Una recente decisione del Consiglio di Stato (sentenza n. 5854/2025) segna una svolta importante per tutti i lavoratori pubblici che coltivano la terra senza finalità imprenditoriali.
La vicenda nasce dal ricorso di un maresciallo della Guardia di Finanza, sanzionato per aver aperto una partita IVA legata a un’attività agricola occasionale. Il militare, però, ha ottenuto piena ragione: secondo i giudici di Palazzo Spada, nessuna legge vieta a un dipendente pubblico di dedicarsi alla coltivazione di terreni di proprietà, anche se dotato di partita IVA, quando l’attività non ha carattere professionale.
Il caso concreto
Tutto ha avuto origine da una sanzione disciplinare di quattro giorni di consegna – ossia la privazione della libera uscita fino al massimo di sette giorni consecutivi – inflitta al maresciallo. Secondo il Comando generale, l’apertura di una partita IVA nel 2008 per coltivare ulivi su terreni familiari violava una circolare interna (n. 200000/109/4 del 20 giugno del 2005), che proibiva al personale del Corpo di svolgere attività extraprofessionali.
Il militare, però, aveva chiuso la partita IVA già nel 2017 e sosteneva di produrre olio esclusivamente per consumo domestico, senza alcuna finalità commerciale. Inoltre, aveva comunicato la sua posizione al comando due anni prima della chiusura.
Il TAR Lazio gli ha dato ragione, annullando la sanzione e condannando le amministrazioni al pagamento delle spese. Il Ministero dell’Economia e il Comando della Guardia di Finanza hanno impugnato la decisione, ma l’appello è arrivato fuori tempo massimo: un errore nell’indirizzo PEC e la successiva rinotifica oltre i 60 giorni previsti dal Codice del processo amministrativo hanno reso irricevibile il ricorso.
Il nodo giuridico
Il Consiglio di Stato è, comunque, entrato nel merito della vicenda e ha confermato che la normativa vigente non vieta l’attività agricola occasionale ai dipendenti pubblici. L’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e l’art. 53 del T.U.P.I. vietano lo svolgimento di attività commerciali o industriali, ma non includono nel divieto la coltivazione di terreni propri, se priva di carattere imprenditoriale.
Un aspetto cruciale sottolineato dai giudici riguarda il rilievo giuridico delle circolari interne.
Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha precisato che queste ultime non hanno forza di legge, per cui non possono introdurre divieti che non trovano fondamento in una norma primaria. Pertanto, il semplice possesso di una partita IVA, se legato alla gestione di un fondo rustico per uso personale o familiare, non costituisce violazione disciplinare.
Il richiamo ai principi costituzionali e internazionali
Il Consiglio di Stato ha ricordato che il diritto di proprietà, garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, include anche la possibilità di coltivare la propria terra. Restringere questo diritto senza una base normativa solida significherebbe comprimere in modo irragionevole le libertà del cittadino-lavoratore.
Pertanto, il militare è stato pienamente riabilitato e il Ministero, insieme al Comando generale, dovrà versargli 4.000 euro di spese processuali, oltre accessori di legge.
La vicenda nasce dal ricorso di un maresciallo della Guardia di Finanza, sanzionato per aver aperto una partita IVA legata a un’attività agricola occasionale. Il militare, però, ha ottenuto piena ragione: secondo i giudici di Palazzo Spada, nessuna legge vieta a un dipendente pubblico di dedicarsi alla coltivazione di terreni di proprietà, anche se dotato di partita IVA, quando l’attività non ha carattere professionale.
Il caso concreto
Tutto ha avuto origine da una sanzione disciplinare di quattro giorni di consegna – ossia la privazione della libera uscita fino al massimo di sette giorni consecutivi – inflitta al maresciallo. Secondo il Comando generale, l’apertura di una partita IVA nel 2008 per coltivare ulivi su terreni familiari violava una circolare interna (n. 200000/109/4 del 20 giugno del 2005), che proibiva al personale del Corpo di svolgere attività extraprofessionali.
Il militare, però, aveva chiuso la partita IVA già nel 2017 e sosteneva di produrre olio esclusivamente per consumo domestico, senza alcuna finalità commerciale. Inoltre, aveva comunicato la sua posizione al comando due anni prima della chiusura.
Il TAR Lazio gli ha dato ragione, annullando la sanzione e condannando le amministrazioni al pagamento delle spese. Il Ministero dell’Economia e il Comando della Guardia di Finanza hanno impugnato la decisione, ma l’appello è arrivato fuori tempo massimo: un errore nell’indirizzo PEC e la successiva rinotifica oltre i 60 giorni previsti dal Codice del processo amministrativo hanno reso irricevibile il ricorso.
Il nodo giuridico
Il Consiglio di Stato è, comunque, entrato nel merito della vicenda e ha confermato che la normativa vigente non vieta l’attività agricola occasionale ai dipendenti pubblici. L’art. 60 del D.P.R. 3/1957 e l’art. 53 del T.U.P.I. vietano lo svolgimento di attività commerciali o industriali, ma non includono nel divieto la coltivazione di terreni propri, se priva di carattere imprenditoriale.
Un aspetto cruciale sottolineato dai giudici riguarda il rilievo giuridico delle circolari interne.
Il Consiglio di Stato, al riguardo, ha precisato che queste ultime non hanno forza di legge, per cui non possono introdurre divieti che non trovano fondamento in una norma primaria. Pertanto, il semplice possesso di una partita IVA, se legato alla gestione di un fondo rustico per uso personale o familiare, non costituisce violazione disciplinare.
Il richiamo ai principi costituzionali e internazionali
Il Consiglio di Stato ha ricordato che il diritto di proprietà, garantito dall’art. 42 Cost. e dall’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, include anche la possibilità di coltivare la propria terra. Restringere questo diritto senza una base normativa solida significherebbe comprimere in modo irragionevole le libertà del cittadino-lavoratore.
Pertanto, il militare è stato pienamente riabilitato e il Ministero, insieme al Comando generale, dovrà versargli 4.000 euro di spese processuali, oltre accessori di legge.