Per barriera architettonica si intende qualsiasi elemento strutturale che ostacoli, limiti o renda difficoltoso il movimento o l’utilizzo di servizi da parte delle persone.
La L. n. 13 del 1989 ha introdotto le prime disposizioni normative in materia di accessibilità degli spazi condominiali, estendendo la tutela non solo alle persone con disabilità ai sensi dell'art. 3 della legge 104, ma anche a chiunque, a causa dell’età avanzata o di condizioni fisiche limitanti, incontri difficoltà nella mobilità.
Successivamente, tali disposizioni sono state oggetto di modifiche e integrazioni ad opera di normative successive, tra cui la legge n. 67 del 2006, che ha previsto specifiche tutele giuridiche per le persone con disabilità vittime di discriminazioni al di fuori del contesto lavorativo.
A rafforzare ulteriormente la disciplina interviene l’art. 1120 del c.c., il quale stabilisce che la rimozione delle barriere architettoniche all'interno dei condomini può essere deliberata dall'assemblea condominiale con la maggioranza dei presenti indicata dal secondo comma dall’art. 1136 del c.c.. In mancanza di tale maggioranza, l’intervento può essere realizzato anche da un singolo condomino, a proprie spese.
In tempi più recenti, con il decreto-legge n. 212 del 29 dicembre 2023, sono state introdotte agevolazioni fiscali finalizzate alla rimozione delle barriere architettoniche. Tuttavia, rispetto alle precedenti discipline, il nuovo provvedimento ha ristretto l’ambito di applicazione degli incentivi, prevedendo il beneficio fiscale massimo del 75% esclusivamente per i seguenti interventi specifici: installazione di scale, rampe, ascensori, montascale e piattaforme di sollevamento.
Quali sono gli obblighi dell’amministratore?
L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino, interessato all'adozione della deliberazione. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Si rammenta, poi, che l’articolo 2 della L. n. 67 del 2006 individua tre forme distinte di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità:
La L. n. 13 del 1989 ha introdotto le prime disposizioni normative in materia di accessibilità degli spazi condominiali, estendendo la tutela non solo alle persone con disabilità ai sensi dell'art. 3 della legge 104, ma anche a chiunque, a causa dell’età avanzata o di condizioni fisiche limitanti, incontri difficoltà nella mobilità.
Successivamente, tali disposizioni sono state oggetto di modifiche e integrazioni ad opera di normative successive, tra cui la legge n. 67 del 2006, che ha previsto specifiche tutele giuridiche per le persone con disabilità vittime di discriminazioni al di fuori del contesto lavorativo.
A rafforzare ulteriormente la disciplina interviene l’art. 1120 del c.c., il quale stabilisce che la rimozione delle barriere architettoniche all'interno dei condomini può essere deliberata dall'assemblea condominiale con la maggioranza dei presenti indicata dal secondo comma dall’art. 1136 del c.c.. In mancanza di tale maggioranza, l’intervento può essere realizzato anche da un singolo condomino, a proprie spese.
In tempi più recenti, con il decreto-legge n. 212 del 29 dicembre 2023, sono state introdotte agevolazioni fiscali finalizzate alla rimozione delle barriere architettoniche. Tuttavia, rispetto alle precedenti discipline, il nuovo provvedimento ha ristretto l’ambito di applicazione degli incentivi, prevedendo il beneficio fiscale massimo del 75% esclusivamente per i seguenti interventi specifici: installazione di scale, rampe, ascensori, montascale e piattaforme di sollevamento.
Quali sono gli obblighi dell’amministratore?
L'amministratore è tenuto a convocare l'assemblea entro trenta giorni dalla richiesta anche di un solo condomino, interessato all'adozione della deliberazione. La richiesta deve contenere l'indicazione del contenuto specifico e delle modalità di esecuzione degli interventi proposti. In mancanza, l'amministratore deve invitare senza indugio il condomino proponente a fornire le necessarie integrazioni.
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Si rammenta, poi, che l’articolo 2 della L. n. 67 del 2006 individua tre forme distinte di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità:
- discriminazione diretta: si verifica quando una persona con disabilità subisce un trattamento meno favorevole, sia giuridicamente sia in concreto, rispetto a una persona senza disabilità;
- discriminazione indiretta: si manifesta quando disposizioni, criteri, prassi, atti, patti o comportamenti, apparentemente neutrali, determinano un particolare svantaggio per le persone con disabilità rispetto ad altri soggetti;
- molestie: consistono in comportamenti indesiderati connessi alla disabilità, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità della persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
Il condominio ha, quindi, l’obbligo di procedere alla rimozione delle barriere architettoniche, obbligo che trova fondamento legislativo e giurisprudenziale, come confermato peraltro dall’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17138/2023. La Suprema Corte ha, infatti, statuito che la presenza di barriere architettoniche, che impediscano o rendano difficoltoso l’accesso agli edifici e la libera circolazione, costituisce una forma di discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2 citato.
La Corte ha altresì ribadito che l’ampia nozione legislativa e regolamentare di "barriere architettoniche" e di "accessibilità" comporta l’immediata applicabilità della normativa antidiscriminatoria, anche "in assenza di specifiche previsioni che individuino determinati stati dei luoghi come ostativi". La tutela antidiscriminatoria, dunque, è esperibile ogniqualvolta l’accessibilità risulti limitata o preclusa.
La rimozione delle barriere architettoniche risponde, inoltre, all’"esigenza di garantire alle persone con disabilità la piena partecipazione alla vita sociale, in conformità ai principi di tutela della personalità e dei diritti fondamentali dell’individuo, sanciti anche dall’articolo 32 della Costituzione, il quale riconosce e tutela la salute, intesa sia come benessere fisico sia psichico".
Ma come si attua la tutela giurisdizionale nei casi di discriminazione?
La protezione giurisdizionale contro la discriminazione è disciplinata dall’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Competente per materia è il Tribunale del luogo di domicilio del ricorrente, che assume la funzione di foro esclusivo e inderogabile.
La persona che si ritenga vittima di discriminazione può domandare:
La Corte ha altresì ribadito che l’ampia nozione legislativa e regolamentare di "barriere architettoniche" e di "accessibilità" comporta l’immediata applicabilità della normativa antidiscriminatoria, anche "in assenza di specifiche previsioni che individuino determinati stati dei luoghi come ostativi". La tutela antidiscriminatoria, dunque, è esperibile ogniqualvolta l’accessibilità risulti limitata o preclusa.
La rimozione delle barriere architettoniche risponde, inoltre, all’"esigenza di garantire alle persone con disabilità la piena partecipazione alla vita sociale, in conformità ai principi di tutela della personalità e dei diritti fondamentali dell’individuo, sanciti anche dall’articolo 32 della Costituzione, il quale riconosce e tutela la salute, intesa sia come benessere fisico sia psichico".
Ma come si attua la tutela giurisdizionale nei casi di discriminazione?
La protezione giurisdizionale contro la discriminazione è disciplinata dall’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Competente per materia è il Tribunale del luogo di domicilio del ricorrente, che assume la funzione di foro esclusivo e inderogabile.
La persona che si ritenga vittima di discriminazione può domandare:
- il risarcimento del danno non patrimoniale subito;
- l’adozione di ogni misura idonea a rimuovere gli effetti della discriminazione, inclusi specifici piani di eliminazione delle barriere, da attuarsi entro un termine stabilito dal giudice.
In tale ambito, il giudice è chiamato a disporre anche provvedimenti atipici e non espressamente previsti dalla legge, purché idonei a neutralizzare gli effetti pregiudizievoli e irreversibili della discriminazione sulla posizione giuridica sostanziale del soggetto discriminato.