Il caso passato al vaglio della 
Corte di Cassazione riguardava un uomo accusato di aver depositato un’ingente quantità di rifiuti su un terreno di sua 
proprietà, realizzando, di fatto, una 
discarica a cielo aperto, 
senza la necessaria autorizzazione.
	I cittadini che abitavano nei pressi del terreno avevano chiesto il 
risarcimento per i danni derivanti dal peggioramento del 
paesaggio, dalla percezione di odori sgradevoli derivanti dal 
fondo e dalla sparizione di particolari specie di uccelli che erano invece presenti nella zona precedentemente. Nonostante i reati fossero ormai prescritti, l’uomo veniva condannato a risarcire il 
danno.
	Il caso giungeva fino in Cassazione, la quale si è pronunciata con la sentenza n. 1997/2020.
	La Suprema Corte ha cassato la 
sentenza di 
appello che, sostenendo che fosse stato violato il 
diritto dei privati 
“al godimento di una natura libera e incontaminata oltre che alla visuale del paesaggio violato”, aveva riconosciuto il risarcimento dei danni nei loro confronti.
	Nel fare ciò, i giudici di legittimità hanno rilevato che 
il diritto alla natura incontaminata è di 
rilevanza generale e, di conseguenza, 
il titolare del
 diritto al 
risarcimento derivante da danno ambientale è soltanto lo Stato (nella specie, il Ministero dell’Ambiente).
	L’ambiente, spiega la Corte, va inteso come valore collettivo e quindi pubblico, andando a superare la logica che sta alla base della 
responsabilità civile, e cioè che il risarcimento abbia una funzione compensativa. In questo caso, l’obbligo di risarcire il danno allo Stato sorge sulla base di una responsabilità avente natura extracontrattuale, derivante dalla violazione di una norma di 
legge.
	I risvolti pubblici e quelli privati derivanti da danno ambientale devono essere tenuti distinti, per evitare una duplicazione delle conseguenze dell’illecito. In ogni caso, però, 
il danno ambientale di natura pubblica non impedisce la richiesta di risarcimento da parte di privati, associazioni di cittadini, Regioni o Comuni, se questi provano di aver sofferto in proprio un danno - patrimoniale o anche non patrimoniale - quale 
conseguenza diretta del 
fatto illecito.
	Questi ulteriori danni dovranno essere poi riconosciuti sulla base delle regole della responsabilità civile di cui agli articoli 
2043 e 
2059 c.c.
	
	Nel cassare la precedente 
sentenza di merito, tuttavia, la Cassazione ha rilevato che il risarcimento dei danni era stato riconosciuto ai privati senza che fosse stato doverosamente provato il nesso eziologico tra i comportamenti del proprietario del fondo e le conseguenze dannose lamentate dai vicini.
	Perciò, sarà ora compito del 
giudice del rinvio verificare specificamente i danni subiti direttamente dai singoli cittadini nella loro sfera privata ed il nesso causale della 
condotta con tali danni.