Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE

Articolo 2289 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 03/08/2024]

Liquidazione della quota del socio uscente

Dispositivo dell'art. 2289 Codice Civile

Nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio [2307], questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota [2270, 2284, 2285].

La liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento(1).

Se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Salvo quanto è disposto nell'articolo 2270(2), il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto [2529].

Note

(1) Il valore della quota da liquidare al socio è calcolato in proporzione al valore del patrimonio della società.
(2) L'art. 2270 regola la liquidazione della quota del socio su richiesta di un creditore personale.

Ratio Legis

La disposizione esprime una regola valevole per tutti i casi scioglimento del singolo rapporto partecipativo, in virtù del quale lo scioglimento del rapporto conferisce al socio uscente, al socio escluso o agli eredi del socio defunto il diritto alla liquidazione del valore della quota, risultando dunque impedita la restituzione dei beni diversi dal denaro eventualmente conferiti.

Spiegazione dell'art. 2289 Codice Civile

A prescindere dalla causa che lo determina (recesso; esclusione; morte), lo scioglimento del rapporto sociale fa sorgere in capo al socio uscente o ai suoi eredi il diritto alla liquidazione in denaro della quota. Il contratto sociale può prevedere delle apposite clausole che si occupino di fissare i criteri di valutazione della quota.

In ogni caso, oggetto di liquidazione è la quota ideale dell’intero patrimonio sociale della società, la cui consistenza deve essere valutata al momento dello scioglimento. La norma prescrive che la liquidazione debba avvenire unicamente mediante la corresponsione di una somma di denaro, ciò indicando che non possa darsi luogo alla restituzione di conferimenti in natura.

La liquidazione deve essere effettuata entro sei mesi dallo scioglimento. Tale termine, tuttavia, non riguarda in alcun modo l’efficacia dello scioglimento.

Massime relative all'art. 2289 Codice Civile

Cass. civ. n. 26501/2022

In tema di liquidazione della quota del socio receduto da società di persone, l'art. 2289, comma 3, c.c., nel porre a favore ed a carico di detto socio, rispettivamente, gli utili e le perdite inerenti ad "operazioni in corso" alla data del recesso, si riferisce alle sopravvenienze attive e passive che trovino la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data. Esso, pertanto, non è applicabile alla situazione di fatto rappresentata dall'occupazione di un terreno di proprietà della società da parte di una porzione di fabbricato appartenente ai soci di essa, situazione che solo astrattamente è idonea a far sorgere un credito indennitario in capo all'ente, ma che non costituisce all'attualità una componente attiva.

Cass. civ. n. 13265/2022

In tema di società di persone, la costituzione per testamento dell'usufrutto sulla quota del socio defunto incontra i limiti previsti dall'art. 2284 c.c., che attribuisce agli eredi del socio il diritto alla liquidazione della quota salvo che i soci superstiti non preferiscano sciogliere la società o continuarla con gli eredi stessi, qualora vi acconsentano; pertanto, la costituzione dell'usufrutto sulla quota del socio defunto si avrà soltanto in caso di continuazione della società con gli eredi, mentre in caso di liquidazione della quota, il diritto si realizza sulle somme ricavate dalla liquidazione della partecipazione del socio defunto.

Cass. civ. n. 22346/2021

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale relativamente ad un socio, ai sensi dell'art. 2289, comma 2, c.c., questi ha diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota da liquidarsi in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui il rapporto cessa; né esime dal rispetto di detto criterio temporale, in favore di un preteso criterio del "giorno più prossimo" ovvero - come nella specie - di quello del più vicino bilancio d'esercizio, l'assenza di documentazione in concreto idonea, dovendo in tal caso farsi ricorso a criteri sostitutivi, ancorché presuntivi.

Cass. civ. n. 24769/2018

In tema di valutazione della quota sociale ex art. 2289 c.c., occorre tener conto anche del valore dell'avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell'azienda, considerato che la norma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone la continuazione dell'attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro.

Cass. civ. n. 21036/2017

Il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lo "status socii" nonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota, e non sono a lui opponibili le successive vicende societarie.

Cass. civ. n. 7964/2017

In tema di società di fatto, qualora non si sia proceduto alla liquidazione della società, che è soltanto facoltativa, il diritto del socio alla liquidazione della quota si prescrive con decorrenza dalla cessazione dell’attività sociale.

Cass. civ. n. 10332/2016

La domanda di liquidazione della quota di una società di persone, formulata dagli eredi del socio defunto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci ma della società medesima quale soggetto passivamente legittimato, potendosi altresì evocare in giudizio anche i soci superstiti, qualora siano solidalmente ed illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali, sebbene non siano litisconsorti necessari.

Cass. civ. n. 5449/2015

In una società di persone, la situazione patrimoniale da assumere, ai sensi dell'art. 2289 cod. civ., a base della liquidazione della quota di un socio uscente non può essere redatta - a differenza di quanto si pratica in caso di recesso da una società per azioni - facendo riferimento all'ultimo bilancio o, comunque, ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, ma occorre tener conto dell'effettiva consistenza al momento della uscita del socio, sicché, ai fini della determinazione del valore dell'avviamento - la cui rilevanza, quale elemento del patrimonio sociale, si proietta nel futuro, traducendosi nella probabilità, pur fondata su elementi presenti e passati, di maggiori profitti per i soci superstiti -, vanno considerati non solo i risultati economici della gestione passata ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell'azienda.

Cass. civ. n. 19321/2013

Ai fini della liquidazione della quota del socio che intenda recedere da una società di fatto, non può tenersi conto, per quantificarne, al netto dei costi, l'incidenza sull'attivo di quest'ultima, del valore derivante dalla detenzione da parte della stessa società, in forza di comodato senza specificazione di durata, di immobili appartenenti ad altro socio, trattandosi di disponibilità revocabile "ad nutum" dal proprietario concedente, e, dunque, di titolo inidoneo a proiettare nel futuro tale utilità; né, al medesimo scopo, può attribuirsi valore al godimento di detti beni avvenuto nel passato, in quanto esso concreta un'utilità ormai consumata, la quale non concorre a determinare la situazione patrimoniale della società all'attualità.

Cass. civ. n. 5836/2013

Il recesso da una società di persone è un atto unilaterale recettizio, e, pertanto, la liquidazione della quota non è una condizione sospensiva del medesimo, ma un effetto stabilito dalla legge, con la conseguenza che il socio, una volta comunicato il recesso alla società, perde lo "status socii" nonché il diritto agli utili, anche se non ha ancora ottenuto la liquidazione della quota.

Cass. civ. n. 19150/2012

La liquidazione della quota del socio receduto da società irregolare, ai sensi dell'art. 2289 c.c., richiamato dall'art. 2297 primo comma, c.c., consiste nella dazione di una somma di danaro, per la cui esecuzione il debitore è costituito in mora alla data della scadenza del termine entro il quale ne è imposto l'adempimento (sei mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento della società), ed il corrispondente credito, risultando da una liquidazione che va compiuta attraverso un mero calcolo aritmetico, deve considerarsi liquido ed esigibile. Ne consegue che alla relativa domanda giudiziale va applicato, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente, l'art. 1182, terzo comma, c.c., trattandosi di obbligazione da eseguirsi, al pari di quella di pagamento di utili, presso il domicilio del creditore.

Cass. civ. n. 9397/2011

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell'art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all'esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l'assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l'apertura del secondo.

Cass. civ. n. 1036/2009

In tema di società di persone, e con riguardo alla liquidazione della quota agli eredi del socio defunto, gli art. 2261 e 2289 cod. civ., che devono essere letti congiuntamente, pongono a carico della società l'obbligo di liquidare la quota stessa, e a carico degli amministratori quello di rendere il conto (obbligo che sussiste nei confronti degli eredi anche qualora il "de cuius" avesse partecipato all'amministrazione), al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell'assolvimento dell'onere della società di provare il valore della quota; di fronte all'inadempimento dell'obbligo di rendiconto, il giudice può deferire ai soci-amministratori il giuramento suppletorio per la determinazione del "quantum debeatur".

Cass. civ. n. 8531/2004

La domanda con cui il socio di una società di persona fa valere l'obbligazione della società alla liquidazione della sua quota degli utili va proposta nei confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato, e non già dei soci singolarmente ; né tale principio può essere superato, ancorché si tratti di società irregolare, in base al concorrente principio della responsabilità solidale dei soci (art. 2291 c.c. ), perché la regola della solidarietà tra i soci è stabilita a favore dei terzi che vantino crediti nei confronti della società, e non è applicabile alle obbligazioni della società nei confronti dei soci medesimi (conformemente alla regola generale secondo cui nei rapporti interni l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori, salvo che sia stata contratta nell'interesse esclusivo di alcuno di essi ).

Cass. civ. n. 6376/2004

Il principio secondo il quale le azioni per la liquidazione della quota del socio uscente vanno proposte nei confronti della società, anche se di persone (attesane la indiscutibile qualità di soggetto di diritto, quantunque sfornito di personalità giuridica) si applica anche al caso (come quello di specie) di azione promossa dall'ex socio per conseguire la quota di partecipazione ad utili inerenti ad operazioni in corso alla data di cessazione del singolo rapporto sociale, o che siano stati accertati dopo quella data, ma siano riferibili ad operazioni precedenti.

Cass. civ. n. 3671/2001

Nel caso di morte del socio di società di persone, per il calcolo della liquidazione della quota in favore degli eredi deve tenersi conto della effettiva consistenza economica dell'azienda sociale all'epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche l'avviamento, la cui valutazione non rimane assorbita in quella della licenza d'esercizio, che è un distinto elemento di potenzialità economica.

Nelle società di persone (nella specie: società di fatto), gli eredi del socio defunto non acquisiscono la posizione di quest'ultimo nell'ambito della società, e non assumono perciò la qualità di soci, ma hanno soltanto il diritto alla liquidazione della quota del loro dante causa, diritto che sorge indipendentemente dal fatto che la società continui o si sciolga; pertanto, gli eredi non sono legittimati a chiedere la liquidazione della società né possono vantare un diritto a partecipare alla procedura di liquidazione, che, nella società di persone, è facoltativa, potendo i soci sostituirla con altre modalità di estinzione o chiedere al giudice nei modi ordinari di definire i rapporti di dare e avere.

Cass. civ. n. 960/2000

In tema di liquidazione della quota del socio receduto da società di persone (nella specie, società in nome collettivo), l'art. 2289, terzo comma, c.c., nel porre a favore e a carico di detto socio rispettivamente gli utili e le perdite inerenti ad «operazioni in corso» alla data del recesso, si riferisce alle sopravvenienze attive e passive che trovino la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data. Esso, pertanto, trova applicazione con riguardo alle somme versate dalla società in base a condono fiscale attinente a violazioni commesse precedentemente al recesso, anche se richiesto in epoca successiva — sempre che non siano in discussione la sussistenza della violazione ed il carattere vantaggioso della definizione agevolata — in quanto la relativa istanza e gli ulteriori adempimenti connessi sono rivolti ad estinguere un debito già sorto.

Cass. civ. n. 642/2000

La società, anche ove abbia natura personale, come nel caso della società semplice, è pur sempre un soggetto di diritto, titolare di un patrimonio autonomo, anche se priva di personalità giuridica. Ne consegue che è nei confronti della società, e non dei singoli soci della stessa, che gli eredi del socio defunto devono promuovere le azioni per la liquidazione della sua quota.

Cass. civ. n. 13875/1999

La pendenza del procedimento di liquidazione di una società di persone non determina l'improcedibilità della domanda di liquidazione della quota del socio che abbia esercitato il recesso bensì l'improponibilità della medesima non desumibile dagli articoli 2275 e segg. c.c.

Cass. civ. n. 5732/1999

Il credito di cui all'art. 2289 c.c., relativo alla liquidazione della quota del socio uscente, avendo fin dall'origine ad oggetto una somma di danaro, è un credito di valuta ed è soggetto, quindi, al principio nominalistico di cui all'art. 1277 c.c.; nondimeno la svalutazione monetaria assume rilevanza quando, non essendo avvenuto l'adempimento entro il termine di sei mesi previsto dall'ultimo comma dell'art. 2289, diventino applicabili i principi sul risarcimento del danno conseguente alla mora del debitore.

Cass. civ. n. 5757/1998

Nella società di persone, in ipotesi di scioglimento del rapporto sociale rispetto ad un socio, la liquidazione della quota del socio receduto o escluso rappresenta un credito nei confronti della società e non direttamente dei soci, la cui responsabilità è solo sussidiaria, come per ogni altro debito sociale.

Cass. civ. n. 6966/1996

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio — in cui, ai sensi dell'art. 2289, comma terzo, c.c., il socio uscente o i suoi eredi partecipano agli utili o alle perdite inerenti alle operazioni in corso — il socio di una società in nome collettivo la quale abbia ottenuto un mutuo artigiano garantito con fideiussione degli stessi soci è tenuto, salva diversa volontà delle parti, a contribuire al pagamento della rata di mutuo stipulato prima del recesso, la cui scadenza si verifichi successivamente, potendo le rate di mutuo considerarsi operazioni in corso, perché, pur se esse non sono in atto al momento dello scioglimento del vincolo, costituiscono tuttavia una conseguenza inevitabile dei rapporti giuridici preesistenti.

Cass. civ. n. 12172/1995

Nelle società di persone lo scioglimento del vincolo sociale limitatamente ad un socio opera una modificazione della struttura del rapporto sociale nella quale viene in primo piano la persona del socio, con la conseguenza che, nelle controversie relative, sia nel caso di esclusione del socio sia in quello di recesso, la legittimazione passiva spetta a tutti gli altri soci, ai quali lo scioglimento del rapporto rispetto ai soci recedenti impone direttamente il pagamento del valore della quota loro spettante.

Cass. civ. n. 8470/1995

Il principio stabilito dall'art. 2289 c.c. - a norma del quale in tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio la liquidazione della sua quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento - comporta la computabilità del valore di avviamento nella quota di liquidazione spettante al socio uscente, al fine di evitare l'ingiusta locupletazione, che altrimenti ne conseguirebbe, di colui ii quale continua ad avvalersi dell'organizzazione alla quale l'avviamento inerisce e giova.

Cass. civ. n. 7595/1993

Nel caso di recesso di socio di società di persone, per il calcolo della liquidazione della quota, a norma dell'art. 2289, secondo comma, c.c., deve tenersi conto dell'effettiva consistenza economica dell'azienda sociale all'epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività dell'azienda stessa. Tale redditività, in cui si sostanzia il concetto di avviamento, deriva da un complesso di elementi che, se pure cronologicamente attualizzati al momento dello scioglimento del rapporto, si fondano sui risultati economici delle passate gestioni e sulle prudenti previsioni dei futuri rendimenti e si traduce nella probabilità, proiettata eminentemente nel futuro, di maggiori profitti per i soci superstiti, derivati dall'apporto conferito dal socio recedente e consolidatosi come componente del patrimonio sociale.

Notizie giuridiche correlate all'articolo

Tesi di laurea correlate all'articolo

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.

SEI UN AVVOCATO?
AFFIDA A NOI LE TUE RICERCHE!

Sei un professionista e necessiti di una ricerca giuridica su questo articolo? Un cliente ti ha chiesto un parere su questo argomento o devi redigere un atto riguardante la materia?
Inviaci la tua richiesta e ottieni in tempi brevissimi quanto ti serve per lo svolgimento della tua attività professionale!

Consulenze legali
relative all'articolo 2289 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

N. B. chiede
mercoledì 28/08/2024
“Buongiorno,
vorrei esporre il seguente quesito.
Una Società Semplice Immobiliare (SSI) è posseduta al 50% da due sorelle. La SSI possiede un appartamento in una località turistica impiegato unicamente per le vacanze delle rispettive famiglie delle due sorelle.
A causa degli alti costi di gestione e delle diverse dinamiche familiari, le due socie decidono di mettere in vendita l’immobile ormai 18 mesi fa. Il prezzo di vendita fissato, a detta delle Agenzie Immobiliari che si sono succedute nell’incarico di intermediazione immobiliare, risulta troppo alto e pertanto non si trovano acquirenti pur in una fase di mercato “agile” che vede molte offerte e altrettanti clienti.
A questo punto, le socie propongono soluzioni diverse per risolvere la soluzione.
La socia A propone di portare il prezzo di vendita dell’immobile a una cifra di mercato o di poco superiore che, secondo il parere di diversi agenti immobiliari, consentirebbe di vendere rapidamente.
La socia B propone di comperare dalla socia A il 50% della proprietà (e diventare così unica proprietaria) e si rifiuta di abbassare il prezzo di vendita dell’alloggio.
Il problema sorge dal fatto che l’alloggio è posto in vendita a 760K euro a fronte di un prezzo di mercato di minimo 620k (+140k) massimo 700k (+60) e che la socia B propone, per l’acquisto della quota della socia A, la cifra di 250k (che la socia A non intende accettare in quanto la cifra è lontana dal valore che potrebbe ricavare dalla vendita a mercato della casa (almeno 60k in meno)).
Come si può risolvere la situazione?
Quali strumenti ha la socia A per “imporre” la vendita dell’immobile a un prezzo in linea con gli standard di mercato? Come può preservare il valore della propria quota?

Grazie,
cordialità
Consulenza legale i 09/09/2024
La socia A non ha strumenti per imporre il prezzo di vendita del singolo immobile, così come non può farlo la socia B; tale dissidio non è superabile proprio in quanto la ripartizione delle quote societarie è paritaria.

Il dissidio tra i soci non costituisce, in linea generale, una causa di immediato scioglimento della società.
Secondo la giurisprudenza, per essere causa di scioglimento della società, il dissidio tra soci deve determinare una vera e propria paralisi dell’attività sociale, un ostacolo insormontabile al conseguimento dell’oggetto sociale o l’impossibilità di raggiungere i fini sociali; pertanto anche in presenza di forti conflitti, che tuttavia non compromettono l’attività societaria e mantengono comunque la stessa in grado di compiere le sue attività seppur in condizioni ostili, non sussiste causa di scioglimento.
Nel caso di specie, posto il fine della società così come esposto, non si ritiene integrata la causa di scioglimento della società.

Neppure si può imporre alla socia B di acquistare ad un prezzo superiore la quota di immobile della socia A.

L’unica via eventualmente percorribile dalla socia A per vedersi riconosciuto il valore a cui effettivamente ha diritto consiste nel recedere dalla società ai sensi dell'art. 2285 del c.c. e pretendere la liquidazione del valore della propria quota (societaria).
Ciò purché la società sia contratta a tempo indeterminato, ovvero per tutta la vita di uno dei soci; in caso contrario, potrà recedere per giusta causa, che il dissidio esposto potrebbe eventualmente integrare.
Ai sensi dell'art. 2289, comma 1, infatti, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, come nel caso del recesso, da diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della propria quota.
La liquidazione della quota del socio uscente deve essere fatta entro 6 mesi dal momento in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, così come prescritto dall’art. 2289, comma IV, del c.c.; il valore della quota va calcolato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, come stabilito dal comma II della medesima norma.

Nella pratica, le parti fanno redigere da un professionista (un commercialista) una perizia di stima della società che ne fotografi la situazione al giorno in cui si verifica lo scioglimento e ne definisca il valore; per farlo sarà necessaria altresì la collaborazione di un tecnico, che quantifichi a sua volta il valore degli immobili, che contribuiscono a costituire il valore della società stessa.
Definito il valore della propria quota (tramite accordo con la socia B, ovvero tramite apposito procedimento giudiziale), la socia A potrà pretenderne la liquidazione dalla società stessa.

Il quesito non specifica se la società detenga ulteriori immobili o soltanto quello in discussione; né se eserciti altre attività.
Si tenga presente che recedere dalla società significa uscirne definitivamente, con riferimento a tutte le attività che esercita e a tutti i beni che la stessa possiede.

G. M. chiede
sabato 09/03/2024
“Una società semplice a scopo agricolo può nel suo regolamento darsi questa clausola, posto che tutti i soci l'accettino:

"Il recesso del socio può avvenire in qualunque momento e comporta il pagamento da parte della società del controvalore della quota societaria detenuta, pari per esempio nel caso di un socio detentore del 25% ad un quarto del valore della società, oppure la cessione della specifica particella catastale che era stata in precedenza venduta dal socio alla società "
Consulenza legale i 14/03/2024
L’art. 2285 del c.c. disciplina il recesso di un socio da una società di persone (qual è la società semplice), consentito nei casi previsti dal contratto sociale, per giusta causa, nonché in ogni caso se la società è a tempo indeterminato; in tale ultimo caso il recesso va comunicato agli altri soci con preavviso di almeno 3 mesi.

La liquidazione della quota del socio uscente è regolata dall’art. 2289 del c.c., il quale, al comma 1, dispone che al socio recedente spetta una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, da corrispondersi da parte della società entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.

Detta norma, tuttavia, è derogabile dalle parti, le quali possono decidere di regolare la liquidazione della quota del socio uscente in maniera differente.
Nel caso di specie, pertanto, è possibile disciplinare le modalità di liquidazione della quota nell’atto costitutivo come descritto nel quesito.

Si consideri, tuttavia, che la prevalente giurisprudenza ha posto dei limiti alla facoltà delle parti di derogare detta disposizione per la necessità di dover sempre tener conto dello stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento (limiti posti prevalente in merito alla considerazione o meno dell’avviamento nella determinazione del valore della quota); ciò comporta che, se in futuro dovesse verificarsi il recesso da parte di uno dei soci, in assenza di accordo sul punto potrebbero nascere delle controversie.

E. L. chiede
lunedì 19/02/2024
“FATTO
Nell’anno 1997 i soci di una SNC modificano lo Statuto Sociale prevedendo che: “nel caso di decesso di uno dei soci, i soci superstiti avranno la facoltà di consolidare in sé tutta l’azienda, liquidando la quota di spettanza agli eredi che verrà calcolata sulla base del bilancio dell’esercizio precedente il decesso…”
Nell’anno 2006 i soci amministratori (60% del capitale ed escluso il socio poi deceduto) sottoscrivevano un preliminare di compravendita avente ad oggetto l’unico bene immobile in proprietà alla società per il prezzo di €. 1.095.000,00
Nell’anno 2008 i medesimi soci (ancora senza il socio poi deceduto) sottoscrivevano un nuovo preliminare di compravendita, sempre per atto pubblico, per mezzo del quale, dopo aver annullato il precedente atto, stipulavano un nuovo preliminare di compravendita con gli stessi soggetti del primo atto e sempre avente ad oggetto il bene immobile sopra citata per il prezzo di €. 900.000,00 detratti gli acconti versati in occasione del primo preliminare.
Nel bilancio dell’esercizio 2008 (sottoscritto dai soci) il bene immobile di cui si parla veniva iscritto al costo storico di €. 250.000,00
L’atto pubblico di compravendita veniva stipulato nel mese di marzo 2009 (prezzo di vendita €. 900.000,00 + iva)
Nel mese di dicembre 2009 (precisamente il 10.12.2009) uno dei soci muore.
Nel bilancio dell’esercizio 2009 non si trova più iscritto il bene immobile di cui sopra ma una plusvalenza per cessione di immobile di €. 751.000,00 circa.
I soci superstiti liquidano la quota del socio defunto versando agli eredi la complessiva somma di €. 21.194,04 - corrispondente alla quota di spettanza del de cuius e pari al 25% del capitale della società.
Tale liquidazione veniva effettuata senza calcolare il valore reale del bene immobile al 2008 e senza tener conto della plusvalenza dell’anno 2009 (utili dell’esercizio o operazioni in corso)
QUESITO: tale modus operandi dei soci superstiti è corretto?”
Consulenza legale i 26/02/2024
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma assumono la posizione di creditori della società ed hanno diritto ad ottenere da essa la liquidazione della quota posseduta dal de cuius.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., infatti, gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, la cui liquidazione viene fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.
Il termine per la liquidazione della quota è fissato in sei mesi dal decesso, salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo.
Secondo il convincimento prevalente, sorretto da giurisprudenza costante, dovrà essere redatto un bilancio ad hoc (una situazione patrimoniale straordinaria) mediante criteri tali da rivelare l’effettiva consistenza economica della quota al momento dello scioglimento del vincolo (Cass. civ., 10 luglio 1993, n. 7595).

Nel caso di specie, l’art. 11 dei patti sociali prevede che “nel caso di decesso di uno dei soci, i soci superstiti avranno la facoltà di consolidare in sé tutta l’azienda, liquidando la quota di spettanza agli eredi che verrà calcolata sulla base del bilancio dell’esercizio precedente il decesso […]. Nell’ipotesi che la società si consolidi nella persona dei soci superstiti, la liquidazione della quota in favore degli eredi dovrà essere effettuata entro due anni dal decesso in base alle risultanze dell’ultimo bilancio.

Ciò comporta che per calcolare il valore della quota del socio defunto, si dovrà fare riferimento alla situazione patrimoniale della società nell’anno 2008 (l’esercizio precedente al decesso).
La norma di cui all’art. 2289 del c.c., infatti, è derogabile dalle parti, le quali possono decidere di regolare la liquidazione della quota del socio deceduto in maniera differente.
La giurisprudenza, tuttavia, ha posto dei limiti alla facoltà delle parti di derogare detta disposizione per la necessità di dover sempre tener conto dello stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento (limiti posti prevalente in merito alla considerazione o meno dell’avviamento nella determinazione del valore della quota).

La mancata considerazione del valore di mercato dell’immobile e dell’operazione immobiliare in corso nella determinazione del valore della quota da liquidare agli eredi del socio defunto sarebbe stata certamente una questione che meritava approfondimento.
Sarebbe stato opportuno redigere un’apposita perizia di stima del valore di liquidazione della quota, sulla quale fondare una legittima contestazione della quantificazione fatta ed offerta dalla società.

Va considerato, tuttavia, un ultimo aspetto: l’art. 2949 del c.c. determina in 5 anni il termine di prescrizione dei diritti derivanti dai rapporti sociali.
Sul punto, la Suprema Corte ritiene che il diritto degli eredi del socio di una società di persone alla liquidazione della quota sociale, “ha natura analoga al diritto di credito che sarebbe spettato al socio stesso per l'ipotesi di recesso attuato prima della morte, sicché è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2949 del c.c., applicabile a tutti i diritti derivanti dal rapporto sociale, e non al più lungo termine, decennale, sancito dall'art. 2946 del c.c. (Cass. Civ., 31 luglio 2017, n. 18963)
Il termine di prescrizione del diritto a ricevere la liquidazione della quota inizia a decorrere da quando la prestazione dovuta al socio uscente diventa esigibile, cioè alla scadenza del termine concesso alla società per la liquidazione della quota (Cass. 13 gennaio 2022, n. 1200).

Nel caso in esame, detto termine è fissato dall’art. 11 dei patti sociali in due anni dal decesso, pertanto con scadenza 10.12.2011; ciò comporta che il diritto alla liquidazione dell’eventuale maggior valore della quota, salvo eventuali atti interruttivi, si è prescritto in data 10.12.2016.

G. A. chiede
lunedì 10/10/2022 - Calabria
“Spett. Studio Bracardi
i quesiti che ho da porgervi è inerente Articolo 2284 del Codice Civile - Morte del socio.

Premessa

Il padre della mia compagna è morto circa un anno fa. Ha lasciato una moglie e cinque figli. Era detentore di un congruo patrimonio personale, ed era socio, insieme a due dei suoi cinque figli, di una società in nome collettivo nel settore immobiliare. Nello specifico, la suddivisione in quote societarie era la seguente: De cuius. 40% (socio amministratore in via disgiunta), figlio 1, 30% (socio amministratore in via disgiunta), figlio 2 (socio) 30%. All’interno del documento dei patti sociali vi è un articolo che riporta testualmente: “E’ in facoltà dei soci superstiti di liquidare la quota del defunto ai suoi eredi, sulla base delle risultanze degli ultimi atti contabili approvati. Il pagamento dovrà avvenire entro un anno dal decesso con decorrenza degli interessi legali annui sulla somma dovuta.”

Chiedo:

1) L’art. 2284 del c.c. prevede: “Salvo quanto è disposto nell'articolo 2270(3), il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto”. Stante questo, quale dei termini temporali previsti per la liquidazione quota prevale? Quello semestrale, previsto dalla legge, oppure quello annuale, previsto dai patti sociali? Entro quanto tempo deve la mia compagna far valere il suo diritto a vedersi liquidare la quota, prima che questo si prescriva?

2) E’ possibile avviare un procedimento individuale per ottenere la liquidazione della quota spettante a mia moglie, senza doverlo effettuare nel contesto di un procedimento per l’ottenimento della divisione dell’intero asse ereditario? Ovvero, lasciando in sospeso la questione della divisione relativa ai beni personali del de cuius è possibile avviare un procedimento giudiziario per la sola liquidazione? In caso affermativo qual’è la procedura che deve essere adottata e chi deve essere chiamato a rispondere della la procedura di liquidazione? Potreste fornirmi eventuali riferimenti normativi?

3) Quali sono gli strumenti legislativi a disposizione della mia compagna per evitare che la s.n.c. venga nel frattempo liquidata dai soci rimanenti, senza che questi le conferiscano quanto dovuto, e trasferiscano i loro averi a terze persone di modo da risultare nullatenenti? E’ possibile una qualche azione preventiva, qualora ci siano i presupposti, per “congelare” i beni societari?


Grazie per il vostro parere.”
Consulenza legale i 17/10/2022
L’art. art. 2284 del c.c. dispone che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di morte di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.

L’art. 2289 del c.c. riconosce agli eredi il diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, la quale deve essere liquidata entro sei mesi dal giorno del decesso.
La norma di cui all’art. 2289 del c.c., tuttavia, è derogabile dalle parti, pertanto i soci, nell’atto costitutivo o nello statuto, possono decidere di regolare la liquidazione della quota del socio in caso di recesso, morte o esclusione differentemente da quanto previsto nel codice civile.
Di conseguenza, il termine da tenere in considerazione nel caso di specie ai fini della liquidazione della quota del socio defunto è quello annuale previsto dall’atto costitutivo.

Dal momento della morte del socio gli eredi del defunto diventano creditori della società per il valore della quota che questi possedeva, da calcolarsi in base alla situazione patrimoniale di questa nel giorno del decesso.
Gli eredi possono agire soltanto nei confronti della società (e non dei soci) per il soddisfacimento del proprio credito, in quanto essa è l’unica debitrice per il rimborso del valore della quota agli eredi del socio defunto (Cass. Civ., SS.UU., 26 aprile 2000, n. 291).
Nell’eventualità in cui non si dovesse raggiungere l’accordo sul valore della quota da liquidare, non ci sono preclusioni o termini per contestare l’ammontare della somma di denaro proposta dalla società, salvo quello quinquennale di prescrizione del diritto alla liquidazione (come disposto dall’art. 2949 del c.c.), decorrente dalla scadenza del termine per la liquidazione, che nel caso di specie è pari ad un anno dal decesso.

Venendo al secondo quesito, per ottenere una pronuncia giudiziale in merito alla liquidazione della quota, che si rende necessaria nel caso di inerzia o rifiuto della società, sarà necessario agire in giudizio innanzi al Tribunale, al fine di quantificare il valore della quota ed ottenere la condanna della società al pagamento.
Il soggetto debitore per la liquidazione della quota è la società, come affermato da costante ed unitaria giurisprudenza (Cassazione civile, Sez. I, 19 maggio 2016, n. 10332; Cassazione civile, Sez. I, 5 maggio 2004, n. 8531; Cass. Civ., SS.UU., 26 aprile 2000, n. 291).

Si tenga in considerazione, tuttavia, che anche i soci superstiti sono eredi del defunto, pertanto la quota di quest’ultimo andrà suddivisa pro quota tra tutti gli eredi.

In merito alla possibilità di agire esclusivamente per la questione della liquidazione della quota societaria, si deve premettere che, in via di principio, l’asse ereditario deve essere diviso interamente tra tutti i coeredi.
Si tratta del cosiddetto principio della universalità della divisione, il quale trova la sua ragione nell’esigenza di garantire a tutti gli eredi porzioni tra loro omogenee e proporzionali ai valori delle rispettive quote di partecipazione.
È, tuttavia, ammissibile la divisione parziale, pur se soltanto a determinate condizioni.
La Suprema Corte, infatti, ha precisato che “Il principio non è assoluto e inderogabile. È possibile la divisione parziale sia quando, al riguardo, intervenga un accordo fra le parti, sia quando, essendo stata chiesta una tale divisione da una delle parti, le altre non amplino la domanda, chiedendo, a loro volta, la divisione dell’intero asse (Cass. n. 4479/1982; n. 573/2011; n. 6931/2016). Quando non vi sia stato accordo tra i condividenti per limitare le operazioni divisionali ad una parte soltanto del compendio comune, il giudizio di divisione deve ritenersi instaurato per giungere al completo scioglimento della comunione, previa esatta, individuazione di tutto ciò che ne costituisca oggetto (Cass. n. 796/1964).” (Cass. Civ., 14 gennaio 2022, n. 1065; nello stesso senso: Cass. Civ., 10 aprile 2012, n. 5694; Cass. Civ., 573/2011; Cass. Civ., 10220/1994; Cass. Civ., 905/1980).

Il singolo erede potrà agire anche singolarmente per la quantificazione del valore della quota societaria del defunto e per la liquidazione di quanto di propria spettanza, ottenendo la divisione ereditaria limitatamente alla quota societaria; tuttavia, se una delle parti in giudizio decida di ampliare la domanda, si instaurerà il procedimento di divisione dell’intero asse ereditario.

Per quanto riguarda il terzo quesito, si ribadisce che il soggetto debitore in merito alla liquidazione della quota è la società, pertanto sarà questa, e non i singoli soci, a dover essere capiente.
Vieppiù, ai sensi dell’art. 2312 del c.c., qualora intervenga l’estinzione della società, il creditore insoddisfatto potrà rivalersi nei confronti dei soci.
Non appare possibile, allo stato, intraprendere procedure cautelari sui beni societari, né su quelli dei singoli soci.
Va considerato, tuttavia, che i crediti vantati nei confronti della società, che ricadono sui soci illimitatamente responsabili, potranno, in linea di principio, essere compensati in sede di divisione ereditaria, ottenendo una quota maggiore dell'asse ereditario a discapito dei coeredi debitori.

N. S. chiede
venerdì 24/06/2022 - Sicilia
“Gentilissimi Avvocati,
a seguito di un mio recesso da una snc mi è stato intentato un giudizio tutt'ora in corso, io ho chiesto in via riconvenzionale che mi fosse riconosciuta la mia quota di liquidazione.

Evito di enunciare le domande di controparte poichè ad oggi il giudice non le sta valorizzando.

Il punto è che il CTU ha calcolato la mia quota di liquidazione e purtroppo il valore risulta essere negativo di euro 230.000

La domanda è:
il socio receduto è tenuto al pagamento di una quota di liquidazione negativa? ovvero la snc è creditrice verso il socio receduto e può azionare quindi tale credito?

Vi chiedo inoltre di enunciarmi sentenze di cassazione che riguardino il caso di quota negativa.

Da una mia ricerca personale, ho constatato che il codice civile non tratta questa eventualità ed ho letto una Vostra risposta ad un utente del sito che aveva il mio stesso problema nella quale sostenevate che il socio receduto non debba rifondere la propria quota negativa.

Grazie,
cordiali saluti”
Consulenza legale i 30/06/2022
Il recesso di un socio da una società in nome collettivo è disciplinato dall’art. 2289 del c.c., per via del rinvio che l’art. 2293 del c.c. fa alle norme che regolano la società semplice.
La norma di cui all’art. 2289 del c.c. dispone che il socio uscente ha diritto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, calcolata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento; se vi sono operazioni in corso, il socio partecipa agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Il codice non disciplina esplicitamente l’ipotesi in cui, a causa delle perdite, il valore della quota risulti essere negativo.
In detta eventualità, tuttavia, il debito liquidatorio deve essere trattato alla stregua di qualsiasi altro debito sociale e perciò soddisfatto mediante l’utilizzo dell’attivo patrimoniale netto (utili e riserve esistenti nel patrimonio sociale eccedenti il capitale sociale nominale).
In caso di incapienza del patrimonio sociale e di quantificazione negativa del valore della quota (per la quale si considera anche l’avviamento, Cassazione civile, Sez. VI, del 8 ottobre 2018, ordinanza n. 24769), il socio uscente non potrà ottenere alcuna liquidazione dalla società; al contempo, si ritiene che la società non possa chiedere a questi di effettuare versamenti per reintegrare proporzionalmente le perdite accertate.

Il socio uscente, infatti, rimane comunque responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali sino al giorno in cui si verifica lo scioglimento del suo rapporto con la società, così come disposto dall’art. 2290 del c.c..
Ciò è vero, altresì, per le perdite non in atto al momento dello scioglimento del rapporto sociale, poiché debbono considerarsi conseguenza necessaria ed inevitabile di rapporti giuridici preesistenti, anche se la definizione di questi ultimi sia intervenuta a seguito di un giudizio instaurato solo successivamente all'uscita del socio (Cass. Civ., 9 dicembre 1982, n. 6709); parimenti dicasi in relazione alle perdite derivanti da sopravvenienze passive che trovino la loro fonte in situazioni già esistenti alla data del recesso (Cass. Civ., Sez. 6 - 1, Ordinanza del 22 aprile 2016, n. 8233).

Tanto premesso, nell’eventualità in cui il valore della quota risulti essere negativo, come nel caso di specie, in qualità di socio uscente da una società di persone, Lei sarà responsabile verso i terzi per le obbligazioni sociali almeno sino al giorno in cui si verifica lo scioglimento del suo rapporto con la società, o al più tardi fino al momento in cui le operazioni iniziate prima della sua uscita dalla compagine sociale siano portate a termine.
Ciò, tuttavia, non comporta che Lei debba versare alla società il valore negativo della quota così come calcolata, poiché, trattandosi di società di persone, la sua responsabilità nei confronti dei creditori sociali per le perdite verificatesi anteriormente allo scioglimento del rapporto sociale permane anche successivamente al perfezionamento del recesso.

J. F. C. chiede
venerdì 29/04/2022 - Campania
“Un socio di una sas che invia una raccomandata di recesso nel 2016, si rende pubblica la volontà nel 2020 e si provvede a dare incarico a un perito per la perizia di stima del patrimonio netto spettante al socio. Viene messa a disposizione la somma spettante e inviata copia della perizia con ultimo bilancio(2016). Ad oggi il valore viene contestato. Come ex socio che documenti contabili si possono fornire per contestare la perizia di stima? Che diritti ha in merito alla contabilità aziendale visto che non è più socio?”
Consulenza legale i 06/05/2022
Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, come nelle ipotesi di recesso, questi ha diritto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, la cui liquidazione viene eseguita in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento.

Nella pratica, le parti fanno redigere da un professionista adeguato (un commercialista) una perizia di stima della società che ne fotografi la situazione al giorno in cui si verifica lo scioglimento e ne definisca il valore.
Nell’eventualità in cui l’ex socio contesti la valutazione effettuata, come nel caso di specie, al fine di dimostrare la propria maggior pretesa potrà far redigere un’ulteriore perizia di stima da un professionista di propria fiducia.
Sulla base di tale nuova valutazione, potrà intavolare una trattativa con la società per tentare di ottenere una somma di denaro più elevata per la liquidazione della propria quota.
Nell'eventualità in cui non dovesse raggiungersi un accordo in tal senso, si dovrà instaurare un contezioso apposito presso il Tribunale competente, ovvero un giudizio arbitrale nell'eventualità in cui nell'atto costitutivo fosse presente una clausola compromissoria che devolve ad essi la competenza per determinate controversie.

Non esistono documenti contabili ulteriori rispetto a quelli della società per contestare la perizia di stima inizialmente redatta, ma si potrà soltanto affidarsi ad un professionista che ne rediga una ulteriore.
A tal fine, la società dovrà mettere a disposizione dell’ex socio, nonché al professionista da questi incaricato, tutta la documentazione contabile della società da essi richiesta e di cui necessita, risalente fino alla data di scioglimento del rapporto, oltre a quella successiva se riferita alle operazioni in corso a tale data; si rammenti, infatti, che se vi sono operazioni in corso, il socio uscente partecipa agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime, come disposto dall’art. 2289 del c.c., comma 3.
L’ex socio, pertanto, ha diritto di accesso a tutti i documenti della società, riferibili al periodo temporale di permanenza all’interno di essa.

A.P. chiede
mercoledì 10/11/2021 - Marche
“Il quesito riguarda il recesso di un socio da una società semplice in tema di liquidazione della quota, nell'ipotesi in cui la situazione patrimoniale della società, alla data del recesso, presenti perdite per effetto delle quali il capitale netto risulti essere negativo, con esubero, quindi, delle passività rispetto alle attività.
Ci si chiede se il socio receduto debba o meno rifondere alla società la quota parte delle perdite, commisurata alla partecipazione sociale, ovvero se il permanere della responsabilità del socio uscito per le obbligazioni sociali assunte sino al giorno dello scioglimento del rapporto, escluderebbe che, allorché la società sia in deficit patrimoniale, quest'ultima possa pretendere, seguito del predetto scioglimento, la quota parte di perdite in ipotesi attribuibile al socio.
Per l'esclusione sembrerebbe deporre cassazione 2017/23.
Ringrazio e porgo i migliori saluti.”
Consulenza legale i 17/11/2021
Il recesso di un socio da una società semplice è disciplinato dall’art. 2289 c.c., il quale prescrive che questi ha diritto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota, calcolata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento; se vi sono operazioni in corso, il socio partecipa agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.
Si rammenti, tuttavia, che ai fini della valutazione della quota si deve tenere conto altresì dell’avviamento.
Sul punto si veda, ex multis, una recente ordinanza della Suprema Corta, la quale statuisce che: “In tema di valutazione della quota sociale ex art. 2289 c.c., occorre tener conto anche del valore dell'avviamento e, secondo una stima di ragionevole prudenza, della futura redditività dell'azienda, considerato che la norma, facendo riferimento allo scioglimento del rapporto nei confronti di un solo socio, presuppone la continuazione dell'attività sociale che non può riferirsi solo ad un compendio statico e disaggregato di beni, ma deve essere valutata anche avuto riguardo alla sua fisiologica e naturale propensione verso il futuro.” (Cassazione civile, Sez. VI, del 8 ottobre 2018, ordinanza n. 24769).

In ogni caso, la norma, pur accennando, con riferimento alle operazioni in corso, alla evenienza di perdite, nulla prevede sulla possibilità che a causa di perdite il valore della quota risulti essere negativo.
A riguardo, si rileva che il debito liquidatorio debba essere trattato alla stregua di qualsiasi altro debito sociale e perciò soddisfatto mediante l’utilizzo dell’attivo patrimoniale netto (utili e riserve esistenti nel patrimonio sociale eccedenti il capitale sociale nominale).
Ne discende che, in caso di incapienza del patrimonio sociale, il socio uscente non possa ottenere alcuna liquidazione dalla società; al contempo, si ritiene che la società non possa chiedere a questi di effettuare versamenti per reintegrare proporzionalmente le perdite accertate.

Tanto premesso, nell’eventualità in cui il valore della quota risulti essere negativo, il socio sarà debitore nei confronti della società, almeno fino al momento in cui opera lo scioglimento del rapporto o al più tardi fino al momento in cui le operazioni iniziate prima della sua uscita dalla compagine sociale siano portate a termine.
Ciò, tuttavia, non comporta che il socio debba rifondere la propria quota delle perdite, poiché, come correttamente rilevato nel quesito, la sua responsabilità nei confronti dei creditori sociali per perdite verificatesi anteriormente allo scioglimento del proprio rapporto permane anche successivamente al perfezionamento del recesso, trattandosi di società semplice.

Giovanni F. chiede
martedì 11/05/2021 - Veneto
“Buongiorno,
una società in nome collettivo formata da quattro soci in cui la partecipazione agli utili e alle perdite non è proporzionale, in particolare:
1) ripartizione capitale conferito:
socio A, quota 1% in piena proprietà;
socio B, quota 1% in piena proprietà;
socio C, quota 25% piena proprietà e quota 24% in nuda proprietà, usufrutto 1/2 (12%) al socio A e usufrutto 1/2 (12%) al socio B;
socio D, quota 25% piena proprietà e quota 24% in nuda proprietà, usufrutto 1/2 (12%) al socio A e usufrutto 1/2 (12%) al socio B.
2) partecipazione utili/perdite:
25% per ciascun socio.

In seguito al decesso dei soci A e B (per semplicità ipotezziamo che avvenga contestualmente), si chiede come dovrà essere ripartita la quota spettante agli eredi alla data del decesso, posto che (sempre per semplicità):
Attivo patrimoniale valutato a valori correnti: € 100;
Capitale sociale: € 20;
Fondo di riserva di utili: € 80;
Avviamento: € 20.
Valore complessivo della società: € 120.
Si procederà a liquidare:
ipotesi 1) il 2% di € 120 (in base all'assunto che i soci hanno rinunciato in parte alla distribuzione degli utili);
ipotesi 2) il 2% del capitale conferito di € 20 e il 50% del Fondo di riserva di utili di € 80 e dell'avviamento pari a € 20;
ipotesi 3) il 2% del capitale conferito di € 20 e dell'avviamento pari a € 20 e il 50% del Fondo di riserva di utili.
Grazie, cordiali saluti.”
Consulenza legale i 14/05/2021
Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., comma 1, quando il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota.
Il comma 2 dello stesso articolo 2289 del c.c. stabilisce che la liquidazione della quota deve essere fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, redigendo, ed è convincimento prevalente sorretto da giurisprudenza costante, un bilancio ad hoc, redatto con criteri tali da rivelare l’effettiva consistenza economica della quota al momento dello scioglimento del vincolo (Cass. civ., 10 luglio 1993, n. 7595).
Il terzo comma precisa che se al momento dello scioglimento del rapporto vi sono operazioni in corso, il socio partecipa agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

La società provvede alla liquidazione effettuando i relativi prelevamenti dal patrimonio sociale; di conseguenza, i soci devono deliberare una riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alla quota di capitale del socio uscente, a meno che la società non possa provvedere utilizzando le riserve esistenti.

Nel momento dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, per poter procedere alla liquidazione della quota del medesimo si rende necessaria la formazione di una situazione patrimoniale straordinaria (bilancio straordinario) da redigersi secondo criteri idonei a quantificare la reale ed effettiva consistenza economica del patrimonio sociale ed, in proporzione, il reale ed effettivo valore della quota al momento della cessazione del vincolo sociale da cui emerga il valore effettivo dei beni sociali e di tutte le utilità economicamente valutabili. Tutti i valori, attivi e passivi, suscettibili di valutazione devono essere attualizzati alla data in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto sociale, non considerati in base al loro valore a bilancio.
Secondo il costante orientamento di dottrina e giurisprudenza, infatti, la locuzione “situazione patrimoniale della società”, di cui al comma 2 del citato articolo 2289 del c.c., impone di procedere ad una valutazione ad hoc riferita al momento di uscita del socio e diretta a stabilire il valore reale attuale della quota, non di predisporre una situazione patrimoniale conforme ai criteri (prudenziali) stabiliti in materia di bilancio.
Tra gli elementi che concorrono nella quantificazione del valore della quota devono, pertanto, essere compresi i plusvalori latenti nei singoli beni, il valore di eventuali licenze di esercizio, nonché il valore di avviamento.

Si deve porre in essere un’ulteriore premessa di ordine generale relativamente all’usufrutto.
Ai sensi dell’art. 979 del c.c., la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario; ciò significa che con la morte di questi cessa automaticamente anche l’usufrutto, che, pertanto, non è trasmissibile in via ereditaria.
In tale eventualità, il nudo proprietario torna ad acquisire i pieni poteri sul bene, ripristinandosi su di esso la piena proprietà.

Nel circostanza di cui al quesito proposto, si suppone che il valore della società sia stato attribuito in base ad una perizia, correttamente redatta sulla scorta delle prassi e dei criteri legali all’uopo stabiliti e che abbia tenuto in considerazione lo stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento, pertanto già considerando tra le sue poste il capitale sociale, l’avviamento e tutti gli eventuali fondi di riserva (o perlomeno così dovrebbe essere).
Di conseguenza, tenendo a mente la non trasmissibilità in via ereditaria dell’usufrutto sulla quota societaria, la soluzione più corretta per la liquidazione è l’ipotesi numero 1, che prevede il pagamento di una somma di denaro corrispondente complessivamente al 2% del valore della società, proprio in quanto nella quantificazione di tale valore dovrebbe essere insita la valutazione di tutte le poste (compresi capitale sociale, avviamento, riserve).

Altra questione sarebbe se gli utili fossero stati semplicemente accantonati in attesa di distribuzione (quindi non a vero e proprio fondo riserva, come di uso nelle s.r.l.).
Va specificato che nelle società di persone gli utili sono tassati secondo il principio della trasparenza, pertanto scontano la tassazione IRPEF direttamente in capo ai soci, indipendentemente dalla percezione, ossia a prescindere dalla effettiva distribuzione ai soci di somme a titolo di dividendo.
In tale eventualità ogni socio avrebbe già maturato un diritto di credito nei confronti della società relativo agli utili maturati (già tassati e non distribuiti); diritto trasmissibile in via ereditaria.
Agli eredi dei soci A e B, di conseguenza, andrebbe attribuito, oltre ad una somma di denaro corrispondente al valore della quota societaria (l’1% per ciascun socio deceduto), anche la quota di utili maturati dagli ex soci deceduti, quindi nella misura del 25% ciascuno.

Ci viene riferito, tuttavia, che i soci, nel corso del tempo, conformemente al disposto di cui all’art. 2262 del c.c., abbiano rinunciato a tale diritto alla distribuzione degli utili in favore della società, di fatto liberandola dall’obbligazione alla corresponsione degli utili maturati e dismettendo, così, il proprio diritto alla loro percezione, che non potrà, pertanto, essere trasmesso agli eredi.
Anche in tale circostanza la soluzione più corretta per la liquidazione della quota appare quella di cui al numero 1, che prevede il pagamento agli eredi di A e B di una somma di denaro corrispondente complessivamente al 2% del valore della società.

Riccardo P. chiede
venerdì 30/04/2021 - Liguria
“Buonasera,
questo il quesito.
Un socio è receduto da una s.a.s. con lettera ricevuta dalla società in data 30/11/2021.
In data 22/12/2020 la società ha modificato i patti sociali dando atto del recesso del socio (accettato dagli altri soci) dichiarando di voler proseguire nell'attività sociale e di ridurre il capitale sociale.
Tale atto notarile è stato comunicato pochi giorni dopo al socio receduto unitamente ad un "bilancino" che rappresenterebbe la situazione patrimoniale della società al 30/11/2020 (data del recesso).
La valutazione inserita in detto allegato non risulta congrua in quanto decisamente sottodimensionata rispetto al reale valore di mercato della società (la quale ha cespiti immobiliari di rilevante valore).
La società dovrebbe procedere alla liquidazione della quota del socio receduto a breve in quanto scadranno i 6 mesi.
Dovrei procedere con la contestazione del valore che i soci attribuiscono alla società. A tal fine devo necessariamente attendere il decorso dei 6 mesi ? Vi sono preclusioni o termini?
Posso aspettare la liquidazione della quota secondo i parametri indicati dalla società e trattenere l'importo a titolo di acconto per poi procedere all'accertamento del reale valore di mercato della società?
Preciso, inoltre, che lo statuto prevede una clausola arbitrale per qualunque controversia dovesse insorgere tra i soci.”
Consulenza legale i 07/05/2021
Ai sensi dell'art. art. 2289 del c.c., comma 1, lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio da diritto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della propria quota quota.
La liquidazione della quota del socio uscente deve essere fatta entro 6 mesi dal momento in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, così come prescritto dall’art. 2289, comma IV, del c.c.; il valore della quota va calcolato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, come stabilito dal comma II della medesima norma.

Dalle informazioni che ci ha fornito, pare che il recesso sia avvenuto per giusta causa, pertanto con effetto immediato, posto anche il riconoscimento della residua compagine sociale contestuale all’atto notarile di modifica dei patti sociali e di riduzione del capitale; ciò è confermato, altresì, dal fatto che sia stato redatta la situazione patrimoniale al 30.11.2020. In altre circostanze l’efficacia del recesso potrebbe decorrere dalla data dell’accettazione (es: società a tempo determinato).
La liquidazione della quota, pertanto, dovrà avvenire entro il 31.05.2021, data in cui saranno decorsi i 6 mesi prescritti dalla norma.

L’obbligo della liquidazione della quota agli ex soci ricade in capo alla società; tuttavia se non vi fa fronte la società, i soci illimitatamente responsabili sono tenuti a corrispondere la somma in via sussidiaria, come per ogni altra obbligazione sociale.

Per determinare il valore di liquidazione occorre tener conto dell'effettiva consistenza del patrimonio sociale al momento in cui opera lo scioglimento, pertanto della effettiva consistenza economica dell'azienda sociale, comprendendovi anche il fattore di redditività della azienda stessa, quindi, tra gli elementi che concorrono alla determinazione della quota di liquidazione deve essere calcolato il valore di avviamento dell'azienda (Cassazione Civ., Sez. I, 18 marzo 2015, n. 5449; si veda sul punto altresì: Cass. Civ., n. 9392/1999; Cass. Civ., n. 8470/1995; Cass. Civ., n. 4210/1992; Cass. Civ., n. 7595/1993). Deve, inoltre, tenere in considerazione le operazioni in corso, pertanto il socio che ha optato per il recesso continuerà a partecipare agli utili ed alle perdite relative alle operazioni medesime.

La contestazione del valore della quota come attribuito dalla società dovrà essere circostanziata, pertanto sarà opportuno far redigere una perizia di un commercialista che ne dimostri il diverso e maggior valore, che tenga conto altresì dei cespiti immobiliari.

Non ci sono preclusioni o termini per contestare l’ammontare della somma di denaro proposta dalla società per la liquidazione della propria quota, salvo il termine quinquennale di prescrizione del diritto alla liquidazione, decorrente dalla scadenza del termine semestrale per la liquidazione.

Quanto al momento migliore per effettuare la contestazione, non vi è una regola precisa.
Nulla vieta di attendere l’offerta di liquidazione operata dalla società, per poi comunicare di trattenere l’importo versato a titolo di acconto sulla maggiore somma a cui si ritiene di aver diritto.
Per procedere su questa via è di assoluta importanza evitare in ogni modo di accettare o acconsentire alla quantificazione del valore della quota così come operato dalla società, anche mediante comportamenti che possano essere considerati in tal senso concludenti (facta concludentia) in un successivo eventuale procedimento di accertamento e quantificazione del valore della quota.

Considerata la disponibilità che la società sembra mostrare nel liquidare la quota (anche se in base alla propria quantificazione), nonché soprattutto la consistenza del patrimonio sociale (eventualmente aggredibile in caso di rifiuto della società alla liquidazione), riteniamo di consigliare di affidarsi fin da subito ad un commercialista che rediga una perizia che valuti la situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento.
La perizia Le permetterà, peraltro, di avere contezza della differenza tra il valore attribuito alla Sua quota dalla società e il valore che ritiene di poter pretendere, così consentendoLe di valutare la necessità stessa di una contestazione rispetto all'offerta avanzata.

Sulla scorta di tale elaborato peritale, e sempre che se ne deduca l'opportunità, si consiglia di procedere fin da subito a contestare la quantificazione del valore della quota operata dalla società e comunicata con il “bilancino” a cui fa riferimento, quantificando la Sua maggior pretesa.

È pur vero che ciò comporterà l’apertura di una controversia, che condurrà la società, con tutta probabilità, a trattenere le somme destinate a liquidare la Sua quota, rifiutandosi di procedere ad una liquidazione a titolo di acconto.
Nell'eventualità in cui la trattativa stragiudiziale che potrebbe seguirne non dovesse condurre ad un accordo, dovrà attivare il procedimento arbitrale, come previsto dallo statuto.


Sergio C. chiede
lunedì 11/01/2021 - Piemonte
“Società Semplice agricola composta da due soci, tra cui il sottoscritto.
Stante continui dissapori con l'altro socio, in data 30.03.2020 trasmetto dichiarazione di recesso dalla società semplice agricola, chiedendo la liquidazione della mia quota.
Faccio presente che al momento della costituzione entrambi i soci conferirono beni mobili ( tra cui trattori ), ancora intestati ai singoli soci, nonché due terreni adiacenti ( sempre di proprietà di entrambi i soci e mai volturati ), sulla cui interezza è stato costruito un capannone / deposito attrezzi.
Da ricerche effettuate, ho constatato che l'art. 2272 codice civile prevede che " quando viene a mancare la pluralità dei soci, se nel termine di sei mesi non è ricostituita ...." la società si scioglie, con relativa messa in liquidazione.
A questo punto chiedo quanto segue:
1) posso ritornare in possesso dei beni conferiti alla società semplice e non volturati?
2) come posso ottenere la liquidazione della quota?
3) posso chiedere lo scioglimento della società nonostante il recesso? Se sì, qual'è la procedura corretta?
4) l'altro socio potrebbe integrare la pluralità dei soci nonostante i decorso dei sei mesi previsti dall'art. 2272 cod. civ.?

In attesa di un Vs/ cortese riscontro, invio distinti saluti.

Sergio C.”
Consulenza legale i 25/01/2021
Ai sensi dell’art. 2285 del c.c., un socio può recedere da una società di persone nei casi previsti dal contratto sociale, per giusta causa, nonché in ogni caso se la società è a tempo indeterminato; in tale ultimo caso il recesso va comunicato agli altri soci con preavviso di almeno 3 mesi.
Per valutare se sussiste giusta causa di recesso (eventualità nella quale non è previsto il termine di preavviso di 3 mesi) si dovrebbero conoscere dettagliatamente le circostanze che vi hanno condotto; in caso contrario, il recesso ha effetto decorsi 3 mesi dalla ricezione da parte dell’altro socio della relativa dichiarazione. L’eventuale accertamento della giusta causa di recesso, se necessario, è demandato ad una valutazione giudiziale.
Dalla data come sopra individuata decorre il termine di 6 mesi per la ricostituzione della pluralità dei soci; in caso contrario, come disposto dall’art. 2272 cc, la società si scioglie di diritto.

Tanto premesso, si risponde ai quesiti punto per punto, così come proposti.

1 - 2) Ai sensi dell’art. 2289, comma 1, del c.c., al socio recedente spetta una somma di danaro che rappresenti il valore della quota. Il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.
Dalla norma si ricava il principio per cui al socio uscente spetta esclusivamente una somma di denaro, non la restituzione in natura dei beni conferiti; ciò in quanto l'interesse dell'impresa prevale su quello dei singoli, impedendo al socio di sottrarre i beni conferiti alla loro destinazione produttiva e consentendo alla società di mantenere il proprio patrimonio per continuare a svolgere l’attività. I beni conferiti potranno essere restituiti solo successivamente (ad esempio in un momento successivo convenzionalmente stabilito, in una data fissata dal contratto sociale o allo scioglimento della società, come prevede l’art. 2281 del c.c.).
Ciò vale anche per i beni conferiti in godimento.

Sul punto si segnala una sentenza della Suprema Corte, la quale, in merito alla liquidazione della quota sociale e alla determinazione del suo valore in relazione a beni conferiti in godimento, così statuisce: "In ipotesi di uscita del socio da una società di persone la conseguente definizione dei rapporti fra socio e società, che va effettuata attraverso la liquidazione della quota del socio uscente, deve essere effettuata tenendo presenti i criteri stabiliti in relazione alla divisione del patrimonio sociale, con la conseguenza che ove oggetto del conferimento non sia stata la proprietà della cosa conferita, ma solo il godimento della stessa, oggetto della liquidazione - cui ha diritto il socio uscente - non può essere una somma di denaro pari al valore della proprietà del bene - mai entrata nel patrimonio della società - ma una somma che corrisponda all'utilità che la società ricava dall'essere titolare di un diritto di godimento." (Cass. Civile, Sez. I, 17 novembre 1984, n. 5853).

Se ne ricava, pertanto, che nel caso di un bene conferito in godimento la liquidazione non ha ad oggetto una quota che corrisponde al valore della proprietà di quel bene, poiché la proprietà non è mai stata conferita alla società. Ciò che è stato conferito è il godimento del bene, da cui discende il diritto ad una somma che corrisponde all'utilità che quel godimento consente alla società, così presumendo che il bene ad essa rimanga in godimento.
È fatta salva una diversa pattuizione tra i soci prevista in sede di contratto sociale o assunta con regolamentazione successiva.
Tali indicazioni sono applicabili al caso concreto esposto, pertanto non sarà possibile rientrare immediatamente in possesso dei beni conferiti, anche se non volturati.

Per quanto riguarda la liquidazione della quota, la stessa è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, come previsto dall’art. 2289, comma 2, del c.c.: si tratta di un c.d bilancio straordinario.
A tal proposito la Suprema Corte precisa che nella determinazione della suddetta quota occorre tener conto della “effettiva consistenza economica dell’azienda sociale all’epoca dello scioglimento del rapporto, comprendendovi anche il fattore di redditività dell’azienda stessa” (Cass. Civile, Sez. I, 10 luglio 1993, n.7595); includendo, pertanto, anche il valore dell’avviamento (positivo o negativo).

Ai sensi dell’art. 2289, comma 4, del c.c., il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro sei mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto.
In caso di disaccordo sul valore della quota, sarà necessario ricorrere al Tribunale, intentando un apposito procedimento.

3 - 4) Una volta decorso il termine semestrale previsto nell'art. 2272, n. 4, del c.c., il socio rimasto, preso atto del verificarsi della causa di scioglimento, si trova di fronte alle seguenti alternative: procedere alla cancellazione della società dal registro delle imprese, contestualmente alla registrazione dello scioglimento, previa liquidazione dei creditori e, laddove dalla liquidazione residui il complesso aziendale, proseguire nell'attività come imprenditore individuale; qualora il socio intenda proseguire l'attività d'impresa conservando la continuità dei rapporti giuridici facenti capo alla società rimasta unipersonale, procedere alla trasformazione in un altro tipo di ente per il quale è ammessa la partecipazione di un solo soggetto.
In ogni caso, avvenuto lo scioglimento, i soci amministratori possono continuare ad amministrare la società solo limitatamente agli affari urgenti, comunque fino a quando siano stati presi i provvedimenti necessari alla liquidazione, come stabilito dall’art. 2274 del c.c..

Spesso, tuttavia, decorso il termine di sei mesi, e nonostante l'avvenuto scioglimento, il socio continua di fatto ad amministrare la società, senza compiere alcun atto di liquidazione e senza provvedere alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.
Il verificarsi della causa di scioglimento, infatti, non determina l'estinzione della società, in quanto quest'ultima si verifica soltanto in seguito alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese; di conseguenza, l'unico socio di una società di persone, una volta decorso il termine di sei mesi richiesto per la ricostituzione della pluralità dei soci, potrebbe validamente continuare a svolgere l'attività sociale.
Fintantoché la società non viene cancellata dal registro delle imprese, infatti, essa esiste e può operare, nonostante si sia verificata una causa di scioglimento, e, pertanto, è possibile rimuovere tale causa sia attraverso ricostituendo tardivamente la pluralità dei soci l'ingresso di nuovi soggetti nella compagine sociale, sia mediante la trasformazione in società unipersonale.

Gli amministratori della società sono tenuti alla comunicazione dell’avvenuto recesso al Registro delle Imprese della Camera di Commercio; nel caso di specie è tenuto l’unico socio rimasto.
Tale comunicazione è fondamentale per il socio che ha effettuato il recesso, poiché, ai sensi dell’art. 2290 del c.c., oltreché dei debiti che la società ha contratto precedentemente al recesso, egli risponderà anche delle obbligazioni sociali, contratte successivamente alla data di efficacia del recesso, fino a quando questo non verrà portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, cioè mediante l’iscrizione stessa del recesso nel Registro delle Imprese.

Nella pratica, tuttavia, raramente la società comunica l’avvenuto recesso del socio, pertanto è ammissibile che l’evento del recesso sia comunicato al Registro Imprese da parte dello stesso socio receduto (e non dalla società).
Si consiglia, pertanto, di provvedere autonomamente alla comunicazione al registro delle imprese, inviando la comunicazione di recesso, con prova di consegna (ricevuta della raccomandata o PEC) della medesima al socio.
Con tale comunicazione potrà attivarsi il procedimento di cancellazione d’ufficio della società dal Registro delle Imprese, previsto dall’art. 3 d.p.r. 23 luglio 2004, n. 247 (regolamento di semplificazione del procedimento relativo alla cancellazione di imprese e società non più operative dal registro delle imprese), il quale stabilisce che il procedimento per la cancellazione della società semplice, della società in nome collettivo e della società in accomandita semplice è avviato quando l'Ufficio del Registro delle imprese rileva la mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine dei sei mesi.

La cancellazione della società avrà anche l’effetto di permettere al socio uscente di pretendere i beni conferiti in godimento, poiché verrà meno l’interesse dell’impresa a proseguire l’attività, essendone disposta la cancellazione d'ufficio da parte del Registro delle Imprese.



Stefano T. chiede
sabato 03/10/2020 - Toscana
“Possiedo delle quote di una società di tipo s.r.l. ed ho recentemente concluso il mio recesso parziale per una parte della mia quota rimanendo socio per la parte restante. Con il Consiglio di Amministrazione della Società, siamo arrivati ad un accordo bonario per la liquidazione della mia quota attraverso una rateizzazione triennale. Ogni mese, per 36 mesi, la Società mi liquiderà sul c/c un importo lordo ed io ogni anno provvederò a denunciare nel mio Mod.730 la plusvalenza per il calcolo e il pagamento della relativa imposta.
Mi nasce il seguente dubbio: L'importo totale della mia liquidazione, anche se pagato con rateizzazione, dovrà o meno comparire sul prossimo bilancio della Società, in modo da ridimensionare correttamente il patrimonio complessivo della Società e rendere il debito nei miei confronti ufficialmente formalizzato e irrevocabile? Adesso la liquidazione della mia quota è stata formalizzata mediante un verbale di assemblea societaria e un verbale del Consiglio di Amministrazione, ma in tre anni potrebbero cambiare tutti o quasi tutti i soci e/o i componenti del CdA compreso l’Amministratore. Come posso io essere garantito da questo credito societario per tutta la durata della mia rateizzazione?”
Consulenza legale i 14/10/2020
Dall’analisi del quesito non sembra che tra il socio e la società sia intervenuto un accordo scritto relativo alla liquidazione della quota per il recesso parziale effettuato dal socio.

Ciò premesso, a prescindere da come verrà riportata da un punto di vista patrimoniale ed economico sul bilancio della società, la prova del credito del socio, per la liquidazione delle partecipazioni corrispondente al recesso parziale esercitato, è, nel caso di specie, racchiusa dai verbali dell’assemblea e del CDA.

I verbali dei due organi societari esprimono la manifestazione di volontà sia dei soci che degli amministratori, cosicché risulta, allo stato, in assenza di impugnazioni di tali delibere (i cui termini sono di 90 giorni ex art. 2479 ter ter c.c., salvo i casi più gravi di nullità delle delibere), che il credito del socio sia ben cristallizzato e riconosciuto dalla società, la quale si è espressa sia per mezzo del sul organo gestorio che della stessa proprietà.

Ciò che potrebbe essere utile, per scrupolo, è verificare che siano stati iscritti i due verbali in camera di commercio e, laddove non sia stato fatto, chiedere eventualmente la loro iscrizione.

Piero D. B. chiede
sabato 13/06/2020 - Lombardia
“Il contratto sociale di una società semplice può prevedere che in caso di recesso, esclusione, e morte del socio della stessa società semplice, gli venga liquidata solo la quota conferita?

Mortis Causa
"Le parti pattuiscono concordemente che il valore della quota da liquidare sarà pari al valore dei conferimenti effettuati in sede di costituzione e la liquidazione di eventuali incrementi patrimoniali della propria partecipazione sociale alla data del recesso. Agli eredi del socio d’opera dovrà essere liquidato l’eventuale credito allo stesso ancora spettante alla data del decesso"

Recesso (ho escluso il diritto di prelazione)
"Qualora un socio intenda cedere, in tutto o in parte, la propria quota, dovrà comunicarlo, a mezzo lettera raccomandata A.R.. Le quote sociali sono trasferibili per atto tra vivi solo con il consenso di tutti i soci.
Qualora un socio non presti il consenso al trasferimento, il socio che ha intenzione di alienare la propria quota di partecipazione, potrà recedere dalla società e gli verrà corrisposto, come da espressa pattuizione tra i soci, l’importo del conferimento effettuato in sede di costituzione della società, e la liquidazione di eventuali incrementi patrimoniali della propria partecipazione sociale alla data del recesso. Al socio d’opera dovrà essere rimborsato l’eventuale credito agli utili allo stesso ancora spettante alla data del recesso."

Recesso
"Nel caso in cui il socio receda dalla società, possibile solo con il consenso degli altri soci o per giusta causa , ex art. 2285, comma 2, lo stesso avrà diritto al rimborso della quota di partecipazione al suo valore nominale in sede di costituzione, e di eventuali utili maturati nell’anno in corso. "

Mi riferisco alla Società Semplice "della famiglia Agnelli" che esclude i soci da quanto previsto dall'articolo 2289 c.c., questo perché si ritiene che la Società Semplice sia alla fine un contratto, dove i soci possono prendere accordi differenti da quanto indicato dall'articolo 2289 c.c., tipo un "salvo patto contrario".”
Consulenza legale i 21/06/2020
La norma di cui all’art. 2289 del c.c. è derogabile dalle parti e, pertanto, queste ultime, nell’atto costitutivo o nello statuto della società, possono decidere di regolare la liquidazione della quota del socio in caso di recesso, morte o esclusione differentemente da quanto previsto in detta norma.

Tuttavia, seppur detta disposizione sia derogabile, i soci non possono escludere integralmente, nel calcolo della liquidazione della quota, il valore dell’avviamento, potendo solamente prevedere criteri differenti per il calcolo del medesimo, come, ad esempio, tenere in considerazione solamente l’ultimo bilancio d’esercizio della società.

Pertanto, e venendo alla risposta al quesito, per il calcolo della liquidazione della quota non potrà essere tenuto in conto il solo valore corrispondente al momento dell’assegnazione di quest’ultima, atteso che i soci, nella regolazione dei reciproci rapporti societari, non possono escludere, a priori, che nel valore della liquidazione non si tenga conto dell’avviamento.

La ragione di tale limite alla derogabilità dell’art. 2289 c.c. si spiega con la necessità di dover sempre tener conto dello stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento, in quanto le potenzialità che è in grado di esprimere la società sono da considerarsi un valore tangibile per chi proseguirà nell’attività sociale. Potenzialità a cui ha contribuito il socio uscente (recesso, morte o esclusione), il quale non può pertanto vedere escluso il suo diritto ad una corretta valutazione di detto apporto nel momento in cui si proceda alla liquidazione della sua quota.

Rocco S. chiede
giovedì 06/10/2016 - Calabria
“Liquidazione agli eredi di una snc della quota del socio morto. Lo statuto prevede :Nel caso di morte di uno dei soci,la società liquiderà agli eredi la quota.La liquidazione della quota potrà avvenire, a scelta degli eredi, in uno dei seguenti modi:a)sulla base della situazione patrimoniale della società al momento della morte; b) sulla base dell'ultimo rendiconto approvato; si è scelto il punto a) .La diatriba tra il mio commercialista e e l’altro commercialista dell’altra parte è sulla lettera a) che anche noi condividiamo nella scelta ma secondo il nostro parere ed il loro si dissocia. Il nostro modo di vedere è che gli immobili che fanno la gran parte del capitale della snc noi li stiamo valorizzando a valore di libro contabile, mentre l’altra parte ci dice che dobbiamo redigere una situazione patrimoniale straordinaria valorizzando gli immobili con una perizia tecnica al valore corrente di mercato. Ed inoltre anche se è una società prevalentemente immobiliare ( detiene una quota del 76,95 dell’altra nostra società commerciale una srl dove abbiamo l’attività ) l’altra parte ci dice che anche nella snc dobbiamo inserire l’avviamento.”
Consulenza legale i 10/10/2016
Nelle società di persone i mutamenti nella compagine societaria rappresentano una modifica del contratto sociale (c.d. modifiche “soggettive”).

La norma di riferimento è l’art. 2252 c.c. la quale, seppure inserita nell’ambito della disciplina della società semplice, è applicabile, in base al rinvio operato dall’art. 2293 c.c., anche alle società in nome collettivo, nonché alle società in accomandita semplice.
In base a detta disposizione i mutamenti della compagine sociale, trattandosi di modifica dell’atto costitutivo, richiedono il consenso dell’unanimità dei soci, salvo diversa previsione statutaria.

Nelle società di persone il contratto sociale è caratterizzato dalla considerazione personale e soggettiva del singolo contraente; pertanto, la morte del socio non determina la trasmissione della sua quota agli eredi, bensì la trasformazione ope legis della quota nel corrispondente importo pecuniario di cui diventano creditori gli eredi e debitrice la società.
Il combinato disposto degli artt. 2284 e 2289 c.c. prevede, infatti, il diritto degli eredi alla liquidazione della quota del loro dante causa.
L’articolo 2289 del Codice Civile stabilisce che in caso di scioglimento del singolo rapporto sociale, il socio receduto, escluso o gli eredi del socio defunto hanno diritto alla liquidazione di una somma di denaro” che rappresenti il valore della quota (Trib. Milano 14.01.1998, Cass.19.04.2001, Cass. 11.05.2009 N°10802).

E’ opinione concorde che l’allocuzione “una somma di denaro” risponde all’esigenza di consentire alla società di continuare ad utilizzare i beni che costituiscono il suo patrimonio, in applicazione al principio di conservazione dell’ente societario e del generale principio di divieto di alterare la destinazione produttiva impressa ai beni sociali.
Tuttavia anche alla disciplina in materia di liquidazione della quota in conseguenza dello scioglimento particolare del vincolo sociale, viene generalmente attribuito carattere disponibile, derogabile in sede di contratto sociale o con successiva convenzione, ciò che è stato correttamente fatto nel caso che viene prospettato, prevedendo lo statuto due criteri alternativi per tale liquidazione.

Il comma 2 dello stesso articolo 2289 del Codice Civile stabilisce che la liquidazione della quota deve essere fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, mentre il terzo comma del medesimo articolo 2289 precisa che se al momento dello scioglimento del rapporto vi sono operazioni in corso, il socio partecipa agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

La società provvede alla liquidazione effettuando i relativi prelevamenti dal patrimonio sociale; di conseguenza, i soci devono deliberare una riduzione del capitale sociale in misura corrispondente alla quota di capitale del socio uscente, a meno che la società non possa provvedere utilizzando le riserve esistenti.

Al riguardo, risulta ormai pacifico che l’obbligo della liquidazione della quota agli eredi ricade in capo alla società e non al socio. Tuttavia se non vi fa fronte la società, i soci illimitatamente responsabili sono tenuti a corrispondere la somma in via sussidiaria, come per ogni altra obbligazione sociale.

Fatto questo piccolo quadro generale della situazione che consegue alla morte di uno dei soci, passiamo ad analizzare più da vicino il procedimento di valutazione che consente di giungere alla trasformazione della partecipazione sociale in una somma di denaro.
Si tratta di un procedimento piuttosto complesso, che richiede elevate competenze e idonei standard di riferimento di generale accettazione.
Al riguardo, le “Linee guida per le valutazioni economiche”, frutto di una recente ricerca condotta dall’Università Bocconi, offrono indicazioni di percorsi virtuosi da seguire.
Anche se il nuovo quadro giuridico registra un significativo progresso rispetto al passato, in quanto fissa alcuni principi e fornisce indicazioni ai fini della determinazione del “prezzo” o del “valore” di aziende e partecipazioni, la situazione resta comunque confusa.

La maggior parte delle regole esistenti sono di natura essenzialmente procedurale, senza un contenuto tecnico rigoroso; in altre circostanze, invece, la legge fornisce alcune sommarie indicazioni di merito sulla nozione di valore.
Ad esempio, in materia di società a responsabilità limitata, per effetto delle disposizioni contenute nel comma 3 del novellato art. 2473 del codice civile, nella determinazione del valore di liquidazione della quota del socio che esercita il diritto di recesso, il riferimento è alla consistenza patrimoniale della società (c.d. patrimonio sociale), con esplicita previsione che in caso di disaccordo tra società e soci recedenti, in ordine alla determinazione del valore attribuibile alle rispettive partecipazioni, si possa fare ricorso a un esperto nominato dal Tribunale, che dovrà provvedervi ai sensi dell’art. 1349, comma 1, del codice civile.

La norma riformata ha così svincolato la determinazione del patrimonio sociale dal bilancio d’esercizio, introducendo il principio della determinazione della quota in base al suo valore di mercato.
Tale ricostruzione interpretativa, peraltro, è rinvenibile nella relazione che accompagna il decreto di riforma, nella quale si legge che “… è di particolare rilievo la disciplina dettata dal terzo comma dell’art. 2473, che tende ad assicurare che la misura della liquidazione della partecipazione avvenga nel modo più aderente possibile al suo valore di mercato”.

La locuzione “valore di mercato”, sebbene in prima approssimazione equivocabile, va, evidentemente, intesa nella sua accezione di valore economico pro quota del capitale.
Per cui, nonostante il valutatore adotti la soluzione che ritiene più adeguata al caso specifico, con particolare riguardo al settore di riferimento dell’azienda, alla sua redditività e alla dinamica di sviluppo dell’impresa, la stima sarà verosimilmente caratterizzata da una “spessa patina” di soggettività ed arbitrarietà per effetto dell’utilizzo di fattori non determinabili in maniera obiettiva.

In tale circostanza, emerge, inoltre, la necessità che il valutatore adotti una metodologia in grado di evitare, o quanto meno circoscrivere il più possibile, comportamenti discrezionali e arbitrari nella determinazione del valore economico dell’azienda.

Generalmente per determinare il valore di un’azienda vengono utilizzati metodi di valutazione che si esplicitano in formule matematiche.
La dottrina economico-aziendale e i practitioner offrono – a tal proposito – un ventaglio di soluzioni molto ampio.
Sebbene, in questo ambito, numerose sono le proposte e gli schemi impiegati, nella sostanza, e salvo aspetti di dettaglio o terminologici, è noto ricondursi alla seguente distinzione:
a) metodi patrimoniali,
b) metodi reddituali,
c) metodi misti patrimoniali-reddituali,
d) metodi finanziari.
Essi sono fondati su elementi sostanzialmente differenti e possono dare risultati anche molto disparati tra loro.

E’ conveniente che la valutazione di un’azienda, nella congettura prospettata, venga utilmente effettuata attraverso l’utilizzo di un metodo patrimoniale semplice, integrando successivamente quest’ultimo con un metodo reddituale o con un metodo finanziario o, più limitatamente, destinando gli stessi alla verifica della correttezza e della congruità dei risultati ottenuti mediante l’applicazione del metodo patrimoniale.

Concretamente, per mitigare probabili censure circa l’approccio metodologico prescelto, appare utile determinare il valore dell’azienda, e – quindi – della partecipazione, creando un trait d’union tra i due metodi e liquidare la quota al socio recedente sulla base del valore più elevato.
Secondo il costante orientamento di dottrina e giurisprudenza, con il rinvio alla “situazione patrimoniale della società” , il comma 2 del citato articolo 2289 non richiede di predisporre una situazione patrimoniale conforme ai criteri (prudenziali) stabiliti in materia di bilancio, bensì di procedere ad una valutazione ad hoc riferita al momento di uscita del socio e diretta a stabilire il valore reale attuale della quota.
Si ritiene, infatti, che, per legge, la liquidazione della quota a favore del socio receduto o degli eredi del socio defunto debba essere effettuata in relazione all’effettiva consistenza patrimoniale della società.
Occorre dunque redigere una situazione patrimoniale straordinaria intesa come bilancio straordinario da cui emerga il valore effettivo dei beni sociali e di tutte le utilità economicamente valutabili.

Tra gli elementi che concorrono nella quantificazione del valore della quota devono, pertanto, essere compresi i plusvalori latenti nei singoli beni, il valore di eventuali licenze di esercizio, nonché il valore di avviamento.
Alla luce di quanto su esposto e tenendo conto dei vari metodi di valutazione proposti dalla dottrina e dalla prassi professionale (patrimoniale, reddituale, finanziario, misto), si ritiene che quello più idoneo a rappresentare il valore economico del patrimonio netto della società sia il metodo misto patrimoniale/reddituale

Caratteristica essenziale di tale metodo è la ricerca di un risultato finale che consideri l’aspetto patrimoniale senza peraltro trascurare le attese reddituali.
Occorrerà innanzitutto individuare il c.d. “patrimonio netto rettificato”, ossia il valore scaturente dall’analisi effettuata sulle voci attive e passive afferenti il patrimonio dell’azienda, opportunamente rettificate secondo i valori corretti. Per fare ciò si procederà nel seguente modo:
1. il patrimonio netto contabile, cioè risultante dal bilancio o dalle scritture contabili, viene rettificato, adeguando le singole poste con autonome stime, ai valori correnti di mercato (a tal fine sarà opportuno avvalersi di una perizia tecnica);
2. le attività vengono valutate al presunto valore di realizzo o al costo attuale di riacquisto;
3. le passività secondo il presunto valore di estinzione;
4. la rielaborazione dello stato patrimoniale dell’azienda consentirà di rilevare un “patrimonio netto rettificato” del complesso aziendale considerato nel suo insieme, ma valutato nelle sue singole parti.

Dopodichè si dovrà fare una stima del “valore di “avviamento” scaturente dalla futura capacità reddituale propria dell’azienda (la differenza tra un’azienda di nuova costituzione ed un’azienda avviata è data dalla capacità dell’azienda avviata di produrre risultati economici in conseguenza dell’organizzazione dei fattori produttivi che si è venuta a creare).
L’avviamento, nella prassi più diffusa, sarà determinato tenendo conto della differenza tra il prezzo d’acquisto dell’azienda o dell’esercizio commerciale ed il valore del patrimonio netto (pari alla differenza tra attivo e passivo patrimoniale): non è automatico che il valore risultante da questa operazione sia di segno positivo, ma ove questo accada si tradurrà in un maggior valore di attività liquidabili, potenzialmente riconducibile anche al maggior valore degli immobili e alle plusvalenze latenti.

E’ inoltre importante sottolineare che la valutazione dell’avviamento della società non rimane assorbita nella valutazione della licenza d’esercizio, che è un distinto elemento di potenzialità economica.

In generale, comunque, si dovrà tener conto dello stato reale ed effettivo della società al momento dello scioglimento: la potenzialità della stessa avrà, infatti, un valore tangibile per chi proseguirà nell’attività sociale, avvalendosi anche del contributo che il socio uscente ha dato e che deve essergli riconosciuto.
Il valore dell’avviamento verrà ad essere sommato al patrimonio netto rettificato, e ciò per arrivare in definitiva alla quantificazione del valore complessivo della società e di conseguenza al valore della quota da liquidare al socio recesso o agli eredi del socio defunto.

Anonimo chiede
giovedì 12/05/2016 - Veneto
“Buongiorno, dal 2006 sono socio d'opera di una società in nome collettivo a tempo determinato.
Posso recedere? Con quali modalità? Cosa posso richiedere?
Grazie per un vostro parere.”
Consulenza legale i 22/05/2016
Il socio di una società in nome collettivo contratta a tempo determinato può esercitare la facoltà di recesso e tale recesso acquisisce efficacia dal momento dell'accettazione del recesso da parte degli altri soci.
Al contrario, nella società in nome collettivo contratta a tempo indeterminato - diversamente dal caso di specie - il recesso acquista efficacia dal momento in cui gli altri soci giungano a conoscenza dell'esercizio di tale facoltà.
In questo senso, si veda la Giurisprudenza della Corte di Cassazione: "nella società in nome collettivo contratta a tempo indeterminato sussiste la facoltà del socio di recedere dalla società stessa "ad nutum". In tale ipotesi il recesso rappresenta un negozio giuridico unilaterale ricettizio a forma libera che si perfeziona e spiega, quindi, effetto dal momento in cui perviene a conoscenza degli altri soci. Diversamente, nell'eventualità la società abbia una scadenza prefissata, l'uscita di uno dei soci dalla compagine sociale necessita del consenso degli altri soci, dunque dell'accettazione del recesso, al pari del negozio cui si riferisce, a forma libera, e desumibile, pertanto, anche implicitamente da "facta concludentia", purché giudicati univoci" (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 30 gennaio 2009, n. 2438).
Il socio che esercita la sua facoltà di recesso ha diritto alla liquidazione del valore della quota conferita, ai sensi dell'art. 2289, comma 1, del c.c., il quale stabilisce che: "nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota".
Sin dalla Giurisprudenza più risalente è stato chiarito che: "ai fini della liquidazione della quota del socio receduto da una società in nome collettivo, il valore del patrimonio sociale al tempo del recesso medesimo è presuntivamente identificabile con il complessivo valore dei conferimenti, come fissato dai contraenti con le clausole dell'atto costitutivo (o con successiva variazione di esso), a meno che il creditore o il debitore non deducano e dimostrino, rispettivamente, vicende sopravvenute di tipo maggiorativo o riduttivo" (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 25 giugno 1998, n. 6298).
Al fine di determinare la somma complessiva da liquidare al socio recedente, occorre che quest'ultimo si affidi ad un commercialista, il quale deve computare in tale somma anche gli utili che potrebbero derivare da operazioni ancora in corso al momento in cui si perfeziona il recesso: "il diritto agli utili del socio recedente o deceduto, pur essendo autonomo, è collegato al diritto alla liquidazione della quota, nel senso che questa, liquidata in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno dello scioglimento del rapporto, può essere accresciuta o diminuita in conseguenza degli utili o delle perdite derivanti dalle singole operazioni in corso" (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 1 aprile 2016, n. 6365).
Per concludere, certamente il socio di una società in nome collettivo che esercita la sua facoltà di recesso ha diritto alla liquidazione del valore della sua quota, costituita da una serie di voci, tra cui il valore dell'avviamento: "in una società di persone, la situazione patrimoniale da assumere, ai sensi dell'art. 2289 c.c., a base della liquidazione della quota di un socio uscente non può essere redatta - a differenza di quanto si pratica in caso di recesso da una società per azioni - facendo riferimento all'ultimo bilancio o, comunque, ai criteri di redazione del bilancio annuale di esercizio, ma occorre tener conto dell'effettiva consistenza al momento della uscita del socio, sicché, ai fini della determinazione del valore dell'avviamento - la cui rilevanza, quale elemento del patrimonio sociale, si proietta nel futuro, traducendosi nella probabilità, pur fondata su elementi presenti e passati, di maggiori profitti per i soci superstiti -, vanno considerati non solo i risultati economici della gestione passata ma anche le prudenti previsioni della futura redditività dell'azienda" (cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 18 marzo 2015, n. 5449).

Emanuele M. chiede
martedì 09/02/2016 - Marche
“Salve,
mi riferisco allo scioglimento del rapporto sociale, quale che sia la causa prevista dall'art 2272, limitatamente ad un socio che abbia conferito beni in godimento. Il socio uscente, oltre alla restituzione del bene al termine del periodo prefissato o allo scioglimento della società, ha diritto anche ad una somma rappresentante l'utilità che la società ricava dall'essere titolare del diritto di godimento? Di quest'ultima ipotesi trovo riscontro unicamente in un vecchia sentenza della Cassazione civile, sezione I del 1984 numero 5853 (17/11/1984) pertanto gradirei conoscere un Vostro parere in merito. Ringraziando per l'attenzione porgo distinti saluti”
Consulenza legale i 15/02/2016
Quando il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio a questi spetta la liquidazione della propria quota in base ai criteri di cui all'art. 2289 del c.c.. Principio base che si ricava dalla disposizione è che al socio spetta solo una somma di denaro, in quanto l'interesse dell'impresa prevale su quello dei singoli ed impedisce al socio di sottrarre i beni conferiti dalla loro destinazione produttiva. Questi, dunque, potranno essere restituiti solo successivamente (ad. es. alla data fissata nel contratto sociale).
La pronuncia citata (Cass. 5853/1984) risulta così massimata: "In ipotesi di uscita del socio da una società di persone la conseguente definizione dei rapporti fra socio e società, che va effettuata attraverso la liquidazione della quota del socio uscente, deve essere effettuata tenendo presenti i criteri stabiliti in relazione alla divisione del patrimonio sociale, con la conseguenza che ove oggetto del conferimento non sia stata la proprietà della cosa conferita, ma solo il godimento della stessa, oggetto della liquidazione - cui ha diritto il socio uscente - non può essere una somma di denaro pari al valore della proprietà del bene - mai entrata nel patrimonio della società - ma una somma che corrisponda all'utilità che la società ricava dall'essere titolare di un diritto di godimento." Dunque nel caso di bene conferito in godimento la liquidazione non ha ad oggetto una quota che corrisponde al valore della proprietà: questo perché la proprietà non è mai stata conferita alla società. Ciò che è stato conferito è il godimento del bene, da cui il diritto ad una somma che corrisponde all'utilità che quel godimento consente.

Tale principio appare confermato da una più recente pronuncia della Cassazione: "Se l'art. 2254 c.c. prevede anche per la società semplice, e per i tipi sociali retti dalle norme della società semplice, il conferimento di beni in proprietà; se quindi la società, a seguito del conferimento di quel tipo, si qualifica come soggetto di diritto in quanto titolare dei diritti reali sui beni conferiti, in una forma di trasferimento del diritto reale non integrante vendita, ma richiedente pur sempre la forma dell'alienazione, quando oggetto di conferimento sia un immobile; se, infine, l'intestazione dei beni immobili conferiti alla società trova la disciplina correlata, sul piano della pubblicità immobiliare, nell'art. 2659 c.c., come riformulato con la legge n. 52/1985; se tutto ciò è vero e trova nella disciplina normativa specifica previsione, deve altresì dedursi che in mancanza di atto formale, non vi è conferimento in proprietà di beni immobili, per i quali può parlarsi solo del conferimento del valore d'uso. I beni immobili, quindi, non formalmente conferiti, o comunque non formalmente acquisiti, non fanno parte, in quanto tali, del patrimonio della impresa collettiva e ad essi, in fase di liquidazione ex art. 2289 c.c., non può ragguagliarsi il valore della quota, che è quota del patrimonio sociale in base "alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento" (art. 2289 2 comma c.c.). La liquidazione della quota, pertanto, se vi sia valido conferimento del valore d'uso, dovrà essere ragguagliata a quest'ultima entità, mentre l'acquisizione di quota del patrimonio immobiliare, non attinendo alla liquidazione di quota, potrà essere oggetto di un'ordinaria azione di divisione, salva restando la questione se la divisione comporti, o meno, l'indisponibilità del bene finché duri il vincolo di destinazione derivante dal conferimento del valore d'uso nella società" (Cass. 21754 del 2012).
Del medesimo tenore si segnala la massima, di cui alla pronuncia del Tribunale di Rossano del 2/6/2004: "La disciplina relativa alla liquidazione della quota a favore del socio uscente di società di persone si applica a qualsiasi tipo di conferimento in natura, compreso quello in godimento, con la conseguenza che il socio avrà diritto di ottenere una somma di denaro pari al valore delle utilità che la società ha tratto e continuerà a trarre dal godimento del bene (di cui potrà tenersi conto con liquidazioni successive e periodiche)".

In conclusione, sembra doversi ritenere che il principio espresso nella richiamata pronuncia del 1984, per cui in caso di conferimento del bene in godimento la liquidazione va ragguagliata al valore dell'utilità prodotta dalla cosa, trovi conferma anche in successive pronunce giurisprudenziali.

Ernesto F. chiede
domenica 11/10/2015 - Campania
“Srl, un socio recede dalla propria quota se la quota non gli viene liquidata come previsto dallo statuto, esso è sempre socio o un qualunque creditore?
Nel mio caso la società è in liquidazione e il socio recedente ha chiesto ricorso al fallimento il giudice ha nominato una ctu contabile.
Il ctu dice che il ricorso al 2473 è tardivo e che l'importo della quota va posta in bilancio come creditore della società e non come credito di una quota societaria se così fosse gli altri tre soci sono anch'essi creditori di quota.”
Consulenza legale i 14/10/2015
Esaminato il quesito e visionata la documentazione allegata, può dirsi quanto subito infra, con la preliminare e doverosa avvertenza che le questioni giuridiche sottese sono complesse e parecchio dibattute in dottrina, principalmente a causa della mancanza di norme chiare e precise in materia.

Nel caso di specie, il c.t.u. sostiene che la messa in liquidazione della società, attuata ai sensi del quarto comma dell'art. 2473 del c.c. - a motivo del fatto che alcun socio o terzo ha manifestato l'interesse ad acquistare la quota del socio recedente, né vi è la possibilità di liquidare tale quota mediante l'utilizzo delle riserve disponibili, né riducendo il capitale sociale - sia tardiva rispetto ai tempi dettati dalla norma del codice civile (il rimborso della partecipazione va eseguito entro 180 giorni); inoltre, ritiene che tale messa in liquidazione contraddica la volontà dei soci, espressa in una precedente delibera a maggioranza, in cui si dava atto del recesso del socio e si determinava che il rimborso della quota si sarebbe liquidato sulla base del valore di mercato della stessa alla data del recesso.

Peraltro, secondo il c.t.u., a seguito delle sue rettifiche alla situazione patrimoniale della società, sussisterebbero adeguate riserve per consentire la liquidazione della quota del socio uscente.

Quanto al termine entro cui l’assemblea dei soci debba assumere le decisioni per inibire l’efficacia del recesso, non esiste per le s.r.l. una norma ad hoc, a differenza della disciplina delle s.p.a.
Quindi, o si applica analogicamente il termine previsto per queste ultime (90 giorni), oppure vi è chi ritiene che il termine sia quello di 180 giorni previsto dall'art. 2473 per il rimborso della quota; infine, solo alcuni sostengono l'assoluta libertà negoziale della società.

E' evidente che il c.t.u., nel caso di specie, ha sposato la tesi dei 180 giorni e ha quindi ritenuto che la messa in liquidazione della società non possa essere ricondotta al recesso del socio, in quanto effettuata diversi anni dopo il recesso stesso.

Ora, ci si trova nel giudizio pre-fallimentare: il giudice delegato sta valutando se sussistono i presupposti per il fallimento della società.
Il c.t.u., quindi, alla luce delle sue osservazioni, ha ritenuto di inserire il rimborso della quota del socio receduto come "debito" nel passivo a bilancio.
Risulta corretta questa impostazione?

Va rilevato che la dottrina evidenzia il silenzio della norma su questi temi.
L'articolo, infatti, trascura di stabilire un'eventuale graduazione tra il diritto di credito del socio uscente ed i diritti dei creditori sociali; né l’impianto normativo nel suo complesso consente di dire se, ad esempio, prevalga una sostanziale natura di rimborso del capitale sociale che - secondo le norme sulla liquidazione ordinaria - imporrebbe la postergazione dei versamenti dei soci al soddisfacimento dei creditori sociali.
In riferimento a questa problematica, comunque, si reputa generalmente che i creditori sociali dovrebbero essere soddisfatti prima che il socio ottenga il rimborso della quota, mentre il recedente godrà di una posizione privilegiata rispetto agli altri soci in sede di riparto finale dell'attivo, dove la misura della sua partecipazione non sarà inferiore al valore di liquidazione stabilito ai sensi del terzo comma dell'art. 2473 (nei limiti di capienza dell'attivo).

Gli studiosi si sono orientati, su due principali posizioni: secondo alcuni, lo scioglimento volontario della società sottopone quest'ultima alle disposizioni della liquidazione ordinaria, quindi il socio uscente va trattato alla stregua degli altri soci; per altri, i soci recedenti concorrono, insieme agli altri soci, al procedimento di liquidazione sociale ordinario, ma soltanto nel caso in cui lo scioglimento sia deliberato per rendere inefficace il recesso.

Poiché nel nostro caso il c.t.u. ha ritenuto che la liquidazione della società non possa essere ricollegata al recesso (in quanto tardiva e poiché comunque la situazione patrimoniale consentirebbe il rimborso della quota senza ricorrere alla extrema ratio della liquidazione volontaria, ex quarto comma dell'art. 2743), ha ritenuto che il rimborso al socio uscente vada considerato come un debito della società.

Se le rettifiche materiali al bilancio effettuate dal c.t.u. si dimostreranno corrette (ciò che non può naturalmente dirsi in questa sede) le motivazioni e le conclusioni del tecnico appaiono condivisibili.

Difatti, sembra da escludere che possa considerarsi applicabile l'ultimo comma dell'art. 2473, in quanto, anche se la norma tace, appare ragionevole applicare il termine di 180 giorni previsto dal quarto comma del medesimo articolo. Inoltre, appare insussistente il presupposto della mancanza di riserve disponibili, che consente - se la quota non è acquistata dagli altri soci o da un terzo - di porre in liquidazione la società.
Il recesso sarebbe, quindi, stato esercitato correttamente ed efficacemente, e si può provvedere al rimborso della partecipazione sociale in base ai dati del bilancio.

La rappresentazione contabile del recesso del socio si attua mediante l’imputazione, in contropartita al debito verso il socio recedente, di riserve disponibili ed eventualmente del capitale sociale, che andrà perciò corrispondentemente ridotto.

Luca chiede
mercoledì 28/11/2012 - Lombardia

“Buongiorno,
in merito alla liquidazione agli eredi della quota di un socio defunto di una snc che si occupa di affittare immobili di proprietà, i due soci rimanenti ci hanno proposto di liquidare la nostra quota non in danaro bensì tramite l'assegnazione di uno degli immobili di proprietà della società.
Noi eredi abbiamo già informato i due soci rimanenti che desideriamo essere liquidati in denaro.
Abbiamo anche proposto loro di liquidarci a rate con gli introiti degli affitti, o di vendere uno degli immobili per recuperare la cifra necessaria, ma loro non intendono cambiare la loro proposta di liquidazione tramite assegnazione d'immobile.

Le domande che le poniamo sono le seguenti:
- noi eredi abbiamo diritto ad essere liquidati in denaro?
- i soci rimanenti possono pretendere che accettiamo la forma di liquidazione propostaci?
- noi eredi possiamo pretendere che ci liquidino in denaro o, in caso di contenzioso, il liquidatore potrebbe ritenere corretta la liquidazione in natura?”

Consulenza legale i 29/11/2012

L'art. 2289 del c.c. è chiaro nello stabilire che gli eredi del socio defunto hanno diritto esclusivamente alla liquidazione della quota del de cuius: il termine "liquidazione", in ambito giuridico, indica genericamente la trasformazione di un qualsiasi bene o valore in una somma di denaro.

Gli eredi, pertanto, devono ricevere il controvalore in denaro della quota di partecipazione sociale del loro dante causa. Lo scopo della norma va ricercato nell'esigenza di evitare che la società, che continui ad esistere senza il socio defunto, venga privata di beni che possano essere essenziali per i suoi scopi produttivi. Del resto, nemmeno il socio, ancora vivente, che voglia uscire dalla società ha diritto alla restituzione dei beni a suo tempo eventualmente conferiti.

Nel caso proposto, se vi fosse accordo tra le parti, non si vede ragione per escludere la possibilità di una datio in solutum (art. 1197 del c.c.), ovvero di una sostituzione tra la somma di denaro dovuta - risultante dal calcolo della quota sulla base della effettiva consistenza economica dell'azienda all'epoca dello scioglimento del rapporto - e un bene immobile di proprietà della società. Tuttavia, mancando il consenso degli eredi, la prestazione il luogo dell'adempimento non può essere imposta.

Qualora i soci della s.n.c. insistano nel proposito di non versare l'importo in denaro agli eredi, questi ultimi potranno agire in via giudiziale contro la società per ottenere la liquidazione (in denaro) della quota del de cuius e la società non potrà opporsi a tale richiesta se non nel quantum (ovvero nella determinazione dell'ammontare della somma). Si precisa, a tal proposito, che l'onere di provare il valore della quota del socio defunto incombe sui soci superstiti e non su eredi (Cass., sez. II, 19 aprile 2001, n. 5809).


Anonimo chiede
venerdì 17/06/2022 - Piemonte
“Salve,
avrei bisogno di esporvi tale quesito riguardante la Norma di riferimento: Articolo 2284 Codice Civile - Morte del socio.

Nel dicembre 2020 ho avviato una SNC nel campo della ristorazione con N° 2 Soci al 50%.

Purtroppo il mio socio è venuto a mancare ad agosto 2021.
Rientrando nei sei mesi come dice la legge, a cavallo del sesto mese, ho liquidato la quota agli eredi in base ad una valutazione fatta dal commercialista sull’acquisto dei beni strumentali della società.
Nello stesso momento, con lo stesso atto ho ricostituito la pluralità dei soci inserendo la mia compagna come socia al posto del mio ex socio defunto.

Ad oggi gli eredi mi chiedono una copia degli utili della società perché devono inserirla nella loro dichiarazione dei redditi. (secondo quanto dice il loro commercialista)
e mi hanno anche chiesto l’eventuale spartizione degli utili 2021 con loro.

Mi domando e vorrei capire, nel caso di utili aziendali devo spartirli con loro?
E se ci sia la necessità obbligatoria di fornirgli i documenti che portino a conoscenza la situazione patrimoniale dell’azienda.


Grazie cordiali saluti.
Gradirei essere anonimo.”
Consulenza legale i 23/06/2022
L’art. 2284 del c.c. prevede che, salvo contraria disposizione del contratto sociale, in caso di decesso di uno dei soci, gli altri debbano liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano.
Questo comporta che gli eredi non subentrano automaticamente nella posizione del socio defunto, salvo apposita clausola di continuazione nel contratto sociale, ma hanno solo diritto ad ottenere dalla società la liquidazione della quota del socio defunto.
Gli eredi, in sostanza, non si considerano soci, ma meri creditori della società relativamente alla quota del socio defunto ad essi spettante.
Saranno, poi, i soci superstiti che potranno decidere se liquidare la quota, sciogliere la società o proseguirla con gli eredi, sempre che questi vi acconsentano.

Ai sensi dell’art. 2289 del c.c., gli eredi hanno diritto soltanto ad una somma di danaro che rappresenti il valore della quota; la liquidazione della quota è fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento (n.d.r. decesso); se vi sono operazioni in corso al momento del decesso, gli eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime.

Il reddito conseguito da una società di persone in un determinato periodo d’imposta deve essere imputato per trasparenza ai soggetti che rivestono la qualità di socio alla data di chiusura del periodo di imposta stesso.
Di conseguenza, nessun reddito deve essere imputato al socio defunto; nemmeno quello relativo al periodo 1 gennaio – data di decesso.
Se tuttavia, alla data di chiusura del periodo di imposta, alcuni degli eredi del de cuius non sono ancora subentrati ad esso nella posizione di socio, come nel caso di specie, l’imputazione per trasparenza del reddito avviene solo nei confronti dei soci superstiti e degli eredi che sono già divenuti soci a tale data.
Questo principio è contenuto nella risoluzione n. 157/E del 17.4.2008.
Di conseguenza, gli eredi del socio deceduto non hanno diritto alla partecipazione agli utili dell’anno in cui si è verificato il decesso.

Per quanto riguarda la questione della messa a disposizione della documentazione comprovante la situazione patrimoniale della società, gli eredi del socio defunto hanno diritto esclusivamente a conoscere quella sussistente al momento del decesso.
Di tale situazione, tuttavia, sono già stati messi al corrente, posto che hanno già ricevuto la liquidazione della quota, calcolata, appunto, in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno del decesso.
Non hanno, invece, diritto a conoscere quella successiva, proprio in quanto non assumono automaticamente la qualità di socio al momento del decesso.

Hai un dubbio o un problema su questo argomento?

Scrivi alla nostra redazione giuridica

e ricevi la tua risposta entro 5 giorni a soli 29,90 €

Nel caso si necessiti di allegare documentazione o altro materiale informativo relativo al quesito posto, basterà seguire le indicazioni che verranno fornite via email una volta effettuato il pagamento.