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Pensione di reversibilità e ripartizione tra coniuge superstite ed ex coniuge: quali sono i criteri da seguire

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Pensione di reversibilità e ripartizione tra coniuge superstite ed ex coniuge: quali sono i criteri da seguire
Oltre alla durata del matrimonio, assumono rilevanza anche l’eventuale convivenza prematrimoniale, l’entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge e le condizioni economiche delle parti.
Di recente la Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, ha avuto modo di fornire importanti chiarimenti in ordine alla ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite ed ex coniuge di un defunto.
La Suprema Corte era stata adita dall’ex moglie di un uomo dopo che i giudici di secondo grado avevano parzialmente accolto il gravame proposto dalla controparte, rideterminando la suddivisione della pensione di reversibilità tra la ex coniuge del defunto e la nuova consorte, assegnando a quest’ultima il 65% della somma.
L’ex moglie lamentava il fatto che i giudici d’appello avessero valorizzato un'ipotetica convivenza more uxorio tra il defunto e la nuova moglie prima del secondo matrimonio.
La Cassazione si è espressa con l’ordinanza n. 5268/2020, evidenziando che sia il coniuge divorziato che il coniuge superstite hanno diritto alla pensione di reversibilità del defunto e che la ripartizione della somma a loro spettante va fatta sia sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, sia valutando altri elementi, tra i quali assume particolare importanza la durata delle convivenze prematrimoniali. Alla convivenza more uxorio, infatti, va riconosciuta non una semplice valenza sussidiaria rispetto al criterio della durata del matrimonio, ma un distinto ed autonomo rilievo giuridico, ove siano provate la stabilità e l’effettività della comunione di vita in quel periodo (Cass. sent. n. 26358/2011).
L’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità nei confronti dell’ex coniuge, anche nell’ipotesi in cui il defunto abbia contratto un nuovo matrimonio, è prevista dall’art. 9 della legge n. 898 del 1970 (Legge sul divorzio): la ratio della norma è quella di consentire la continuazione del sostegno economico a cui il defunto contribuiva, in vita, nei confronti dell’ex coniuge e del coniuge convivente, nel primo caso tramite il pagamento dell’assegno di divorzio, nel secondo tramite la condivisione dei propri beni con il coniuge convivente.
Dunque, la ripartizione delle quote andrebbe effettuata anche tenendo conto di questi elementi, ossia dell'entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge, nonché delle condizioni economiche del coniuge superstite e del defunto prima della sua morte (Cass. sent. n. 16093/2012).
Nonostante il criterio della durata del rapporto sia il più rilevante nella ripartizione del trattamento di reversibilità, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 419/1999, esso non può considerarsi anche esclusivo, essendo possibile fare uso anche di altri criteri “correttivi” di carattere equitativo, applicabili nel caso concreto dal giudice.
Tra questi figurano sia la durata dell’eventuale convivenza prematrimoniale, sia l’ammontare dell’assegno divorzile corrisposto all’ex coniuge, senza, però, che quest'ultimo vada a costituire un limite legale alla quota da attribuire all’ex coniuge, non essendoci alcuna indicazione normativa in questo senso (Cass. sent. n. 10391/2012).
In questa occasione, la Cassazione ha fornito apprezzabili chiarimenti in tema di ripartizione del trattamento previdenziale tra coniuge superstite ed ex coniuge, riassumendo una serie di criteri a cui fare riferimento, in particolare:
- durata del matrimonio;
- durata dell’eventuale periodo di convivenza prematrimoniale;
- entità dell’assegno di mantenimento riconosciuto all’ex coniuge;
- condizioni economiche delle parti.
Alla luce di queste premesse, la Suprema Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, poiché i giudici di secondo grado correttamente si erano attenuti ai principi giurisprudenziali in materia.


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