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Se litigo col capo non posso essere licenziato

Lavoro - -
Se litigo col capo non posso essere licenziato
Il licenziamento è illegittimo solo nel caso in cui la condotta del lavoratore costituisca una vera e propria "insubordinazione".
Se al lavoro litigo con il mio superiore, posso essere licenziato?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11027 del 5 maggio 2017, si è occupata di un interessante caso che potrà essere utile per rispondere a questa domanda.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale di Velletri, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento che era stato intimato ad un lavoratore.

Nello specifico, il licenziamento era stato intimato in quanto, in occasione di un litigio tra il lavoratore e il proprio superiore, il dipendente aveva utilizzato un’espressione ingiuriosa, che era stata ritenuta di gravità tale da giustificare il licenziamento per giusta causa (art. 2119 cod. civ.).

A seguito della sentenza che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento, la società datrice di lavoro era stata condannata a reintegrare il lavoratore nel proprio posto di lavoro, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori).

Ritenendo la decisione ingiusta, la società datrice di lavoro aveva deciso, dunque, di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo la società datrice di lavoro, in particolare, i Giudici avevano sottovalutato la condotta del lavoratore, in quanto non c’era stato un semplice diverbio tra dipendente e superiore, ma una vera e propria “insubordinazione” da parte del primo, che era stata tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia che deve sussistere nell’ambito di un rapporto di lavoro (e ciò anche in considerazione del fatto che il medesimo episodio si era verificato anche un’altra volta, negli ultimi sei mesi).

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla società datrice di lavoro, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, infatti, che il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro in questione prevedeva espressamente, all’art. 38, che in caso di battibecco tra dipendente e datore di lavoro, che non sia seguito da violenze fisiche, non poteva portare al licenziamento ma alla sola applicazione della sanzione della multa o della sospensione.

Precisava la Cassazione, in particolare, che nel caso di specie non poteva parlarsi di vera e propria “insubordinazione” del lavoratore, la quale consiste nel “rifiuto di eseguire un ordine (legittimo) impartito da un superiore”.

Nel caso in esame, infatti, non era stato dimostrato che al lavoratore fosse stata fatta una contestazione disciplinare e che il medesimo si fosse rifiutato di eseguire gli ordini del proprio superiore.

Di conseguenza, poiché vi era stato solo un litigio tra dipendente e superiore, che non aveva integrato gli estremi dell’insubordinazione, secondo la Cassazione non sussistevano i presupposti per il licenziamento per giusta causa, di cui all’art. 2119 cod.civ.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla società datrice di lavoro, confermando integralmente la sentenza che aveva disposto la reintegrazione del lavoratore nel proprio posto di lavoro e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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