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Il rapporto tra l’attività difensiva e il favoreggiamento personale da parte del difensore

Il rapporto tra l’attività difensiva e il favoreggiamento personale da parte del difensore
Non integra il reato di favoreggiamento la condotta del difensore che avvisa il proprio assistito della possibilità di applicazione una misura cautelare se ha acquisito tali notizie nei modi conformi alla legge.
Con una interessantissima pronuncia di taglio pratico (n. 37512 del 2021), la Sesta Sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul controverso rapporto intercorrente tra il legittimo esercizio dell’attività difensiva propugnato dal difensore e il reato di favoreggiamento, ex art. 378 del c.p..

Nel dettaglio ed entrando in media res, secondo la Suprema Corte non integra il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione di atti processuali dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi della possibilità che nei suoi confronti possa essere applicata una misura cautelare di tipo custodiale, atteso che la legittima acquisizione di notizie che possano interessare la posizione processuale dell’assistito ne rende legittima la rivelazione a quest’ultimo in virtù del rapporto di fiducia che intercorre tra professionista e cliente e che attiene al fisiologico esercizio del diritto di difesa scolpito all’art. 24 Cost..

Alla luce di tali coordinate ermeneutiche, il Supremo Organo di Nomofilachia ha concluso come non integri la fattispecie oggettiva del reato di favoreggiamento personale l’attività di consulenza fornita dall’avvocato ai propri assistiti sulla base della conoscenza lecita degli atti redatti a loro carico e, specificamente, il suggerimento dato gli stessi in ordine alle dichiarazioni da riferire all’ Autorità Giudiziaria, atteso che da un lato rientra nella facoltà degli indagati quella di mentire; dall’altro, il giudice non è tenuto a prestare fede incondizionata alle loro dichiarazioni ma - piuttosto - a compiere, indipendentemente da esse, le dovute indagini al fine di accertare la verità.

La pronuncia in commento si preoccupa tuttavia anche di disegnare il confine applicativo della “zona di liceità” individuata. Segnatamente, qualora l’acquisizione di notizie da parte del difensore avvenga “contra ius”, come ad esempio nel caso di una fraudolenta presa visione o estrazione di copie di atti che debbano invece rimanere segreti si verifica una cosiddetta solidarietà anomala con l’imputato o l’indagato. In tali situazioni, l’aiuto così fornito dal difensore non risulta più strumentale e propedeutico alla corretta e diligente attività di assistenza e rappresentanza legale, ma risulta invece diretto e indirizzato alla elusione o deviazione delle investigazioni.
Per l’effetto, tali condotte non rientrano nel perimetro di liceità individuato dalla Suprema Corte di Cassazione ma risultano invece pienamente integranti la fattispecie oggettiva del reato di favoreggiamento in quanto prettamente idonee a recare turbamento della funzione giudiziaria.


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