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Medico consiglia cure omeopatiche e paziente muore: è omicidio colposo?

Sanità - -
Medico consiglia cure omeopatiche e paziente muore: è omicidio colposo?
Sono responsabili per omicidio colposo, in concorso, sia il medico curante sia quello chiamato per il consulto che consiglia cure omeopatiche anziché quelle tradizionali.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 5117 del 14 febbraio 2022, è tornata in tema di responsabilità medica, chiarendo che risponde di omicidio colposo il medico, curante o chiamato per un consulto, che sconsiglia al paziente le cure tradizionali per il melanoma in favore di terapie omeopatiche prive di valenza scientifica (c.d. cura di Hamer).

La sfortunata vicenda su cui si è dovuta pronunciare la Suprema Corte, in particolare, riguardava il decesso di una donna avvenuto a seguito di molteplici metastasi sviluppate da un melanoma maligno: quest’ultimo, in particolare, era stato diagnosticato anni prima alla paziente, alla quale tuttavia erano stati sconsigliati gli interventi chirurgici e le terapie necessarie in favore di una cura omeopatica priva di qualsiasi riconoscimento scientifico.
In primo grado erano dunque state separatamente condannate, per omicidio colposo, il medico curante e la sua collega di studio per avere fornito i suddetti consigli terapeutici alla paziente, non impedendone la morte per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia nonché in violazione delle elementari regole di comportamento riconosciute dalla comunità scientifica.
Avverso la sentenza del Tribunale, la collega del medico curante aveva allora proposto appello, ma la Corte territoriale aveva confermato la statuizione di prime cure.
L’imputata aveva dunque proposto ricorso in Cassazione, dolendosi – per quanto qui di rilievo – a) dell’impossibilità di configurare la cooperazione colposa con il medico curante per un solo consulto estemporaneo; b) la mancanza del nesso causale. Nel considerare queste doglianze infondate, la Suprema Corte ha operato alcune importanti precisazioni.

Con riferimento al tema della cooperazione colposa, infatti, la Corte ha affermato che per la configurabilità della stessa ai sensi dell’art. 113 c.p. è sufficiente che il medico consultato abbia avuto una seria influenza nei confronti del paziente e del medico curante e che dunque abbia fornito consigli che hanno contribuito a definire il percorso terapeutico, anche avvallando le nefaste scelte altrui nella consapevolezza della loro contrarietà alla medicina tradizionale e dei pericolosi rischi.

Quanto poi al profilo del nesso causale, gli Ermellini hanno ricordato quali sono le coordinate ermeneutiche di riferimento, e cioè:
  • l’art. 43 c.p., per cui, ai fini del rimprovero a titolo di colpa, deve accertarsi che l’evento si sia verificato “a causa” di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi;
  • l’orientamento delle celebri Sez. Un. c.d. "Franzese" del 2002, per cui è necessario svolgere un giudizio c.d. controfattuale con riferimento sia alla causalità commissiva sia a quella omissiva, ipotizzando nella prima che la condotta sia stata assente e che nella seconda sia stata invece presente e verificando il grado di probabilità con cui l’evento si sarebbe comunque verificato.
Tanto chiarito, la Corte ha ritenuto “certamente non contestabile” il fatto che la paziente, se fosse subito indirizzata alla medicina tradizionale quando ancora non si era manifestato un quadro sintomatologico particolarmente allarmante, con altissima probabilità sarebbe sopravvissuta più a lungo e con una migliore qualità della vita.


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