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Il giudice non puņ disattendere il risultato di una consulenza tecnica in base alla sua scienza privata

Il giudice non puņ disattendere il risultato di una consulenza tecnica in base alla sua scienza privata
Il giudice che non condivida le conclusioni di una consulenza tecnica deve disporne un’altra e non può decidere in base alla sua scienza privata.
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12026/2020, ha avuto modo di pronunciarsi in ordine alla possibilità o meno, per il giudice, di decidere basandosi esclusivamente sulla propria scienza personale, qualora non condivida le conclusioni del consulente tecnico di parte, chiedendosi se, invece, in una tale situazione, esso sia tenuto a disporre una nuova consulenza.

La questione nasceva da quanto accaduto nell’ambito di un procedimento penale per violenza sessuale aggravata in cui il giudice, non condividendo le deduzioni del consulente di parte, secondo il quale l’assunzione di farmaci non aveva determinato, nella vittima, uno stato di incoscienza tale da consentire il perpetrarsi della violenza nella sua totale inconsapevolezza, aveva preso la propria decisione basandosi esclusivamente sulla propria scienza privata, affermando che, a suo avviso, i medicinali assunti dalla persona offesa avevano avuto effetti ipnotici e sedativi, tali da determinare uno stato di sonno profondo, consentendo all'imputato di perpetrare gli atti sessuali incriminati.

Di fronte alla sentenza di condanna, emessa al termine del giudizio d'appello, la difesa dell’imputato ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra le altre cose, come il giudice di merito avesse contestato le risultanze della consulenza di parte difensiva, non sulla base di elementi derivanti da cognizioni più specialistiche, bensì in ragione della lettura operata dagli stessi componenti della Corte territoriale del foglietto illustrativo del medicinale che la persona offesa aveva assunto.

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, giudicando fondati i motivi proposti dal ricorrente.

Gli Ermellini hanno ritenuto che, concordemente alla tesi avanzata dalla difesa dell’imputato, la Corte territoriale abbia opposto, ai rilievi del consulente tecnico di parte, degli argomenti non idonei a svilirne il giudizio tecnico. I giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato come il contenuto della decisione impugnata risultasse, sul punto, del tutto illogico. La Corte di merito, infatti, non solo non ha dimostrato di conoscere il dosaggio con cui il medicinale in questione era stato assunto, dato, questo, chiaramente fondamentale ai fini della valutazione degli effetti che esso può provocare, ma ha anche desunto la verificazione di tali effetti sulla base di una valutazione puramente autoreferenziale, fondata sulla semplice lettura fatta dal giudice di primo grado del foglietto illustrativo, privatamente reperito sulla rete Internet, il quale correda le singole confezioni con cui vengono messi in commercio i medicinali in questione.

Alla luce di tali circostanze e sulla base della costante giurisprudenza di legittimità, la decisione impugnata è stata considerata viziata, in quanto “è dovere del giudice disporre una nuova perizia, nel caso in cui sia necessario svolgere un’indagine che presupponga particolari cognizioni scientifiche, ove egli non condivida, intendendo discostarsene, le conclusioni cui sia pervenuto il precedente perito(Cass. Pen., n. 6381/1985). Secondo il costante orientamento della stessa Cassazione, infatti, “è inibito al giudice di disattendere i risultati di una perizia sulla sola base della propria scienza personale, derivante da incerti e generici elementi non specialistici, essendo, invece, tenuto a risolvere i dubbi ed i punti critici mediante l'esame dell'ausiliario o la nomina di altro perito (Cass. Pen., n. 9358/2015).

Gli stessi Ermellini hanno, tuttavia, evidenziato come, d’altro canto, sia costante anche la tesi per cui, sebbene, in virtù del principio del libero convincimento attingibile da qualsiasi atto liberamente acquisito nel processo, il giudice di merito possa trarre argomenti di convinzione dalla relazione del consulente tecnico di parte, pur potendo, però, parimenti non condividerne le conclusioni e privilegiando quelle del perito d’ufficio, ove egli intenda privilegiare queste ultime deve comunque provvedere all’esposizione sintetica delle ragioni che lo hanno portato a non ritenere valido il parere del consulente di parte (cfr. Cass. Pen., n. 13997/2018; Cass. Pen., n. 8527/2015).

La Suprema Corte ha, però, rilevato come quest’ultimo principio non si possa considerare rispettato qualora, come nel caso di specie, la decisione si fondi su dei dati non specifici, quali quelli desunti esclusivamente dal foglietto illustrativo delle caratteristiche del medicinale, nonché non certi, non risultando supportati da elementi di giudizio fondamentali come la quantità di principio attivo assunto dalla persona offesa.


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