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Diritto processuale civile -

La prova illecita nel processo civile

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AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2019
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Università degli Studi di Catania
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
In questo elaborato si affronta il problema della prova illecita nel processo civile, fenomeno che da sempre ha destato perplessità e difficoltà, sia per la dottrina che per la giurisprudenza. Partendo dalla constatazione che nel nostro ordinamento non si trova una disposizione che disciplini espressamente la prova illecita, sono state chiarite le opinioni di chi ritiene che tale fenomeno non sia inquadrabile nel contesto delle lacune normative ma in quello delle lacune assiologiche, che riguardano l’assenza di una norma che possa definirsi “giusta”,da un punto di vista etico-politico. Nel caso di specie, si evince che, stando alle disposizioni del nostro codice è possibile individuare una disciplina applicabile alle prove illecite, cioè gli artt. 115 e 183 c.[n7cpc]] c.p.c., dalla cui interpretazione si desume che le prove possono essere ammesse nel processo se ritenute rilevanti. Spetterebbe al giudice valutare tale rilevanza e ammissibilità. Ne consegue che, dalle norme esistenti si potrebbe ricavare una disciplina in grado di stabilire se la prova illecita possa essere ammessa oppure no. Quanto al concetto di prova illecita si sono registrati due orientamenti prevalenti: il primo comprende entro il confine sia le prove acquisite in violazione di norme processuali, sia quelle ottenute in violazione di norme sostanziali. Il secondo predilige,invece,una concezione più ristretta di tale concetto che tenga in considerazione soltanto le prove frutto di una violazione di norme sostanziali. Ed è quest’ultimo orientamento quello maggiormente avallato dalla dottrina dominante. Diversi pareri, però, si sono alternati anche a proposito dell’individuazione di quelle norme sostanziali che nello specifico determinano l’illiceità. Secondo taluni l’illiceità deve essere intesa come contrarietà a qualsiasi norma sostanziale; altri, invece, la circoscrivono alle violazioni dei soli principi tutelati dalla Costituzione o alle violazioni di quelle norme che tutelano la privacy; infine vi è anche chi ritiene che l’illiceità della prova possa essere determinata solo dalla violazione di norme penali. Tutte queste teorie, però, subiscono critiche tanto che nessuna di esse riesce a prevalere e ad affermarsi sulle altre in modo netto. La dottrina e la giurisprudenza hanno prestato maggiore attenzione all’aspetto relativo all’ammissibilità e utilizzabilità di tali prove nel processo. Analizzando le posizioni assunte dalla dottrina si evince che la maggior parte di essa ha manifestato da sempre un atteggiamento di chiusura nei confronti della prova illecita, negandone in modo sostanziale e con varie argomentazioni la sua ammissibilità. La giurisprudenza, al contrario, pur non mostrando un orientamento univoco nel corso del tempo, ha comunque, rivelato maggiore apertura sia per l’ammissibilità che utilizzabilità di tali prove. Principalmente, si fa leva sul diritto alla privacy, che però deve subire un bilanciamento rispetto ad altri diritti costituzionalmente tutelati, in primis il diritto alla difesa di cui all’art. 24 della Costituzione. Nonostante ampia dottrina abbia avallato questa tesi, non si riesce, tuttavia, ad individuare un orientamento univoco.Si diffonde l’idea che sia sempre necessario attribuire al giudice il difficile compito di procedere al bilanciamento tra il diritto di difesa e qualsiasi altro diritto che risulta violato dal modus operandi delle parti.A tal proposito, si registrano numerose pronunce giurisprudenziali, in cui questo difficile bilanciamento ha condotto alla prevalenza del diritto alla difesa sugli altri, giustificando così l’ammissibilità e utilizzabilità di prove acquisite con mezzi illeciti. Quindi, se originariamente l’orientamento giurisprudenziale dominante propendeva per l’inammissibilità di queste prove, pian piano si assiste ad un cambio di rotta, motivato dalla necessità di garantire il diritto di difendersi, provando. Per ciò che concerne, invece, il rapporto tra la prova illecita e i principi costituzionali, come si è visto, parte della dottrina e della giurisprudenza è giunta ad individuare nella Costituzione la regola di esclusione di queste prove dal processo civile, sostenendo che essa fosse in contrasto con le norme che tutelano i diritti di libertà dei cittadini, in particolare gli artt. 13, 14, 15, 21 Cost. e l’art. 111 Cost, che, nello specifico, disciplina il “giusto processo”. Tuttavia, anche queste tesi non risultano pienamente soddisfacenti e condivisibili dalla maggioranza.Sarebbe semmai opportuno procedere al bilanciamento di cui si è detto poco sopra. Dall’analisi condotta risulta quale sia il quadro della situazione relativa al fenomeno della prova illecita nel processo civile. Nonostante i vari tentativi della dottrina e della giurisprudenza di fornire approcci utili alla risoluzione del problema, questo tutt’oggi risulta ancora aperto. Stante la difficoltà di giungere ad una soluzione soddisfacente, sarebbe necessario un intervento del legislatore che fornisca elementi certi e chiari.

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