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Omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza: il giudice deve attentamente valutare la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche

Omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza: il giudice deve attentamente valutare la possibilità di riconoscere le attenuanti generiche
Secondo la Cassazione, ai fini della concessione delle attenuanti generiche, in caso di omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza, la giovane età e l'incensuratezza dell'imputato devono essere correlati alla concreta gravità del fatto.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 52121 del 15 novembre 2017, ha fornito alcune interessanti precisazioni in tema di riconoscimento delle attenuanti generiche (art. 62 bis c.p.), in caso di condanna per reati legati alla circolazione stradale.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Catanzaro aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale di Crotone aveva dichiarato la penale responsabilità di un soggetto, in ordine ai reati di “omicidio colposo, omessa assistenza stradale e guida in stato di ebbrezza” (artt. 589 c.p., 189 Cod. della Strada e 186 Cod. della Strada).

La Corte d’appello, in particolare, aveva riconosciuto all’imputato le “attenuanti generiche prevalenti” (art. 62 bis c.p.), condannandolo alla pena di due anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

Ritenendo la decisione ingiusta, il Procuratore Generale aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, evidenziando l’erronea concessione delle attenuanti generiche, di cui all’art. 62 bis c.p.

Secondo il ricorrente, infatti, “la mera giovane età ed incensuratezza” dell’imputato, “unitamente alla sua confessione”, andavano “correlati alla concreta gravità del fatto, in maniera tale da non consentire il riconoscimento delle attenuanti generiche, tantomeno in termini di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover dar ragione al Procuratore Generale, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Precisavano gli Ermellini che “a fronte della assoluta gravità del fatto” contestato all’imputato, la Corte d’appello aveva valorizzato “elementi mitigatori delle pena privi di specifica rilevanza e significatività rispetto alle condotte criminose di cui si è reso responsabile l'imputato”.
In proposito, il giudice di secondo grado aveva valorizzato “l'incensuratezza e la giovane età” dell’imputato, nonché la confessione resa dal medesimo, nonostante avesse riconosciuto “la particolare gravità e lesività della condotta colposa oggetto di contestazione. Essa, infatti, aveva causato la morte di un soggetto e il ferimento di un altro, il quale non era stato travolto dall’autovettura condotta dall’imputato “solo grazie alla prontezza di riflessi ed alla casuale posizione logistica”, che gli avevano consentito “di fare un balzo all'indietro”.

Di conseguenza, secondo la Cassazione, “rispetto alla natura ed entità del fatto, con particolare riguardo alla incosciente ed azzardata condotta di guida”, il fatto che l’imputato fosse di giovane età, non costituiva affatto un elemento attenuante, bensì un “elemento aggravante rispetto al fatto specifico, trattandosi di soggetto neopatentato dal quale l'ordinamento pretende estrema prudenza e rigoroso rispetto delle norme stradali, nonchè assoluto divieto di guidare sotto la (sia pur minima) influenza di bevande alcoliche (cfr. art. 186 bis C.d.S.), proprio in considerazione della limitata esperienza di guida”.
Quanto alla “incensuratezza”, la Cassazione evidenziava come la stessa non giustificasse, di per sé, la concessione delle attenuanti generiche.

In sostanza, dunque, secondo la Cassazione, la Corte d’appello non aveva correttamente esercitato il “potere discrezionale che la legge gli attribuisce nella determinazione del trattamento sanzionatorio” e quindi l’adeguamento della pena al fatto si era tradotto “in un beneficio accordato sulla base di elementi non aventi valore significante rispetto alla natura dei reati commessi”.

Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore Generale, annullando la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinviando la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, affinchè la medesima decidesse nuovamente sulla questione, sulla base dei principi sopra enunciati.


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