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Stupefacenti: non è reato la coltivazione in minima quantità e destinata ad un uso esclusivamente personale

Stupefacenti: non è reato la coltivazione in minima quantità e destinata ad un uso esclusivamente personale
La Cassazione applica il principio di offensività in concreto ed afferma che una coltivazione di minime dimensioni attuata in forma domestica e destinata ad un uso strettamente personale non costituisce reato.
La vicenda riguardava un uomo condannato alla pena di un anno di reclusione e 3.000 euro di multa per aver coltivato in casa propria due piantine di cannabis ed aver conservato presso di sé 11 grammi della sostanza stupefacente prodotta.
L’uomo aveva perciò proposto ricorso in Cassazione, la quale ha avuto modo di pronunciarsi a sezioni unite sul tema della coltivazione domestica di sostanze stupefacenti con la sentenza n. 12348/2020.
La norma incriminatrice delle condotte di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope è l’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (T.U. sugli stupefacenti). Occorre innanzitutto precisare che il bene giuridico da essa tutelato è la salute, sia individuale che collettiva, ossia un valore costituzionalmente protetto che giustifica l’anticipazione della sanzione al solo fatto della coltivazione della pianta idonea a produrre stupefacente.
La Suprema Corte ha affermato che per la configurazione del reato di coltivazione di stupefacenti è sufficiente che la pianta sia conforme al tipo botanico previsto e che essa abbia l’attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a produrre sostanze stupefacenti, e questo indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediato.
Devono, tuttavia, ritenersi escluse dal campo applicativo della norma penale quelle attività di coltivazione di modestissima entità che, per la loro coltivazione in forma domestica, per le rudimentali tecniche utilizzate e per lo scarso numero di piante comportano la produzione di limitatissime quantità di stupefacente ed appaiono destinate ad un uso strettamente personale del coltivatore.
La Cassazione osserva che, a fronte di un’attività di coltivazione di marijuana, il nostro ordinamento prevede una risposta sanzionatoria graduata: sono lecite, e quindi non punibili, le coltivazioni domestiche di minima entità effettuate con tecniche e strumenti rudimentali da cui sia possibile ricavare solo una modestissima quantità di sostanza, destinata ad un uso esclusivamente personale.
È invece prevista una sanzione amministrativa, ex art. 75 del T.U. sugli stupefacenti, in caso di detenzione di sostanze stupefacenti destinate all’uso personale se queste non sono in minima quantità, e ciò vale anche anche se sono state ottenute da una coltivazione domestica lecita. Tuttavia, se il fatto è di particolare tenuità, è possibile applicare l’art. 131 bis c.p. escludendone la punibilità.
In caso di coltivazione illecita di piante, invece, è possibile applicare l’art. 73 comma 5 del T.U. sugli stupefacenti, il quale prevede che, salvo che costituisca più grave reato, se risulta che il fatto, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, colui che l’ha commesso è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.
Alle luce di queste premesse, la Suprema Corte ha affermato che una condotta di coltivazione di minime dimensioni attuata in forma domestica, destinata ad un uso esclusivamente personale e che consenta di escludere lo spaccio non costituisce reato.
Le Sezioni Unite hanno così applicato il principio di offensività in concreto, superando il precedente orientamento che equiparava la coltivazione tecnico-agraria a quella domestica e secondo cui qualsiasi coltivazione non autorizzata di piante idonee a produrre sostanze stupefacenti costituiva reato, anche se destinata al consumo personale (Cass. sent. n. 28605/2008).
La Cassazione ha così annullato la sentenza impugnata, rinviandola alla Corte d’appello per una nuova valutazione.


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