La storia - che ha portato alla
sentenza n. 2386 del 28 ottobre 2025 del Tribunale di Torre Annunziata - è emblematica di quanto possano diventare complessi i contenziosi economici dopo una separazione. Un marito si è trovato davanti a un
atto di precetto per oltre 41.000 euro, una cifra che la moglie sosteneva fosse il
totale degli assegni di mantenimento non versati nel corso degli anni. La donna si basava sui titoli esecutivi rappresentati dalla sentenza di separazione e dall'ordinanza presidenziale emessa durante il procedimento di divorzio. L'uomo, però, non è rimasto a guardare e ha deciso di opporsi all'esecuzione.
L’ex coniuge, da un lato, sosteneva di aver sempre provveduto economicamente al figlio; dall'altro affermava che buona parte di quel credito era ormai estinto per intervenuta
prescrizione. Il giudice ha dovuto, quindi, fare chiarezza su quando e come si prescrivono tali crediti, offrendo una lettura rigorosa che tocca tutti coloro che si trovano coinvolti in situazioni analoghe.
La regola: cinque anni e poi addio al credito
Il punto centrale della decisione riguarda l'individuazione del
termine di prescrizione corretto per i ratei dell'assegno di
mantenimento. Il Tribunale ha ribadito che
si applica la prescrizione quinquennale, come stabilito dall'art. 2948 del c.c.. Questa norma disciplina le prestazioni periodiche e fa scattare il termine breve proprio
perché si tratta di pagamenti che si ripetono con cadenza regolare, nel caso specifico mensilmente. Tradotto in termini pratici, significa che
chi ha diritto a ricevere l'assegno deve attivarsi entro cinque anni dalla scadenza di ogni singola rata per poterla recuperare. Se trascorre questo periodo senza che il creditore compia alcun atto interruttivo della prescrizione, come una messa in mora formale o l'avvio di un'azione giudiziaria, quel denaro è perduto per sempre.
Il giudice ha sottolineato come la semplice esistenza di una sentenza di separazione, che stabilisce l'obbligo futuro di versamento, non trasformi automaticamente il termine da cinque a dieci anni. Ogni mensilità non pagata inizia il proprio conto alla rovescia indipendentemente dalle altre, e quel conto scade inesorabilmente al compimento del quinquennio, se nessuno lo interrompe formalmente.
L'eccezione di prescrizione decennale: quando serve un giudicato specifico
Per completezza, il Tribunale ha specificato anche quando, eccezionalmente, si potrebbe applicare la prescrizione di dieci anni prevista dall'
art. 2953 del c.c.. Questa possibilità si apre soltanto
in presenza di un giudicato specifico sui ratei arretrati, ovvero quando un giudice ha già accertato - con
sentenza passata in giudicato - che determinate mensilità non sono state pagate e ha condannato il debitore a versarle. In questo caso, e solo in questo,
il credito che nasce da quella sentenza godrà del termine lungo di dieci anni. Serve, quindi, un passaggio giudiziario intermedio che cristallizzi il debito, trasformandolo in un'obbligazione da sentenza definitiva.
Nel caso esaminato dal Tribunale di Torre Annunziata, però, non esisteva alcun accertamento giudiziale pregresso sui singoli ratei che la moglie pretendeva di recuperare. La donna si limitava a invocare la sentenza di separazione e l'ordinanza presidenziale, ma questi provvedimenti si limitavano a stabilire l'obbligo di versamento per il futuro, senza aver mai accertato quali specifiche mensilità fossero rimaste inevase nel passato. Di conseguenza, la pretesa di applicare il termine decennale è stata respinta dal giudice, che ha riportato tutto nell'alveo della prescrizione breve quinquennale.
Coniugi separati: nessuna sospensione dei termini di prescrizione
Un altro aspetto decisivo della sentenza riguarda
l'impossibilità di invocare la sospensione della prescrizione tra coniugi quando questi sono separati. L'articolo
2941, numero 1 del c.c. prevede che la prescrizione resti sospesa tra i coniugi, sulla base di una logica molto semplice: durante il
matrimonio può risultare difficile, per un coniuge, trascinare l'altro in tribunale, per non compromettere l'armonia familiare e per il vincolo di solidarietà che lega marito e moglie. Tuttavia, il giudice ha chiarito che questa
ratio cade completamente quando la coppia è separata.
In regime di separazione personale la crisi coniugale è ormai conclamata e definitiva, quindi non esiste più quella remora psicologica o quel timore di turbare gli equilibri domestici che giustifica la sospensione. I due coniugi separati sono ormai parti contrapposte di un conflitto già esploso, e ciascuno è libero di esercitare pienamente i propri diritti senza ostacoli emotivi o giuridici. Pertanto, la donna non poteva appellarsi al vincolo matrimoniale, seppur formalmente ancora esistente prima del divorzio, per giustificare il fatto di non aver sollecitato per anni il pagamento degli arretrati.
Dal momento della separazione, il tempo necessario per la prescrizione riprende a decorrere normalmente e il creditore ha il pieno diritto-dovere di agire per tutelare i propri interessi economici, senza poter invocare sospensioni che la legge non prevede più in quella fase.
Nullità del precetto per le somme prescritte e conseguenze pratiche
Applicando i principi della prescrizione quinquennale e l'impossibilità di sospensione tra separati, il Tribunale ha accolto parzialmente l'opposizione del marito e ha dichiarato la nullità della parte del precetto che riguardava ratei maturati oltre cinque anni prima della notifica dell'atto. Il magistrato ha verificato l'assenza di atti interruttivi validi nel periodo contestato; quindi tutte le mensilità troppo risalenti nel tempo sono state eliminate dal conteggio del dovuto. Resta valida solo l'intimazione relativa ai crediti degli ultimi cinque anni, con un drastico ridimensionamento della pretesa complessiva.
Questa decisione ha conseguenze pratiche immediate per entrambe le parti. Per il
coniuge creditore, lasciar trascorrere più di cinque anni senza inviare neppure una raccomandata di sollecito significa rinunciare definitivamente a quei soldi, a meno di non aver ottenuto, nel frattempo, una sentenza specifica di condanna sugli arretrati. Per il
coniuge debitore, invece, la sentenza offre uno strumento di difesa efficace contro richieste cumulative spropositate. Ogni rata ha la sua data di scadenza legale per essere riscossa, e l'opposizione all'esecuzione permette di far valere la prescrizione e ridimensionare le pretese entro i confini della legalità.
La pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata si inserisce in un orientamento giurisprudenziale che privilegia la certezza dei rapporti giuridici, impedendo che debiti mai sollecitati riemergano improvvisamente dopo molti anni, quando ormai reperire le prove dei pagamenti effettuati potrebbe essere diventato impossibile per l'
obbligato.