
Nel caso di specie due coeredi convenivano in giudizio i loro due fratelli germani e la madre, chiedendo lo scioglimento della comunione ereditaria sui beni relitti del padre, deceduto nel 1974, nonché la condanna di uno dei due fratelli al pagamento dei frutti civili ed alla resa del conto. Quest’ultimo, dal canto suo, si costituiva in giudizio eccependo l’intervenuta prescrizione del credito avente ad oggetto i frutti civili, e chiedeva, in via riconvenzionale, l’accertamento in suo favore dell’usucapione dei beni immobili e dei terreni pertinenziali oggetto della domanda di divisione presentata dagli attori, oltre al rimborso della somma da lui sostenuta per i lavori di ristrutturazione svolti in uno degli immobili oggetto della controversia, pari a 150.000 euro.
Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, disponendo lo scioglimento della comunione ereditaria e condannando il convenuto al pagamento dei frutti da lui dovuti per l’uso esclusivo di un immobile.
Quest’ultimo proponeva appello e la Corte territoriale adita riformava parzialmente la sentenza di primo grado in relazione al pagamento dei frutti, riducendoli a quelli dovuti per il solo periodo successivo alla domanda giudiziale, ma ne confermava tutti gli altri punti.
Alla luce di tale decisione l’appellante ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1720 del c.c. e degli articoli 115 e 116 del c.p.c., stante il mancato riconoscimento del suo diritto ad ottenere il rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell’immobile da lui abitato e ricadente nell’asse ereditario del defunto padre.
La Corte di Cassazione, giudicando fondato il motivo di gravame, ha accolto con rinvio il ricorso ribadendo il principio di diritto vigente in materia per cui "Il coerede che sul bene comune da lui posseduto abbia eseguito delle migliorie può pretendere, in sede di divisione, non già l'applicazione dell'art. 1150 del c.c., secondo cui è dovuta un'indennità pari all'aumento di valore della cosa in conseguenza dei miglioramenti, ma, quale mandatario o utile gestore degli altri eredi partecipanti alla comunione ereditaria, il rimborso delle spese sostenute per la cosa comune, esclusa la rivalutazione monetaria, trattandosi di debito di valuta e non di debito di valore”.
In ossequio a tale principio, i giudici di legittimità, in relazione al caso sottoposto al loro vaglio, hanno evidenziato che, essendo stata accertata, con una consulenza tecnica d’ufficio, l’esistenza su uno degli immobili oggetto di comunione ereditaria di opere realizzate dal ricorrente, nonché il loro presumibile costo, la Corte d’Appello ha errato nel non riconoscere al ricorrente il diritto a venire rimborsato di quanto speso.
Redazione Giuridica