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Articolo 588 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare

Dispositivo dell'art. 588 Codice Civile

Le disposizioni testamentarie(1), qualunque sia l'espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale [637 c.c.] e attribuiscono la qualità di erede [625 c.c.], se comprendono l'universalità o una quota dei beni del testatore(2) [674 c.c.]. Le altre disposizioni sono a titolo particolare [631 c.c.] e attribuiscono la qualità di legatario(3) [649 c.c.].

L'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio(4) [734 c.c.].

Note

(1) Fondamentale è la distinzione tra disposizioni a carattere universale e particolare, in quanto la disciplina normativa è nettamente diversa in relazione:
- al modo di acquisto: l'eredità va accettata, il legato si acquista ipso iure;
- al tipo di rapporto in cui si succede: l'erede succede sia nei rapporti attivi che passivi, il legatario solo nei primi;
- alla responsabilità: l'edere risponde anche ultra vires, salvo beneficio di inventario, il legatario solo nei limiti di quanto ricevuto.
(2) L'erede è colui che succede per l'intero o in una quota ideale, ossia in una frazione matematica dell'intero (si parla rispettivamente di heres ex asse o ex parte).
Di norma la quota è composita, comprende cioè una frazione di tutte le componenti del patrimonio ereditario (es. immobili, mobili, denaro, etc...), salvo diversa indicazione del testatore.
(3) Il legatario succede in una parte del patrimonio (e non in una quota di esso come l'erede).
(4) Si parla in proposito di istituzione di erede ex re certa, che ricorre qualora il testatore abbia assegnato i singoli beni come quota del patrimonio.

Ratio Legis

La norma pone i criteri in base ai quali distinguere tra disposizioni a titolo universale e particolare, stante il diverso trattamento riservato all'erede e al legatario.

Brocardi

Caput atque fundamentum intelligitur totius testamenti heredis institutio
Corpora legari omnia et iura servitutes possunt
Cum in testamento ambigue, aut etiam perperam, scriptum est, benigne interpretari, et secundum id quod credibile est cogitatum, credendum est
Etiam quae futura sunt, legari possunt
Heredis institutio
Heredis institutio ex re certa
Heres ex asse
Hi qui in universum ius succedunt, heredis loco habentur
In causa testamentorum non ad definitionem utique descendendum est, cum plerumque abusive loquantur, nec propriis nominibus ac vocabulis semper utantur
Institutio ex re certa
Legatum est delibatio hereditatis, qua testator ex eo, quod universum heredis foret, alicui quid collocatum velit
Legatum est donatio testamento relicta
Legatum est quod legis modo, id est imperative, testamento relinquitur
Neminem oportet plus legati nomine praestare quam ad eum ex hereditate pervenit
Successores autem non solum qui in universa bona succedunt, sed et qui in rei tantum singularum rerum dominium successerint

Spiegazione dell'art. 588 Codice Civile

Il testamento può contenere istituzione di eredi oppure soltanto lasciti di beni determinati, che danno luogo alla figura del legato. Il più delle volte, però, contiene sia l'istituzione di eredi che la nomina di legatari.

In ciò il nostro codice civile del 1865 si distaccò dai due sistemi opposti: quello, cioè, del diritto romano, nel quale caratteristica essenziale del testamento era la heredis institutio, che, in un primo tempo, doveva farsi con formula sacramentale: "Titius heres esto" - "Titium heredem esse iubeo" - "Titium heredem instituo, facio", e il sistema del codice Napoleonico che accettò il principio dell’antico diritto consuetudinario: "Dieu seul peut faire des héritiers, l'homme ne le peut" (solus Deus heredes facere potest, non homo), per cui eredi potevano essere soltanto i successori legittimi, cioè i parenti di sangue. Nel testamento non si potevano contenere che legati, i quali si distinguevano in legati universali, cioè quelli che comprendevano l’universalità dei beni del testatore; legati a titolo universale, ossia quelli che comprendevano una quota parte dei beni del testatore (una metà, un terzo, ovvero tutti gli immobili o tutti i mobili, o una quota determinata degli uni e degli altri), e legati a titolo particolare, che comprendevano qualsiasi altro lascito.

L'attuale codice civile ha mantenuto il sistema già adottato dal codice del 1865 che regolava la materia in due articoli, l’art. #827# e l’art. #760#. Il primo disponeva: "Le disposizioni testamentarie si possono fare a titolo di istituzione d’erede o di legato, o sotto qualsivoglia altra denominazione atta a manifestare la volontà del testatore"; l’altro: "Le disposizioni testamentarie che comprendono l’universalità od una quota dei beni del testatore sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario". Tali norme sono state fuse nell’articolo in esame.

Una delle questioni più delicate che, specialmente negli ultimi tempi, si è fatta in materia di successione testamentaria, è quella che riflette la determinazione dei criteri per distinguere l'istituzione di erede dal legato. Unico punto pacifico, nella dottrina e nella giurisprudenza, era che le espressioni adoperate dal testatore sono indifferenti. Vi sarà, indubbiamente, istituzione di erede se egli ha detto: "lego ad A il mio patrimonio, o il quarto, il terzo, la metà di esso". Vi sarà, indubbiamente, legato se il testatore abbia detto: "costituisco B erede del fondo Semproniano".

Non possono sorgere dubbi quando il testatore abbia lasciato ad una persona (od anche a più persone contemporaneamente) senza determinazione di quote l’universalità dei suoi beni o la totalità di essi o anche tutti i suoi beni, o, più specificamente, tutti i suoi beni mobili ed immobili, o anche quando abbia lasciato tutto il suo patrimonio a più persone in parti eguali o in quote diverse, ma con frazione aritmetica dell’universalità (la metà, un terzo, un quarto): in tutti questi casi si è di fronte ad un'istituzione di erede evidente, qualunque espressione abbia adoperato il testatore.
I dubbi, invece, possono sorgere in altri casi. Quando, ad esempio, il testatore lascia ad una persona tutti i suoi beni mobili ed immobili che si trovano in una determinata località ("tutti i beni che ho in Toscana") o quelli di una determinata natura ("tutti i miei beni rustici").
Alcuni scrittori sostennero che decisiva debba essere la volontà del testatore, che occorre indagare. Se da tale indagine risulta la volontà di attribuzione della totalità dei beni, non è ammissibile che la qualità di erede venga meno per il solo fatto che il testatore accompagni la manifestazione, espressa o tacita, di tale volontà, con l'indicazione di beni determinati. Se l’indicazione di beni determinati, si diceva, non ha efficacia di escludere la volontà di attribuzione di tutti i beni, quando il chiamato sia uno solo, non dovrà essere diversamente quando i chiamati siano più. Quando risulta la volontà del testatore di attribuire a più chiamati la totalità dei beni, l’indicazione dei beni da attribuirsi all’uno e all’altro non può avere effetto di eliderla.
Altri scrittori, invece, sostennero che decisivo è il criterio obiettivo, cioè il contenuto della disposizione: per aversi istituzione di erede è indispensabile l'istituzione di una quota dell’universum ius defuncti (quota del patrimonio), osservandosi esattamente che il requisito della quota è anche importante ai fini pratici relativamente alla responsabilità per i debiti, giacché gli eredi rispondono sempre in proporzione della quota anche se il testatore abbia diversamente disposto; donde l'incisiva frase dell’Unger: "l’onorare una persona dipende dalla volontà del testatore, ma il carattere della disposizione è dato dal suo contenuto". Tale criterio ebbe la prevalenza ed è stato costantemente seguito dalla Corte di Cassazione.

Senonché, anche nella corrente di dottrina e giurisprudenza che si attenne al criterio obiettivo del contenuto della disposizione vi furono notevoli divergenze, perché, pur essendo comune il concetto che, per aversi eredità, occorre il requisito della quota come frazione di patrimonio, si disputava se, per aversi la quota, fosse necessaria la predeterminazione matematica della frazione o se questa potesse ricavarsi a posteriori dalla valutazione dei beni singoli o complessivi assegnati dal testatore; se, in altri termini, l’assegnazione di beni determinati fosse incompatibile con la qualità di erede.
Fra gli scrittori che ritennero l'opinione più rigorosa, che, cioè, per aversi il concetto di quota, e, quindi, l'istituzione di erede, occorre il riferimento ad una parte ideale o astratta dei beni ereditari in rapporto col tutto, una frazione aritmetica dell’intero patrimonio prestabilita nelle disposizioni testamentarie, furono il Bonfante e il Gangi. Ma tale opinione non fu seguita dalla maggioranza degli scrittori, e ragionevolmente.
Ciò che è indispensabile è che il testatore abbia disposto di tutti i suoi beni a favore di determinate persone facendone attribuzioni concrete. Il concetto di quota, intesa come frazione aritmetica, qui permane e sarà data dal valore complessivo di tutti i beni costituenti il patrimonio. Nessuno dubita che se il testatore lascia ad uno i suoi beni e rapporti mobiliari o tutti i suoi beni incorporali e ad un altro i suoi beni immobili o tutti i beni corporali, o all’uno tutti i beni acquistati e tutti i rapporti nati prima di una certa epoca, e all’altro quelli acquistati e nati posteriormente, l'istituzione sarà a titolo ereditario perché si dispone della totalità del patrimonio (giacché niente, così, potrà sfuggire) a favore di determinate persone, pur non essendo, nemmeno in questi casi, predeterminata la quota in una frazione aritmetica, ma potendosi facilmente determinare in seguito, tenendo conto del valore dei beni assegnati ai singoli chiamati, in rapporto al valore complessivo del patrimonio.
Ora, non s’intende perché lo stesso non debba essere quando le assegnazioni di beni concreti non sono, di loro natura, tali da esaurire necessariamente il patrimonio del testatore, pur essendo chiara la volontà di lui di escludere ogni altro dalla sua successione esaurendo tutto il suo patrimonio. Verificandosi tale ipotesi, i beni dei quali il testatore non abbia disposto concretamente, o perché gli sono sfuggiti, o perché li abbia acquistati posteriormente, saranno divisi, in ragione della proporzione che deriva dalla sua disposizione, fra i chiamati, e nella stessa proporzione gli eredi saranno tenuti per il pagamento dei debiti.

Notava esattamente il Colviello che se non può non ritenersi efficace la clausola con cui il testatore, dopo aver fatto le assegnazioni concrete, espressamente aggiungesse che gli onorati si intendono istituiti eredi in ragione del valore che risulterà dietro stima dei beni assegnati, non v’è ragione per non ritenere soddisfatto il voto della legge che richiede l’istituzione in quote, quando la frazione aritmetica sia conseguenza necessaria della disposizione testamentaria, avendo questa per oggetto l'attribuzione della totalità del patrimonio a favore di determinate persone.

Da questo risulta chiaro che, per aversi l’istituzione di erede, è indispensabile il concetto di quota. Se vi sia attribuzione dell’universalità del patrimonio o di una quota aritmetica di esso, non si può dubitare che si abbia istituzione di erede; l’attribuzione di beni determinati è, invece, di regola, un legato. Però, si è ammesso che, per aversi l’istituzione di erede, non è necessaria l’attribuzione di una quota aritmetica del patrimonio, potendosi determinare anche a posteriori. Sicché, vi può essere anche una institutio ex re certa, con l’attribuzione di beni determinati o di un complesso di beni, ma in questo caso è indispensabile l’indagine se la volontà del testatore sia stata quella di porre un rapporto obiettivo fra l’oggetto della disposizione e il complesso del patrimonio, così da mantenere fermo il concetto di quota. E tale volontà deve risultare dal contesto del testamento, non aliunde, perché ciò sarebbe fonte di gravi incertezze. S’intende, peraltro, che si tratti sempre di una questione di diritto, pur dovendosi procedere in base alle situazioni di fatto, consistenti nelle disposizioni testamentarie, giacché l’indagine sulla volontà del testatore è necessariamente coordinata al criterio obiettivo, posto dalla legge a base dell’istituzione di erede, cioè il riferimento ad una quota del patrimonio: l’indagine sulla volontà del testatore è limitata ad esaminare se, nonostante l’attribuzione di beni determinati, egli ha inteso mantenere fermo il concetto di quota, considerando quei beni in rapporto al complesso del patrimonio.

È in questo senso che bisogna intendere il concetto espresso dal Ministro Guardasigilli, che, cioè, l'intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio dev’essere desunta dai comuni criteri d'interpretazione della volontà testamentaria. È chiaro, però, che se il testatore, dopo aver assegnati determinati beni ad A, altri determinati beni a B, istituisce nel residuale, in questo caso le precedenti disposizioni non potranno attribuire la qualità di erede perché manca addirittura la quota; nel residuo sta l'universum ius.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

286 Non ho creduto di tener conto di una proposta; riflettente art. 588 del c.c., il quale fissa la distinzione tra le disposizioni a titolo universale e quelle a titolo particolare. In verità la proposta non intacca la sostanza della norma, ma ha mero carattere formale. L'articolo anzidetto, dopo avere stabilito nel primo comma che le disposizioni testamentarie comprendenti l'universalità o una quota dei beni del testatore sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede e che le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario, aggiunge in un secondo comma che «l'indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio». E' stato invece suggerito di fondere quest'ultimo comma col precedente e di sostituire altresì all'espressione «come quota del patrimonio» l'altra «come quota dell'eredità». Quanto alla fusione delle due parti dell'articolo, ho considerato che, se lo scopo della norma deve essere quello di chiarire, in conformità della più recente giurisprudenza, che la qualità di erede può derivare anche dall'attribuzione di beni determinati, quando questi beni sono stati considerati dal testatore come quota del patrimonio, sembra più adeguata ad esprimere un tale concetto la dizione dell'art. 131 del progetto definitivo riprodotta nell'art. 588. Inoltre non mi è sembrato meritevole di accoglimento il voto di sostituire in questo stesso articolo il termine «eredità» a quello di «patrimonio». Ai fini dell'assunzione della qualità ereditaria è sufficiente che i beni siano considerati dal testatore come quota del patrimonio. La quota di eredità è la qualificazione giuridica del lascito di una quota del compendio patrimoniale. La dizione del progetto può essere quindi conservata, anche perché la modificazione suggerita sarebbe in contrasto con la dizione del primo comma, che qualifica disposizioni a titolo universale le disposizioni testamentarie che comprendono una quota dei beni e non già dell'eredità del testatore. Ho solo apportato al testo del secondo comma dell'articolo una modificazione di ordine formale, intesa a porre in evidenza che l'intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio deve essere desunta con i comuni criteri d'interpretazione della volontà testamentaria.
302 E' stata fatta la proposta di porre all'inizio di questa sezione (articoli 624-632) la disposizione dell'art. 188 del progetto della Commissione Reale, che il progetto definitivo aveva soppressa, ritenendola superflua. Questa disposizione, riproducendo quella contenuta nell'art. 827 del codice del 1865, intendeva affermare che la qualità di erede o di legatario non dipende dall'uso di formule sacramentali, come avveniva nell'antico diritto romano, ma dalla sostanza dell'attribuzione patrimoniale.
Pur senza formulare una disposizione ad hoc ho accolto questo voto, chiarendo nell'art. 588, che pone il criterio fondamentale della distinzione fra istituzione di erede e legato, che sono irrilevanti, ai fini di determinare la natura della disposizione, le espressioni o denominazioni eventualmente usate dal testatore. E' chiaro che così non si attenua, ma si conferma il significato dell'art. 588 il quale, pure ammettendo la cosiddetta institutio ex re certa, dà rilievo non tanto alle determinazioni più o meno precise del testatore, quanto alla sua effettiva volontà, che l'oggetto della disposizione sia considerato in rapporto con il complesso del patrimonio, per il che si mantiene sostanzialmente fermo il criterio della quota.

Massime relative all'art. 588 Codice Civile

Cass. civ. n. 42121/2022

In materia testamentaria, l'istituzione di beni in quota da parte del testatore impone di accertare, attraverso qualunque mezzo utile per ricostruirne la volontà, ma comunque secondo un'applicazione ermeneutica rigorosa della disposizione di cui al comma 2 dell'art. 558 c.c., se l'intenzione del testatore sia stata quella di attribuire quei beni e soltanto quelli come beni determinati e singoli ovvero, pur indicandoli nominativamente, di lasciarli quale quota del suo patrimonio, avendosi, nel primo caso, una successione a titolo particolare o legato e, nel secondo, una successione a titolo universale e istituzione di erede, la quale implica che, in seguito ad esame del complesso delle disposizioni testamentarie, resti accertata l'intenzione del testatore di considerare i beni assegnati come quota della universalità del suo patrimonio.

Cass. civ. n. 28259/2022

In tema di distinzione tra erede e legatario ai sensi dell'art. 588 cod. civ., l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale (institutio ex re certa) qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire beni singoli ed individuati.

Cass. civ. n. 24310/2022

Il connotato essenziale della istituzione di erede "ex re certa" non va ricercato nell'implicita volontà del testatore di attribuire all'istituito la totalità dei beni di cui egli avrebbe potuto disporre al momento della confezione del testamento, ma nell'assegnazione di un bene determinato, o di un complesso di beni determinati, come quota del suo patrimonio; risolta la questione interpretativa nel senso della istituzione "ex re", l'erede in tal modo istituito può partecipare anche all'acquisto di altri beni, se del caso in concorso con l'erede legittimo e, quindi, raccoglierli in proporzione della sua quota, da determinarsi in concreto mediante il rapporto proporzionale tra il valore delle "res certae" attribuitegli ed il valore dell'intero asse ereditario.

Cass. civ. n. 9487/2021

In mancanza di una manifestazione contraria all'apertura della successione legittima, i beni consapevolmente esclusi sono attribuiti al chiamato ex lege. La quota dell'istituito ex re è determinata, perciò, in base al rapporto fra le cose attribuite e il valore globale dei beni che il testatore sapeva di possedere in quel dato momento, tenuto conto anche di quelli non contemplati nel testamento. Nella quota differenziale, formata dalle altre cose dell'asse, succede l'erede legittimo; nella stessa proporzione, in forza della virtù espansiva che costituito connotato essenziale della vocazione a titolo universale, si ripartiranno fra erede testamentario e legittimo i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti dopo la confezione della scheda.

Cass. civ. n. 15661/2020

La disposizione testamentaria con cui il testatore abbia lasciato ad un legatario le somme risultanti a credito su un conto corrente bancario al momento della sua morte è un legato di specie; per converso, il legato di somme di denaro, senza indicazione di un conto specifico, va qualificato legato di genere con conseguente applicazione dell'art. 653 c.c.. Ed infatti, solo nel primo caso è evidente l'intenzione del "de cuius" di attribuire non un generico ammontare numerario, ma piuttosto il diritto ad esigere il capitale e gli interessi presenti su un conto in un determinato momento. (

Cass. civ. n. 6125/2020

In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell'art. 588 c.c., l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale ("institutio ex re certa") qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni, così che l'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva interpretato come disposizione a titolo universale l'attribuzione testamentaria di beni determinati, valorizzando, sia il fatto che al beneficiato fosse stata assegnata la generalità dei beni mobili, oltre che la quota di un immobile, sia le peculiari espressioni allo stesso riservate dal testatore, attestanti un trattamento, sul piano del riconoscimento affettivo, differente rispetto a quello destinato agli altri soggetti indicati nel testamento).

Cass. civ. n. 30082/2019

Al fine della configurabilità del legato in sostituzione di legittima, occorre che dal complessivo contenuto delle disposizioni testamentarie risulti l'inequivoca volontà del "de cuius" di tacitare il legittimario con l'attribuzione di determinati beni, precludendogli la possibilità di mantenere il legato e di attaccare le altre disposizioni per far valere la riserva, laddove, in difetto di tale volontà, il legato deve ritenersi "in conto" di legittima. (In applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha condiviso la decisione della corte territoriale, che aveva individuato nella scheda testamentaria due simultanee istituzioni : un legato in sostituzione di legittima in favore della moglie avente ad oggetto l'usufrutto legale di tutta la sua proprietà, in contrapposizione all'istituzione di eredi dei figli). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BARI, 28/08/2015).

Cass. civ. n. 17868/2019

L'"institutio ex re certa", quando non comprende la totalità dei beni, non importa attribuzione anche dei beni che non formarono oggetto di disposizione, i quali si devolvono secondo le norme della successione legittima, destinata ad aprirsi ai sensi dell'art. 457, comma 2, c.c. ogni qual volta le disposizioni a titolo universale, sia ai sensi del comma 1, sia ai sensi del comma 2 dell'art. 588 c.c., non ricostituiscono l'unità. Invero il principio che la forza espansiva della vocazione a titolo universale opera anche in favore dell'istituito "ex re certa", va inteso nel senso che l'acquisto di costui non è limitato in ogni caso alla singola cosa attribuita come quota, ma si estende proporzionalmente ai beni ignorati dal testatore o sopravvenuti.

Cass. civ. n. 17122/2018

In tema di delazione dell'eredità, non vi è luogo alla successione legittima agli effetti dell'art. 457, comma 2, c.c., in presenza di disposizione testamentaria a titolo universale, sia pur in forma di istituzione "ex re certa", tenuto conto della forza espansiva della stessa per i beni ignorati dal testatore o sopravvenuti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che l'erede testamentario fosse succeduto nella proprietà della cappella realizzata in esecuzione di un onere apposto all'istituzione di erede ed al legato, essendo indifferente chi, tra erede e legatario, l'avesse concretamente realizzata).

Cass. civ. n. 23393/2017

Nell'interpretazione del testamento il giudice di merito, mediante un apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se congruamente motivato, deve accertare, in conformità al principio enunciato dall'art. 1362 c.c., applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria, quale sia stata l'effettiva volontà del testatore, valutando congiuntamente l'elemento letterale e quello logico ed in omaggio al canone di conservazione del testamento: in particolare, l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale, ove il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli ed individuati beni. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 12/10/2011).

Cass. civ. n. 15239/2017

La successione legittima può coesistere con quella testamentaria nell'ipotesi in cui il "de cuius" non abbia disposto con il testamento della totalità del suo patrimonio ed in particolare, nel caso di testamento che, senza recare istituzione di erede, contenga soltanto attribuzione di legati. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in applicazione di detto principio ed in mancanza di formale istituzione di erede, aveva qualificato come legatario il beneficiario "mortis causa" di una specifica consistenza immobiliare, non rilevando, in senso contrario, che lo stesso fosse stato altresì onerato di partecipare alle spese funerarie del "de cuius" né, tantomeno, la mancata menzione, nel testamento, di altri soggetti o di altri beni, la cui inesistenza non era stata dimostrata).

Cass. civ. n. 6972/2017

In tema di successione testamentaria, l'"institutio ex re certa" ha ad oggetto un bene determinato e solo di riflesso la quota, sicché l'alienazione successiva del bene attribuito implica la revoca della istituzione di erede o l'attribuzione di una quota maggiore rispetto a quella assegnata a favore di altro coerede, senza che possa trovare applicazione l'art. 686 c.c. in materia di legato in quanto l'art. 588, comma 2, c.c. consente di determinare la quota spettante all'erede sulla base del valore dei beni assegnati ed in rapporto al valore del restante patrimonio eventualmente assegnato ad altri coeredi.

Cass. civ. n. 24163/2013

In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell'art. 588 cod. civ., l'assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale ("institutio ex re certa") qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli, individuati, beni. L'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato.

Cass. civ. n. 1066/2007

In tema di interpretazione del testamento, l'institutio ex re certa configura, ai sensi dell'art. 588 c.c., una successione a titolo universale nel patrimonio del de cuius qualora il testatore, nell'attribuire determinati beni, abbia fatto riferimento alla quota di legittima spettante all'istituito, avendo in tal modo inteso considerare i beni come una frazione rappresentativa dell'intero patrimonio ereditario.

Cass. civ. n. 3016/2002

In materia di distinzione tra erede e legatario, l'assegnazione di beni determinati deve interpretarsi, ai sensi dell'art. 588 c.c., come disposizione erditaria (institutio ex re certa), qualora il testatore abbia inteso chiamare l'istituito nell'universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. L'indagine diretta ad accertare se ricorra l'una o l'altra ipotesi, si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito, ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità se conseguentemente motivato.

Cass. civ. n. 9467/2001

Al fine di distinguere tra disposizioni testamentarie a titolo universale — che, indipendentemente dalle espressioni e dalle denominazioni usate dal testatore, sono attributive della qualità di erede — e disposizioni a titolo particolare — che, invece attribuiscono la sola qualità di legatario — il giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita al contenuto dell'atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all'intenzione del testatore. Ne consegue che soltanto in seguito a tali duplici indagini — che sono di competenza del giudice del merito e i cui risultati non sono censurabili in sede di legittimità se congruamente motivati — può stabilirsi se attraverso l'assegnazione di beni determinati il testatore abbia inteso attribuire una quota del proprio patrimonio unitariamente considerato (sicché la successione in esso è a titolo universale) ovvero abbia inteso escludere l'istituzione dell'universum ius (sicché la successione è a titolo di legato).

Cass. civ. n. 5895/1994

La volontà di diseredazione di alcuni successibili può valere a fare riconoscere una contestuale volontà di istituzione di tutti gli altri successibili non diseredati solo quando, dallo stesso tenore della manifestazione di volontà o dal tenore complessivo dell'atto che la contiene, risulti la effettiva esistenza della anzidetta autonoma positiva volontà del dichiarante, con la conseguenza che solo in tal caso è consentito ricercare, anche attraverso elementi esterni e diversi dallo scritto
l'effettivo contenuto della volontà di istituzione.

Cass. civ. n. 6516/1986

L'avere il testatore attribuito a taluno singoli beni facenti parte del suo patrimonio non comporta necessariamente il carattere di legato dell'attribuzione, poiché per stabilire se questa sia a titolo universale o a titolo particolare occorre stabilire se la disposizione sia stata fatta dal disponente in relazione al complesso del suo patrimonio, all'universum ius, oppure secondo una specifica individuazione dell'oggetto attribuito, in sé considerato e senza relazione alcuna con l'intero e globale patrimonio stesso. Pertanto, quando l'attribuzione di quota del patrimonio, ancorché individuata quanto al suo aspetto materiale nei componenti, avviene per classi o gruppi di beni (come, come ad es.: tutti i mobili o tutti gli immobili, e/o quote di essi) è da ritenere, se altri elementi intrinseci della scheda non depongano chiaramente il contrario, che l'attribuzione stessa abbia luogo a titolo universale, onde il beneficiario acquista la qualità di erede e non già quella di legatario. (Nella specie i giudici del merito avevano considerato a titolo universale la disposizione con cui il testatore attribuiva ad un soggetto la nuda proprietà di tutti i beni immobili e ad altro la proprietà di tutti i beni mobili. La Corte di cassazione ha ritenuto incensurabile, perché adeguatamente motivata, tale interpretazione della volontà del disponente).

Cass. civ. n. 5625/1985

Ai sensi del secondo comma dell'art. 588 c.c. l'assegnazione di beni determinati (institutio ex re certa) può essere interpretata come disposizione a titolo universale qualora risulti che il testatore, pur avendo indicato beni determinati, abbia in effetti inteso assegnare questi come quota del patrimonio ereditario. A tal fine l'indagine, di carattere obiettivo circa il contenuto dell'atto, nel senso dell'attribuzione dell'universalità dei beni o di una quota aritmetica di essi oppure dell'attribuzione di un bene o di un complesso di beni determinati, è di carattere soggettivo sull'intenzione del testatore, e deve essere più completa e penetrante di quella necessaria quando invece il testatore detta le disposizioni con riferimento alla quantità indeterminata dei suoi beni.

La qualità di erede non può essere desunta che dal contenuto obiettivo del testamento, essendo irrilevante a tal fine l'indagine sul comportamento degli eredi o dei legatari e sull'interpretazione che gli stessi abbiano dato al testamento.

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Consulenze legali
relative all'articolo 588 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Anonimo chiede
venerdì 03/11/2023
“Successione - Buoni Fruttiferi Postali

Alla morte del fratello, vedovo e senza figli, la badante ha depositato testamento nel quale si legge
“...dispongo che alla mia morte la casa … vada in proprietà alla signora .…. Per il resto dei miei residui in denaro il …% a… il …% a… il …% a…”.
Non vi sono disposizioni in merito ad un’auto e a dei Buoni Fruttiferi Postali (BFP).

Non figurando altri eredi testamentari, il testamento è stato interpretato come “legato”, mentre unico erede legittimo sono io.

La casa e il saldo di conto corrente sono stati ripartiti e assegnati secondo quanto disposto.
L’auto è passata in mia proprietà perché unico erede legittimo.

I Buoni Fruttiferi Postali sono in mio possesso, ora intendo riscuoterli. Il fratello me li aveva dati dicendo che intendeva sdebitarsi per l’assistenza che gli avevo portato in assenza della badante. Che considerasse poi i buoni postali cosa distinta dal “denaro” (nel linguaggio comune si intendono solo monete e banconote) sta nel fatto che il testamento lo aveva già stilato un mese prima.

Fatte salve le remore morali, voglio proteggermi dalla possibilità che il termine “denaro” venga interpretato con un senso più ampio che “moneta avente corso legale”, nel qual caso il valore dei buoni postali dovrebbe essere distribuito fra i legatari al pari del conto corrente. Penso in particolare all’Ufficio Legale di Poste Italiane che, nel dubbio, potrebbe propendere per vedervi inclusi i BFP. Tanto più che allo sportello mi è stata rivelata anche l’esistenza di un libretto al portatore con una somma modesta, questa sì sicuramente di “denaro”.

Chiedo una semplice ma solita argomentazione giuridica, da inserire nella auto-dichiarazione di successione che sto per presentare a Poste Italiane, a sostegno della ragione che i BFP non possono essere considerati “denaro” (così come sembra dedursi alla stessa voce del vostro dizionario giuridico) e quindi non sono oggetto del legato testamentario.


P.S. In caso di pubblicazione nel sito, prego vogliate modificare testo e nome. Grazie”
Consulenza legale i 09/11/2023
La prima questione che occorre affrontare è quella volta a stabilire se effettivamente il testamento del de cuius contenga o meno solo disposizioni a titolo particolare.
Norma di riferimento a tal proposito è l’art. 588 del c.c., il quale al suo primo comma delinea proprio il discrimen tra quella che è una disposizione a titolo particolare e quella che è una disposizione a titolo universale, mentre il secondo comma, rendendo ancora più difficoltosa l’indagine dell’interprete, disciplina proprio l’ipotesi in cui il de cuius abbia disposto di beni determinati o di un complesso di beni, con la precisazione che un’indicazione di questo tipo non esclude che la disposizione debba egualmente considerarsi fatta a titolo universale.

Ebbene, appare opportuno ricordare quali sono gli elementi di carattere oggettivo utilizzabili per distinguere un’attribuzione a titolo particolare da una attribuzione a titolo universale, partendo dal presupposto che la mera indicazione da parte del testatore di devolvere dei beni a titolo di eredità o di legato non può da sola rilevare.
In particolare, va detto che legatario è il beneficiario di un’attribuzione, effettuata mediante testamento ed avente immediata efficacia operativa, di diritti reali o di credito, la cui portata rimane limitata esclusivamente ai singoli diritti attribuiti.
Erede, invece, può definirsi colui che, subentrando nella posizione giuridica del de cuius, succede nell’universalità od in una quota dei beni del testatore.

In una posizione per così dire intermedia si trova la fattispecie, prevista dal secondo comma dell’art. 588 c.c., della c.d. institutio ex re certa, alla cui qualificazione concorrono due elementi, ovvero:
a) un elemento oggettivo, costituito dall’attribuzione di uno o più beni determinati;
b) un elemento soggettivo, rappresentato dall’intenzione del testatore di assegnare beni determinati come quota del patrimonio oppure senza tale intenzione.

Il problema che qui deve essere risolto è sostanzialmente quello di riuscire a capire se ci si trova di fronte a tanti disposizioni a titolo particolare (legati) ovvero di fronte a tante institutio ex certa re, nel qual caso le relative attribuzioni devono intendersi fatte a titolo universale (come espressamente voluto dall’art. 588 comma 2 c.c.).
A tal fine, lo stesso secondo comma dell’art. 588 c.c. introduce un elemento di carattere soggettivo nella valutazione dell’attribuzione, in quanto ci si deve interrogare su quella che è la concreta volontà del testatore e su come egli abbia voluto disporre di quei beni determinati.
Infatti, malgrado il testatore abbia individuato i beni (ciò che dovrebbe far propendere per una attribuzione a titolo particolare), dal tenore letterale del testamento potrebbe intendersi che lo stesso abbia voluto disporre di quei beni determinati a titolo di eredità come quota del suo patrimonio.
Per stabilire sul piano concreto quando il lascito di determinati beni sia da considerare come legato e quando invece sia da considerare come attribuzione a titolo universale, sono stati elaborati in dottrina e giurisprudenza una serie di criteri interpretativi, i quali possono essere così riassunti:
- il criterio quantitativo, secondo cui deve considerarsi erede colui al quale viene attribuita la maggior parte dei beni;
- il criterio del rapporto proporzionale tra il valore dei beni assegnati con la singola disposizione e quello dell’intero patrimonio;
- il criterio della presunzione di attribuzione a titolo di legato;
- il criterio della presunzione di attribuzione a titolo universale;
- il criterio che tende a privilegiare l’indagine sulla reale intenzione posta in essere dal testatore, anche ricorrendo ad elementi esterni al testamento.

Tuttavia, malgrado l’elaborazione di tali criteri, il problema della concreta individuazione della natura di disposizioni come quelle qui in esame continua a persistere, per il fatto che non ve ne è uno adottato in modo predominante dalla giurisprudenza.

Ciò che può in qualche modo aiutare l’interprete in situazioni di questo tipo è l’affermazione, ricorrente in giurisprudenza, secondo cui l’interpretazione del testamento deve caratterizzarsi per una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci alla scheda.
E’ anche costante l’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale accertamento, se congruamente motivato, è incensurabile in Cassazione, il che fa comprendere come l’attività ermeneutica del giudice di merito diventi fondamentale nell’analisi dei testamenti olografi.

Ciò posto, l’interpretazione della scheda testamentaria che qui si sottopone ad esame, condotta sulla base del criterio interpretativo tra quelli sopra elencati che si ritiene debba essere preferito, ovvero quello dell’indagine sulla reale intenzione del testatore, induce a dover concludere che la volontà di quest’ultimo sia stata essenzialmente quella di disporre di quei determinati beni, analiticamente indicati nella scheda testamentaria, e che di essi possano dopo la sua morte beneficiare in modo esclusivo quei singoli soggetti ivi pure indicati, non preoccupandosi, invece, in alcun modo di individuare un suo successore a titolo universale.
Del resto, si tenga presente che costituisce opinione consolidata quella secondo cui il testamento che contenga solo legati deve ritenersi pienamente valido ed efficace, con la sola conseguenza che per i beni in esso non contemplati e per qualsiasi altro bene, nel caso al momento dell’apertura della successione emergano ulteriori cespiti destinati a cadere in successione, andranno ad operare le norme sulla successione legittima (così Cass. civ. Sez. II sent. 29.06.2017 n. 15239).

Dato per ammesso, dunque, che il testatore non abbia inteso provvedere alla individuazione di un suo successore a titolo universale, ne consegue che per tutti i beni di cui il medesimo non ha disposto concorre la successione legittima, per effetto della quale chiamato all’eredità risulta essere il fratello superstite ex art. 570 del c.c..
Beni residui, che devono intendersi devoluti al fratello erede ex lege, sono, come detto nel quesito, l’autovettura ed i Buoni fruttiferi postali.
Questi ultimi, in particolare, devono essere tenuti distinti dalle somme di denaro risultanti dai saldi attivi dei conti correnti intestati al defunto, trattandosi propriamente di titoli di investimento finanziario.

In particolare, per quanto concerne la loro esatta qualificazione giuridica, prevale sia in dottrina che in giurisprudenza la tesi secondo cui, esclusa la loro natura di titoli di credito (in quanto non destinati in alcun modo alla circolazione), deve ad essi attribuirsi, secondo quanto disposto dall’art. 2002 c.c., natura di documenti di legittimazione, ossia funzionali soltanto ad identificare l’avente diritto alla prestazione, emessi a seguito di uno specifico rapporto contrattuale che si instaura tra emittente e sottoscrittore e che nulla ha a che fare con il rapporto di conto corrente a cui il testatore ha voluto riferirsi nella scheda testamentaria.
In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, con sentenza n. 13979 del 16.06.2007, nella quale la S.C., qualificando i buoni fruttiferi postali quali documenti di legittimazione, concorda nel ritenere che difettino in essi i caratteri della cartolarità, incorporazione e autonomia tipici dei titoli di credito.

G. C. chiede
giovedì 03/02/2022 - Sardegna
“Buongiorno,

con la presente richiedo cortesemente una vs. consulenza su un testamento olografo redatto dalla moglie defunta in favore del marito (comunione dei beni, non ci sono figli, la defunta ha un solo fratello).

Il testamento presenta tutti gli elementi formali richiesti perché sia pienamente valido: scritto per intero, firmato e datato dalla defunta la quale, anziché usare la classica formula della nomina quale “erede universale”, lascia al marito i beni in suo possesso elencandoli in dettaglio:

1. La casa di abitazione, (che era intestata alla defunta, seguono riferimenti catastali) con tutto ciò che vi è all'interno;

2. la propria quota di una seconda abitazione (seguono identificativi catastali);

3. la propria quota di una terza abitazione (seguono identificativi catastali);

4. la casa situata in… (seguono identificativi catastali - anche in questo caso la defunta deteneva la piena proprietà);

Il dubbio principale è il seguente: il testamento è stato redatto oltre dieci anni fa e presenta situazioni che in questo lasso di tempo sono mutate, ovvero:

1. le quote delle case di cui ai precedenti punti 2 e 3 sono state oggetto di permuta tra la defunta e il fratello, con regolari atti notarili, per cui al momento del decesso la defunta era in possesso della intera proprietà della casa di cui al punto 2 e, avendo ceduto la quota della casa di cui al punto 3, non era più in possesso di alcuna parte di quest’ultimo bene.

2. La casa di cui al punto 4 è stata venduta con regolare atto notarile di compravendita e al momento del decesso non era più nella disponibilità della defunta.

3. La casa di abitazione (di cui al punto 1) della defunta e del marito è stata oggetto di ampliamento con l’acquisizione di un appartamento contiguo e la conseguente creazione di una nuova e più ampia unità immobiliare, che ovviamente è stata nuovamente accatastata in virtù delle mutate caratteristiche (per cui gli attuali identificativi catastali non corrispondono a quelli indicati al punto 1 del testamento).

Il quesito pertanto è questo:

la mutata situazione, che peraltro è frutto di una evoluzione nel tempo, suggellata di volta in volta da regolari passaggi e relativi atti notarili, può pregiudicare, anche solo in parte, la piena acquisizione dei beni da parte del marito, che è l’unico citato nel testamento in questione? Il fratello della defunta, unica altra parte in causa, può rivendicare qualcosa a seguito delle variazioni intervenute nel frattempo?”
Consulenza legale i 09/02/2022
Il testamento, così come redatto, non sembra possa lasciare alcun dubbio circa la chiara volontà della testatrice di nominare il coniuge superstite erede universale di tutti i suoi beni.
La giurisprudenza è stata da sempre orientata nel senso di ritenere che, al fine di stabilire in concreto se una disposizione testamentaria debba considerarsi a titolo universale o a titolo particolare, occorre compiere una duplice indagine:
- la prima di carattere oggettivo, riferita al contenuto dell’atto;
- la seconda di carattere soggettivo, volta ad analizzare l’effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito.
Nello svolgimento di tale indagine, si è affermato che non deve attribuirsi valore decisivo alle espressioni usate dal testatore, con la conseguenza che l’attribuzione meramente formale, da parte del de cuius, del titolo di erede o di legatario, è irrilevante se si pone in contrasto con l’intrinseca natura della disposizione, potendo invece essere utilizzata quale elemento sussidiario per confermare il risultato dell’analisi condotta sull’obiettiva consistenza della stessa disposizione (cfr. Cass. civ. n. 5625 del 16.11.1985).

Di contro, sempre secondo quanto è dato leggere nella giurisprudenza di legittimità, ai fini della designazione dell’erede non rileva l’uso da parte del testatore di espressioni sacramentali, purchè si possa desumere con certezza la sua volontà di attribuire beni e/o sostanze non già come singole, ma come “totalità o quota del proprio patrimonio”.
In tal senso si ritiene possa essere utile richiamare quanto dettato dalla Corte di Cassazione, Sez. VI, con ordinanza n. 6125 del 05.03.2020: “In tema di distinzione tra erede e legatario, ai sensi dell’art. 588 c.c., l’assegnazione di beni determinati configura una successione a titolo universale qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato se egli abbia voluto attribuire singoli e individuati beni, così che l’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito e, quindi, incensurabile in cassazione, se congruamente motivato”.

Sembra evidente che nel caso di specie la volontà della testatrice sia stata quella di voler istituire il coniuge superstite quale erede universale di tutti i suoi beni, volontà che può desumersi dall’espressione dalla medesima usata, allorchè manifesta la volontà di lasciare al marito “i beni in suo possesso”.
Il fatto, poi, che abbia voluto includere nel testamento una elencazione di quei beni non può certamente indurre l’interprete a configurare quella manifestazione di volontà come disposizione a titolo particolare, limitata ai soli beni contemplati nel testamento (con conseguente apertura della successione legittima per ciò che nel testamento non è stato contemplato).

Neppure può assumere valore decisivo l’indicazione dei dati catastali per l’individuazione dei beni elencati in testamento, in quanto è pacifica, sia in dottrina che in giurisprudenza, la tesi secondo cui “Il testamento, olografo o pubblico che sia, non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell’atto, che questi siano comunque identificabili senza possibilità di confusione, salva la necessità, la quale peraltro non attiene ad un requisito di regolarità e validità del testamento, che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, provvedano essi ad indicare specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni, ecc.” (così Cass. Sez. II civ. sent. n. 1649 del 23.01.2017).

Alla luce di quanto detto sopra, pertanto, può intanto affermarsi che per quanto concerne la casa di abitazione, la quale ha formato oggetto di ampliamento e di attribuzione di nuovi identificativi catastali, nessun dubbio può sussistere in ordine alla volontà della de cuius di assegnare la stessa al coniuge superstite, dovendo assumere valore decisivo a tal fine la sola circostanza che quell’immobile, seppure con le successive trasformazioni, al tempo di apertura della successione fosse destinato a casa familiare di entrambi i coniugi.

Per quanto concerne, invece, le quote degli immobili che dopo la redazione del testamento hanno formato oggetto di atti di disposizione (regolarmente redatti in forma di atto pubblico), dovrà farsi applicazione per gli stessi del disposto di cui all’art. 654 del c.c., norma che, seppure dettata con riferimento alle disposizioni a titolo particolare, enuncia un principio di carattere generale, ovvero quello secondo cui le disposizioni testamentarie dettate dal testatore non possono che avere effetto soltanto per ciò che nel suo patrimonio si trova al tempo della sua morte.
Pertanto, il testamento non potrà sicuramente esplicare alcuna efficacia per la casa di abitazione di cui al punto 3 (avendo questa formato oggetto di alienazione successiva e non facendo più parte del patrimonio ereditario), mentre per ciò che concerne la seconda abitazione (quella di cui al punto 2), la disposizione testamentaria dovrà intendersi quale manifestazione della volontà di lasciare al coniuge superstite quella abitazione in misura pari alla quota alla de cuius spettante al momento della morte (ovvero, a seguito delle vicende negoziali successive, per una quota pari al 100%).

Loredana S. chiede
sabato 05/12/2020 - Veneto
“Mia madre proprietaria al 100% e io sono figlia unica. Ha fatto testamento che allego. So che devo avere la metà della casa: quello che chiedo è se è invalido non essendo le disposizioni ben specificate. Intendeva la metà oppure intendeva dare tutto a questa onlus? Il lascito di beni ben determinati è un legato?”
Consulenza legale i 17/12/2020
L’interpretazione che va data alla volontà espressa dalla testatrice nella scheda testamentaria fatta pervenire a questa Redazione non può che fondarsi su quanto disposto dall’art. 588 c.c.
Dalla lettura di tale norma è possibile comprendere la distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare, dovendosi ricollegare alle prime l'acquisto della qualità di erede ed alle seconde l'acquisto della qualità di legatario.
In particolare, una disposizione testamentaria deve qualificarsi a titolo universale quando ha per oggetto l'universalità dei beni del de cuius o una parte indeterminata di essi considerata in funzione di quota dell'intero patrimonio ereditario, mentre va qualificata a titolo particolare quando ha per oggetto diritti determinati, specificamente individuati.

Al fine di stabilire, sotto il profilo concreto, se una disposizione testamentaria debba considerarsi fatta a titolo universale o particolare, occorre compiere una duplice indagine:
  1. innanzitutto è necessario svolgere un’indagine di carattere oggettivo, la quale ha ad oggetto il contenuto dell'atto;
  2. la seconda indagine, invece, è di carattere soggettivo, e deve riguardare l'effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito.

In tale attività di indagine non può attribuirsi valore decisivo alle espressioni che lo stesso testatore ha scelto di usare, il che comporta che l'attribuzione meramente formale, da parte del de cuius, del titolo di erede o di legatario, è irrilevante se di fatto si pone in contrasto con l'intrinseca natura della disposizione.
Parallelamente, ai fini della designazione dell'erede, non occorre che il testatore abbia usato espressioni sacramentali (es. “Nomino erede universale…”), purché dal contesto della scheda testamentaria si possa desumere con certezza la sua volontà di assegnare beni e/o sostanze, non già come cose singole, ma come "totalità o quota del proprio patrimonio".

Ebbene, applicando i criteri sopra visti al caso di specie, si ritiene che la volontà della testatrice sia stata quella di disporre a titolo di erede in favore della ONLUS menzionata nel testamento, in tal senso potendosi argomentare dalle seguenti considerazioni:

  1. l’espressione “annullo ogni precedente mio scritto e dichiaro che la mia volontà venga rispettata secondo le mie espresse indicazioni…”, anche se può in apparenza costituire una frase di mero stile, va comunque interpretata nel senso che solo alla volontà espressa di seguito in quella scheda testamentaria si sarebbe dovuto dare esecuzione;

  1. l’espressione “lascio alla mia morte la quota parte della mia proprietà alla fondazione…..affinchè possa disporre del valore economico a favore dei poveri..”, invece, va intesa nel senso che alla fondazione ivi nominata la testatrice ha inteso lasciare una quota proporzionale al diritto di proprietà spettantele sull’immobile o sugli immobili che al momento dell’apertura della successione avrebbero costituito il patrimonio ereditario.
Sembra poi evidente che, per determinare concretamente la misura di tale “quota parte”, occorre necessariamente attendere l’apertura della successione, in quanto solo in quel momento vengono cristallizzati i beni ed i diritti che contribuiscono a costituire il patrimonio di ogni de cuius.
Pertanto, se a quel momento la testatrice risultava proprietaria al 100% dell’immobile di cui ha voluto disporre in favore della fondazione, è dell’intero bene che la fondazione designata va considerata successore a titolo universale;

  1. ulteriore conferma della volontà come sopra interpretata si ricava dalla successiva espressione utilizzata dalla testatrice, nella parte in cui è detto “è mia volontà che quanto contenuto nei locali di mia proprietà…”, espressione che si ritiene debba intendersi nel senso che la de cuius ha inteso comunque disporre di tutti i locali di sua proprietà.

Si ritiene sia da escludere, invece, che con l’espressione “quota parte” la testatrice abbia voluto limitare la sua disposizione soltanto a quella parte di beni di cui poteva liberamente disporre (ossia un mezzo indiviso del suo patrimonio), e che fosse nelle sue intenzioni di far salva la quota di riserva spettante all’unica figlia e pari alla restante metà indivisa ex art. 537 del c.c. comma 1.
In nessuna pare della scheda testamentaria, infatti, viene menzionata la figlia, con la conseguenza che da una volontà inespressa non è in alcun modo possibile desumere una volontà espressa.

L’espressione “affinchè possa disporre del valore economico a favore dei poveri..”, invece, costituisce un vero e proprio onere posto in capo alla fondazione istituita erede ex art. 647 del c.c., e va intesa nel senso che, in caso di eventuale vendita dei beni alla stessa lasciati, il corrispettivo economico ricavato da tale vendita dovrà comunque essere utilizzato in favore dei poveri (nessun obbligo di alienazione può, tuttavia, farsi discendere dalla disposizione per come formulata).

In conseguenza di tutto ciò, pertanto, la figlia si trova allo stato attuale nella posizione di erede legittimario pretermesso, alla quale spetta, per conseguire la quota di riserva che per legge le compete, il diritto di agire in giudizio per ottenere l’annullamento del testamento nella misura necessaria per reintegrare detta quota di riserva.
In tal senso si è espressa di recente la Corte di Cassazione, Sez. II civ. con ordinanza n. 2914/2020, in cui è detto che “il legittimario totalmente pretermesso, proprio perché pretermesso dalla successione, non acquista per il solo fatto dell'apertura della successione, ovvero per il solo fatto della morte del de cuius, né la qualità di erede, né la titolarità dei beni ad altri attribuiti, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l'esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento, e quindi dopo il riconoscimento dei suoi diritti di legittimario” (cfr. Cass. Civ., n. 16635/2013).



Bruno B. chiede
giovedì 10/09/2020 - Lazio
“Mia moglie nel suo testamento ha disposto a favore dei suoi nipoti il 50% della casa coniugale lasciando a me il restante 50% nonché il legato di usufrutto sull’intero appartamento, senza fare menzione degli altri beni quali il conto bancario, l’esercizio commerciale di cui era titolare, gioielli, quadri e mobilio oltre ad un’autovettura. Io ho rinunciato alla sola eredità ed ho poi dovuto citare in giudizio gli eredi testamentari e succeduti per aver venduto l’immobile senza riconoscermi l’indennizzo del diritto di usufrutto. Il giudice di merito ha rigettato la mia richiesta in applicazione dell’art. 588 considerandomi erede, rinunciatario, e non legatario perché beneficiario dell’universalità dei beni o quota di essi . Nel caso specifico si può ritenere che la disposizione non comprendesse tale universalità e quindi essere considerato a tutti gli effetti legatario, e quale è la corretta interpretazione del concetto di universalità ?”
Consulenza legale i 16/09/2020
La lettura del quesito consente di ricostruire la vicenda esposta nei seguenti termini.
Caia, defunta, dispone così nel suo testamento:
  1. lascia al marito Tizio il 50% della sua casa di abitazione
  2. lascia ai nipoti il restante 50% della medesima casa di abitazione
  3. lega al marito l’usufrutto dell’intera casa.
Oggetto delle disposizioni a) e b) è, dunque, soltanto la nuda proprietà.
Ad una prima immediata interpretazione, potrebbe pensarsi che il testamento contenga soltanto disposizioni a titolo particolare e che nulla venga disposto in ordine alla universalità dei beni della de cuius.

La mancanza di un’istituzione di erede avrebbe come conseguenza quella di determinare anche l’apertura della successione legittima, con necessaria applicazione dell’art. 565 del c.c., norma che individua il coniuge del defunto quale primo soggetto a cui va attribuita la posizione di chiamato all’eredità.
Per la concreta determinazione della quota spettante al coniuge occorre poi fare riferimento agli artt. 581 e ss. dello stesso codice civile, dalla lettura dei quali si evince che al medesimo coniuge compete una quota diversa a seconda che egli concorra con i figli, con ascendenti o con fratelli e sorelle.
In mancanza di alcuno di tali soggetti, si applicherà l’art. 583 del c.c., in forza del quale al coniuge si devolve tutta l’eredità.

Pertanto, escludendo l’appartamento di cui la de cuius ha disposto nel proprio testamento, per tutti gli altri beni che al momento della sua morte compongono il patrimonio ereditario, chiamato all’eredità dovrebbe essere il coniuge (in concorso o meno con gli altri eventuali successibili, a cui prima si è fatto riferimento).

In ipotesi come quella appena descritta, ossia di concorso in capo al medesimo soggetto della posizione di erede e di legatario, dovrebbe trovare applicazione l’art. 521 del c.c., dettato in tema di rinuncia all’eredità, il quale riconosce al legatario (o al donatario) il diritto di rinunciare all’eredità e di domandare il legato disposto in suo favore, ma nei limiti della porzione disponibile.

L’applicazione di tale norma, tuttavia, ha come suo presupposto essenziale il cumulo, in capo al medesimo soggetto, della posizione di erede e di legatario, cumulo che nel caso di specie il giudice adito sembra aver voluto escludere, interpretando la volontà della testatrice, ex art. 588 c.c., come attributiva di una quota di eredità e, dunque, escludendo la sussistenza di un legato.

Ora, premesso che per una risposta più corretta e aderente al caso specifico sarebbe stato opportuno leggere con attenzione il testamento della de cuius, cerchiamo adesso di capire in quali casi si può parlare di universalità e per quale ragione il giudice abbia potuto escludere la configurabilità di una disposizione a titolo particolare.
La risposta a tale interrogativo, in effetti, non può che farsi discendere dal citato art. 588 c.c., norma che disciplina appunto la distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare, ricollegando alle prime l'acquisto della qualità di erede, mentre alle seconde l'acquisto della qualità di legatario.
Secondo quanto espressamente dettato al primo comma di tale norma, la disposizione testamentaria è:
  1. a titolo universale se ha per oggetto l'universalità dei beni del de cuius o una parte indeterminata di essi, considerata come quota dell'intero patrimonio ereditario;
  2. a titolo particolare quando ha per oggetto diritti determinati, specificamente individuati, avulsi dal complesso unitario dell'eredità, ancorché ne rappresentino una parte cospicua (in tal senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 1717 del 1981).

Al di là della mera definizione terminologica che viene fornita dal codice, si pone il problema di stabilire in concreto quando una disposizione testamentaria debba qualificarsi a titolo universale o a titolo particolare.
A tal fine, come sostenuto in giurisprudenza (cfr. Cass. N. 9467/2001), si ritiene necessario compiere una duplice indagine, ossia:
  1. una prima di carattere oggettivo, relativa al contenuto dell’atto;
  2. una seconda di carattere soggettivo, relativa all’effettiva volontà del testatore.
E’ stato anche precisato che, nell’espletamento di tale indagine, non possono assumere rilievo decisivo le espressioni usate dal testatore, il che significa che è irrilevante il fatto che il de cuius abbia attribuito il titolo di erede o di legatario, se poi quel titolo contrasta con l’intrinseca natura della disposizione.

In generale, comunque, può dirsi che:
- erede è colui che subentra nella generalità delle posizioni attive e passive del defunto o in una quota di essa;
- legatario, invece, è il beneficiario di un lascito che ha per oggetto un particolare bene o un diritto specificamente individuato (l’oggetto del legato, dunque, è sempre qualcosa di preciso, al contrario dell’eredità che ha per oggetto una massa indistinta); può dirsi che il legato è l’equivalente di una donazione, con la differenza che esso ha efficacia solo a partire dalla morte del disponente.

Se ci si dovesse fermare a tale distinzione, dunque, la conclusione sarebbe quella che nel caso di specie il testamento della de cuius contiene solo disposizioni a titolo particolare e che per l’individuazione dell’erede occorre fare riferimento alle norme sulla successione legittima, sopra richiamate.

Tuttavia, il discorso si complica, e la distinzione diviene ancora più sottile, in conseguenza di quanto previsto al secondo comma dell’art. 588 c.c. che si sta analizzando, il quale disciplina la c.d. institutio ex re certa.
Dispone tale norma che si configura una disposizione a titolo universale (e, dunque, una istituzione di erede) anche nel caso in cui il testatore abbia indicato (lasciato) beni determinati (criterio oggettivo) e dal tenore delle espressioni usate risulta che abbia inteso assegnare quei beni come quota del suo patrimonio (criterio soggettivo).
Di fronte a situazioni di tale tipo (che poi è proprio quella che ricorre nel caso di specie), l’accertamento di quale possa essere stata la volontà del de cuius costituisce una questione di mero fatto, il cui esame compete soltanto al giudice di merito attraverso le normali regole ermeneutiche (così Cass. 24163/2013; Cass. N. 3304/1981); inoltre, tale accertamento, se congruamente motivato, è incensurabile in Cassazione (cfr. Cass. N. 13835/2007; Cass. N. 3016/2002).

Peraltro, è stato anche precisato che, nel momento in cui il giudice è chiamato ad indagare quale sia stata l'intenzione del testatore, se di assegnare quei beni come beni determinati e singoli (ed allora si avrà successione a titolo particolare o legato), ovvero lasciarli quale quota del suo patrimonio (ed allora si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede), non occorre che il valore dei beni attribuiti rappresenti una quota rilevante del patrimonio relitto.

Volendo a questo punto trarre le conclusioni di quanto fin qui detto, si ritiene che il giudice abbia correttamente interpretato la volontà della testatrice come attributiva della qualità di chiamato all’eredità in chi pone il quesito (e non di semplice legatario), avendo probabilmente individuato nella scheda testamentaria (e dal tenore delle espressioni usate dalla de cuius) un’ipotesi di institutio ex re certa (ex art. 588 comma secondo c.c.), cioè di istituzione di erede mediante attribuzione di beni determinati.


Giorgio B. chiede
giovedì 26/09/2019 - Veneto
“Buonasera, sono ….omissis…, fratello della defunta Tizia, la quale prima di morire ha redatto un testamento olografo con scritto:
“Luogo, 24 novembre 2009.
Revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino eredi in parti uguali le mie nipoti Prima e Seconda.
E’ mio vivo desiderio che l’appartamento che cadrà in eredità, non sia venduto a terzi ma naturalmente affittato, o che una delle due nipoti acquisti la parte dell’altra.
Tizia”.
La mia domanda riguarda nello specifico il termine usato nel testamento, cioè “eredi”.
Nel testamento esiste la parola “eredi” dove vengono specificati i nomi al termine Prima e Seconda (che sono figlie di mio fratello, il quale è ancora in vita ma non in buona salute) e poi c’è il punto (.), dopo il quale sono scritte le volontà del de cuius (che non era sposata, senza genitori e ha due fratelli, di cui io sono uno di loro).
Quello che voglio sapere è se quel punto (.) influisce sul testamento escludendo tutti gli altri e se quelle nipoti citate sono eredi di tutto il patrimonio oppure sono dei legatari.
Come fratello ho qualche diritto?
Ringrazio anticipatamente certo della vostra collaborazione
Distinti saluti

Consulenza legale i 02/10/2019
Due sono le domande a cui viene chiesto di rispondere:
  1. quando può dirsi che il beneficiario di una disposizione testamentaria acquisti la qualità di erede e quando quella di legatario;
  2. quali sono i diritti successori tra parenti in linea collaterale, ossia tra fratelli.
Per rispondere alla prima domanda non si può che fare riferimento all’art. 588 c.c. (rubricato proprio “Disposizioni a titolo universale e a titolo particolare”), dalla lettura del quale si evince che la qualità di erede deriva dalla attribuzione di una quota ereditaria (così il primo comma della norma).
E’ erede, dunque, colui il quale acquista una determinata quota di eredità, ad esempio il 100% se trattasi di erede unico, ovvero il 50% nel caso di due eredi; non è neppure necessario che l’istituito sia espressamente qualificato come erede, in quanto l’attribuzione di tale titolo può solo essere valutata come elemento confermativo del risultato delle indagini che andranno condotte sull’obiettiva consistenza della disposizione (così Cass. 16.11.1985 n. 5625).

La qualità di legatario, invece, deriva dalla attribuzione di beni o diritti determinati, potendosi definire tale colui al quale, a prescindere anche in questo caso dalla attribuzione formale di tale qualità, vengano lasciati per testamento uno o più specifici beni, avulsi dal complesso unitario dell’eredità, anche se possano rappresentarne una parte cospicua.
Può semplicisticamente dirsi che il legato è l’equivalente di una donazione, che ha efficacia solo a partire dalla morte del disponente; l’oggetto del legato, dunque, è qualcosa di preciso, al contrario dell’eredità, che ha per oggetto una massa indistinta.
Per stabilire in concreto se una disposizione testamentaria sia a titolo universale o particolare occorre, in definitiva, compiere una duplice indagine, e precisamente: una prima indagine di carattere oggettivo, riferita al contenuto dell’atto, ed una seconda di carattere soggettivo, riferita all’effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito.

Applicando adesso i principi sopra esposti al caso di specie, si può rispondere alla prima domanda affermandosi che in questo caso la testatrice Tizia ha inteso nominare le nipoti Prima e Seconda come sue eredi universali, ciò che può desumersi non solo dalla espressione “nomino eredi” (la quale, di per sé sola, non sarebbe sufficiente ad attribuire la qualità di erede) ma anche, e soprattutto, dal fatto che la nomina di erede viene fatta “in parti eguali”, ovvero per una quota pari al 50% ciascuno, senz’altro specificare.
Quel punto posto alla fine della frase “Nomino eredi in parti eguali le mie nipoti Prima e Seconda”, al contrario dell’interpretazione che ne viene data nel quesito, si ritiene che valga proprio a suggellare la volontà del testatore di nominare eredi le nipoti di tutto il suo patrimonio, distaccando tale manifestazione di volontà dalle ulteriori disposizioni inserite nel corpo dello stesso testamento.

In particolare, nel prosieguo della scheda testamentaria il testatore ha solo inteso apporre un onere a quella istituzione di erede, onere da ritenersi pienamente consentito dall’art. 647 del c.c.; esso consiste nella manifestazione di un suo espresso desiderio in ordine ad uno dei beni che verrà ritrovato nel patrimonio ereditario, ossia l’appartamento, essendo sua volontà che lo stesso non venga alienato a terzi estranei, ma eventualmente solo affittato o acquistato per intero da una sola delle eredi.
Deve peraltro aggiungersi che, in relazione a tale onere, il testatore non ha neppure voluto prevedere la risoluzione della disposizione testamentaria per il caso in cui le eredi decidano di non adempiervi.
Ciò comporta che, qualora qualunque interessato voglia agire in giudizio contro le eredi per l’adempimento di quell’onere, al fine di poter ottenere la risoluzione della disposizione testamentaria ex art. 648 del c.c. occorrerà provare che il suo adempimento ha costituito il solo motivo determinante della disposizione.
Ultimo inciso da cui si ricava che si è di fronte ad una vera e propria istituzione di erede lo si può rinvenire nell’espressione usata all’inizio della scheda testamentaria, in cui è detto “Revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria”; infatti, anche se trattasi di un pura frase di stile, vale pur sempre a manifestare la volontà del testatore di disporre del suo patrimonio secondo le volontà manifestate in quel solo testamento.

L’altro quesito posto attiene sostanzialmente ai diritti che spettano tra fratelli nel momento in cui si apre la successione di uno di essi.
Il codice civile non include i collaterali tra coloro che hanno diritto ad una riserva sul patrimonio del de cuius, disponendo l’art. 536 del c.c. che unici soggetti a favore dei quali è riservata una quota di eredità o altri diritti sono il coniuge, i figli e gli ascendenti.
Tizia qui risulta nubile e senza ascendenti, il che esclude la presenza di soggetti a cui debba essere riservata una quota di eredità.
I collaterali (ossia i fratelli), invece, sono inclusi dall’art. 565 del c.c. tra gli eredi legittimi, ossia tra coloro a cui spetta una quota di eredità in mancanza di espressa volontà del testatore; in questo caso, invece, la de cuius ha voluto individuare espressamente nelle nipoti Prima e Seconda i soggetti in favore dei quali dovrà essere devoluto il suo patrimonio al momento della sua morte.


GIOVANNI F. chiede
mercoledì 19/06/2019 - Lazio
“Il de cuius nel suo testamento attribuisce tutte le sue 21 unità immobiliari ai suoi tre figli, specificando per ciascuno di essi quali siano queste unità immobiliari.
Nel caso specifico i figli sono eredi o legatari? Nel caso specifico ogni erede può effettuare per suo conto la successione o deve essere fatta contestualmente?

Consulenza legale i 27/06/2019
Il dubbio che ci si pone attiene ad un problema che da sempre occupa sia la dottrina che la giurisprudenza, ossia quello della distinzione tra i due istituti giuridici della institutio ex re certa e della divisione fatta dal testatore.
Trattasi di argomento molto discusso e nel quale un ruolo fondamentale assume la volontà del testatore ed il modo in cui la stessa viene manifestata (per tale ragione, infatti, sarebbe risultato più semplice giungere ad una soluzione dopo aver dato lettura al testamento).

Le norme del codice civile che vanno prese in considerazione sono l’art. 588 c.c. e l’art. 734 del c.c..
In particolare, la prima di tali norme è dedicata proprio alla distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare, ricollegandosi alle prime l'acquisto della qualità di erede ed alle seconde l'acquisto della qualità di legatario.
Così una disposizione testamentaria viene qualificata a titolo universale quando ha per oggetto l'universalità dei beni del de cuius o una parte indeterminata di essi (considerata in funzione di quota dell'intero patrimonio ereditario); va qualificata, invece, a titolo particolare quando ha per oggetto diritti determinati e specificamente individuati.

Se dovessimo arrestarci a questa parte della norma, si potrebbe rispondere affermando che nel caso di specie siamo in presenza di tante disposizioni a titolo particolare, le quali valgono ad attribuire ai figli la qualità di legatari.
Tale conclusione, tuttavia, viene posta immediatamente in dubbio nel momento in cui si passa a leggere il secondo comma dello stesso art. 588 c.c. in cui è detto che, se il testatore ha attribuito con il testamento beni determinati o un complesso di beni, la disposizione deve ugualmente intendersi fatta a titolo universale (dunque con acquisto della qualità di erede) tutte le volte in cui risulta che lo stesso testatore abbia inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio.

Al fine di poter stabilire in concreto se una disposizione testamentaria sia a titolo universale o particolare, occorre portare avanti una indagine di carattere oggettivo (riferita al contenuto dell'atto) insieme ad una di carattere soggettivo (relativa alla effettiva volontà del testatore in ordine alla natura del lascito).
Nel fare ciò nessun rilievo assume l'uso che il testatore abbia potuto fare di espressioni sacramentali (es. “Nomino mio erede…”), mentre ciò che occorre è che si possa desumere con certezza la sua volontà di attribuire beni e/o sostanze, non già come cose singole, ma come "totalità o quota del proprio patrimonio".

Pertanto, di fronte all’attribuzione di beni determinati, occorre cercare di stabilire se l’intenzione del testatore sia stata quella di assegnare quei beni come determinati e singoli (nel qual caso si sarà in presenza di un legato) ovvero di lasciarli come quota del suo patrimonio (in questo caso si avrà successione a titolo universale e istituzione di erede).
Secondo la giurisprudenza indicativa della volontà del testatore di assegnare una quota del patrimonio ereditario potrà essere, ad esempio, l’assegnazione di una classe o di un gruppo di beni (in tal senso Cass. n. 6516/1986).
Inoltre, nel caso di institutio ex re certa, seppure la volontà del testatore sia quella di attribuire una quota del proprio patrimonio, non si ha alcuna predeterminazione di tali quote, le quali potranno solo essere determinate ex post verificando il rapporto proporzionale tra il valore delle res certae attribuite ed il valore dell'intero asse.
Proprio in ciò si riesce a poter distinguere tale istituto giuridico dalla divisione fatta dal testatore, disciplinata dall’art. 734 c.c. prima citato; infatti, in questo secondo caso le quote sono predeterminate dal testatore e sulla base di tali quote si procede alla assegnazione dei singoli beni (dunque, anche qui vi è istituzione di erede, ma con predeterminazione delle quote).

Ritornando al caso che ci riguarda, dunque, si ritiene possa affermarsi che la volontà del testatore sia stata quella di istituire i propri figli eredi in beni determinati, dal cui valore complessivo, relazionato al valore dell’intero asse ereditario, sarà possibile determinare a posteriore il valore della quota che lo stesso testatore ha inteso attribuire a ciascuno di essi (se si tratta di immobili aventi tutti eguale valore, può dirsi che l’intenzione del de cuius è stata quella di istituire eredi i figli per quote eguali, e precisamente per la quota di un terzo ciascuno).

Non si tratta, invece, di un classico caso di divisione fatta dal testatore, poiché il testatore non ha prima determinato le quote e poi diviso i singoli beni in ragione di quelle quote.
In ogni caso si tenga conto del fatto che, secondo la giurisprudenza prevalente, l’accertamento della reale volontà del testatore costituisce una questione di fatto, che il giudice di merito è chiamato ad esaminare attraverso le normali regole ermeneutiche e che, nel compiere tale operazione, si può anche fare riferimento ad elementi estrinseci alla scheda testamentaria, quali la cultura, il livello di istruzione scolastica, la mentalità e l'ambiente di vita del testatore (così Cass. n. 3304/1981, Cass. n. 3940/2001, Cass. n. 24163/2013).

Una volta accertato che il testatore ha inteso attribuire quei beni ai propri figli nella qualità di eredi, passiamo ad esaminare il secondo problema che viene richiesto di affrontare, ossia quello di come adempiere all’obbligo di presentare la dichiarazione di successione.
Al riguardo può dirsi che nulla vieta, né sotto un profilo giuridico e neppure fiscale, che ciascuno degli eredi possa attivarsi autonomamente nel presentare la denuncia di successione.
Dal punto di vista prettamente pratico, occorrerà innanzitutto procedere alla pubblicazione del testamento (si presume che si tratti di testamento olografo), a seguito della quale ciascun erede potrà presentare la propria denuncia di successione, indicando all’attivo gli immobili che il testatore ha voluto assegnargli.
Sarà su tali immobili che andranno calcolate e versate le relative imposte (ipotecaria, catastale, di bollo, la tassa ipotecaria e i tributi speciali).

Unico inconveniente di una presentazione autonoma potrà essere quello che vi saranno delle spese fisse da sostenere, le quali, nel caso di denuncia presentata congiuntamente, potrebbero essere suddivise in parti eguali tra gli eredi, e che in questo modo, invece, ciascun erede sarà costretto a sopportare per intero.
Si vuole infine evidenziare che dall’anno 2019 la denuncia di successione si può presentare soltanto in via telematica.


Vincenzo B. chiede
venerdì 10/08/2018 - Lazio
“Buon pomeriggio. Scrivo per ottenere le vostre correzioni di quanto credo di sapere e per avere il parere su quanto andrò ad esporre in materia di successione.
Il mio attuale albero genealogico vede: 1 ascendente (madre); 1 coniuge in regime di separazione dei beni; 2 miei fratelli figli di stessi genitori (1 fratello, 1 sorella). Nessun figlio legittimo, adottivo o naturale per entrambi i coniugi.
Se morissi senza lasciare testamento le quote di legittima saranno: coniuge 66,66%, ascendente, 25%, fratelli 8,33% da dividersi in parti eguali. Confermate?
Se facessi testamento le quote di legittima saranno: coniuge 50%, ascendente 25%, disponibile 25% Confermate?
In entrambi i casi vorrei evitare queste quote di proprietà e mi spiego. Circa l'80% del mio attuale patrimonio immobiliare deriva da una vita di rinunce, lavoro e sacrificio dei miei genitori che hanno prodotto tale patrimonio per il godimento loro, dei loro figli e nipoti. Per etico rispetto vorrei che tale obiettivo e scopo venisse conseguito. Non ho alcuna pregiudiziale che mia moglie erediti parte di tale patrimonio assegnatole per quota legittima oltre al diritto di abitazione sulla casa coniugale e degli arredi (mia esclusiva proprietà). Quello che mi è impossibile accettare e che al decesso anche di mia moglie, stante l'assenza di nostri figli, tale patrimonio vada ai suoi fratelli e sorelle (miei cognati) che nulla c'entrano con i descritti sacrifici dei miei genitori. In tale modo s ei miei fratelli volessero riavere i bene prodotti dai nostri genitori dovrebbero riacquistarli dai miei cognati (sic!).
Mi è stato consigliato da un notaio ed io sottopongo a voi come mio quesito. E' corretto indicare un erede qualunque di mio gradimento concedendo ai legittimari l'usufrutto vitalizio dei beni in successione?
Tale modo di testare è impugnabile? Ove non fosse l'impostazione corretta come conseguire il mio obiettivo e scopo?
Grazie.
Vincenzo”
Consulenza legale i 17/08/2018
La prima domanda a cui viene chiesto di rispondere è quella relativa a come verrebbe suddiviso il proprio patrimonio ereditario in caso di apertura della successione legittima, considerando che al momento della morte resterebbero quali eredi il coniuge, la madre e due fratelli.
Ebbene, intanto la prima norma a cui occorre fare riferimento è l’art. 565 del c.c., secondo cui nell’ipotesi di successione legittima l’eredità si devolve a coniuge, discendenti, ascendenti, collaterali e altri parenti, secondo le regole contenute nello stesso titolo in cui tale norma si trova inserita.
In particolare, poiché in questo caso avremo un concorso tra il coniuge, la madre ed i fratelli, troverà espressa applicazione l’art. 582 del c.c., il quale dispone che al coniuge andrà una quota pari a due terzi del patrimonio ereditario, mentre il restante terzo verrà suddiviso tra la madre (ascendente) ed il fratello e la sorella secondo il disposto dell’art. 571 del c.c., fatto salvo in ogni caso il diritto dell’ascendente a ricevere una quota pari ad un quarto dello stesso patrimonio.

Secondo il richiamato art. 571 c.c. se con i genitori o con uno soltanto di essi concorrono fratelli e sorelle germani del defunto, la suddivisione del patrimonio verrà fatta per capi (ossia la madre rappresenta un capo, mentre fratello e sorella un altro capo), con diritto del genitore o dei genitori di conseguire una quota non inferiore alla metà del patrimonio.
Ipotizzando, dunque, che il patrimonio del defunto sia pari a 240, avremo che al coniuge andranno 160 (ossia i due terzi previsti dall’art. 582 c.c.), mentre degli 80 restanti, 60 andranno alla madre e 10 ciascuno a fratello e sorella.
In tal modo verranno rispettate le quote di due terzi in favore della moglie (240:3=80X2=160) e la quota di un quarto in favore della madre (240:4=60), secondo quanto previsto dall’art. 582 c.c., ma verrà anche rispettato il disposto dell’art. 571 c.c., secondo cui alla madre deve andare in ogni caso almeno la metà di quanto resta nel concorso con fratelli e sorelle.
Questo è il sistema di calcolo delle quote con l’uso di soli numeri interi e che probabilmente verrebbe fatto in uno studio notarile o da chi sarebbe incaricato di effettuare la denuncia di successione, sistema che comunque coincide con il calcolo percentuale che è stato fatto nel quesito e di cui può confermarsi la correttezza.

Anche corretto è il calcolo fatto per l’ipotesi di successione testamentaria, trovando lo stesso conferma nel combinato disposto degli artt. 536 e 544 c.c.
In particolare, all’art. 536 del c.c. occorre fare riferimento per individuare quali sono i soggetti in favore dei quali è riservata una quota di eredità, ossia i cd. legittimari (e tali sono: il coniuge, i figli, gli ascendenti, ne restano esclusi i collaterali, ossia fratelli e sorelle), mentre l’art. 544 del c.c. si preoccupa di stabilire quali sono le quote da rispettare nel caso di concorso tra coniuge e ascendenti.
Secondo quest’ultima norma, infatti, al coniuge è riservato la metà del patrimonio (50 su 100) ed all’ascendente un quarto (25/100); il resta 25% costituisce la disponibile, ossia ciò di cui il testatore può disporre come vuole.

A questo punto, cerchiamo di capire se e con quali strumenti giuridici può conseguirsi l’obiettivo esposto nella seconda parte del quesito, ossia quello di far sì che nulla del proprio patrimonio vada ad incrementare il patrimonio dei propri cognati, e che resti piuttosto nella cerchia dei componenti la propria famiglia di origine.

Una valida soluzione si ritiene che possa essere proprio quella suggerita dal notaio, la quale trova espressa previsione legislativa nell’art. 551 del c.c., rubricato “Legato in sostituzione di legittima”.
Tale norma consente infatti al testatore di nominare erede una persona qualsiasi, lasciando al legittimario o ai legittimari, in sostituzione della legittima, ed a titolo di legato, l’usufrutto di tutti i suoi beni, a cui si aggiungerà in favore del coniuge, ma a titolo di c.d. legato ex lege, il diritto di uso e di abitazione di cui all’art. 540 del c.c..
Trattasi di una forma di testamento indubbiamente valida e non soggetta ad impugnazione, ma che presenta degli inconvenienti per il fine che si vuole raggiungere.
Infatti, proprio in tale ipotesi, così come nel caso previsto dall’art. 550 del c.c. (della c.d. cautela sociniana), il legislatore consente al legittimario la possibilità di difendersi contro le disposizioni del testatore che, di fatto, risulterebbero lesive dei suoi diritti, riconoscendogli il diritto di rinunciare al legato e di chiedere la legittima.
Ciò significa che il reale intento del de cuius, ossia quello di rendere il legittimario estraneo alla devoluzione dell’asse ereditario, potrà essere conseguito e dipenderà solo dall’adesione del destinatario il quale, con la sua scelta, potrebbe vanificare l’intento perseguito dal testatore.

Al di là di tale strumento giuridico, un'altra soluzione che può suggerirsi, invece, è quella di ricorrere all’art. 588 c.c., norma che disciplina la c.d. institutio ex re certa.
Tale norma traccia la distinzione tra disposizioni a titolo universale e disposizioni a titolo particolare, disponendo al secondo comma che l’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale qualora risulti che il testatore abbia voluto assegnare quei beni come quota del suo patrimonio.

Ora, per lungo tempo si è discusso se il lascito dell’usufrutto sull’intero patrimonio ereditario o su una parte di esso configuri una disposizione a titolo universale o a titolo particolare, avendo da sempre l’opinione prevalente ritenuto che una attribuzione di tale tipo non possa valere a conferire al beneficiario la qualità di erede, poiché egli non subentra nell’universum ius del de cuius.
Tale opinione, tuttavia, è stata di recente disattesa dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha in maniera diametralmente opposta affermato che la disposizione testamentaria di attribuzione dell’usufrutto generale sui beni costituisce istituzione di erede e non di legato, e ciò qualora dal contenuto dell’intero testamento, si possa desumere l’intento del testatore di voler attribuire all’usufruttuario una quota astratta dell’eredità (così Cass. 4435/2009 e da ultimo Cass. 13868/2018).

Sarà, dunque, prendendo spunto dalle sentenze sopra citate che si potrà, anziché istituire erede un terzo estraneo, nominare erede universale la moglie, lasciando alla medesima l’usufrutto generale su tutti i propri beni mobili e immobili; al fine poi di far sì che dal testamento risulti la volontà inequivoca di aver voluto nominare erede la moglie, sarebbe opportuno stilare un elenco analitico dei beni sui quali si intende attribuire l’usufrutto alla moglie, e ciò per poter porre l’eventuale interprete del testamento (ossia il giudice) nella condizione di qualificare quella disposizione come institutio ex re certa.
In tal modo, conseguentemente, non si lascerà alla moglie spazio per esercitare il diritto riconosciutole dall’art. 551 c.c., ossia di rinunciare all’usufrutto per conseguire la quota di riserva che le compete in piena proprietà.

Al di là di tali strumenti giuridici, non si possono consigliare altri sistemi per far sì che il proprio patrimonio resti, dopo la morte dei coniugi, nella disponibilità della propria famiglia di origine, se non il classico sistema della vendita simulata, anch’essa piena di inconvenienti, primo fra tutti quello di spogliarsi anzi tempo dei propri beni, senza avere alcuna certezza in ordine alla correttezza morale di chi ne sarà il beneficiario.

Roberto F. chiede
venerdì 09/02/2018 - Lazio
“L' AdE, sulla base dell'art. 485 c.c., mi ha riconosciuto il 90% della proprietà di una casa, di cui ne avevo già il 10%. Il de cuius era il mio patrigno. La stessa AdE ha riconosciuto anche il 50% alla sorella del de cuius.
Il mio avvocato dice che ne discuteremo in sede di mediazione se la controparte vuole andare al processo.
In questi casi c'è la possibilità di evitare di andare al processo ? Per email invio ispezione ipotecaria. Mi potete indicare un avvocato con cui discuterne a voce, anche per fare un confronto con l'attuale avvocato che ho contattato?
Grazie.

Consulenza legale i 21/02/2018
Per dirimere il quesito bisogna innanzitutto prendere le mosse dall'art. 588 alla cui lettura preventiva si rimanda.

La differenza tra erede e legatario non appare di poco conto nel caso vi sia un testamento olografo, dato che, per i beni non compresi e non indicati nel testamento, bisogna capire chi abbia il diritto di acquisirli.
Se, infatti, dal testamento si evince che il de cuius, tramite le proprie disposizioni, abbia voluto istituire un soggetto come erede, quest'ultimo assumerà tale qualifica con la conseguenza che sui beni di cui non si fa menzione nel testamento si creerà una comunione ereditaria, sottoposta al regime della successione legittima. Più nello specifico, quindi, l'erede testamentario diventerà comproprietario dei beni in oggetto insieme ad eventuali altri eredi, secondo le disposizioni di cui agli artt. 565 e seguenti. In questo caso si potrà ad esempio chiedere in ogni momento la divisione (art. art. 713 del c.c.), procedere alla vendita e spartirsi il ricavato.

Se, per contro, dal testamento si evince che il de cuius abbia semplicemente voluto disporre dei propri beni senza nominare alcun erede, il destinatario delle disposizioni sarà un semplice legatario e non avrà alcun diritto sui beni non inseriti nel testamento, non assumendo egli la qualifica di erede. Tali beni verranno perciò ereditati dagli eredi legittimi, senza tener conto di altri soggetti.

Ora, analizzando il testamento in allegato redatto dal sig. B..., è difficile sostenere che egli abbia inteso nominare il sig. F... come suo erede universale. Nonostante infatti nel suddetto testamento si legga "dispongo che, dopo la mia morte, venga dato in eredità a F...", il testatore non ha disposto in merito ad una universalità di beni o ad una quota dei suoi beni. La norma di cui all'art. 588 fa proprio il principio secondo il quale è indifferente la denominazione usata dal testatore, essendo invece fondamentale comprendere il regime a cui ha voluto sottoporre la successione.
Egli ha infatti disposto solamente della quota dei beni di sua proprietà in relazione ai beni stessi (dato che egli aveva solo una quota), e quindi si può dire che abbia disposto del singolo bene.
La giurisprudenza ha da tempo descritto più nello specifico quali siano i criteri da adottare al fine di poter procedere alla differenziazione stabilendo ad esempio che quando l'attribuzione ad un determinato soggetto di una quota del suo patrimonio, ancorché individuata quanto al suo aspetto materiale nei componenti, avviene per classi o gruppi di beni (come ad es.: tutti gli immobili o tutti i mobili) è da ritenere che l'attribuzione stessa abbia luogo a titolo universale, onde il beneficiato acquista la qualità di erede e non quella di legatario (Cass. sez. II sent. n. 6516/86). Se ciò non avviene vi sarà una mera attribuzione di legato.

Dal testamento si evince con una certa sicurezza (o quantomeno il Giudice potrebbe così interpretare) che il sig. B... abbia semplicemente istituito il sig. F... come legatario e non come erede. Certo, la Cassazione ha anche precisato che il Giudice deve compiere sia una indagine di carattere oggettivo riferita all'atto sia una indagine di carattere soggettivo riferita all'intenzione del testatore (Cass. sent. n. 9467/2001), ma dalla laconicità del testamento sarebbe assai arduo rinvenire elementi tesi a definire la reale intenzione del de cuius.
Il mio parere è dunque che in un eventuale processo il Giudice propenderebbe per un'interpretazione del testamento nel senso che con esso il testatore abbia semplicemente inteso attribuire dei legati, senza attribuire al sig. F... la qualità di erede.

Nemmeno l'istituto dell'usucapione (art. 1158) può venire in soccorso, dato che l'eventuale utilizzo dell'appartamento in oggetto (il sig. Finesi è proprietario di 1/10 dell'appartamento) non configura un possesso valido ai fini dell'acquisto per usucapione, ma molto probabilmente una mera detenzione (il sig. B... ha ceduto in comodato i restanti 9/10), non valida ai fine dell'acquisto del bene per usucapione e pertanto, ai sensi dell'art. 1141, sarebbe stato necessario un atto di interversione nel possesso, atto a modificare l'originaria detenzione in possesso, non bastando comunque la mera tolleranza del sig. B... Sarebbe in sintesi necessario accertare che il sig. F... ha voluto escludere il sig. B... dal possesso del bene, e dal tal momento potrebbe decorrere il termine ventennale necessario ad usucapire. Se, per contro, il sig. B... ha semplicemente lasciato in comodato l'uso dell'appartamento, non potrà avvenire alcuna usucapione.

Precisato quanto sopra, appare assai improbabile sia che il sig. F... possa essere qualificato come erede, sia che possa aver validamente usucapito il bene. Per tali motivi, l'appartamento sito in Via Sacchi n. 66 a Nettuno spetterà alla sig.ra Vanda B... (unica erede), in quanto "a colui che muore senza lasciare prole, nè genitori, nè altri discendenti, succedono i fratelli e le sorelle in parti uguali" (art. 570). Essendo lei l'unica erede, erediterà la quota pari a 9/10 oppure a 5/10 dell'appartamento in oggetto, a seconda della quota di proprietà in precedenza spettante al de cuius, in applicazione delle regole in materia di successione legittima. Dall'allegato in oggetto relativo alla dichiarazione di successione del sig. F..., parrebbe infatti di capire che 5/10 dell'appartamento fossero di proprietà del sig. B..., mentre 4/10 erano stati dallo stesso usucapiti. La sig.ra Vanda B..., essendo probabilmente a conoscenza solo del fatto che il fratello aveva in proprietà il 50% dell'appartamento, ha ritenuto di indicare nella propria dichiarazione di successione di avere diritto alla metà dell'appartamento.
Se invece nella dichiarazione di successione del sig. F... si intendeva che 4/10 dell'appartamento erano stati da lui stesso usucapiti nei confronti del patrigno o di terzi, vale quanto sopra detto in merito all'usucapione, con le necessità probatorie descritte.

Un eventuale processo porterebbe dunque ad un esito negativo della controversia. Tutt'al più, in sede di mediazione, si potrà raggiungere un accordo al fine di evitare l'iter processuale, provando a capire se la controparte ha correttamente letto il testamento e intuito che non ci si trova innanzi ad una ipotesi di chiamata in eredità e, in caso negativo, proporle una transazione al fine di rimanere nel possesso dell'appartamento oppure dividere il prezzo della vendita secondo proporzioni da stabilire. Se invece la sig.ra B... ha capito che è lei l'unica erede, poco si potrà fare. Si potrà ad esempio continuare a sostenere che con il testamento il sig. B... ha inteso invece istituire un erede e, al fine di evitare un lungo iter processuale, proporre una transazione, verosimilmente meno favorevole di quella prospettata all'esito della prima ipotesi.


Masaia L. chiede
sabato 10/12/2011 - Veneto
“Da quale articolo del codice civile si evince che il legato è una donazione testamentaria?
E quindi, in quanto donazione, è soggetta a collazione?
Grazie e distinti saluti.”
Consulenza legale i 03/01/2012

Con l'espressione il legato è una donazione lasciata per testamento si mette in risalto il fatto che il legato è un atto di liberalità disposto per testamento. Questo modo di concepire il legato, che risulta dalle disposizioni contenute nella sez. III del Cap. V del Lib. II del codice civile, è stato fatto proprio dalla nostra legislazione. Infatti, dalle citate disposizioni, emerge che il legato attribuisce al suo destinatario un beneficio economico gratuitamente e, come risulta dall'art. 588 del c.c., viene disposto per testamento.

Per regola, sono soggetti a collazione, e quindi a conferimento, tutti beni donati in vita dal de cuius al proprio discendente o al coniuge. L'art. 737 del c.c. prevede, infatti, che il discendente o il coniuge debba conferire "tutto ciò che ha ricevuto dal defunto in donazione, direttamente o indirettamente". Da un punto di vista oggettivo è necessario che vi sia una donazione fatta al discendente-coerede o al coniuge-coerede perchè si determini il fenomeno collatizio. Restano esclusi dalla collazione, invece, i legati.


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