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Articolo 24 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 24 Costituzione

Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi [113].

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento [86, 87 c.p.c.; 96 ss. c.p.p.].

Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione [98 c.p.p.].

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari [571, 572, 573, 574, 643, 644, 645, 646, 647 c.p.p.].

Ratio Legis

La norma in esame garantisce l'eguaglianza tra tutti i cittadini (3 Cost) e, soprattutto, preserva la pace tra i consociati perchè impedisce che essi si facciano giustizia da sè (v. 392, 393 c.p.).

Brocardi

Cuique defensio tribuenda

Spiegazione dell'art. 24 Costituzione

La norma costituzionale in esame pone i principi base della tutela giurisdizionale, sancendo che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, che a tutti sono forniti i mezzi per potersi difendere e, da ultimo, una riserva di legge al fine di disciplinare la riparazione degli errori giudiziari.

I diritti inviolabili di difesa giudiziaria, basati sul principio di uguaglianza, riconoscono a tutti la possibilità di ricorrere al sistema giudiziario in condizioni di parità e di essere giudicati da giudici imparziali.

Il diritto alla difesa è inviolabile ed universale, costituendo il fulcro di ogni sistema democratico. Non è possibile limitarlo o eliderlo in alcun modo, nemmeno mediante procedimenti di revisione costituzionale.

Corollario di tale tutela è l'obbligo di assistenza da parte di un esercente la professione legale, e la possibilità di poter partecipare effettivamente al processo.

La legge ordinaria ha dato attuazione a tale diritto con diverse disposizioni, da ultimo il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. In passato esso aveva scarsa possibilità di garantire effettivamente tutela ai meno abbienti, sia perchè il limite reddituale per accedervi era elevato sia perchè si trattava di un ufficio obbligatorio ma onorifico per gli avvocati. Dapprima, con la l. 30 luglio 1990, n. 217 lo Stato si fece carico del costo economico e quindi con il D.P.R. 115/2002 si è assistito ad una svolta incisiva in materia, nonostante da più parti se ne invochi, ad oggi, una riforma. A livello comunitario il diritto di difesa dei meno abbienti è sancito dall'art. 47 comma 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea.

La partecipazione al processo deve assicurare un corretto contraddittorio e deve svolgersi con la completa parità delle armi tra i soggetti partecipanti, sia nella fase di ammissione delle prove sia, più in generale, nello svolgimento dell'intero giudizio.

Nell'atto di garantire a tutti la tutela giurisdizionale, la Costituzione accorda tutela risarcitorio alla vittima di errori giudiziari. La disciplina in merito è contenuta nella L. 89/2001 (c.d. “Legge Pinto”). Una delle questioni connesse alla riparazione per errori giudiziari è quella della responsabilità civile dei magistrati, disciplinata dapprima con la l. 13 aprile 1988, n. 117 (c.d. legge Vassalli) e, da ultimo, con la l. 27 febbraio 2015, n. 18.

Relazione al Progetto della Costituzione

(Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947)

24 L'enunciazione dei diritti civili è completata da principî, alcuni dei quali potevano sembrare indiscutibili; ma l'esperienza amara ammonisce di trincerarli nella costituzione: il diritto di agire e difendersi in giudizio, di non essere distolti dal giudice naturale o puniti con legge retroattiva. Vietate le pene crudeli e disumane, la prima costituzione repubblicana d'Italia sancisce il principio dell'abolizione della pena di morte, che in molti sensi può dirsi italiano, e che, ribadito nelle fasi e nei regimi di libertà del nostro paese, è stato rimosso nei periodi di reazione e di violenza.

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Consulenze legali
relative all'articolo 24 Costituzione

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

A. D. chiede
sabato 21/01/2023 - Puglia
“Al fine di poter usufruire del gratuito patrocinio in un giudizio civile, il limite di reddito di chi agisce in giudizio, deve comunque essere sommato a quello della moglie, anche si i due sono in regime di separazione di beni?”
Consulenza legale i 26/01/2023
L’art. 76, comma 2 del D.P.R. 115/2002 (T.U. Spese di giustizia) si limita a stabilire che “se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante”.
Non vi è, pertanto, alcun riferimento al regime patrimoniale della famiglia; mentre dal tenore della norma si evince che il presupposto fondamentale ai fini del cumulo dei redditi è quello della convivenza (come peraltro precisato anche dalla giurisprudenza: si veda Cass. Pen., Sez. IV, n. 17426/2018, secondo cui “la nozione rilevante ai fini dell'ammissione e della conservazione del beneficio del gratuito patrocinio” è quella di “familiare convivente”).
Nel quesito non viene specificato di che tipo di giudizio civile si tratti: ad ogni modo va tenuto presente che, ai sensi del comma 4 del cit. art. 76, la sommatoria non va operata (e dunque si tiene conto del solo reddito personale del richiedente) quando oggetto della causa sono diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.

Carlo C. chiede
domenica 26/04/2020 - Puglia
“Egregio avvocato, io e mia moglie (entrambi molto anziani) viviamo solo con il reddito dei nostri due assegni sociali che ammontano a circa € 1.000 al mese. Ora dovendo difendere i miei interessi, il nostro reddito e le necessità della nostra età non mi permettono di assumere un avvocato per cui avrei voluto ricorrere all'ausilio del Gratuito Patrocinio dato che l'art.24 della Costituzione "assicura ai non abbienti con appositi Istituti i mezzi per difendersi davanti ad ogni giurisdizione". Il Parlamento, dopo 74 anni, emana il Decreto DPR del 30/05/2002 che all'art.76 sancisce: "Può essere ammesso al Gratuito Patrocinio chi é titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito non superiore a € 9.296.22" (oggi pari a €11.498). In questo modo questo Decreto privandomi del diritto alla difesa, secondo me, annulla e stravolge i dettami della Costituzione che sancisce "la difesa é diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento". A conferma di questo mio convincimento devo aggiungere che con noi vive nostra figlia che ci assiste e ci aiuta a sopportare la vecchiaia. Ma il Decreto DPR del 30/05/2002 n° 115 art. 76 dichiara "se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante" quindi viene negata anche a mia figlia pur non avendo lei alcun reddito la possibilità di difendersi e di ricorrere al Gratuito Patrocinio. Le chiedo: cosa posso fare? Posso difendermi da solo? e in che modo?”
Consulenza legale i 18/05/2020
L’art. 76 del D.P.R. 115/2002 (T.U. Spese di giustizia) è, purtroppo, molto chiaro nel prevedere che possa essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato chi è titolare di un reddito imponibile, ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 11.493,82, o comunque al limite aggiornato ogni due anni in relazione alla variazione dell’indice ISTAT, con apposito decreto del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ex art. 77 D.P.R. 115/2002.
Sempre l’art. 76 del T.U. citato precisa che, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante.
Inoltre, ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
Viceversa si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
Va infine precisato che, solo nel processo penale, l’art. 92 del D.P.R. 115/2002 prevede l’innalzamento dei limiti di reddito indicati dall'articolo 76, comma 1, in misura pari a euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi, ovviamente se l'interessato all'ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari.
Tra l’altro, proprio in tema di assegno sociale, la Cassazione (Sezione IV penale, sent. n. 38980/2014) ha chiarito: “la disposizione normativa al fine di ammettere al patrocinio a spese dello stato solo coloro che versino in una effettiva e concreta difficoltà di far fronte con l'introito reddituale e parareddituale dell'intero nucleo famigliare convivente, che il vincolo solidaristico impone disponibile per le esigenze primarie di ciascun componente (e fra queste senz'altro la tutela legale davanti alla pretesa punitiva dello Stato), non pone esclusioni di sorta: quale che sia la fonte, la stabilità o precarietà ed il regime tributario delle entrate, restando, quindi, a tal ultimo proposito, indifferente che le stesse siano escluse dalla base imponibile, soggette a ritenuta alla fonte o senti dall'imposizione”, aggiungendo che “l'assegno sociale (c.d. pensione sociale), lungi dal rappresentare un contributo occasionale, costituisce un vero e proprio trattamento stabile e continuativo, immutabile, salvo il venir meno della condizione socio-economica che lo impone”.
Quanto alla possibilità di difesa personale della parte, l’art. 82 del c.p.c. stabilisce che davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100.
Al di fuori di questa ipotesi, le parti di regola non possono stare in giudizio se non col ministero o con l'assistenza di un difensore; tuttavia, sempre nel processo dinanzi al giudice di pace, quest’ultimo, “in considerazione della natura ed entità della causa, con decreto emesso anche su istanza verbale della parte, può autorizzarla a stare in giudizio di persona”.
Infine, un altro caso di difesa personale della parte è previsto dall’art. 86 del c.p.c., che attribuisce la facoltà di stare in giudizio senza il ministero di altro difensore a chi abbia la qualità necessaria per esercitare l'ufficio di difensore con procura presso il giudice adito: ovvero a un avvocato che sia abilitato ad esercitare presso quell’Ufficio.
Al di fuori dei casi appena elencati, non è consentito alle parti di difendersi in giudizio da sé.

Andrea M. chiede
venerdì 05/04/2019 - Veneto
“Buongiorno, sono socio fondatore di un'associazione per la difesa dei diritti umani, e per conto di questa associazione di nome ....omissis..... vi invio tramite mail un documento per il quale si richiede una consulenza legale da parte vostra.
Ringraziando auguro una buona giornata da parte mia e dal presidente dell'associazione.”
Consulenza legale i 15/04/2019
Il brocardo utilizzato a chiusura del documento fatto pervenire enuncia un principio di estrema importanza, soprattutto in un’epoca come la nostra, in cui perversano corruzione e assenza di rispetto per le leggi e per il prossimo, ossia:
Fiat iustitia ruat caelum” (Sia fatta giustizia anche se cade il cielo).

La giustizia ha da sempre costituito e costituisce uno dei valori supremi di ogni società, per garantire la quale ciascun ordinamento giuridico si preoccupa di dettare principi quanto più certi e ben definiti, per il rispetto dei quali vengono istituiti appositi strumenti e procedure giuridiche, e la cui applicazione, da ultimo, viene affidata a quelli che comunemente vengono chiamati “operatori del diritto”.

Il diritto, costituito da regole molto semplici nelle società più antiche e che sono diventate sempre più tecniche in concomitanza con lo sviluppo tecnologico e industriale delle società moderne, è deputato per propria natura ad essere usato come mezzo per mantenere l’armonia e l’equilibrio in ogni società civile.
In tale ottica riveste un ruolo fondamentale la figura dell’avvocato, il quale, presentandosi come interprete del diritto nella legge, ha il compito di prevenire l’opera del giudice, rendendo possibile la pace degli animi attraverso la giustizia.
Per questo, si ritiene che al lavoro dell’avvocato debba essere riconosciuta una importantissima ed ineliminabile funzione sociale, ossia quella di postulare e tutelare i diritti e gli interessi dei cittadini sia nei rapporti privati (per questioni che possono essere di natura patrimoniale o personale) sia arginando l’esercizio improprio del potere discrezionale da parte della pubblica amministrazione.

Nell’esplicazione di tale funzione sociale, anche l’avvocato deve agire nel rispetto di una concezione legalistica, dovendo improntare la sua opera a precisi parametri quali sono quelli previsti dal codice deontologico e dall’ordinamento giuridico nel suo complesso.
Diceva Calamandrei, insigne giurista, politico ed avvocato vissuto nel secolo scorso, padre fondatore del nostro codice di procedura civile, che l’avvocato è il professionista “utile ai giudici per aiutarli a decidere secondo giustizia, utile al cliente per aiutarlo a far valere le proprie ragioni” e ancora “dove si scredita l’avvocatura, colpita per prima è la dignità dei magistrati e resa assai più difficile ed angosciosa la loro missione di giustizia”.

Sulla base di queste premesse, cercheremo adesso di capire se realmente sussiste un divario tra il nostro ordinamento giuridico e quanto statuito dagli ordinamenti sovranazionali in ordine alla reale necessità dell’assistenza tecnica di un avvocato per ottenere giustizia.
Il documento che è stato sottoposto al nostro esame parte da una constatazione, che poi costituisce l’oggetto del quesito:
Nei tribunali italiani si pone il divieto a difendersi da sé, se non in piccolissime cause civili, gestite da sparuti Giudici di Pace ma, la nostra conoscenza della Costituzione e delle leggi di diritto internazionale ci porta a credere ed essere invece convinti del contrario”.

La prima norma della Costituzione che viene invocata per sostenere la teoria della non obbligatoria assistenza dell’avvocato è l’art. 10 Cost., il quale nel suo primo comma impone all’ordinamento giuridico italiano di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
Da questa norma si passa a citare il contenuto dell’art. 24 cost., il quale, dopo aver disposto che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, riconosce la difesa come diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

Si osserva che in quest’ultima norma mancherebbe ogni riferimento alla obbligatoria assistenza tecnica da parte di un avvocato, ma in realtà manca anche ogni enunciazione circa la possibilità di difesa personale in giudizio.
I primi due commi della norma, infatti, non sono altro che espressione di quello che nella parte introduttiva di questa consulenza abbiamo definito valore supremo di ogni società civile, ossia garantire giustizia a ciascun individuo e difendere “anche se cade il cielo” (ossia in ogni stato e grado del procedimento) i diritti che siano stati violati nei rapporti tra privati e gli interessi legittimi lesi da una pubblica amministrazione.

Il terzo comma della norma, invece, lascia proprio supporre che per la tutela dei diritti ed interessi lesi ci si debba rivolgere ad un avvocato, in quanto non avrebbe alcun senso preoccuparsi di garantire una difesa anche ai non abbienti se, di contro, si vuole pretendere che ciascun individuo debba potersi difendere da solo.

Proprio in relazione a tale norma la Corte Costituzionale, con sentenza n. 46 datata 8 marzo 1957, ha affermato che l’esercizio del diritto di difesa sancito dall’art. 24 cost. “deve essere inteso come potestà effettiva della assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti”.

Altra norma contenuta in leggi internazionali e da cui si vorrebbe trarre argomento a sostegno della difesa personale è l’art. 14 comma 3 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (firmato a New York nel 1966 e recepito dallo Stato italiano con la legge di ratifica 25 ottobre 1977 n. 881).
La parte di tale norma che viene evidenziata è quella in cui si dice che ogni individuo, accusato di un reato, ha diritto ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta.
Non si vede, per la verità, dove tale norma possa confliggere con il nostro diritto nazionale né come la stessa possa essere interpretata nel senso che la difesa personale sia alternativa a quella tecnica di un avvocato.
Al contrario, si ritiene che essa nulla dica di diverso rispetto alla nostra legge nazionale, dovendosi dalla medesima dedurre l’enunciazione del diritto di difesa quale diritto inviolabile ed irrinunciabile per il cittadino, da assicurare mediante la necessaria assistenza di un difensore “ogni qualvolta l’interesse della giustizia lo esiga” (espressione quest’ultima contenuta proprio nell’art. 14 comma 3 appena citato).
E quando l’interesse della giustizia può esigere l’assistenza tecnica di un avvocato se non in quegli stessi casi di fattispecie non bagatellari, come previsto dal nostro ordinamento?
Né si può trarre argomento a favore della propria idea da quell’altra parte della norma che garantisce a ciascun individuo accusato di essere presente nel processo, quasi ad invocare una partecipazione personale e diretta.
Tale parte della norma, infatti, si ritiene che non sia altro che esplicazione del diritto di tutela giurisdizionale sancito dal secondo comma dell’art. 24 cost. e del diritto al contraddittorio garantito dall’art. 111 Cost., che rappresenta l’aspetto sostanziale della difesa tecnica.

Stesso discorso vale per quanto disposto dall’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, il cui comma 3 riconosce all’accusato il diritto di difendersi personalmente o di avere l’assistenza di un difensore di sua scelta….quando gli interessi della giustizia lo esigono.
Anche qui, come si vede, si riconosce che la difesa tecnica debba essere affidata ad un avvocato nei casi in cui gli interessi della giustizia lo esigono, con la conseguenza che l’attività dell’avvocato deve intendersi non solo oggetto di un diritto individuale, ma anche espressione di un interesse generale dell’amministrazione della giustizia stessa.
Nel nostro ordinamento, ad esempio, per le controversie civili è l’art. 82 del c.p.c. a stabilire quando gli interessi della giustizia impongono di avvalersi di un avvocato, disponendo che le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause il cui valore non eccede euro 1.100; al di là di tale limite, sussiste la presunzione legale che il diritto di difesa non possa essere correttamente esercitato se non con il ministero o l’assistenza di un difensore, trovando ciò spiegazione nel fatto che il procedimento si arricchisce di aspetti tecnici che richiedono necessariamente l’intervento di un professionista in materia (come peraltro avviene per lo svolgimento di qualunque attività per la quale sia previsto il compimento di studi specialistici ed il conseguimento di una specifica abilitazione).

Neppure si ritiene che possa militare a favore della difesa personale in giudizio l’art. 16 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici firmato a New York nel 1966, il quale dispone che “Ogni individuo ha diritto al riconoscimento in qualsiasi luogo della sua personalità giuridica”.
Anche la scelta di nominare un difensore da cui farsi assistere in giudizio costituisce esplicazione della personalità giuridica (o meglio della capacità giuridica) di un individuo, con l’unica differenza che il suo diritto di difesa viene esercitato per il tramite di un rappresentante, come peraltro avviene nel caso di minori e incapaci (ai quali si attribuisce per legge un rappresentante legale).

Alle norme appena citate, invece, si vuole aggiungere l’art. 47 della Carta di Nizza, il quale dispone al terzo comma che ogni individuo ha facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare, aggiungendo che, a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti, va concesso il patrocinio a spese dello Stato se ciò si rende necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia.
Solo l’assistenza dell’avvocato sarà in grado di garantire all’individuo di essere tutelato in maniera effettiva in giudizio.

In conclusione, dunque, si ritiene che la figura dell’avvocato debba esser vista proprio come volta alla tutela dei diritti umani per i quali milita l’associazione richiedente il parere, dovendosi riconoscere all’avvocato una vera e propria funzione sociale, consistente nell’aiutare il proprio assistito ad ottenere o salvaguardare un proprio diritto, operando senza violare quello degli altri ed in piena e corretta applicazione delle regole sostanziali e processuali dettate per la civile convivenza.

Alessandro R. chiede
martedì 05/12/2017 - Emilia-Romagna
“Spett.le Studio Brocardi,<br />
sono l' unico componente della mia famiglia e disoccupato dal 2012, riesco a mantenermi con la rendita di alcuni investimenti effettuati presso un istituto bancario.<br />
A causa di una questione condominiale dovro' intentare una causa civile ed il mio reddito e' inferiore al massimale stabilito dai requisiti per poter accedere al gratuito patrocinio.<br />
Il problema e' dovuto al fatto che, data la mia situazione, non ho alcuna dichiarazione dei redditi e che, tra l' altro, la mia rendita e' soggetta di ritenuta alla fonte.<br />
Per poter accedere al patrocinio a spese dello Stato devo dichiarare il mio patrimonio o sono sufficenti i dati della mia rendita?<br />
Considerando che la rendita e' tassata all' origine e' necessario un qualche documento fornito dall' istituto bancario che attesti la mia situazione?”
Consulenza legale i 11/12/2017
Il DPR n. 115/2000 regola agli artt. 74 e seguenti, il patrocinio a spese dello stato per le persone che, a causa delle loro condizioni economiche, non potrebbero permettersi un avvocato e quindi sarebbero impossibilitati ad accedere alla giustizia, diritto inviolabile dell’uomo.

Se taluno dispone di un reddito lordo annuo inferiore ad € 11.528,41, potrà comunque scegliersi un avvocato per veder tutelate le proprie ragioni, in quanto sarà lo Stato a corrispondere il compenso al professionista.

Per calcolare se è possibile essere ammessi al gratuito patrocinio è necessario partire dalla definizione stessa di reddito, inteso come flusso di ricchezza durante un certo periodo di tempo (in questo caso l’anno solare).
Il concetto di reddito è un concetto diverso da quello di patrimonio che fotografa la ricchezza di un soggetto in un dato istante.
Nella definizione di reddito non è incluso il patrimonio che quindi non deve essere calcolato per verificare l’ammissibilità al gratuito patrocinio.

Invece, nel computo del reddito annuo dovrà certamente tenersi conto anche dei redditi degli altri appartenenti al nucleo familiare (ma nel caso di vertenze relative a diritti della personalità o a conflitti tra componenti del nucleo, si considera il reddito del solo interessato), e soprattutto occorrerà tener conto dei redditi esenti da IRPEF e dei redditi tassati alla fonte (art. 76 comma 3°).
Dunque nel computo del reddito percepito nell’anno sicuramente andranno calcolati i redditi tassati alla fonte al lordo della ritenuta (combinato disposto degli artt. 74 e 76 DPR n. 115/2000).

La domanda può essere presentata sfornita di documentazione attestante il reddito in quanto saranno gli Enti a ciò deputati ad effettuare i controlli del caso.
La richiesta di ammissione al gratuito patrocinio deve essere fatta semplicemente compilando la modulistica fornita dal Consiglio dell’Ordine del circondario ove sarà promossa la causa dichiarando in autocertificazione il proprio reddito (art 79 comma 1° lett. c) .
E' il cittadino che autocertifica il proprio reddito, consapevole e responsabile delle sanzioni penali previste dall’art. 125 T.U. 30 maggio 2002 n. 115 per le dichiarazioni mendaci, senza che sia necessario allegare alcuna documentazione giustificativa al riguardo.

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