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Articolo 1 Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze (Legge Cirinną)

(L. 20 maggio 2016, n. 76)

[Aggiornato al 25/04/2024]

Dispositivo dell'art. 1 Legge Cirinną

1. La presente legge istituisce l'unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina delle convivenze di fatto.

2. Due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un'unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.

3. L'ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell'archivio dello stato civile.

4. Sono cause impeditive per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso:

  1. a) la sussistenza, per una delle parti, di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso;
  2. b) l'interdizione di una delle parti per infermità di mente; se l'istanza d'interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la costituzione dell'unione civile; in tal caso il procedimento non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull'istanza non sia passata in giudicato;
  3. c) la sussistenza tra le parti dei rapporti di cui all'articolo 87, primo comma, del codice civile; non possono altresì contrarre unione civile tra persone dello stesso sesso lo zio e il nipote e la zia e la nipote; si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 87;
  4. d) la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.

5. La sussistenza di una delle cause impeditive di cui al comma 4 comporta la nullità dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano gli articoli 65 e 68, nonché le disposizioni di cui agli articoli 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129 bis del codice civile.

6. L'unione civile costituita in violazione di una delle cause impeditive di cui al comma 4, ovvero in violazione dell'articolo 68 del codice civile, può essere impugnata da ciascuna delle parti dell'unione civile, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarla un interesse legittimo e attuale. L'unione civile costituita da una parte durante l'assenza dell'altra non può essere impugnata finché dura l'assenza.

7. L'unione civile può essere impugnata dalla parte il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità determinato da cause esterne alla parte stessa. Può essere altresì impugnata dalla parte il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altra parte. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che è cessata la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. L'errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell'altra parte, si accerti che la stessa non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l'errore riguardi:

  1. a) l'esistenza di una malattia fisica o psichica, tale da impedire lo svolgimento della vita comune;
  2. b) le circostanze di cui all'articolo 122, terzo comma, numeri 2), 3) e 4), del codice civile.

8. La parte può in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l'unione civile dell'altra parte. Se si oppone la nullità della prima unione civile, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

9. L'unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell'unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni.

10. Mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all'ufficiale di stato civile.

11. Con la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall'unione civile deriva l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale e alla coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.

12. Le parti concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.

13. Il regime patrimoniale dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. In materia di forma, modifica, simulazione e capacità per la stipula delle convenzioni patrimoniali si applicano gli articoli 162, 163, 164 e 166 del codice civile. Le parti non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto dell'unione civile. Si applicano le disposizioni di cui alle sezioni II, III, IV, V e VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile.

14. Quando la condotta della parte dell'unione civile è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342 ter del codice civile.

15. Nella scelta dell'amministratore di sostegno il giudice tutelare preferisce, ove possibile, la parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'interdizione o l'inabilitazione possono essere promosse anche dalla parte dell'unione civile, la quale può presentare istanza di revoca quando ne cessa la causa.

16. La violenza è causa di annullamento del contratto anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.

17. In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell'unione civile.

18. La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile.

19. All'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni di cui al titolo XIII del libro primo del codice civile, nonché gli articoli 116, primo comma, 146, 2647, 2653, primo comma, numero 4), e 2659 del codice civile.

20. Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.

21. Alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano le disposizioni previste dal capo III e dal capo X del titolo I, dal titolo II e dal capo II e dal capo V-bis del titolo IV del libro secondo del codice civile.

22. La morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell'unione civile ne determina lo scioglimento.

23. L'unione civile si scioglie altresì nei casi previsti dall'articolo 3, numero 1) e numero 2), lettere a), c), d) ed e), della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

24. L'unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all'ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell'unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data della manifestazione di volontà di scioglimento dell'unione.

25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma, 9 bis, 10 secondo comma, 12 bis, 12 ter, 12 quater e 12 quinquies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo IV-bis del libro secondo del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162(1).

26. La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso(2).

27. Alla rettificazione anagrafica di sesso, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso.

28. Fatte salve le disposizioni di cui alla presente legge, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi in materia di unione civile tra persone dello stesso sesso nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:

  1. a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
  2. b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina dell'unione civile tra persone dello stesso sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
  3. c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.

29. I decreti legislativi di cui al comma 28 sono adottati su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

30. Ciascuno schema di decreto legislativo di cui al comma 28, a seguito della deliberazione del Consiglio dei ministri, è trasmesso alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica perché su di esso siano espressi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per materia. Decorso tale termine il decreto può essere comunque adottato, anche in mancanza dei pareri. Qualora il termine per l'espressione dei pareri parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine previsto dal comma 28, quest'ultimo termine è prorogato di tre mesi. Il Governo, qualora non intenda conformarsi ai pareri parlamentari, trasmette nuovamente i testi alle Camere con le sue osservazioni e con eventuali modificazioni, corredate dei necessari elementi integrativi di informazione e motivazione. I pareri definitivi delle Commissioni competenti per materia sono espressi entro il termine di dieci giorni dalla data della nuova trasmissione. Decorso tale termine, i decreti possono essere comunque adottati.

31. Entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo adottato ai sensi del comma 28, il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive del decreto medesimo, nel rispetto dei principi e criteri direttivi di cui al citato comma 28, con la procedura prevista nei commi 29 e 30.

32. All'articolo 86 del codice civile, dopo le parole: «da un matrimonio» sono inserite le seguenti: «o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso».

33. All'articolo 124 del codice civile, dopo le parole: «impugnare il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o l'unione civile tra persone dello stesso sesso».

34. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabilite le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell'archivio dello stato civile nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi adottati ai sensi del comma 28, lettera a).

35. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 34 acquistano efficacia a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge.

36. Ai fini delle disposizioni di cui ai commi da 37 a 67 si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile.

37. Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

38. I conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario.

39. In caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari.

40. Ciascun convivente di fatto può designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati:

  1. a) in caso di malattia che comporta incapacita' di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute;
  2. b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalita' di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

41. La designazione di cui al comma 40 è effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone.

42. Salvo quanto previsto dall'articolo 337 sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

43. Il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.

44. Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto.

45. Nel caso in cui l'appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto.

46. Nella sezione VI del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile, dopo l'articolo 230 bis è aggiunto il seguente:

  1. «Art. 230-ter (Diritti del convivente). - Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».

47. All'articolo 712, secondo comma, del codice di procedura civile, dopo le parole: «del coniuge» sono inserite le seguenti: «o del convivente di fatto».

48. Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 del codice civile.

49. In caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

50. I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

51. Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.

52. Ai fini dell'opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l'atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione all'anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.

53. Il contratto di cui al comma 50 reca l'indicazione dell'indirizzo indicato da ciascuna parte al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti al contratto medesimo. Il contratto può contenere:

  1. a) l'indicazione della residenza;
  2. b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  3. c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del Codice Civile.

54. Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51.

55. Il trattamento dei dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche deve avvenire conformemente alla normativa prevista dal codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, garantendo il rispetto della dignità degli appartenenti al contratto di convivenza. I dati personali contenuti nelle certificazioni anagrafiche non possono costituire elemento di discriminazione a carico delle parti del contratto di convivenza.

56. Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti.

57. II contratto di convivenza è affetto da nullità insanabile che può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse se concluso:

  1. a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un'unione civile o di un altro contratto di convivenza;
  2. b) in violazione del comma 36;
  3. c) da persona minore di età;
  4. d) da persona interdetta giudizialmente;
  5. e) in caso di condanna per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile.

58. Gli effetti del contratto di convivenza restano sospesi in pendenza del procedimento di interdizione giudiziale o nel caso di rinvio a giudizio o di misura cautelare disposti per il delitto di cui all'articolo 88 del codice civile, fino a quando non sia pronunciata sentenza di proscioglimento.

59. Il contratto di convivenza si risolve per:

  1. a) accordo delle parti;
  2. b) recesso unilaterale;
  3. c) matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona;
  4. d) morte di uno dei contraenti.

60. La risoluzione del contratto di convivenza per accordo delle parti o per recesso unilaterale deve essere redatta nelle forme di cui al comma 51. Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile. Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza.

61. Nel caso di recesso unilaterale da un contratto di convivenza il professionista che riceve o che autentica l'atto è tenuto, oltre che agli adempimenti di cui al comma 52, a notificarne copia all'altro contraente all'indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in cui la casa familiare sia nella disponibilita' esclusiva del recedente, la dichiarazione di recesso, a pena di nullità, deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l'abitazione.

62. Nel caso di cui alla lettera c) del comma 59, il contraente che ha contratto matrimonio o unione civile deve notificare all'altro contraente, nonché al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza, l'estratto di matrimonio o di unione civile.

63. Nel caso di cui alla lettera d) del comma 59, il contraente superstite o gli eredi del contraente deceduto devono notificare al professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto di convivenza l'estratto dell'atto di morte affinché provveda ad annotare a margine del contratto di convivenza l'avvenuta risoluzione del contratto e a notificarlo all'anagrafe del comune di residenza.

64. Dopo l'articolo 30 della legge 31 maggio 1995, n. 218, è inserito il seguente:

  1. «Art. 30-bis (Contratti di convivenza). - 1. Ai contratti di convivenza si applica la legge nazionale comune dei contraenti. Ai contraenti di diversa cittadinanza si applica la legge del luogo in cui la convivenza è prevalentemente localizzata.
  2. 2. Sono fatte salve le norme nazionali, europee ed internazionali che regolano il caso di cittadinanza plurima».

65. In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall'altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell'ordine degli obbligati ai sensi dell'articolo 433 del codice civile, l'obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma e' adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle.

66. Agli oneri derivanti dall'attuazione dei commi da 1 a 35 del presente articolo, valutati complessivamente in 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, in 6,7 milioni di euro per l'anno 2017, in 8 milioni di euro per l'anno 2018, in 9,8 milioni di euro per l'anno 2019, in 11,7 milioni di euro per l'anno 2020, in 13,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 15,8 milioni di euro per l'anno 2022, in 17,9 milioni di euro per l'anno 2023, in 20,3 milioni di euro per l'anno 2024 e in 22,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, si provvede:

  1. a) quanto a 3,7 milioni di euro per l'anno 2016, a 1,3 milioni di euro per l'anno 2018, a 3,1 milioni di euro per l'anno 2019, a 5 milioni di euro per l'anno 2020, a 7 milioni di euro per l'anno 2021, a 9,1 milioni di euro per l'anno 2022, a 11,2 milioni di euro per l'anno 2023, a 13,6 milioni di euro per l'anno 2024 e a 16 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2025, mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica, di cui all'articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307;
  2. >b) quanto a 6,7 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2017, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2017 e 2018, dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.

67. Ai sensi dell'articolo 17, comma 12, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base dei dati comunicati dall'INPS, provvede al monitoraggio degli oneri di natura previdenziale ed assistenziale di cui ai commi da 11 a 20 del presente articolo e riferisce in merito al Ministro dell'economia e delle finanze. Nel caso si verifichino o siano in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di cui al comma 66, il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvede, con proprio decreto, alla riduzione, nella misura necessaria alla copertura finanziaria del maggior onere risultante dall'attività di monitoraggio, delle dotazioni finanziarie di parte corrente aventi la natura di spese rimodulabili, ai sensi dell'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

68. Il Ministro dell'economia e delle finanze riferisce senza ritardo alle Camere con apposita relazione in merito alle cause degli scostamenti e all'adozione delle misure di cui al comma 67.

69. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.

Data a Roma, addì 20 maggio 2016

MATTARELLA

Renzi, Presidente del Consiglio dei ministri

Visto, il Guardasigilli: Orlando

Note

(1) Comma modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149.
Il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".
(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 22 febbraio - 22 aprile 2024, n. 66 (in G.U. 1ª s.s. 24/04/2024 n. 17), ha dichiarato "l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell'unione civile senza prevedere, laddove l'attore e l'altra parte dell'unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, l'intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione".

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E. P. S. chiede
lunedģ 15/09/2025
“Buon pomeriggio,

sono un militare e intrattengo da oltre sei anni una relazione stabile e duratura con la mia compagna, attualmente dipendente presso un’Azienda Sanitaria Pubblica di un’altra regione. Ad oggi non conviviamo, essendo entrambi impegnati in sedi lavorative differenti.

Nel periodo di giugno/luglio prossimi dovrò essere trasferito dalla mia Amministrazione presso la sede di servizio definitiva. Sono a conoscenza dell’esistenza di una normativa che tutela il ricongiungimento familiare, in particolare dei dipendenti pubblici al coniuge o convivente militare.

A tal proposito desidero chiedere:

Se, ai fini dell’istanza che la mia compagna presenterà alla propria Azienda, sia utile e legittimo dichiarare una stabile convivenza presso la sua attuale residenza. In particolare, chiedo se, nonostante io lavori attualmente in altra regione, l’Ufficio Anagrafe del Comune potrebbe sollevare problemi al momento della registrazione della convivenza di fatto.

Quale procedura dovrà seguire la mia compagna, in qualità di dipendente di Azienda Sanitaria, per poter usufruire del diritto al ricongiungimento familiare ed ottenere il trasferimento in altra sede o presso altra Azienda una volta che avrò ricevuto la sede definitiva.

Eventuali ulteriori chiarimenti e consigli utili in merito.

Ringrazio anticipatamente per l’attenzione e per la disponibilità.

Cordiali saluti”
Consulenza legale i 02/10/2025
La c.d. legge Cirinnà (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) ha regolamentato l’istituto della convivenza di fatto, applicabile a due persone maggiorenni unite stabilmente da vincoli affettivi, non legate da rapporti di parentela, matrimonio o unione civile.

Ai sensi degli artt. 4 e 13 del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (Regolamento anagrafico), la convivenza di fatto si costituisce mediante dichiarazione resa all’Ufficio Anagrafe del Comune di residenza. Condizione necessaria è che i conviventi risultino coabitanti e condividano la medesima residenza anagrafica.

Ne consegue che, ai fini della registrazione della convivenza, il richiedente dovrà trasferire formalmente la propria residenza anagrafica presso l’abitazione della compagna. La circostanza che il dichiarante presti servizio in altra regione non costituisce motivo ostativo, poiché la residenza anagrafica corrisponde al luogo in cui la persona ha la dimora abituale e il centro dei propri affetti, indipendentemente dalla temporanea permanenza in sedi di servizio diverse.

Pertanto, non sussistono ragioni giuridiche per cui l’Ufficio Anagrafe possa legittimamente negare la registrazione della convivenza di fatto, purché sia rispettato il requisito della residenza comune.

Dal punto di vista giuridico, la normativa che disciplina la convivenza di fatto (Legge 20 maggio 2016, n. 76 e D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) stabilisce in modo tassativo che la convivenza di fatto viene riconosciuta esclusivamente quando entrambi i soggetti risultano coabitanti e condividono la medesima residenza anagrafica. In particolare, ai sensi dell’art. 4 del Regolamento Anagrafico, la dichiarazione di convivenza deve essere resa all’Ufficio Anagrafe e presuppone che la residenza sia effettivamente coincidente.

La ratio di tale previsione è quella di garantire che il vincolo affettivo e la stabile comunanza di vita siano effettivi e non meramente formali: la residenza anagrafica rappresenta, infatti, il centro degli interessi personali e affettivi del cittadino, nonché il luogo della dimora abituale. Mantenere residenze diverse non consente la registrazione della convivenza di fatto, poiché viene meno il requisito fondamentale della coabitazione, che la legge intende tutelare anche ai fini del ricongiungimento familiare e dei correlati diritti.

Non è dunque possibile, secondo la vigente disciplina, che uno dei conviventi mantenga la residenza in un Comune diverso: l’Ufficio Anagrafe non potrebbe accogliere la richiesta di convivenza di fatto senza la coincidenza della residenza, e il certificato anagrafico necessario per l’istanza di trasferimento non verrebbe rilasciato. In sintesi, la residenza comune costituisce presupposto imprescindibile sia per la registrazione della convivenza di fatto sia per l’attivazione dei diritti connessi, tra cui il trasferimento per ricongiungimento familiare.

Secondo la normativa italiana, il legislatore prevede due principali modalità di trasferimento per ricongiungimento familiare rivolte ai dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni. La prima possibilità è disciplinata dall’art. 42 bis del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, che consente al genitore con figli minori di tre anni di richiedere il trasferimento temporaneo o l’assegnazione presso una sede più vicina al domicilio familiare, nei limiti e secondo le condizioni previste dalla norma.

La seconda opzione è rappresentata dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 104, che permette il trasferimento del lavoratore per l’assistenza a familiari con disabilità grave, sempre subordinatamente alla disponibilità di posti vacanti nell’organico dell’amministrazione di destinazione.

In entrambe le ipotesi, il trasferimento costituisce un interesse legittimo e non un diritto soggettivo assoluto: ciò significa che l’amministrazione può negare la richiesta in caso di carenza di posti o per comprovate esigenze organizzative, motivando puntualmente il diniego. Si precisa, inoltre, che la giurisprudenza europea non ha mai escluso la necessità del nulla osta dell’ente di appartenenza e che, per i dipendenti con meno di cinque anni di servizio, il trasferimento è ammesso solo nei casi sopra indicati o per lo svolgimento di incarichi sindacali.

Per quanto riguarda il personale militare invece, l’articolo 17 della Legge 23 dicembre 1999, n. 266 – “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000)” – prevede una tutela specifica per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia a ordinamento militare e civile in materia di ricongiungimento familiare. In particolare, la norma consente al personale trasferito d’autorità, per esigenze di servizio, in un Comune diverso da quello di residenza della propria famiglia, di poter presentare istanza per essere trasferito, compatibilmente con le esigenze organizzative dell’amministrazione di appartenenza, presso una sede ubicata nello stesso Comune o in un Comune limitrofo a quello di residenza del coniuge, dei figli o dei genitori. Tale diritto, pur non essendo assoluto e dovendo armonizzarsi con le esigenze di servizio, rafforza le garanzie a tutela dell’unità familiare, riconoscendo il valore del ricongiungimento per il benessere del personale militare e delle rispettive famiglie.

Si segnala, inoltre, che l’art. 1, comma 5, della Legge 20 maggio 1987, n. 100 prevede una specifica tutela per il coniuge convivente del personale militare trasferito d’autorità. In base a tale disposizione, il coniuge che sia impiegato di ruolo in una amministrazione statale ha diritto, all’atto del trasferimento del militare, ad essere impiegato, in ruolo normale, in soprannumero e per comando, presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge, oppure, in mancanza, nella sede più vicina. Questa norma rafforza ulteriormente il principio del ricongiungimento familiare, riconoscendo al coniuge la possibilità di mantenere la continuità lavorativa senza dover rinunciare all’unità familiare, anche qualora non vi siano posti disponibili nell’organico ordinario della sede di destinazione.

La normativa citata riguarda sempre i coniugi e non contempla mai esplicitamente i conviventi di fatto.

Tuttavia è opportuno segnalare che la recente sentenza n. 148 del 2024 della Corte Costituzionale, pur riguardando un tema differente, ovvero l’impresa familiare, ha dichiarato incostituzionale l’art. 230bis del codice civile nella parte in cui non include il convivente di fatto tra i familiari dell’impresa familiare. Di fatto ha equiparato le convivenze di fatto al matrimonio.

Di sicuro interesse sulla questione è la sentenza n. 321 del 10 maggio 2019 con cui il Tar di Reggio Calabria, richiamando principi ampiamente affermati dalla Corte Costituzionale in numerose sentenze nonché le indicazioni provenienti dalle fonti sovranazionali ed in particolare dalla Carta di Nizza (o Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) e dalla Convenzione Europea dei Diritti Dell’uomo (CEDU), ha accolto il ricorso di un Carabiniere, affermando che la convivenza more uxorio, pur nel silenzio della legge Cirinnà deve essere necessariamente ricompresa nel novero delle situazioni che legittimano il ricongiungimento familiare al pari del rapporto di coniugio, perché solo una tale interpretazione può essere conforme ai principi costituzionali.

Per presentare la richiesta di trasferimento per ricongiungimento familiare, il dipendente interessato dovrà innanzitutto verificare di possedere i requisiti previsti dalla normativa di riferimento (ad esempio, la presenza di figli minori di tre anni oppure l’assistenza a familiari con disabilità grave, come stabilito dall’art. 42-bis del D.Lgs. 151/2001 e dalla Legge 104/1992 per il personale civile, oppure le condizioni previste dall’art. 17 della Legge 266/1999 per il personale militare).

Una volta accertati i requisiti, è necessario presentare un’istanza formale all’amministrazione di appartenenza, allegando la documentazione che attesta la situazione familiare (stato di famiglia, certificazione di residenza, eventuale certificato di disabilità), specificando la sede di destinazione richiesta e motivando la domanda in relazione alle esigenze di ricongiungimento. È opportuno verificare se l’ente di appartenenza preveda moduli specifici o procedure telematiche per l’invio della richiesta.

L’amministrazione valuterà la domanda in base alla disponibilità di posti vacanti e alle esigenze organizzative interne; in caso di diniego, dovrà fornire una motivazione dettagliata. Per il personale militare, si suggerisce di allegare anche copia del provvedimento di trasferimento d’autorità, mentre per il coniuge convivente impiegato pubblico, è consigliabile fare riferimento alle disposizioni della Legge 100/1987 per chiedere il comando o la ricollocazione nella sede di servizio del partner.

D. B. chiede
mercoledģ 09/10/2024
“Buongiorno,

Convivo da poco con la mia fidanzata.
Intendiamo registrare la convivenza in comune mediante dichiarazione congiunta, al fine di diventare conviventi di fatto ex art. 1 legge 76/2016, commi 36 e seguenti.

Da un punto di vista economico/patrimoniale, oltre al mantenimento in caso di stato di bisogno (comma 65) quali sono le altre implicazioni?

In assenza di dichiarazioni ulteriori insieme alla dichiarazione da fare in comune, è previsto il regime di comunione dei beni o di separazione?

Grazie, un saluto

Consulenza legale i 15/10/2024
I commi 36 e seguenti dell’art. 1 della c.d. Legge Cirinnà disciplinano la convivenza di fatto: vale a dire il rapporto intercorrente tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile”.

Dalla convivenza di fatto derivano, per i componenti della coppia, alcuni diritti aventi contenuto sia patrimoniale che non patrimoniale. Tra i diritti a contenuto non patrimoniale abbiamo: l’equiparazione al coniuge nei casi previsti dalla Legge sull'ordinamento penitenziario; il diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o ricovero, al pari di coniugi e familiari; la possibilità di designare il partner quale rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, nonché in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie; la possibilità di essere nominato amministratore di sostegno, tutore o curatore del partner in caso di incapacità di quest’ultimo.

Quanto agli aspetti di natura patrimoniale - che costituiscono specificamente l'oggetto del presente quesito - si tratta dei seguenti:
  • ai sensi del comma 42 dell’art. 1 Legge Cirinnà, e salvo quanto previsto dall'articolo 337 sexies del codice civile, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni, o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e, comunque, non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Come stabilito dal successivo comma 43, tale diritto viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto;
  • facoltà del convivente di fatto di succedere, cioè di subentrare, al partner nel contratto di locazione in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza (comma 44);
  • la convivenza di fatto viene considerata “nucleo familiare” ai fini delle graduatorie per l'assegnazione della casa popolare (comma 45);
  • diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare ai sensi dell’art. 230 ter c.c. (comma 46 art. 1 Legge Cirinnà);
  • risarcibilità del danno da morte del partner, se dovuta al fatto illecito di un terzo, con gli stessi criteri stabiliti in favore del coniuge superstite (comma 49).


Inoltre, i componenti della coppia di fatto possono regolamentare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza, secondo quanto previsto dai commi 50 e seguenti del citato art. 1 Legge Cirinnà.
In particolare - e passiamo alla seconda domanda sollevata nel quesito - il successivo comma 53 stabilisce che, nel possibile contenuto del contratto di convivenza, può rientrare anche la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni, che dunque si applica solo in caso di espressa dichiarazione della coppia in tal senso.

P. D. M. . chiede
venerdģ 20/10/2023
“La giurisprudenza recente considera convivenza anche se le due persone non vivono sotto lo stesso tetto. Avrei bisogno di un'analisi delle più recenti sentenze che permettano di asserire che una donna separata che frequenta un uomo da due anni, portando i bambini in vacanza( 24 GG) in un appartamento di lui, insieme anche ai bambini di questo e della madre, che passa i weekend con quest'uomo ed i bambini, che molte notti quest'uomo si ferma a dormire nella casa data in uso in quanto esistono figli minori, tutto questo può configurarsi convivenza. Grazie”
Consulenza legale i 27/10/2023
È vero che la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione consente di affermare l’esistenza di una convivenza more uxorio anche in assenza di coabitazione.
In particolare, ricordiamo Cass. Civ., Sez. I, ord. 04/05/2022, n. 14151, secondo la quale “questa Corte ha già avuto modo di affermare che la convivenza more uxorio ha da essere intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale, senza che la coabitazione possa assumere il rilievo di un requisito indispensabile all'integrazione del fatto giuridico (v. Cass. 13 aprile 2018, n. 9178; nella stessa prospettiva può leggersi Cass. 21 marzo 2013, n. 7128, che ha accordato il risarcimento del danno da macrolesione del convivente more uxorio pur in assenza di coabitazione: v.; Cass. 7 luglio 2010, n. 16018). Anche la CEDU ha affermato di non ravvisare "alcun fondamento per tracciare la distinzione... tra i ricorrenti che convivono e coloro che - per motivi professionali e sociali - non lo fanno... poiché... il fatto di non convivere non priva le coppie interessate della stabilità che le riconduce nell'ambito della vita familiare ai sensi dell'art. 8" (Corte Edu, grande chambre, 7 novembre 2013, Vallianatos e altri c. Grecia, p. 73).”.

Tuttavia, prosegue la Suprema Corte, “ciò non vuol dire che la coabitazione non abbia rilievo: esso è anzi assai cospicuo, ma soltanto indiziario, per i fini della prova dell'esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario da valutarsi in ogni caso non atomisticamente [...], ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce. Viceversa, l'assenza della coabitazione non è di per sé decisiva”.
Tali principi, nello specifico, sono stati affermati in tema di divorzio, e precisamente ai fini della eventuale revoca dell’assegno divorzile a causa dell’instaurazione di una convivenza di fatto da parte dell’ex coniuge; tuttavia, gli stessi principi hanno trovato applicazione, ad esempio, ai fini del risarcimento del danno da perdita di un familiare. Così dalla cit. Cass. Civ., Sez. III, otd. 13/04/2018, n. 9178, si desume che “la coabitazione non è elemento costitutivo della famiglia di fatto, bensì semplice indizio o elemento presuntivo della sua ricorrenza, da apprezzarsi in uno con gli altri elementi di prova”.

Dalle stesse pronunce appena esaminate, tuttavia, si desume anche un ulteriore principio: ovvero quello secondo cui la valutazione va effettuata caso per caso dal giudice, tenendo conto di tutti gli elementi della fattispecie concreta.

A. D. B. chiede
martedģ 12/12/2023
“buongiorno,
devo proporre azione di ingiusto arricchimento (ex art. 2041 c.c.) nei confronti della mia ex convivente per dazioni che esulano dalle obbligazioni naturali (ex art. 2034 c.c.) da me effettuate nel corso della convivenza.


Per quanto riguarda la prescrizione ho conoscenza di due sentenze di Cassazione -Cass. n. 11330 del 15/05/2009- e -Cass. n. 11303 del 12/06/2020-, che stabiliscono che la prescrizione decorre NON dai singoli versamenti
ma dalla "cessazione della convivenza".

Avrei interesse a conoscere il vostro parere e, soprattutto, a conoscere altre fonti del Diritto (altre sentenze o massime della S.C., ma anche altre norme giuridiche che vadano in questa direzione.

Mi pare per esempio che nella c.d. legge Cirinnà ci potrebbero essere principi utili. Anche pronunciamenti di Corti di livello inferiore potrebbero essere utili.

resto in attesa
grazie”
Consulenza legale i 18/12/2023
I due precedenti giurisprudenziali citati nel quesito sono effettivamente pertinenti rispetto alla tesi che si intende sostenere (ovvero, decorrenza della prescrizione dell’azione di indebito arricchimento nei confronti del convivente more uxorio dalla cessazione della convivenza).
In particolare, in Cass. Civ., Sez. III, 15/05/2009, n. 11330 si specifica che “il diritto a richiedere l'indennizzo per l'altrui ingiustificato arricchimento si prescrive in dieci anni dal momento in cui l'arricchimento si è verificato. Nel caso in cui un convivente "more uxorio" presti nei confronti dell'altro rilevanti contributi economico-patrimoniali in maniera continuativa, la prescrizione dell'azione di arricchimento decorre dalla cessazione del rapporto di convivenza”.
In tale pronuncia la Suprema Corte spiega che, proprio in “considerazione della continuità dei rilevanti contributi economico- patrimoniali resi [...] in tutto il corso del rapporto di convivenza”, il corrispondente arricchimento dell’altro convivente poteva considerarsi definitivo “solo alla cessazione di siffatto rapporto”.

Anche Cass. Civ., Sez. III, 12/06/2020, n. 11303 afferma che “nell'ambito del rapporto di convivenza "more uxorio", il termine di prescrizione dell'azione di ingiustificato arricchimento decorre non dai singoli esborsi, bensì dalla cessazione della convivenza”.

Purtroppo la ricerca giurisprudenziale effettuata non ha rilevato, allo stato, altre pronunce conformi, ma neppure pronunce di segno contrario.

Quanto alla c.d. legge Cirinnà (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), il comma 18 dell’art. 1 stabilisce espressamente che “la prescrizione rimane sospesa tra le parti dell'unione civile”. Si tratta, tuttavia, di una disposizione limitata alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, che sia stata formalizzata nei modi previsti dalla legge stessa; la previsione non viene invece estesa alle convivenze di fatto.

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