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Pensioni, aumenti in arrivo dal 2026, ecco come calcolarli, a chi spettano e chi resta escluso: tutti i dettagli

Pensioni, aumenti in arrivo dal 2026, ecco come calcolarli, a chi spettano e chi resta escluso: tutti i dettagli
Nel 2026 le pensioni aumenteranno grazie alla rivalutazione del montante contributivo del 4,04%, il dato più alto degli ultimi vent’anni. Il beneficio riguarda chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2026, mentre restano esclusi i pensionati 2025 e chi percepisce assegni sociali e non solo. Tutte le novità
Come ogni anno, l’Istat ha diffuso il coefficiente di capitalizzazione dei montanti contributivi, che determina la rivalutazione annuale dei contributi versati dai lavoratori, e le pensioni 2026 si annunciano più alte grazie a un tasso di rivalutazione del 4%.

È un incremento significativo, che riflette la ripresa del Pil nominale e che inciderà direttamente sugli assegni dei futuri pensionati italiani.
Si tratta del quarto rialzo consecutivo di questo parametro, dopo quelli registrati negli anni precedenti. Dal 2015 una norma impedisce che la rivalutazione assuma valori negativi, anche in caso di crisi economiche, proteggendo così il valore reale dei versamenti previdenziali.

Ma quanto aumentano davvero le pensioni nel 2026? E, soprattutto, chi potrà beneficiarne e chi invece resterà escluso da questo miglioramento?

Aumento pensioni 2026: rivalutazione del 4%, il tasso più alto degli ultimi vent’anni
Secondo i dati ufficiali dell’Istat, il tasso medio annuo composto di variazione del Pil nominale nei cinque anni precedenti al 2025 è stato pari a 0,040445. Da questo dato deriva un coefficiente di rivalutazione del montante contributivo di 1,040445, cioè un incremento del 4,04%. È il valore più elevato dal 2006, quando la crescita del Pil consentì una rivalutazione leggermente superiore.

Per comprendere l’impatto, basti pensare che un lavoratore con un montante contributivo di 100.000 euro vedrà questa cifra salire automaticamente a 104.044 euro dal 1° gennaio 2026. Un aumento netto di oltre 4.000 euro, ottenuto semplicemente per effetto della rivalutazione legata alla crescita economica.

Il trend positivo si consolida: nel 2023 la rivalutazione era stata del 2,3%, nel 2024 del 3,6%. Negativi solo i valori del 2014 e del 2021, rispettivamente per la crisi del debito e per gli effetti della pandemia. In ogni caso, grazie alla legge del 2015, i montanti non possono mai diminuire, anche in presenza di Pil negativo.

Il tasso del 4,04% rispecchia una crescita complessiva del Pil nominale del 21,93% nel quinquennio 2020-2024. Una dinamica sostenuta sia dal rimbalzo post-pandemia sia dall’aumento dei prezzi, che oggi si traduce in un vantaggio concreto per i lavoratori prossimi alla pensione.

Chi beneficia dell’aumento delle pensioni nel 2026

La rivalutazione del 4,04% si applica ai contributi versati fino al 31 dicembre 2024. Questo significa che potranno usufruirne soltanto i lavoratori che andranno in pensione nel corso del 2026, cioè tra il 1° gennaio e il 31 dicembre di quell’anno. Chi, invece, lascerà il lavoro entro la fine del 2025 vedrà applicato il coefficiente precedente, più basso, con una conseguente riduzione dell’importo mensile. Su montanti elevati, la differenza può superare anche diverse centinaia di euro all’anno.

Un esempio concreto: un lavoratore con un montante contributivo di 300.000 euro accumulato al 31 dicembre 2024, rivalutato del 4,04%, otterrà un totale di 312.120 euro. Con un coefficiente di trasformazione del 5,608% (a 67 anni), l’assegno annuo sarà di circa 17.504 euro, pari a una pensione mensile lorda di circa 1.346 euro.

L’aumento interessa tutti gli iscritti alle gestioni INPS - dipendenti, autonomi e professionisti - anche se le modalità di calcolo possono differire leggermente tra le diverse Casse previdenziali. In ogni caso, il principio è identico: il valore dei contributi cresce in linea con la dinamica del Pil, e più alto è il montante, maggiore sarà il beneficio finale.

Chi resta escluso dall’aumento delle pensioni 2026

Non tutti potranno godere dell’aumento delle pensioni 2026. Restano esclusi coloro che andranno in pensione entro il 31 dicembre 2025, poiché il coefficiente valido per loro sarà quello precedente, meno favorevole; i già pensionati, che continueranno a ricevere la sola rivalutazione annuale all’inflazione e non quella del montante contributivo; e chi percepisce prestazioni assistenziali, come assegni sociali o pensioni integrate al minimo, in quanto l’importo non dipende dai contributi versati.

Sono penalizzati anche i lavoratori con carriere discontinue o frammentate: pur beneficiando formalmente del 4,04%, l’effetto reale sarà minore, perché applicato su montanti più bassi. In altre parole, chi ha versato meno contributi nel corso della carriera riceverà un incremento proporzionalmente più ridotto.

Va ricordato, inoltre, che la rivalutazione non si applica ai contributi versati nell’anno del pensionamento né a quelli dell’anno precedente. Significa che chi si ritirerà nel 2026 vedrà rivalutati solo i contributi fino a dicembre 2024, non quelli del 2025. Un dettaglio tecnico che può incidere sulle scelte di chi è prossimo all’età pensionabile.

Come si calcola il montante contributivo e perché incide sulla pensione

Il montante contributivo rappresenta la somma di tutti i contributi versati dal lavoratore durante la sua carriera, rivalutati ogni anno in base alla crescita media quinquennale del Pil nominale. È un vero e proprio conto virtuale, che cresce nel tempo insieme all’economia nazionale.

Quando il lavoratore raggiunge l’età pensionabile, il montante viene trasformato in pensione tramite un coefficiente di trasformazione, che varia in base all’età di uscita: più tardi si va in pensione, più alto sarà il coefficiente e, quindi, l’assegno mensile.

Questo meccanismo, introdotto con la riforma Dini del 1995, lega strettamente l’importo della pensione all’andamento del Pil e alla durata della carriera contributiva. Di conseguenza, la rivalutazione del 4,04% per il 2026 non è solo un segnale positivo per i singoli lavoratori, ma anche una conferma della stabilità del sistema previdenziale italiano.

Per chi si avvicina alla pensione, il 2026 sarà un anno strategico: posticipare di pochi mesi l’uscita dal lavoro può significare un assegno più alto e un beneficio duraturo nel tempo. Tuttavia, il vantaggio riguarda solo chi ha carriere solide e montanti consistenti, mentre chi ha alle spalle anni di disoccupazione o lavori saltuari continuerà a vedere assegni più contenuti.

Le pensioni 2026 saranno dunque più ricche, ma non per tutti: il sistema contributivo premia la continuità e la costanza, confermando una regola ormai consolidata: chi ha versato di più e più a lungo, raccoglierà di più.


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