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No al sequestro del conto su cui sia depositata solo la pensione inferiore al triplo dell’assegno sociale

No al sequestro del conto su cui sia depositata solo la pensione inferiore al triplo dell’assegno sociale
Non può essere sottoposto a sequestro preventivo il conto in cui confluisca solo una pensione di ammontare inferiore al triplo dell’assegno sociale.

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8822/2020, si è pronunciata in merito alla possibilità di sottoporre a sequestro preventivo un libretto di risparmio in cui sia depositata soltanto la pensione della titolare, il cui importo risulti inferiore al triplo dell’assegno sociale, chiedendosi se siano applicabili anche in questi casi i limiti previsti dall’art. 545 del c.p.c..

Nel caso di specie, un’anziana signora si era vista rigettare, prima dal Gip e poi dal Tribunale, la propria richiesta finalizzata ad ottenere la restituzione del proprio libretto di deposito al risparmio in cui confluiva la sua pensione, di ammontare, peraltro, inferiore al triplo dell’assegno sociale, dopo essere stata destinataria di un provvedimento di sequestro preventivo.

Rimasta soccombente, la donna, a mezzo del proprio difensore, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo come i giudici di merito non avessero rispettato il prevalente orientamento giurisprudenziale in base al quale, secondo quanto disposto dall’art. 545 c.p.c., il sequestro non può mai avere ad oggetto una somma pari al triplo dell’assegno sociale, nonché, a maggior ragione, una di ammontare inferiore.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Ritenendo sufficientemente dimostrato il fatto che sul libretto di deposito confluissero soltanto i ratei di pensione della ricorrente, gli Ermellini, concordemente alla tesi sostenuta dalla difesa, hanno richiamato l’orientamento giurisprudenziale per cui, anche in materia di sequestro preventivo, possono trovare applicazione i limiti di impignorabilità e sequestrabilità di somme provenienti da trattamenti retributivi e pensionistici, di cui all’art. 545 c.p.c., essendo essi finalizzati a tutelare dei diritti inalienabili della persona (Cass. Civ., n.15795/2015; Cass. Civ., n. 41905/2009).
A tal fine rileva, peraltro, la ratio stessa che sta alla base dell'introduzione del nuovo art. 575 c.p.c. da parte dal D.L. n.83/2015, convertito in l. n. 132/2015, per la quale, in materia di azioni esecutive, "le somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, nonché a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo a pensione, o di assegni di acquiescenza, nel caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore, possono essere pignorate, per l'importo eccedente il triplo dell'assegno sociale, quando l'accredito ha luogo alla data del pignoramento o successivamente, le predette somme possono essere pignorate nei limiti previsti dal terzo, quarto, quinto, sesto e settimo comma nonché dalle speciali disposizioni di legge. Il pignoramento eseguito sulle somme di cui al presente articolo e oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace."

Secondo i giudici della Cassazione, dunque, dato che tali disposizioni rispondono alla volontà del legislatore di assicurare al cittadino la tutela dei propri diritti inviolabili e la garanzia del minimo vitale, le stesse non possono che risultare applicabili anche in materia di sequestro preventivo.

Alla luce di tali osservazioni, quindi, la Suprema Corte non ha potuto far altro che annullare la sentenza impugnata, considerato che il saldo del libretto di deposito al risparmio intestato all'imputata era inferiore alla soglia di non sequestrabilità.


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