.U. sugli stupefacenti, il quale prevede che, salvo che costituisca più grave reato, se risulta che il fatto, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, colui che l’ha commesso è punito con le pene della
reclusione da sei mesi a quattro anni e della
multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Alle luce di queste premesse, la Suprema Corte ha affermato che una
condotta di coltivazione di minime dimensioni attuata in forma domestica, destinata ad un uso esclusivamente personale e che consenta di escludere lo
spaccio non costituisce reato.
Le Sezioni Unite hanno così applicato il principio di offensività in concreto, superando il precedente orientamento che equiparava la coltivazione tecnico-agraria a quella domestica e secondo cui qualsiasi coltivazione non autorizzata di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti costituiva reato, anche se destinata al consumo personale (Cass. sent. n. 28605/2008).
La Cassazione ha così annullato la sentenza impugnata, rinviandola alla Corte d’
appello per una nuova valutazione.