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Marjuana: si può coltivare a casa?

Marjuana: si può coltivare a casa?
Se la condotta non è idonea a ledere la salute pubblica, la coltivazione domestica di qualche pianta non è reato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20238 del 25 maggio 2022, è tornata sul tema della coltivazione domestica della Cannabis, svolgendo delle chiare considerazioni sul punto e ribadendo l’orientamento a riguardo già consolidato nella giurisprudenza di legittimità.

Al fine di comprendere quanto affermato dagli Ermellini, giova però sinteticamente ricordare:
  • che la coltivazione di stupefacenti è in via generale disciplinata dall’art 73 T.U. Stupefacenti, che punisce chiunque, senza autorizzazione, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito oppure consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope;
  • che il bene giuridico tutelato è la salute, sia individuale sia collettiva, che potrebbe essere messa a repentaglio da condotte di coltivazione tali da accrescere la quantità di sostanze stupefacenti esistenti e circolanti;
  • che sulla condotta di coltivazione si è sviluppato un vivace contrasto giurisprudenziale circa la compatibilità della norma con il principio di offensività e che tale dibattito - relativo in particolare alla coltivazione delle piante di Cannabis - si è concluso con una pronuncia delle Sezioni Unite, secondo le quali ai fini della configurabilità del reato non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la saluta pubblica (cfr. Sez. Un. n. 12348/2020).
Tanto chiarito, può evidenziarsi come la Suprema Corte – nel recente provvedimento citato – si sia posta in linea di continuità con quanto affermato dalle Sezioni Unite. Deve pertanto ritenersi che “non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto”.
A tali riguardi, peraltro, la Cassazione ha sottolineato anche che, dal punto di vista meramente economico, la produzione di un bene per il suo esclusivo autoconsumo è un fattore che, lungi dall’incrementare la vivacità di un mercato, tende piuttosto a deprimerlo.

Il caso di specie, in particolare, riguardava un soggetto che aveva coltivato tre piantine di marijuana sul terrazzo della propria abitazione, il quale era stato assolto dal Tribunale atteso che la produzione della sostanza stupefacente era risultata destinata solo all’uso personale.
La Corte d’appello, poi, aveva però riformato la sentenza, condannando l’imputato per il reato di cui all’art. 3 co. 5 T.U. Stupefacenti poiché comunque l’attività di autoproduzione, seppur modesta, consentiva il ricavo di più di 30 dosi medie giornaliere di stupefacenti sicchè non si poteva ritenere che il comportamento fosse inoffensivo.
L’imputato aveva allora proposto ricorso, dolendosi del mancato rispetto dei principi affermati dalle Sezioni Unite in materia di coltivazione di piccole dimensioni. Ritenendo il ricorso fondato, la Cassazione ha dunque riepilogato i principi rilevanti in materia.


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