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Medico responsabile se, di fronte ad un’ecografia incompleta, non consiglia un ulteriore esame

Sanità - -
Medico responsabile se, di fronte ad un’ecografia incompleta, non consiglia un ulteriore esame
Se dall’ecografia non è visibile il feto nella sua interezza, il medico deve informare la paziente di potersi rivolgere ad un centro più specializzato.

La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30727/2019, ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente in materia di responsabilità medica.

In particolare, la vicenda sottoposta all’esame degli Ermellini vedeva come protagonisti due genitori, i quali si erano rivolti ad un medico ecografista per eseguire un’ecografia morfologica del figlio che la donna portava in grembo. Durante l’esame, però, il medico non era riuscito a vedere la grave malformazione presente sul volto del feto, poiché questo era voltato in modo tale da non rendere visibile il lato del volto interessato da detta malformazione. Nonostante ciò, tuttavia, il medico aveva comunque ritenuto che il volto del bimbo fosse nella normalità.

Dopo aver scoperto la realtà dei fatti, i genitori convenivano in giudizio il medico ecografista, evidenziando come lo stesso non avesse rilevato e diagnosticato la grave malformazione di cui era affetto il figlio, durante lo svolgimento dell’ecografia morfologica.
 
Entrambi i giudici di merito, però, rigettavano le domande attoree. Il Tribunale, infatti, affermava come, da un lato, i genitori non avessero dimostrato che, se fossero stati informati della sindrome di cui era affetto il figlio, avrebbero interrotto la gravidanza, e, dall’altro, come gli accertamenti svolti dal perito incaricato avessero confermato la correttezza dell’operato del sanitario nell’esecuzione dell’ecografia.
La decisione di primo grado veniva confermata anche dalla Corte d’Appello, la quale evidenziava, peraltro, come dalla CTU fosse emersa, non solo la correttezza dell’esecuzione dell’ecografia, ma anche che, nel caso di specie, non esistevano elementi di rischio o di sospetto tali da indicare la necessità di disporre l’esecuzione di accertamenti ecografici più specifici.
 
Avverso tale decisione la coppia ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, essenzialmente, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1176 del c.c., in quanto, a loro avviso, l’adita Corte d’Appello non aveva valutato l’attività dell’ecografista sulla base dei parametri di diligenza specificamente richiesti per lo svolgimento della sua attività. Tali parametri, infatti, prescrivevano al professionista la visualizzazione di entrambe le orbite, la scansione longitudinale della colonna vertebrale e l’esame dell’estremo cefalico.
 
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ribadendo, in primo luogo, il suo consolidato orientamento in base al quale, in materia di responsabilità medica, la diligenza nell’adempimento della prestazione professionale va valutata utilizzando come parametro di giudizio, non la diligenza del buon padre di famiglia, ma quella del debitore qualificato, ai sensi del comma 2 dell’art. 1176 c.c. Ciò significa che, in presenza di un paziente che presenti dei sintomi aspecifici, il medico ha l’obbligo di prendere in considerazione tutti i possibili significati del suo quadro clinico, nonché di segnalare le possibili ipotesi diagnostiche (cfr. Cass. Civ., n. 30999/2018).
 
Secondo gli Ermellini, inoltre, il medico che formuli una diagnosi di normalità morfologica di un feto, basandosi su degli esami strumentali che non gli abbiano consentito, senza sua colpa, di visualizzare il bimbo nella sua interezza, è obbligato ad informare la gestante della possibilità di rivolgersi ad un centro più specializzato, in vista anche della sua possibilità di interrompere la gravidanza, qualora ne ricorrano i presupposti di legge.
In questi casi, peraltro, pur ricadendo il relativo onere probatorio, in capo alla parte attrice che lamenti la mancata informazione da parte del medico, tale prova non può che avere natura meramente presuntiva, facendo riferimento al grave pericolo per la salute psichica della donna, il che costituisce la condizione richiesta ex lege per procedere all’interruzione di gravidanza (cfr. Cass. Civ., n. 15386/2011).
 
Per guanto concerne, invece, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, l’onere di provare il nesso causale tra la malattia e l’azione od omissione dei sanitari, incombe sul paziente che agisca in giudizio. Qualora, però, il danneggiato abbia assolto a questo onere, sarà la struttura a dover dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa ed essa non imputabile, provando come l’inesatto adempimento fosse dovuto ad un impedimento imprevedibile ed inevitabile usando l’ordinaria diligenza (cfr. Cass. Civ., 2416/2019; Cass. Civ., 26700/2018).
 
Orbene, esaminando il caso di specie alla luce di tali principi, emerge chiaramente come  la Corte d'Appello non abbia approfondito in modo adeguato gli aspetti, pur richiamati in sentenza, relativi alla "posizione di vertice" e al "dorso orientato a destra" che gli appellanti avevano prospettato come fattori limitanti l'indagine. Gli stessi, al contrario, sono stati liquidati, in modo molto sbrigativo, come fattori non implicanti la necessità di ulteriori accertamenti. 
 
Secondo i giudici di legittimità, però, un atteggiamento di questo tipo non risulta in sintonia con una corretta valutazione della diligenza dimostrata dal sanitario, considerando che proprio il fatto che il dorso orientato verso destra aveva impedito l’esame del relativo lato del volto, sul quale, poi, si sono rivelate essere presenti le gravi malformazioni lamentate dai ricorrenti. 


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