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Decreto Salva Casa, chiudere un balcone con pergotende o verande, in alcuni casi, non č edilizia libera: la Cassazione

Decreto Salva Casa, chiudere un balcone con pergotende o verande, in alcuni casi, non č edilizia libera: la Cassazione
Con la sentenza n. 29638/2025, la Cassazione spiega quando la pergotenda diventa veranda e non rientra nell'edilizia libera. Ecco perché serve l'autorizzazione comunale pur con il varo del decreto Salva Casa
La Suprema Corte, con la sentenza n. 29638 di pochi giorni fa, invita a considerare attentamente le norme del decreto Salva Casa, ossia il D.L. 69/2024, voluto dall'Esecutivo al fine di alleggerire i cittadini dal peso della burocrazia nel campo dell'edilizia. Ricordiamo che il provvedimento - con l'introduzione della lettera b-ter) all'art. 6 del T.U. edilizia - ha allargato l'elenco delle opere in edilizia libera.

Ebbene, traendo spunto da un caso concreto recentemente giunto in piazza Cavour, i giudici di legittimità hanno concluso che la chiusura di un balcone con pergotenda, realizzando una vera e propria veranda, non costituisce un intervento di edilizia libera e, quindi, non può essere esentata da apposita autorizzazione comunale.

Con il varo del decreto Salva Casa, l'installazione di questi prodotti era stata qualificata dal legislatore come attività di edilizia libera, almeno in linea generale. Nel testo si legge, infatti, che non hanno bisogno di autorizzazione "le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, addossate o annesse agli immobili, la cui struttura principale sia costituita da tende o tende a pergola, anche se dotate di telo retrattile impermeabile e di strutture fisse di sostegno e purché non determinino spazi stabilmente chiusi e non abbiano un impatto visivo o ingombro apparente disarmonici".

Con la sentenza n. 29638 la magistratura ha però chiarito che la pergotenda, pur non essendo una chiusura muraria che trasformerebbe il balcone in una stanza, bensì una copertura leggera e mobile, può essere condizionata all'autorizzazione del relativo intervento di installazione. In questo caso, l'installazione non può essere agevolata dalle regole dell'edilizia libera, vigenti per la generalità di opere edili non eccessivamente "pesanti" e impattanti, per le quali non sono necessari né titoli abilitativi, né permessi e/o comunicazioni al Comune e specifiche pratiche edilizie (CILA, SCIA, ecc.).

Se il legislatore ha varato il Salva Casa nell'ottica di aprire all'edilizia libera (per cui oggi sono agevolati anche gli interventi di installazione di vetrate panoramiche amovibili), la Cassazione ha compresso le nuove libertà dei privati cittadini, a contrasto del rischio di realizzare nuovi volumi in modo "mascherato". Le norme agevolative sulle pergotende - chiarisce la Corte - non valgono, infatti, per quei manufatti che creano uno spazio chiuso, idoneo a determinare la trasformazione urbanistico-edilizia del territorio. Perciò per la Cassazione un'attività di questo tipo, per le implicazioni che ha sul piano della sicurezza edilizia e della tutela urbanistica e paesaggistica, non può che essere sottoposta alla precondizione dell'autorizzazione. In breve, una pergotenda che abbia chiusure laterali, materiali rigidi e volumi aggiuntivi richiede comunque un titolo edilizio.

Con la citata sentenza 29638/2025 e sulla scorta delle norme del Salva Casa, la Suprema Corte ha ribadito il perimetro delle agevolazioni dell'edilizia libera per i cittadini, ponendo una sorta di avvertimento: i privati che non si attivino per ottenere le autorizzazioni propedeutiche all'installazione dell'opera - laddove sia qualificabile non come semplice tenda parasole o pergotenda, ma come nuova costruzione esterna, chiusa e coperta - rischiano di commettere un reato di abuso edilizio. In sostanza, se per creare una veranda, la pergotenda non è realizzata con un materiale retrattile e facilmente amovibile e, anzi, viene usata per chiudere uno spazio esterno in modo permanente e con alterazione dell'impatto visivo, non è un'opera di edilizia libera ma di trasformazione edilizia, che necessita in ogni caso dei permessi comunali. E si badi bene, non è propriamente una pergotenda, e quindi un'opera leggera accessoria, ma una nuova costruzione edilizia esterna.

Nel caso concreto che ha portato alla sentenza n. 29638, la Cassazione ha ritenuto che l'opera andasse ben oltre una mera pergotenda. Infatti, la presenza di pareti laterali chiuse, una copertura stabile e addirittura - secondo quanto emerso in giudizio - una cucina in muratura, palesavano la creazione di un nuovo volume abitabile, con relativo mutamento della destinazione d'uso dello spazio, che necessitava della SCIA o del permesso di costruire. Inoltre, come emerso nel corso del procedimento, l'opera violava le norme urbanistiche locali di tutela del centro storico, che erano ulteriormente restrittive in merito ai requisiti caratterizzanti una pergotenda. E, in base all'art. 44 del DPR 380/2001, la violazione di regolamenti edilizi locali implica responsabilità penale, se alla base non vi è un titolo abilitativo.

In sintesi, la Suprema Corte spiega che non è sufficiente dare a un'opera la denominazione commerciale di "pergotenda" perché lo sia davvero. Al contempo allo scopo non basta la volontà del proprietario, perché la sua corretta classificazione è legata dalla funzione concreta e dalla struttura fisica. Accertato che l'opera installata non rispettava i parametri fondamentali previsti dalla normativa nazionale (DPR 380/2001, art. 6, lett. b-ter) e si opponeva alle specifiche prescrizioni locali, la conseguenza fu la conferma della condanna per abuso edilizio.

Ecco perché, anche con il varo del decreto Salva Casa, i privati cittadini debbono fare molta attenzione agli obblighi vigenti in tema di mutamento di destinazione d'uso di uno spazio esterno: se non completano i passi burocratici, rischiano conseguenze penali.

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