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Lavoratore viene adibito a mansioni meno gravose ma gioca a tennis: non basta per licenziarlo

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Lavoratore viene adibito a mansioni meno gravose ma gioca a tennis: non basta per licenziarlo
Ai fini della legittimità del licenziamento intimato ad un dipendente che, pur essendo stato adibito a mansioni meno gravose, pratica attività sportiva, è necessario verificare se vi siano dati concreti che consentano di individuare e quantificare un pregiudizio effettivo o anche solo potenziale alle condizioni di salute del dipendente, derivante dalla predetta attività.
Il dipendente adibito a mansioni meno gravose e che, nonostante la patologia sofferta, pratica sport, può essere licenziato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1374 del 19 gennaio 2018, si è occupata proprio di questa questione, fornendo alcune interessanti precisazioni in tema di licenziamento disciplinare.

Il caso sottoposto all’esame della Cassazione ha avuto come protagonista un dipendente, che aveva agito in giudizio nei confronti della società datrice di lavoro, al fine di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento disciplinare, che gli era stato intimato “per avere egli giocato a tennis, sia pure al di fuori dell'orario lavorativo, in un periodo in cui aveva ottenuto dalla società di essere adibito a mansioni meno gravose”.

La domanda era stata accolta sia in primo che in secondo grado, con la conseguenza che la datrice di lavoro aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme dettate in materia di licenziamento per giusta causa (art. 18 legge n. 300 del 1970, art. 2118, 2104 e 2105 c.c., art. 3 legge n. 604 del 1966).

Osservava la Corte d’appello, in particolare, che, effettivamente, il lavoratore aveva chiesto ed ottenuto di essere adibito a mansioni meno gravose, in ragione di alcune patologie di cui soffriva, ma che il giocare a tennis non aveva aggravato e non era nemmeno idoneo ad aggravare le patologie stesse.

Evidenziava il giudice di secondo grado, peraltro, che, anche laddove fosse stata ravvisabile un’ipotesi di responsabilità disciplinare, la sanzione irrogata sarebbe stata, comunque, sproporzionata.

La Corte di Cassazione riteneva di dover aderire alle considerazioni svolte dalla Corte d’appello, rigettando il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, in quanto infondato.

Rilevava la Cassazione, infatti, che il giudice di secondo grado si era attenuto alle risultanze della consulenza tecnica espletata in corso di causa, la quale aveva accertato che, “al di là di considerazioni teoriche sull'idoneità lesiva del tennis, non emergevano dati concreti che consentissero di individuare e quantificare un pregiudizio effettivo od anche solo potenziale alle condizioni di salute” del lavoratore, “derivante dalla predetta attività per come da lui praticata”.

In sostanza, dunque, secondo la Cassazione, dagli accertamenti effettuati, non era emersa alcuna incompatibilità, neppure potenziale, fra l'attività sportiva praticata dal lavoratore e la patologia di cui egli soffriva.

Di conseguenza, a detta della Corte, i giudici d’appello avevano, del tutto correttamente esclusoqualsivoglia ipotesi di responsabilità disciplinare”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza impugnata.


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