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Adozione di maggiorenne: possibile per l’interdetto?

Famiglia - -
Adozione di maggiorenne: possibile per l’interdetto?
La Cassazione precisa che anche il maggiorenne interdetto può esprimere il consenso all’adozione tramite il proprio tutore.
L’istituto dell’adozione di persona maggiore di età, detta anche adozione ordinaria o civile, è disciplinato agli artt. 291 e ss. c.c. come modificati dalla L. 184/1983. Esso è volto ad attribuire per via giudiziale, pur se fondato sul presupposto consensualistico della necessaria sottostante intesa dei soggetti interessati, un nuovo status tra adottante e adottato.
In particolare, a differenza di quanto previsto per l’adozione dei minori, la natura del vincolo instaurato è essenzialmente patrimoniale giacché, salva l'assunzione del cognome, esso si limita a far conseguire all'adottato i soli diritti successoried alimentari.

Ma tale adozione è praticabile anche nel caso in cui l’adottando sia interdetto?
A tale quesito ha di recente fornito risposta, con sentenza n. 3462 del 3 febbraio 2022, la Corte di Cassazione, all’esito di una ricognizione del panorama normativo e giurisprudenziale sul punto e di un’approfondita riflessione sulla natura dell’istituto.

Nello specifico, il quadro normativo di riferimento è rinvenibile nei testi oggi vigenti degli articoli
  • 296 c.c., secondo cui “per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando”;
  • 311 c.c., secondo cui “il consenso dell’adottante e dell’adottato o del legale rappresentante di questo deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale nel cui circondario l’adottante ha la residenza”.
Ciò posto, la Corte ha ricordato come il consenso dell'adottante e dell'adottando è stato l'oggetto di un prolungato dibattito insorto tra gli studiosi, divisi tra
  1. la lettura incline a rinvenire, nella manifestazione della concorde volontà dell'adottante e dell'adottando, l'espressione di una determinante dimensione negoziale dell'adozione;
  2. la considerazione della volontà delle parti come mero "presupposto" del provvedimento giudiziale costitutivo dello status di filiazione adottiva.
Quest’ultima tesi, nello specifico, è prevalente in dottrina e in giurisprudenza e risulta oggi – ha rilevato la Suprema Corte – senz'altro preferibile, tenuto conto che l'art. 30 della legge n. 149/2001, nel sostituire l'art. 313 cod. civ., ha scelto per la pronuncia di adozione la forma della sentenza, che è atto giurisdizionale costitutivo dello status ed attributivo di diritti e di doveri, sicché non ha più senso configurare l'adozione come un mero atto di ricezione della volontà delle parti.

Tanto chiarito, la Corte ha evidenziato come la dottrina esclude in modo assoluto che possano adottare o essere adottati gli interdetti giudiziali: i negozi costitutivi di status, infatti, sono considerati personalissimi, in quanto le valutazioni che ne stanno alla base devono essere compiute direttamente dall'interessato e non possono essere demandate ad altri. Secondo alcuni autori, peraltro, nessun rilievo potrebbe attribuirsi al fatto che l’art. 311 c.c. faccia ancora riferimento al consenso del legale rappresentante dell'adottando, atteso che quella formula normativa - da mettere in relazione con il precedente art. 296 cod. civ., che, nella parte ora abrogata, prevedeva la necessità del consenso del legale rappresentante dell'adottando minorenne - dovrebbe considerarsi tacitamente abrogata, essendo oggi l'adozione ordinaria riservata alle persone maggiori di età, sicché che la menzione del legale rappresentante sarebbe rimasta nel testo del menzionato art. 311, comma 1, cod. civ. soltanto per un difetto di coordinamento.

Ciò nondimeno, la Cassazione ha affermato che, quanto alla persona dell'adottando, la rigorosa esclusione della capacità dell'interdetto giudiziale può ritenersi suscettibile di un parziale ripensamento, in linea di continuità con quell’indirizzo interpretativo che privilegia la “valenza solidaristica” dell’adozione di maggiorenni.

La Corte ha richiamato, infatti, un proprio precedente (Cass. n. 7667 del 2020) ove si affermava che l'adozione di maggiorenni, nell'accezione e configurazione sociologica assunta dall'istituto negli ultimi decenni, «ha perso la sua originaria connotazione diretta ad assicurare all'adottante la continuità della sua casata e del suo patrimonio, per assumere la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva ed identitaria, nonché di una storia personale, di adottante e adottando, con la finalità di strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili. In sostanza, l'istituto ha perso la sua originaria natura di strumento volto a tutelare l'adottante per assumere una valenza solidaristica».

Inoltre, la configurabilità dell’adozione dell’interdetto è parsa alla Cassazione compatibile con la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con disabilità adottata il 13 dicembre 2006 e ratificata dall’Italia con L. n. 18/ 2009. Tale Convenzione, invero, all’art. 12, prevede che tutti gli Stati hanno l’obbligo di riconoscere che le persone con disabilità godono della piena "legal capacity" in tutti gli aspetti della vita.

Per tali ragioni, la Suprema Corte afferma chiaramente che “l'interdizione giudiziale non deve costituire - per le medesime ragioni appena ricordate - un impedimento, di per sé, insormontabile alla pronuncia dell'adozione” e che “un'interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 296 e 311, comma 1, cod. civ. consente al soggetto maggiorenne, che si trovi in stato di interdizione giudiziale, di manifestare il proprio consenso all’adozione per il tramite del suo rappresentante legale, trattandosi di atto personalissimo che non gli è espressamente vietato.


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