Alcuni scrittori sostennero che decisiva debba essere la volontà del testatore, che occorre indagare. Se da tale indagine risulta la volontà di attribuzione della totalità dei beni, non è ammissibile che la qualità di erede venga meno per il solo fatto che il testatore accompagni la manifestazione, espressa o tacita, di tale volontà, con l'indicazione di beni determinati. Se l’indicazione di beni determinati, si diceva, non ha efficacia di escludere la volontà di attribuzione di tutti i beni, quando il chiamato sia uno solo, non dovrà essere diversamente quando i chiamati siano più. Quando risulta la volontà del testatore di attribuire a più chiamati la totalità dei beni, l’indicazione dei beni da attribuirsi all’uno e all’altro non può avere effetto di eliderla.
Altri scrittori, invece, sostennero che decisivo è il criterio obiettivo, cioè il contenuto della disposizione: per aversi istituzione di erede è indispensabile l'istituzione di una quota dell’universum ius defuncti (quota del patrimonio), osservandosi esattamente che il requisito della quota è anche importante ai fini pratici relativamente alla responsabilità per i debiti, giacché gli eredi rispondono sempre in proporzione della quota anche se il testatore abbia diversamente disposto; donde l'incisiva frase dell’Unger: "l’onorare una persona dipende dalla volontà del testatore, ma il carattere della disposizione è dato dal suo contenuto". Tale criterio ebbe la prevalenza ed è stato costantemente seguito dalla Corte di Cassazione.
Senonché, anche nella corrente di dottrina e giurisprudenza che si attenne al criterio obiettivo del contenuto della disposizione vi furono notevoli divergenze, perché, pur essendo comune il concetto che, per aversi eredità, occorre il requisito della quota come frazione di patrimonio, si disputava se, per aversi la quota, fosse necessaria la predeterminazione matematica della frazione o se questa potesse ricavarsi a posteriori dalla valutazione dei beni singoli o complessivi assegnati dal testatore; se, in altri termini, l’assegnazione di beni determinati fosse incompatibile con la qualità di erede.
Fra gli scrittori che ritennero l'opinione più rigorosa, che, cioè, per aversi il concetto di quota, e, quindi, l'istituzione di erede, occorre il riferimento ad una parte ideale o astratta dei beni ereditari in rapporto col tutto, una frazione aritmetica dell’intero patrimonio prestabilita nelle disposizioni testamentarie, furono il Bonfante e il Gangi. Ma tale opinione non fu seguita dalla maggioranza degli scrittori, e ragionevolmente.
Ciò che è indispensabile è che il testatore abbia disposto di tutti i suoi beni a favore di determinate persone facendone attribuzioni concrete. Il concetto di quota, intesa come frazione aritmetica, qui permane e sarà data dal valore complessivo di tutti i beni costituenti il patrimonio. Nessuno dubita che se il testatore lascia ad uno i suoi beni e rapporti mobiliari o tutti i suoi beni incorporali e ad un altro i suoi beni immobili o tutti i beni corporali, o all’uno tutti i beni acquistati e tutti i rapporti nati prima di una certa epoca, e all’altro quelli acquistati e nati posteriormente, l'istituzione sarà a titolo ereditario perché si dispone della totalità del patrimonio (giacché niente, così, potrà sfuggire) a favore di determinate persone, pur non essendo, nemmeno in questi casi, predeterminata la quota in una frazione aritmetica, ma potendosi facilmente determinare in seguito, tenendo conto del valore dei beni assegnati ai singoli chiamati, in rapporto al valore complessivo del patrimonio.
Ora, non s’intende perché lo stesso non debba essere quando le assegnazioni di beni concreti non sono, di loro natura, tali da esaurire necessariamente il patrimonio del testatore, pur essendo chiara la volontà di lui di escludere ogni altro dalla sua successione esaurendo tutto il suo patrimonio. Verificandosi tale ipotesi, i beni dei quali il testatore non abbia disposto concretamente, o perché gli sono sfuggiti, o perché li abbia acquistati posteriormente, saranno divisi, in ragione della proporzione che deriva dalla sua disposizione, fra i chiamati, e nella stessa proporzione gli eredi saranno tenuti per il pagamento dei debiti.
Notava esattamente il Colviello che se non può non ritenersi efficace la clausola con cui il testatore, dopo aver fatto le assegnazioni concrete, espressamente aggiungesse che gli onorati si intendono istituiti eredi in ragione del valore che risulterà dietro stima dei beni assegnati, non v’è ragione per non ritenere soddisfatto il voto della legge che richiede l’istituzione in quote, quando la frazione aritmetica sia conseguenza necessaria della disposizione testamentaria, avendo questa per oggetto l'attribuzione della totalità del patrimonio a favore di determinate persone.
Da questo risulta chiaro che, per aversi l’istituzione di erede, è indispensabile il concetto di quota. Se vi sia attribuzione dell’universalità del patrimonio o di una quota aritmetica di esso, non si può dubitare che si abbia istituzione di erede; l’attribuzione di beni determinati è, invece, di regola, un legato. Però, si è ammesso che, per aversi l’istituzione di erede, non è necessaria l’attribuzione di una quota aritmetica del patrimonio, potendosi determinare anche a posteriori. Sicché, vi può essere anche una institutio ex re certa, con l’attribuzione di beni determinati o di un complesso di beni, ma in questo caso è indispensabile l’indagine se la volontà del testatore sia stata quella di porre un rapporto obiettivo fra l’oggetto della disposizione e il complesso del patrimonio, così da mantenere fermo il concetto di quota. E tale volontà deve risultare dal contesto del testamento, non aliunde, perché ciò sarebbe fonte di gravi incertezze. S’intende, peraltro, che si tratti sempre di una questione di diritto, pur dovendosi procedere in base alle situazioni di fatto, consistenti nelle disposizioni testamentarie, giacché l’indagine sulla volontà del testatore è necessariamente coordinata al criterio obiettivo, posto dalla legge a base dell’istituzione di erede, cioè il riferimento ad una quota del patrimonio: l’indagine sulla volontà del testatore è limitata ad esaminare se, nonostante l’attribuzione di beni determinati, egli ha inteso mantenere fermo il concetto di quota, considerando quei beni in rapporto al complesso del patrimonio.
È in questo senso che bisogna intendere il concetto espresso dal Ministro Guardasigilli, che, cioè, l'intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio dev’essere desunta dai comuni criteri d'interpretazione della volontà testamentaria. È chiaro, però, che se il testatore, dopo aver assegnati determinati beni ad A, altri determinati beni a B, istituisce nel residuale, in questo caso le precedenti disposizioni non potranno attribuire la qualità di erede perché manca addirittura la quota; nel residuo sta l'universum ius.