Il caso affrontato dalla Suprema Corte prende origine da un grave incidente stradale: l’automobilista A.A., con un tasso alcolemico pari a 2,16 g/l, tamponava la vettura condotta da B.B., provocando a quest’ultimo lesioni personali gravi.
Nei gradi precedenti di giudizio, il Tribunale di Verona e la Corte d’Appello di Venezia avevano confermato la condanna per lesioni stradali aggravate ai sensi dell’art. 590 bis del c.p., comma 2, includendo l’aggravante dello stato di ebbrezza, di cui all’art. 186 del Codice della strada, comma 2, lett. c).
La vicenda, tuttavia, si complica quando la Corte d’Appello, avendo omesso nel dispositivo la quantificazione delle spese legali a favore della parte civile, emette un’ordinanza di correzione di errore materiale, integrando la sentenza con l’indicazione dell’importo dovuto.
L’imputato propone quindi ricorso in Cassazione, contestando tre aspetti principali: la procedura di correzione dell’errore materiale, la qualificazione della gravità delle lesioni e l’onere della prova sul funzionamento dell’etilometro.
Sotto il profilo procedurale, la Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, fornendo un principio essenziale: l’omissione nella liquidazione delle spese della parte civile non può essere trattata come un mero errore materiale. La condanna alle spese legali non è automatica, ma frutto di una valutazione discrezionale del giudice, che deve considerare sia l’ammissibilità della richiesta sia l’entità dell’importo, con eventuale compensazione. Pertanto, l’omissione non è sanabile tramite semplice correzione di errore materiale, ma richiede un ricorso specifico della parte interessata.
Dal punto di vista sostanziale, il ricorrente contestava la qualificazione del reato come “lesione grave”, sostenendo la mancanza di prova sulla durata della malattia della persona offesa. La Cassazione, però, ha riconosciuto la congruità della motivazione della Corte d’Appello, basata sulla relazione di un fisiatra che, a 20 giorni dall’incidente, aveva rilevato una persistente tensione miofasciale e aveva prescritto ulteriori 40 giorni di terapia posturale. Tali elementi dimostrano che la malattia si è protratta oltre i 40 giorni necessari per configurare la lesione grave.
Infine, gli Ermellini ribadiscono con fermezza che l’esito positivo dell’alcoltest costituisce piena prova dello stato di ebbrezza. Non spetta al Pubblico Ministero dimostrare la regolare omologazione e revisione dell’etilometro. Quest’onere ricade sulla difesa, che deve produrre elementi concreti a dimostrazione di un eventuale malfunzionamento. Una semplice richiesta di documentazione è considerata insufficiente. Nel caso specifico, l’imputato non ha adempiuto al suo onere di allegazione. Egli, infatti, non solo non ha presentato alcuna prova di difetti dello strumento, ma ha altresì ammesso il consumo di vino prima di mettersi alla guida. Inoltre, i verbali confermano l’uso di una strumentazione regolarmente omologata e revisionata.
In conclusione, l’alcoltest ha un valore probatorio presuntivo dello stato di ebbrezza. Una contestazione generica è insufficiente: la difesa deve documentare fatti concreti, anomalie procedurali o tecniche affinché il giudice possa richiedere al Pubblico Ministero la prova dell’omologazione e della revisione dello strumento.