Cassazione civile Sez. Lavoro sentenza n. 4562 del 22 aprile 1995

(2 massime)

(massima n. 1)

Nel rito del lavoro, l'interrogatorio non formale, reso a norma dell'art. 420, comma 1, c.p.c., non essendo preordinato a provocare la confessione della parte, ma, essendo diretto a chiarire i termini della controversia, non costituisce mezzo di prova e le dichiarazioni in esso contenute devono considerarsi elementi chiarificatori e sussidiari di convincimento. Ne consegue che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, e che la mancata considerazione delle sue risultanze, da parte del giudice, non integra il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia.

(massima n. 2)

Nel rito del lavoro, l'affermazione del giudice di appello che sarebbe stata necessaria la prova di determinate allegazioni ai fini dell'accoglimento della domanda non è incompatibile col rigetto dell'istanza diretta all'esercizio al riguardo dei poteri istruttori di cui all'art. 437 c.p.c., sia perché l'esercizio di questi è del tutto discrezionale, sia perché il provvedimento del giudice di appello può essere implicita espressione del giudizio che la parte avrebbe dovuto dare impulso alla prova con la richiesta di mezzi ammissibili e concludenti. (Nel caso di specie, caratterizzato dalla circostanza che l'attore aveva dedotto capitoli di prova testimoniale inammissibili, perché generici e implicanti valutazioni, secondo la Suprema Corte il tribunale, giudice d'appello, aveva appunto implicitamente formulato una valutazione di tal genere).

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