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Furto a danno di anziani e "minorata difesa"

Furto a danno di anziani e "minorata difesa"
C'è l'aggravante della "minorata difesa" in caso di tentato furto ai danni di una persona anziana.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 30340 del 15 luglio 2016, ha affrontato un caso di tentato furto, approfondendo l’argomento relativo alla circostanza aggravante del reato della “minorata difesa”, prevista, in particolare, dall’art. 61, n. 5, codice penale (“avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all'età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”).

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello aveva confermato la sentenza di primo grado, con la quale l’imputata era stata condannata per il reato di furto aggravato, ai sensi degli artt. 625 n. 4 e 61 n. 5 codice penale, “per aver tentato, in concorso con persona rimasta ignota, di impossessarsi dei portafogli di proprietà di G. G.M., con l’aggravante di aver commesso il fatto con destrezza e approfittando di circostanze di persona (età avanzata della vittima) tali da ostacolare la privata difesa”.

La condannata decideva, dunque, di proporre ricorso per Cassazione, deducendo che il giudice aveva erroneamente applicato l’aggravante della minorata difesa, la quale sarebbe stata fondata “su un mero dato anagrafico dell’età della vittima (pari a 72 anni), insufficiente ai fini dell’affermazione dell’aggravante, dovendo necessariamente essere accompagnata da accertamenti in concreto di fenomeni di decadimento o di indebolimento delle facoltà mentali o da ulteriori condizioni personali, quali ad esempio il basso livello culturale dei soggetto passivo, che determinano un diminuito apprezzamento critico della realtà, favorendo la contribuzione dei reato”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di dover aderire alle argomentazioni svolte dall’imputata, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Ricorda la Corte, infatti, come la legge n. 94 del 2009, “recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, ha modificato la circostanza comune della c.d. minorata difesa, che è ora espressamente riferita anche all’età della vittima”.
Secondo il nuovo art. 61 cod. pen., n. 5, infatti, il reato è aggravato quando il colpevole ha “profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” e “per la sua genericità, l’espressione deve intendersi riferita sia all’età senile, sia a quella infantile”.

A seguito di tale novità legislativa, dunque, “l’avere approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la pubblica o privata difesa debba essere specificamente valutato anche in riferimento all’età senile della persona offesa, avendo voluto il legislatore assegnare rilevanza ad una serie di situazioni che denotano nel soggetto passivo una particolare vulnerabilità dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio”.

Di conseguenza, osserva la Corte, come “nel caso di reati commessi in danno di persone anziane”, occorra accertare “se si sia in presenza di una complessiva situazione di approfittamento della particolare vulnerabilità emotiva e psicologica propria dell’età senile”.

In sostanza, secondo la Cassazione, “a seguito delle modificazioni legislative, l’età avanzata della vittima dei reato rileva in misura maggiore, attribuendo al giudice di verificare, allorché il reato sia commesso in danno dì persona anziana, se la condotta criminosa posta in essere sia stata agevolata dalla scarsa lucidità o incapacità di orientarsi da parte della vittima nella comprensione degli eventi secondo criteri ai normalità

Nel caso di specie, la Cassazione rilevava come il giudice di secondo grado avesse del tutto correttamente sottolineato che l’età della vittima (72 anni) aveva senz’altro agevolato “la condotta dell’imputata e della complice, in considerazione delle modalità della condotta, rappresentata da ripetute richieste di informazioni, proprio perché fatte ad un soggetto anziano, che si caratterizza per la naturale ingenuità e limitata capacità di attenzione e prontezza di riflessi”.

Alla luce di tali circostanze, il ricorso presentato dall’imputata veniva rigettato, con conferma della sentenza di condanna resa nei precedenti gradi di giudizio.


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