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È legittima l'esclusione del lavoratore disabile dalla turnazione prevista per il lavoro straordinario?

È legittima l'esclusione del lavoratore disabile dalla turnazione prevista per il lavoro straordinario?
È discriminatoria l'esclusione di un dipendente pubblico disabile dalla turnazione per il lavoro straordinario che sia basata soltanto sulla sua condizione.
La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15075/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla legittimità dell’esclusione di un dipendente pubblico affetto da disabilità dalla turnazione per il lavoro straordinario, la quale sia avvenuta esclusivamente sulla base della sua condizione.

La questione sottoposta all’esame degli Ermellini era nata in seguito all’esclusione di un dipendente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, affetto da disabilità, dai turni di lavoro straordinario, la quale era stata ritenuta discriminatoria sia dal Tribunale che dalla Corte d’Appello, con conseguente condanna del Ministero al risarcimento del danno.
La Corte territoriale, in particolare, aveva evidenziato come l’esclusione del lavoratore, adibito in via continuativa e non saltuaria allo sportello, fosse stata determinata dalla sola condizione di disabile, senza che la stessa fosse in alcun modo giustificata, considerato che il suo handicap fisico non influiva sulla possibilità di espletare il servizio, né comportava una difficoltà nell’erogarlo, tanto che, in precedenza, lo stesso era stato incluso nei turni e si era assentato con la medesima frequenza degli altri addetti alle stesse mansioni.

Il Ministero, rimasto soccombente all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, decideva di ricorrere dinanzi alla Corte di Cassazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 15 e 16 dello Statuto dei lavoratori, nonché dell’art. 2077 del c.c. A suo avviso, infatti, la decisione di escludere il lavoratore in questione dai turni del personale addetto all’attività di revisione per conto dei privati, era stata assunta dal direttore dell’ufficio per rispondere alle necessità dell’utenza e nell’ambito delle prerogative riconosciute dall’art. 5 del T.U.P.I.
Il Ministero ricorrente sosteneva che il lavoratore, assunto come centralinista ipovedente, era stato addetto soltanto saltuariamente allo sportello ma, in seguito, a causa delle continue assenze, era stato assegnato a svolgere solo le mansioni di assunzione e, quindi, era stato escluso dai turni per garantire l’efficienza del servizio, aggiungendo come, peraltro, non esistesse un diritto soggettivo del lavoratore subordinato alla parità di trattamento, non essendo, dunque, configurabile, nel caso di specie, alcun comportamento discriminatorio imputabile al datore di lavoro.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile.

Gli Ermellini hanno, innanzitutto, evidenziato come, nel caso de quo, la Corte territoriale, dopo aver accertato che il lavoratore affetto da disabilità era stato adibito allo sportello in modo continuativo e non saltuario, avesse ritenuto che la sua esclusione dai turni di lavoro straordinario, disposti per la revisione dei veicoli, compensati direttamente dai privati, fosse discriminatoria perché fondata, senza giustificazioni, sulla sua condizione di disabile e, quindi, seppure in assenza di un espresso richiamo, avesse deciso la controversia conformemente a quanto disposto dall’art. 2 della l. n. 67/2006, secondo cui “il principio di parità di trattamento comporta che non può essere praticata alcuna discriminazione in pregiudizio delle persone con disabilità. Si ha discriminazione diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in una situazione analoga”.

Il Ministero, invece, nella parte in cui, con il proprio ricorso, ha insistito nel sostenere che l’assegnazione allo sportello fosse stata soltanto saltuaria e che il direttore dell’ufficio avesse legittimamente esercitato i poteri attribuiti al dirigente dall’art. 5 del T.U.P.I., oltre a contestare la ricostruzione dei fatti di causa, non ha colto né censurato adeguatamente l’effettiva ratio della decisione, la quale era totalmente fondata sull’esclusione di ragioni idonee a giustificare il modello organizzativo adottato, da cui i Giudici di merito hanno desunto la natura discriminatoria dell’atto adottato.

È, poi, parso inconferente anche il richiamo all’art. 2077 del c.c., nonché al principio della parità di trattamento nell’ambito del lavoro privato, sia perché, per l’impiego pubblico contrattualizzato, la norma di riferimento è rappresentata dall’art. 45 del T.U.P.I., sia perché, nel caso in esame, viene in rilievo la tutela del disabile, la quale è assicurata, in ogni caso, dal richiamato art. 2 della l. n. 67/2006.


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