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Articolo 52 Testo unico sul pubblico impiego (TUPI)

(D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165)

[Aggiornato al 13/01/2024]

Disciplina delle mansioni

Dispositivo dell'art. 52 TUPI

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a). L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.

1-bis. I dipendenti pubblici, con esclusione dei dirigenti e del personale docente della scuola, delle accademie, dei conservatori e degli istituti assimilati, sono inquadrati in almeno tre distinte aree funzionali. La contrattazione collettiva individua un'ulteriore area per l'inquadramento del personale di elevata qualificazione. Le progressioni all'interno della stessa area avvengono, con modalità stabilite dalla contrattazione collettiva, in funzione delle capacità culturali e professionali e dell'esperienza maturata e secondo principi di selettività, in funzione della qualità dell'attività svolta e dei risultati conseguiti, attraverso l'attribuzione di fasce di merito. Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti. In sede di revisione degli ordinamenti professionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro di comparto per il periodo 2019-2021 possono definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, ad esclusione dell'area di cui al secondo periodo, sulla base di requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dalle amministrazioni per almeno cinque anni, anche in deroga al possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso all'area dall'esterno. All'attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente(1)(3).

1-ter. [Per l'accesso alle posizioni economiche apicali nell'ambito delle aree funzionali è definita una quota di accesso nel limite complessivo del 50 per cento da riservare a concorso pubblico sulla base di un corso-concorso bandito dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione.](2)

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

  1. a) nel caso di vacanza di posto in organico per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;
  2. b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore.

Note

(1) Tale comma è stato modificato dall'art. 3, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2021, n. 113.
(2) Comma abrogato dal D.P.R. 16 aprile 2013, n. 70.
(3) Il comma 1-bis è stato modificato dall'art. 1-bis, comma 1, lettera d) del D.L. 22 aprile 2023, n. 44, convertito con modificazioni dalla L. 21 giugno 2023, n. 74.

Massime relative all'art. 52 TUPI

Cass. civ. n. 8784/2018

Nel pubblico impiego contrattualizzato il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di diritto comune non è condizionato all'esistenza, né alla legittimità di un provvedimento del superiore gerarchico, salva l'eventuale responsabilità del dirigente che abbia disposto l'assegnazione con dolo o colpa grave. Il diritto trova un limite nei casi in cui l'espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o contro la volontà dell'Ente, oppure allorquando sia il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente.

Cass. civ. n. 3317/2018

Le disposizioni che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura - laddove congrui e compatibili con un ordinario periodo per decidere - cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori.

Cass. civ. n. 2011/2017

In materia di mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato non si applica l'art. 2103 c.c., essendo la materia disciplinata compiutamente dall'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001, che assegna rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della P.A., solo al criterio dell'equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione.

In materia di mansioni nel pubblico impiego contrattualizzato, non è ravvisabile alcuna violazione dell'art. 52 D.Lgs. n. 165/2001 qualora le nuove mansioni rientrino nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l'operazione di riconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l'operazione di verifica dell'equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria.

Nel campo del pubblico impiego, condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento all'aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico; tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l'assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell'oggetto del contratto di lavoro.

Cass. civ. n. 13579/2016

Nel pubblico impiego privatizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dall'art. 56, comma 6, del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall'art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6 ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio; ne consegue che il principio della retribuzione proporzionato e sufficiente ex art. 36 Cost., è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali.

Stante la valenza generale dei criteri parametrici fissati dalla norma costituzionale in materia di retribuzione, il disposto dell'art. 36 Cost. non può non trovare applicazione anche nelle fattispecie in cui la pretesa del lavoratore alla retribuzione corrispondente allo svolgimento dell'attività prestata riguardi mansioni superiori corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento.

In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori.

Cass. civ. n. 12334/2015

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di svolgimento di mansioni superiori si applica l'art. 52, comma 5, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, sicché al dipendente spetta la corresponsione della differenza di trattamento economico rispetto alla qualifica superiore, senza che tale disciplina possa essere diversamente regolata dalla contrattazione collettiva il cui intervento è consentito nei casi di cui all'art. 52, comma 6, del medesimo D.Lgs.; né può trovare applicazione la previsione di cui all'art. 69, comma 3, del medesimo decreto, che si riferisce esclusivamente al trattamento economico del personale delle qualifiche ad esaurimento, al quale sono attribuite funzioni vicarie del dirigente.

Cass. civ. n. 6367/2015

In tema di lavoro pubblico negli enti locali, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l'inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l'attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico. Ne consegue che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 2103 cod. civ. e dell'art. 52, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza che aveva ritenuto legittimo l'atto di revoca dell'incarico di responsabile dell'area contabile di un comune, conferito a seguito dell'accorpamento di diverse aree di servizio).

Cass. civ. n. 22835/2014

Il passaggio dall'inquadramento nelle aree funzionali alla qualifica di dirigente implica una novazione oggettiva del rapporto di lavoro, del tutto equiparata al reclutamento dall'esterno, per cui la vincita del concorso per dirigente non rientra tra le procedure concorsuali o selettive menzionate dall'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001. La novazione del rapporto conduce quindi ad escludere la stessa ipotizzabilità di un danno da demansionamento, potendo in caso insorgere la diversa questione del danno derivante dal mancato conferimento di un incarico dirigenziale (nella specie, la Corte ha sottolineato che, una volta riconosciuto il risarcimento del danno da ritardo nell'attribuzione dell'incarico dirigenziale, come nel caso in esame, non è ipotizzabile un ulteriore danno da demansionamento).

Cons. Stato n. 5047/2013

Nel campo del pubblico impiego, il diritto alla retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte è stato introdotto con carattere di generalità, nel rispetto dei precetti costituzionali, dall'art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, a decorrere dalla sua entrata in vigore (22 novembre 1998), con norma avente natura innovativa e non ricognitiva o retroattiva, ferma restando la necessità di una determinazione formale dell'Amministrazione e della vacanza del posto in organico; sicché, prima del 22 novembre 1998, quando non vi fosse una specifica normativa speciale che disponesse altrimenti, lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di mansioni superiori rispetto a quelle dovute sulla base del provvedimento di nomina o di inquadramento costituiva circostanza irrilevante, oltre che ai fini della progressione in carriera, anche ai fini economici.

Non è configurabile l'azione di indebito arricchimento prevista dall'art. 2041 cod. civ. nel caso di svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del pubblico dipendente, atteso che, mentre l'azione de qua postula, quale indefettibile presupposto, un'effettiva diminuzione patrimoniale sofferta in conseguenza dei fatti dedotti a sostegno della pretesa, nel caso considerato il dipendente non sopporta alcun depauperamento che lo legittimi all'esercizio dell'azione ex art. 2041, c.c.

Cons. Stato n. 2979/2013

Nel campo del personale del comparto della sanità - in deroga al generale principio dell'irrilevanza ai fini giuridici ed economici dello svolgimento delle mansioni superiori nel settore del pubblico impiego - deve ammettersi la retribuibilità delle mansioni superiori stesse, ai sensi dell'art. 29, comma 2, del D.P.R. 761/1979, in presenza di tre contestuali condizioni: a) esistenza in organico di un posto vacante cui ricondurre le mansioni di più elevato livello; b) previa adozione di un atto deliberativo di assegnazione delle mansioni superiori da parte dell'organo a ciò competente (potendosene prescindere solo nel caso di sostituzione nell'esercizio delle funzioni primariali); c) espletamento delle suddette mansioni per un periodo eccedente i sessanta giorni nell'anno solare.

Ai fini della retribuibilità delle mansioni superiori svolte dal personale del comparto della sanità, è necessario che l'atto di conferimento delle mansioni superiori provenga dall'organo competente ad emanare i provvedimenti in materia di stato giuridico e trattamento economico del personale, risultando insufficienti eventuali ordini di servizio di un superiore gerarchico; e che debba essere "previo", mentre non hanno effetto eventuali riconoscimenti "a posteriori", trattandosi di meri atti ricognitivi di una situazione fattuale che non rivestono la natura provvedimentale idonea ad introdurre ex ante la diversa posizione di status, con ogni effetto sugli obblighi di conforme prestazione a carico del dipendente e di controllo da parte dell'Amministrazìone del corretto adempimento.

Cons. Stato n. 1212/2013

In materia di pubblico impiego, anteriormente all'anno 1998, l'esercizio di fatto di mansioni superiori, anche quando effettivamente disimpegnate, non poteva supportare la pretesa del dipendente ad un trattamento economico diverso da quello corrispondente alla qualifica formalmente rivestita, salvo che tali effetti non derivassero da apposita normativa. Invero, la possibilità di corrispondere differenze retributive, nel caso di svolgimento di mansioni superiori da parte di un pubblico dipendente, è stata riconosciuta con carattere di generalità solo a seguito dell'intervento innovativo compiuto dal legislatore, concretizzatosi nell'adozione dell'art. 15 del D.Lgs n. 387/1998, che ha definito la decorrenza di detto riconoscimento limitandone gli effetti a far data dall'entrata in vigore del decreto stesso (cioè dal 22 novembre 1998), rimettendola così alla successiva fonte normativa contrattuale.

Cons. Stato n. 3639/2011

Ai fini del riconoscimento delle mansioni superiori svolte nel pubblico impiego non è invocabile l'art. 36 della Costituzione, sia per l'assenza di un diritto soggettivo in rapporto agli atti con cui l'Amministrazione ha proceduto all'organizzazione dei propri uffici, predisponendo la pianta organica ed operando i relativi inquadramenti, sia perché detta norma costituzionale pone solo un parametro di riscontro, per verificare che in sede legislativa o regolamentare non siano state operate discriminazioni fra lavoratori, e non sorregge anche la pretesa ad una retribuzione superiore rispetto a quella normativamente spettante, sia infine perché la retribuzione è collegata non solo alla "quantità", ma anche alla "qualità" del lavoro svolto (requisito, quest'ultimo, che non può essere presunto senza alcun nesso con la riconosciuta idoneità allo svolgimento di una certa prestazione lavorativa e nell'assenza di controlli).

Cons. Stato n. 3265/2011

Nel rapporto di pubblico impiego il principio di corrispondenza della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato di cui all'art. 36 della Cost. deve essere posto in correlazione con altri principi (tratti dagli artt. 97 e 98 Cost.) di pari rilevanza costituzionale per cui, anche laddove trovi applicazione l'art. 29 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, che accorda nel settore sanitario effetti giuridici ed economici allo svolgimento di mansioni superiori, l'attuazione di tale precetto trova limitazioni e temperamenti. È richiesta, in particolare, la presenza di altre due condizioni (oltre quella di una specifica previsione normativa): - che l'interessato abbia coperto un posto vacante di livello immediatamente superiore a quello assegnato in base ai provvedimenti di nomina o di inquadramento; - che il soggetto sia stato incaricato di ricoprire uno specifico posto sulla base di una determinazione formale illegittimamente assunta ma non illecita, avuto riguardo alla causa dell'atto.

Cons. Stato n. 3251/2011

In mancanza di una disposizione di legge ad hoc, l'esercizio di fatto di mansioni superiori, da parte del dipendente di pubblica amministrazione, non determina l'insorgenza di alcun diritto, salvo quello alle differenze retributive per il periodo successivo all'entrata in vigore dell'art. 15, D.Lgs. n. 387 del 1998, a causa dell'inapplicabilità, al pubblico impiego, degli artt. 13, L. n. 300 del 1970, 2103 c.c. e 36 Cost.

Cons. Stato n. 3071/2011

La domanda del dipendente pubblico volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può fondarsi sull'art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita, con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari.

Il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori da parte dei pubblici dipendenti ha trovato riconoscimento con carattere di generalità soltanto a decorrere dall'entrata in vigore del D.Lgs. 29.10.1998, n. 387 (art. 15), laddove prima di tale data nel settore del pubblico impiego, salvo diversa disposizione di legge, le mansioni svolte da un pubblico dipendente erano del tutto irrilevanti ai fini della progressione di carriera ovvero agli effetti economici di un provvedimento di preposizione ad un ufficio di livello superiore.

Cons. Stato n. 2811/2011

Non è retribuibile lo svolgimento di mansioni correlative alla qualifica superiore a quella rivestita, con riguardo a situazioni anteriori all'entrata in vigore dell'art. 56 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo introdotto con il D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387: a tal fine non può essere utilmente richiamato l'art. 2126 cod. civ., né può assumere valore di regola l'art. 36 della Costituzione, in quanto il principio di adeguatezza della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato non comporta, in materia di pubblico impiego, che il dipendente possa vantare un diritto soggettivo al trattamento economico connesso alle mansioni superiori che abbia temporaneamente svolto.

Il principio di adeguatezza della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro prestato (art. 36 Cost.), non comporta, in materia di pubblico impiego, che il dipendente possa vantare un diritto soggettivo al trattamento economico connesso alle mansioni superiori che abbia temporaneamente svolto in base a detto articolo della Costituzione ed all'art. 2126 c.c.

Cons. Stato n. 2539/2011

Nel rapporto di pubblico impiego, la domanda volta ad ottenere una retribuzione superiore a quella riconosciuta dalla normativa applicabile non può essere basata sull'art. 36 Cost., che afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato; tale norma, infatti, non può trovare incondizionata applicazione nel rapporto di pubblico impiego, concorrendo in detto ambito altri principi di pari rilevanza costituzionale, quali quelli previsti dall'art. 98 Cost. (che, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e quali quelli previsti dall'art. 97 Cost., contrastando l'esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con il buon andamento e l'imparzialità dell'Amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari.

Cass. civ. n. 3814/2011

In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, in caso di reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, vanno incluse, nel trattamento differenziale per lo svolgimento delle mansioni superiori, la retribuzione di posizione e quella di risultato, atteso che l'attribuzione delle mansioni dirigenziali, con pienezza di funzioni e assunzione delle responsabilità inerenti al perseguimento degli obbiettivi propri delle funzioni di fatto assegnate, comporta necessariamente, anche in relazione al principio di adeguatezza sancito dall'art. 36 Cost., la corresponsione dell'intero trattamento economico, ivi compresi gli emolumenti accessori.

Cass. civ. n. 15210/2010

In tema di pubblico impiego privatizzato, la materia degli inquadramenti del personale contrattualizzato è stata demandata, dalla legge, alla contrattazione collettiva, che può intervenire senza incontrare il limite della inderogabilità in materia di mansioni. Ne consegue la legittimità del sistema di classificazione del personale dettato dall'art. 29 del C.C.N.L. Regioni e autonomie locali del 14 settembre 2000, che prevede l'inquadramento nell'area D dei dipendenti già inquadrati nell'ex VI livello, presupponendo, in conformità ai principi costituzionali di cui all'art. 97 Cost., che il pregresso collocamento in detta qualifica fosse avvenuto a seguito di procedura concorsuale e prevedendo l'adozione di verifiche e procedure selettive per la realizzazione da parte della P.A. del passaggio alla categoria D, posizione economica D1.

Cass. civ. n. 14775/2010

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell'art. 52, quinto comma del D.Lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all'operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 della Costituzione.

Cass. civ. n. 11405/2010

In tema di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita.

L'art. 52, comma 1, D.Lgs. n. 165/2001, che disciplina il mutamento di mansioni nell'ambito del lavoro pubblico privatizzato, ricollega espressamente e formalmente l'equivalenza delle mansioni del pubblico dipendente alla classificazione prevista dai contratti collettivi. Questa nozione di equivalenza "formale", alla quale il giudice è vincolato, è in grado di realizzare la corrispondenza tra mansioni e posto in organico che caratterizza l'ente pubblico - datore di lavoro, tuttora condizionato da vincoli di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria generale.

Cass. civ. n. 10829/2010

Lo svolgimento di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza da parte dei dipendenti della Regione Calabria non ha effetto ai fini dell'inquadramento nella superiore qualifica, dovendosi ritenere abrogate le disposizioni legislative regionali (art. 72 della legge regionale n. 9 del 1975 e art. 1 della legge reg. n. 14 del 1991) che consentono il consolidamento delle mansioni più elevate, ai sensi degli artt. 9, primo comma, e 10, primo comma, della legge n. 62 del 1953, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 29 del 1993 (successivamente confluito nell'art. 1 del D.Lgs. n. 165 del 2001) e dell'art. 56 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998 (poi confluito nell'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001), che hanno elevato a principio fondamentale ai sensi dell'art. 117 Cost. il divieto di avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore in conseguenza dello svolgimento di mansioni superiori.

Cass. civ. n. 7342/2010

In tema di impiego pubblico contrattualizzato, l'art. 24, comma 4, del C.C.N.L. del comparto Ministeri per il quadriennio 1998-2001 - che la Corte di Cassazione può interpretare direttamente ai sensi dell'art. 63, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001 anche nelle clausole che non hanno costituito oggetto di censura da parte del ricorrente - con il quale le parti hanno disciplinato il conferimento delle mansioni immediatamente superiori, non si riferisce all'ipotesi dell'assegnazione delle mansioni dirigenziali a dipendente non in possesso della relativa qualifica, atteso che la previsione pattizia si limita, al comma 1, a fornire una regolamentazione per la sola parte demandata alla contrattazione e, al comma 6, richiama espressamente la disciplina legale per quanto non previsto. Il conferimento delle mansioni dirigenziali a dipendenti non in possesso della relativa qualifica resta, pertanto, regolato dall'art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, con conseguente diritto del lavoratore alla differenza di trattamento economico.

Cass. civ. n. 6733/2010

In materia di pubblico impiego, a capo della segreteria delle Commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra ed invalidità civile è preposto, ai sensi del D.M. del Ministero del Tesoro del 12 maggio 1987, come modificato dal D.M. 5 maggio del 1990, un funzionario "con qualifica non superiore alla VIII''. Ne consegue che al funzionario di VII qualifica preposto a tale Commissione non può essere attribuita, in via giudiziaria, una qualifica superiore, trattandosi di riconoscimento comunque precluso dall'art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 per i rapporti di lavoro alle dipendenze dello Stato.

Cass. civ. n. 4382/2010

Nel pubblico impiego contrattualizzato, il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal sesto comma dell'art. 56 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall'art. 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall'art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, la cui portata retroattiva risulta conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale che ha ritenuto l'applicabilità, anche nel pubblico impiego, dell'art. 36 Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere, con la menzionata disposizione correttiva, una norma in contrasto con i principi costituzionali.

Cass. civ. n. 27887/2009

In materia di pubblico impiego, il dipendente pubblico assegnato, ai sensi dell'art. 52, comma 5, del D.L.vo n. 165 del 2001, allo svolgimento di mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore rispetto a quella posseduta ha diritto, anche in relazione a tali compiti, ad una retribuzione proporzionata e sufficiente secondo le previsioni dell'art. 36 Cost., a condizione che dette mansioni siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate ad esse, dovendosi ritenere estensibile a tale ipotesi la previsione di cui all'art. 2103 c.c. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha ritenuto che, rispetto ad un dipendente del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, avente la nona qualifica professionale di direttore coordinatore ed adibito allo svolgimento di mansioni superiori presso l'Ufficio provinciale di Grosseto di detto Ministero per circa dodici anni, dal 1993 al 2005, andasse riconosciuto il diritto al trattamento economico corrispondente a quello di primo dirigente di fascia B anche per il periodo successivo all'entrata in vigore del D.M. 2 agosto 2000, n. 148 con il quale erano state fissate tutte le posizioni dirigenziali degli uffici periferici, tra le quali non era compresa quella dell'Ufficio occupato dal dipendente).

Cass. civ. n. 17605/2009

In tema di pubblico impiego, il diritto alla differenza di trattamento economico con la qualifica superiore nel caso di esercizio delle relative mansioni, riconosciuto al dipendente dall'art. 52, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001, anche nell'ipotesi in cui l'assegnazione sia nulla perché non assistita dai presupposti di cui al precedente comma 2 dello stesso articolo, sorge quando il provvedimento sia stato adottato - secondo le linee organizzative proprie della specifica amministrazione - dal soggetto titolare del potere di conformare la specifica prestazione lavorativa dei dipendenti, vincolandoli al rispetto delle proprie determinazioni, restando irrilevante al fine di escludere tale diritto che, secondo le regole interne dell'amministrazione datrice, le suddette determinazioni debbano essere successivamente confermate da altro organo della stessa amministrazione.

Cass. civ. n. 13941/2009

Al fine di valutare l'equivalenza delle mansioni, occorre valutare in concreto il contenuto professionale delle mansioni del dipendente allorché le motivazioni addotte dall'ente per giustificare la variazione delle stesse riguardino l'alterazione dei precedenti assetti organizzativi e quindi le caratteristiche strutturali dell'ente - datore di lavoro.

Cass. civ. n. 13597/2009

In tema di impiego pubblico contrattualizzato, l'espletamento di fatto di mansioni dirigenziali da parte di un funzionario è riconducibile all'ipotesi, regolata dall'art. 52, comma 5, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (e già prevista dall'art. 56 del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, nel testo sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, modificato dall'art. 15 del D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387), relativa al conferimento illegittimo di mansioni superiori, con conseguente diritto del prestatore al corrispondente trattamento economico, senza che assumano rilievo le specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale o la diversità di "carriera" tra le funzioni direttive e la dirigenza, dovendosi assicurare al lavoratore una retribuzione proporzionata al lavoro prestato ex art. 36 Cost.

Cass. civ. n. 11835/2009

In materia di pubblico impiego privatizzato, l'art. 52, comma 1, del D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito - attese le perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora condizionato, nell'organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse - un concetto di equivalenza "formale", ancorato alle previsioni della contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e non sindacabile dal giudice. Ove, tuttavia, vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell'attività lavorativa, la vicenda esula dall'ambito delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche nell'ambito del pubblico impiego.

A differenza che nel settore privato, l'equivalenza delle mansioni si deve valutare esclusivamente alla stregua delle previsioni della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita.

Cass. civ. n. 6687/2009

Il diritto del pubblico dipendente, avuto riguardo all'ipotesi del trasferimento, in mancanza di specifiche discipline recate dai contratti collettivi, non può che rapportarsi alla garanzia apprestata dall'art. 2103, primo comma, ultimo periodo, c.c. (che non risulta derogato, per questa parte, dall'art. 52 D.L.vo 31 marzo 2001, n. 165), con la conseguenza che il datore di lavoro non può trasferire il dipendente da un'unità produttiva ad un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. (Principio applicato con riferimento a trasferimento nell'ambito territoriale di una USL in epoca immediatamente successiva alla sottoscrizione del secondo contratto collettivo, dell' 8 giugno 2000, relativo al quadriennio 1998-2001, per l'area della dirigenza medica e veterinaria del SSN, che disciplinava la materia della mobilità volontaria e dei comandi, ma non quella della mobilità interna e dei trasferimenti).

Cass. civ. n. 4367/2009

In tema di lavoro pubblico contrattualizzato, lo svolgimento di mansioni rientranti in una qualifica superiore, pur non avendo effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore, rileva, alle condizioni stabilite dalla legge (da ultimo, art. 52 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165), ai fini della maturazione del diritto alle relative differenze retributive, anche nel caso in cui le mansioni non rientrino nella qualifica immediatamente superiore ma in quelle ulteriori, dovendo essere corrisposta al lavoratore in ogni caso una retribuzione proporzionata al lavoro prestato ex art. 36 Cost.

Cass. civ. n. 2534/2009

L'art. 20 del D.P.R. n. 266 del 1987 (che ha recepito l'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto ministeri), in tema di reggenza da parte del personale appartenente alla nona qualifica funzionale del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, deve essere interpretato, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo in virtù della suddetta specifica norma regolamentare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali. Né la situazione può considerarsi mutata per effetto della nuova classificazione attuata dal C.C.N.L. del comparto ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprendendosi tra le mansioni proprie del profilo relativo alla posizione economica C3 le funzioni di reggenza del ruolo dirigenziale, bensì quella, più limitata, di assunzione temporanea di funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare e dovendosi ritenere, alla stregua dell'interpretazione letterale del contratto, che le parti contrattuali, omettendo l'indicazione della reggenza, hanno inteso scientemente escludere tale figura dalla declaratoria del profilo relativo alla posizione economica C3.

Cass. civ. n. 29827/2008

Le qualifiche funzionali previste per il personale degli enti pubblici non economici sono divenute inapplicabili a seguito della stipulazione - in attuazione dell'art. 72 del D.Lgs. n. 29 del 1993 (successivamente trasfuso nell'art. 69 del D.Lgs. 165 del 2001) - del C.C.N.L. di comparto, le cui disposizioni individuano i nuovi equivalenti profili professionali e ridefiniscono quelli preesistenti nell'ambito delle nuove aree di inquadramento, costituendo la fonte esclusiva per valutare se un dipendente abbia, o meno, svolto mansioni diverse dalla qualifica.

Cass. civ. n. 26295/2008

In tema di lavoro pubblico contrattualizzato e ai fini del riparto della giurisdizione, atteso che le progressioni - secondo disposizioni di legge o di contratto collettivo - all'interno di ciascuna area professionale o categoria, sia comportanti l'acquisizione di posizioni retributive più elevate che di qualifiche superiori, non rientrano nelle procedure concorsuali (art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 165 del 2001) ma nelle procedure che l'amministrazione pone in essere con le capacità e i poteri di diritto privato del datore di lavoro.

Cass. civ. n. 25761/2008

In tema di lavoro pubblico privatizzato e, in particolare, di inquadramento dei segretari comunali, i provvedimenti di conferimento e di revoca dell'inquadramento, ai sensi del D.P.R. n. 465 del 1997, sono atti di autonomia privata espressione della potestà organizzativa e gestionale dei rapporti di lavoro già costituiti, propria del pubblico impiego contrattualizzato, in quanto tali assoggettati ai principi fondamentali del diritto privato e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi, dovendosi escludere la necessità dell'osservanza del procedimento prescritto dalla legge n. 241 del 1990 e l'applicazione dei vizi dell'atto amministrativo. Ne consegue che, ove l'amministrazione ritenga, "re melius perpensa", di ritirare l'illegittima iscrizione nella fascia superiore, il relativo atto non costituisce esercizio di un potere amministrativo di autotutela, inconcepibile rispetto ad atti di diritto privato, ma atto avente mera natura conformativa rispetto all'ordinamento dei pubblici dipendenti contrattualizzati, nel quale vige - ai sensi dell'art. 29 del D.Lgs. n. 29 del 1993 e successive modifiche, poi sostituito dall'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 - il divieto di assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con nullità degli atti di conferimento illegittimi.

Cass. civ. n. 24373/2008

Nell'ambito del rapporto di lavoro pubblico nel settore sanitario, la dirigenza sanitaria è collocata in un ruolo unico, ai sensi dell'art. 15 del D.Lgs. n. 502 del 1992. Ne consegue che l'assegnazione al dirigente di funzioni superiori non consente l'applicazione dell'art. 2103 cod. civ., che non si applica ai dirigenti, né dà luogo a trattamento economico ulteriore, senza che possa essere invocato l'art. 36 Cost., in quanto secondo la contrattazione collettiva la retribuzione di posizione spettante al dirigente remunera in modo pieno ed a un livello soddisfacente il lavoro prestato.

Cass. civ. n. 22932/2008

In tema di reggenza, da parte del personale appartenente alla nona qualifica funzionale, del pubblico ufficio sprovvisto, temporaneamente, del dirigente titolare l'art. 20 del D.P.R. n. 266 del 1987 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dei Ministeri), deve essere interpretato, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo in virtù della suddetta specifica norma regolamentare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali.

Cass. civ. n. 19296/2008

In tema di previdenza integrativa aziendale, benché il regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale impiegatizio dell'INPS - che costituisce atto di normazione secondaria ed è pertanto interpretabile direttamente dalla Cassazione - prevede che le pensioni a carico del Fondo in corso di godimento siano riliquidate, assumendo come base la nuova retribuzione prevista per la qualifica e la posizione in cui l'impiegato si trovava all'atto della cessazione dal servizio, le maggiori competenze spettanti in seguito allo svolgimento di fatto di mansioni superiori (in quanto emolumenti non fissi né continuativi) non possono essere considerate utili e, di conseguenza, non vanno assoggettati a contribuzione.

Cass. civ. n. 15498/2008

Nel rapporto di lavoro c.d. privatizzato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, poiché l'esercizio di fatto di mansioni più elevate rispetto a quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore nella superiore qualifica, la base retributiva dell'indennità di buonuscita, che sia normativamente costituita dalla retribuzione corrispondente all'ultima qualifica legittimamente rivestita dall'interessato all'atto della cessazione del servizio, non è da riferire alla retribuzione corrispondente alla superiore qualifica, bensì a quella corrispondente all'inferiore qualifica di appartenenza.

Cass. civ. n. 12087/2008

Nel lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori a quelle proprie della qualifica ha rilevanza giuridica solo a fini economici mentre, nell'ambito di un concorso per la progressione interna, non è equiparabile, in difetto di previsioni specifiche del bando, al possesso - per un tempo minimo previsto - della qualifica superiore richiesta per la partecipazione al concorso.

Cass. civ. n. 10454/2008

Le regole generali poste dall'art. 52 del D.Lgs. n. 165 del 2001 in tema di disciplina delle mansioni del personale alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni (in base alle quali, soltanto nei casi di legittima assegnazione è riconosciuto il diritto al trattamento della qualifica superiore limitatamente ai periodi di effettiva prestazione, mentre, al di fuori di dette ipotesi l'assegnazione è viziata da nullità, ma al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore) non trovano deroga nella disciplina speciale dettata dal codice di procedura penale (art. 57) e dalle relative disposizioni di attuazione (artt. 5-8) in materia di organizzazione delle sezioni di polizia giudiziaria.

Cass. civ. n. 8740/2008

Al giudice è preclusa una valutazione in concreto dell'equivalenza delle mansioni svolte, non potendo egli prescindere dalle declaratorie contrattuali.

Cass. civ. n. 6986/2008

Alla luce del disposto di cui all'art. 52 del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione, nel rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni vige il principio secondo cui la qualifica dirigenziale presuppone atti formali di inquadramento e non può, quindi, desumersi dalla natura dei compiti assegnati.

Cass. civ. n. 25837/2007

In materia di pubblico impiego contrattualizzato - come si evince anche dall'art. 56, comma 6, del D.Lgs. n. 29 del 1993, nel testo, sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998, ora riprodotto nell'art. 32 del D.Lgs. n. 165 del 2001, l'impiegato cui sono state assegnate, al di fuori dei casi consentiti, mansioni superiori (anche corrispondenti ad una qualifica di due livelli superiori a quella di inquadramento) ha diritto, in conformità alla giurisprudenza della Corte costituzionale (tra le altre, sentenze n. 908 del 1988; n. 57 del 1989; n. 236 del 1992; n. 296 del 1990), ad una retribuzione proporzionata e sufficiente ai sensi dell'art. 36 Cost.; che deve trovare integrale applicazione - senza sbarramenti temporali di alcun genere - pure nel pubblico impiego privatizzato, sempre che le mansioni superiori assegnate siano state svolte, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, nella loro pienezza, e sempre che, in relazione all'attività spiegata, siano stati esercitati i poteri ed assunte le responsabilità correlate a dette superiori mansioni. (Principio di diritto enunciato ai sensi dell'art. 384, primo comma, cod. proc. civ., per la particolare importanza della questione di diritto risolta).

Cass. civ. n. 20899/2007

L'art. 20 del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dei Ministeri), dispone che il personale appartenente alla nona qualifica funzionale espleta, tra l'altro, le funzioni di sostituzione del dirigente in caso di assenza od impedimento, nonché di reggenza dell'ufficio in attesa di destinazione del dirigente titolare; l'interpretazione della norma, nel rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001 ), è nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che la reggenza è consentita, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura. Al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali.

Cass. civ. n. 20170/2007

La violazione, da parte dell'Amministrazione pubblica datrice di lavoro, dell'obbligo di adibire il dipendente alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti (art. 52, comma primo, D.Lgs n. 165 del 2001), va accertata, in concreto, anche mediante l'esame delle disposizioni regolamentari, riguardanti le mansioni originarie e quelle della nuova destinazione, allorché non sia in contestazione che le mansioni effettivamente esercitate siano quelle astrattamente contemplate dalle disposizioni medesime.

Cass. civ. n. 16469/2007

Il profilo lavorativo relativo alla posizione economica C3, contemplata dall'allegato A del C.C.N.L. del Comparto Ministeri del 16 febbraio 1999 - la cui violazione e falsa applicazione è censurabile con ricorso per Cassazione (art. 63, comma 5, del D.Lgs. n. 165 del 2001) - fa espresso riferimento, come caratteristiche professionali di base, a "Lavoratori che, per le specifiche professionalità assumono temporaneamente funzioni dirigenziali in assenza del dirigente titolare", quale ipotesi di portata più limitata delle funzioni di reggenza, sicché - posto che il carattere vicario delle mansioni svolte preclude il diritto del sostituto all'inquadramento nella qualifica superiore del sostituito e lo stesso diritto alla maggiore retribuzione per il periodo della sostituzione, quando le mansioni proprie della qualifica del sostituto comprendano compiti di sostituzione di dipendenti di grado più elevato - deve escludersi (come correttamente ritenuto, nella specie, dal giudice di merito) il riconoscimento del diritto alla maggiore retribuzione dirigenziale in favore di dipendente pubblico, inquadrato nella qualifica della posizione economica C3, che abbia assunto solo temporaneamente funzioni dirigenziali in sostituzione del direttore amministrativo titolare del posto.

Cass. civ. n. 13877/2007

In materia di pubblico impiego, ai sensi dell'art. 56, comma sesto, D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (nel testo sostituito dall'art. 25 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, così come successivamente modificato dall'art. 15 D.Lgs. 29 ottobre 1998, n. 387) deve essere retribuito l'espletamento di mansioni superiori alla qualifica, in ossequio al principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost., applicabile anche al pubblico impiego senza dovere necessariamente tradursi in un rigido automatismo di spettanza al pubblico dipendente del trattamento economico esattamente corrispondente alle mansioni superiori espletate, ma ben potendo risultare diversamente osservato il precetto costituzionale mediante la corresponsione di un compenso aggiuntivo rispetto alla qualifica di appartenenza.

Cons. Stato n. 2496/2007

In materia di retribuibilità delle mansioni superiori, solamente con l'art. 56 del D.Lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito dall'art. 25 D.Lgs. n. 80/1998), è stata regolamentata ex novo la materia, in tal modo attribuendosi al pubblico impiegato le differenze retributive dovute per svolgimento delle mansioni superiori anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni prescritte (con la contestuale attribuzione di responsabilità al Dirigente che ha disposto l’incarico in caso di dolo o colpa grave); detta disciplina, però, in virtù dei continui rinvii (fino all'intervento dell'art. 15 del D.Lgs. n. 387/ 1998 e poi dell'art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001) non è applicabile alle situazioni esauritesi prima del 1998.

Cass. civ. n. 10027/2007

Le specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative di livello dirigenziale e le relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico non escludono di per sé l'applicazione della disciplina inerente lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, anche di livello dirigenziale, da parte di un funzionario. Ne deriva, il diritto al riconoscimento del corrispondente trattamento economico, ai sensi dell'art. 52, comma 5, D.Lgs. 165/2001. Tuttavia, il presupposto per l'attribuzione di tale diritto è, peraltro, determinato dall'effettivo svolgimento di mansioni superiori con riferimento al criterio della prevalenza, valutato sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale. Tali circostanze devono essere pienamente provate dal ricorrente, avendo riguardo alle effettive attività svolte e responsabilità attribuite al medesimo.

Cass. civ. n. 9328/2007

Nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato, la rilevanza delle specifiche caratteristiche delle posizioni organizzative a livello dirigenziale e delle relative attribuzioni regolate dal contratto di incarico non impedisce l'applicazione della disciplina relativa all'esercizio dell'espletamento di fatto di mansioni superiori da parte di un funzionario, con il corrispondente diritto al relativo trattamento economico, ma a tal fine non è sufficiente il provvedimento di incarico, occorrendo invece l'allegazione e la prova della pienezza delle mansioni assegnate, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, in relazione alle concrete attività svolte e alle responsabilità attribuite.

Cass. civ. n. 9130/2007

L'art. 20 del D.P.R. 8 maggio 1987, n. 266 (contenente le norme risultanti dalla disciplina prevista dall'accordo del 26 marzo 1987 concernente il comparto del personale dipendente dei Ministeri), in tema di reggenza da parte del personale appartenente alla nona qualifica funzionale del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare, deve essere interpretato, ai fini del rispetto del canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e dei principi generali di tutela del lavoro (artt. 35 e 36 Cost.; art. 2103 cod. civ. e art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001), nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità ("in attesa della destinazione del dirigente titolare"), con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo in virtù della suddetta specifica norma regolamentare, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura, cosicché, al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni dirigenziali (come correttamente ritenuto nella confermata sentenza impugnata, con riguardo ad una vacanza del posto di primo dirigente dell'ufficio del giudice di pace esistente fin dal 1995 con sopravvenuta nomina di detto dirigente soltanto nell'anno 2000, con relativo riconoscimento in favore della lavoratrice istante della retribuzione correlata all'esercizio di dette mansioni superiori nelle more del lungo intervallo temporale per la copertura del menzionato posto, senza che, peraltro, la situazione si potesse considerare mutata per effetto della nuova classificazione attuata dal C.C.N.L. del comparto ministeri del 16 febbraio 1999, non ricomprendendosi tra le mansioni proprie del profilo relativo alla posizione economica C3 le funzioni di reggenza del ruolo dirigenziale).

Cass. civ. n. 2693/2007

Le progressioni all'interno di ciascuna area professionale o categoria, sia con acquisizione di posizioni più elevate meramente retributive, sia con il conferimento di qualifiche superiori (in relazione al disposto dell'art. 52, comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001), sono affidate a procedure poste in essere dall'Amministrazione con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato, con conseguente attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione ordinaria.

Cons. Stato n. 451/2007

Solo con l'art. 56, D.Lgs. n. 29 del 1993, nel testo sostituito dall'art. 25, D.Lgs. n. 80 del 1998 si è attribuito al lavoratore del settore pubblico le differenze retributive dovute per svolgimento delle mansioni superiori anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni prescritte, con la contestuale attribuzione di responsabilità al Dirigente che ha disposto l'incarico in caso di dolo o colpa grave. L'applicazione di tale disposizione è stata rinviata, tuttavia, finché non è intervenuto l'art. 15 del D.Lgs. n. 387 del 1998 e poi l'art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001: detta nuova disciplina è però inapplicabile alle situazioni esauritesi prima del 1998.

Cass. civ. n. 8529/2006

Nell'ambito del pubblico impiego contrattualizzato, il conferimento di mansioni dirigenziali a un funzionario è illegittimo, ma, ove tali mansioni vengano di fatto svolte con le caratteristiche richieste dalla legge, ovvero con l'attribuzione in modo prevalente sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di tali mansioni, il lavoratore ha comunque diritto al corrispondente trattamento economico.

Corte cost. n. 236/1992

Il principio dell'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso non è incompatibile con il diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente giusta il principio di equa retribuzione sancito dall'art. 36 Cost.

Corte cost. n. 57/1989

L'art. 36 Cost. determina l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente nella misura della quantità del lavoro effettivamente prestato a prescindere dalla eventuale irregolarità dell'atto o dall'assegnazione o meno dell'impiegato a mansioni superiori.

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relative all'articolo 52 TUPI

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R. S. chiede
giovedì 08/06/2023
“Buongiorno, in riferimento alla vostra risposta sul "Quesito Q202333450", devo dire che mi ero già documentato in merito all'articolo 52, comma 1-bis, modificato dal decreto-legge n.80 del 2021, convertito con legge 113 del 2021, però, ovviamente avevo bisogno del parere di un legale per capire meglio.
Leggendo la vostra risposta (Se non ho inteso male), si parla di non obbligatorietà da parte dell'ente nell'utilizzare la sola strada del merito comparativo, l'ente dovrebbe riservare 50% dei posti per gli esterni, di conseguenza, direi che l'altra metà dei posti è riservata agli interni, però le cose non sono andate così, ci sono state solamente selezioni per esterni. Per quanto riguarda i requisiti richiesti, titolo di studio Perito Elettrotecnico e iscrizione all'albo dei periti (requisiti da me non posseduti), però come avevo scritto, posseduti da altri miei colleghi e ugualmente non valutati per merito comparativo, dico questo per far notare che l'ente non ha seguito la strada del merito comparativo a priori, quindi mi chiedo, è stato un modo di procedere lecito? Quindi vorrei capire quanto l'ente procede con correttezza e imparzialità nella valutazione del personale. In sostanza non c'è nessun automatismo che porti un dipendente con ruoli superiori e mansioni di una certa importanza ad essere riconosciuto professionalmente pur avendo tutte le caratteristiche (formazione ed esperienza), in conclusione se non c'è la volontà da parte dell'ente nel riconoscerlo, tutto ciò che viene dato in più, risulta un regalo offerto all'ente, in teoria il dipendente dovrebbe ricoprire solamente il ruolo per cui è stato assunto, ripeto in teoria, perché poi la pratica è molto diversa. Dall’ente ho avuto notizie che il merito comparativo porta ad una ascesa professionale per gradini, facendo un esempio: in una selezione per periti (magari anche con specializzazione elettronica, come da me posseduta), non potrei occupare quel ruolo con procedimento comparativo, ciò corrisponde alla realtà?
Per finire, il riconoscimento dei titoli, l'ente non è obbligato all'inserimento del titolo (Per. Ind.) però se esiste già un primo caso, allora non dovrebbe valere anche per tutti coloro che sono in possesso di tale titolo, non dovrebbe esserci la discriminazione, oppure sbaglio?
Cordiali saluti”
Consulenza legale i 25/06/2023
L’art. 52, comma 1 bis, D. Lgs. 165/2001 prevede tra l’altro che “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonchè sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti”.

Leggendo la norma è chiaro che l’ente non ha l’obbligo di procedere alla selezione interna. Vi è una riserva di almeno il 50% per gli esterni. Ma l’ente nella sua autonomia potrebbe anche prevedere il 100 % di esterni. Quindi, non vi è obbligo per l’ente di procedere alla selezione interna. Peraltro, come rilevato nel precedente parere, non avrebbe potuto selezionare i periti industriali senza iscrizione all’albo, perché l’iscrizione all’albo era requisito per gli esterni, che quindi sarebbe comunque valso anche per le eventuali progressioni interne.

Anche nel caso in cui l’ente decidesse di procedere alla selezione per merito comparativo degli interni, la nuova formulazione dell’articolo 52 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 consente all’amministrazione di prevedere il possesso di requisiti superiori a quelli richiesti per l’accesso dall’esterno. In questo senso, si potrebbero prevedere anche parametri valutativi come il numero e la tipologia degli incarichi rivestiti e il possesso di titoli o competenze professionali o di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso dall’esterno. Tuttavia, le amministrazioni possono programmare il ricorso alla procedura comparativa sulla base delle proprie specifiche esigenze, declinando in autonomia, con propri atti, i titoli e le competenze professionali nonché gli ulteriori titoli di studio ritenuti maggiormente utili. Non essendoci obblighi in tal senso da parte dell’amministrazione, non si può pretendere che la stessa proceda ad una selezione per merito comparativo degli interni.

In poche parole, la regola è la selezione dall’esterno. Il limite è posto per gli avanzamenti interni e non viceversa. Non esiste una percentuale di posti che l’amministrazione sia tenuta a riservare per legge al personale interno.

Gli avanzamenti per merito comparativo sono, quindi, possibili, ma non sono un obbligo per l’ente.

Nel caso in cui l’ente intendesse procedere ad una selezione per periti (senza necessità di iscrizione all’albo) e in tale occasione decidesse di procedere per una percentuale dei posti (per legge inferiore al 50%) ad una selezione per merito comparativo interno, allora il titolo in parola dovrebbe essere preso in considerazione, tenendo conto anche degli eventuali criteri ulteriori stabiliti dall’ente.

Per quanto riguarda il titolo di perito, si ribadisce quanto affermato nel precedente parere: non esiste alcuna norma che imponga l’utilizzo di un titolo da parte dell’azienda o dell’ente. L

Nel caso in cui due dipendenti, entrambi perito industriale senza iscrizione all’albo, subissero un trattamento differente quanto al titolo, la questione potrebbe assumere valore (peraltro, marginale) nell’ambito di una più ampia situazione di discriminazione e eventuale “mobbing”. Una situazione in cui, per esempio, l’omissione del titolo rafforzi il trattamento discriminatorio subito dal dipendente o sia parte della serie di comportamenti aggressivi e persecutori posti in essere sul luogo di lavoro, al fine di colpire ed emarginare la persona che ne è vittima.

Nel caso di specie, per quanto risulta, non vi sono le condizioni per parlare né di discriminazione, né di mobbing.

R. S. chiede
martedì 25/04/2023
“Buongiorno, il mio problema è il seguente:
Lavoro in un consorzio di bonifica, sono entrato nel 2012 tramite delle selezioni avviate dai Cpi di zona, con contratti a tempo determinato con qualifica di elettricista, titolo di studio richiesto scuola dell’obbligo (il mio titolo di studio è di Perito elettronico), questa procedura si è ripetuta per 10 anni (a parte gli anni 2014 e 2015 che mi hanno escluso ingiustamente, ma questa è un’altra storia). A inizio del 2022 c’è stata la stabilizzazione, quindi sono passato a un contratto a tempo indeterminato, poco dopo la stabilizzazione l’ente ha indetto un concorso aperto agli esterni per la selezione di periti elettrotecnici, io essendo perito elettronico e non iscritto all’albo dei periti (requisito richiesto), non ho potuto partecipare, le persone che sono state selezionate hanno un inquadramento superiore al mio. Poco tempo fa ho richiesto un incontro con il direttore dell’ente per presentare la mia situazione, pur essendo entrato come elettricista nel corso degli anni lavorati con l’ente (ricordo 10 anni) ho comunque messo a disposizione dell’ente il mio “Curriculum”, quindi formazione e conoscenze come perito elettronico e l’esperienza lavorativa precedente pluriennale come tecnico nell’ambito dell’automazione industriale, ruolo che è molto importante è necessario nell’ente, in sostanza il mio operato come tecnico dell’automazione viene utilizzato con molta comodità (perché non c’è nessun’altro con tali conoscenze ed esperienza), però non viene riconosciuto. Il confronto con il direttore ha messo in evidenza posizioni molto rigide della direzione, non c’è il riconoscimento del merito e delle competenze ma del diritto acquisito a prescindere, ho fatto presente che comunque il mio titolo di studio è un titolo rilasciato da una scuola pubblica è un titolo che nello stato italiano viene riconosciuto come tale e l’ente dovrebbe tenere in considerazione soprattutto dopo 10 anni di lavoro con l’ente, quindi conoscendo bene anche le mie capacità lavorative. Dal giorno il direttore, in alcune occasioni di riunioni aziendali ha sempre messo in evidenza che le persone entrate con il concorso erano i periti industriali, facendo capire che gli altri pur avendo il titolo non venivano riconosciuti come tali, una volta in particolare mentre il direttore presentava i nuovi colleghi periti, un altro collega aveva fatto notare che c’erano presenti anche altri periti industriali (la cosa aveva messo a disagio il direttore).
Ora dopo questo racconto vorrei porre i seguenti quesiti, l’ente prima di indire un concorso aperto agli esterni non doveva fare una selezione delle persone interne con tali requisiti (come perito industriale non ci sono solo io, ci sono anche altri con altra specializzazione, come quella richiesta), i nuovi assunti (periti elettrotecnici) vengono chiamati Impiegati Tecnici anteponendo al nome la sigla P.I. (Per. Ind.), tale sigla non spetta alle persone che hanno quel titolo di studio a prescindere dal concorso indetto dall’ente, perché titolo di studio viene dato dalla scuola e non dall’ente? Risulto inquadrato dall’ente semplicemente come Elettricista, posso pretendere la sigla Per. Ind. pur avendo quell’inquadramento?
(Devo ammettere che la vicenda sta diventando una questione di principio e soprattutto di rispetto nei confronti della persona)
Grazie.”
Consulenza legale i 27/05/2023
Secondo gli artt. 1 e 2 della L. 17/1990, il titolo di perito industriale va a coloro che abbiano conseguito lo specifico diploma negli istituti tecnici.
Chi tra questi vuole esercitare poi la libera professione deve superare un apposito esame di Stato, la cosiddetta abilitazione professionale, per poi iscriversi all’albo professionale.
Ai sensi dell'art. 172 del regio decreto 31 agosto 1933, n. 1592, recante "Approvazione del testo unico delle leggi sull'istruzione superiore", le lauree e i diplomi conferiti dalle Università e dagli Istituti superiori hanno esclusivamente valore di qualifiche accademiche. L'abilitazione all'esercizio professionale è conferita in seguito ad esami di Stato.
Nel caso di specie, in cui si è conseguito il diploma nell’istituto tecnico, ma non l’abilitazione professionale, non sarebbe illegittimo fregiarsi del titolo di perito industriale, che effettivamente si possiede secondo la legge.
D’altro canto, non esiste alcuna norma che imponga al datore di lavoro di utilizzare il titolo nei confronti dei dipendenti. Quindi, non è possibile pretendere che venga anteposta la sigla Per. Ind. al proprio nome.


Per quanto riguarda la progressione di carriera, nel rapporto di pubblico impiego, anche nel caso in cui il dipendente svolga mansioni superiori, tale esercizio in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica, ciò in quanto la costituzione italiana impone il pubblico concorso per tutte le progressioni di carriera (art. 97 Cost.). Inoltre, la legge non consente di indire un concorso riservato interamente agli interni. Anzi, l’art. 52, comma 1- bis, D. Lgs. 165/2001, prevede una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all'accesso dall'esterno. Per gli interni è previsto che “le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull'assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l'accesso all'area dall'esterno, nonchè sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti”.
Quindi, da un lato l’ente non avrebbe avuto comunque l’obbligo di procedere ad una selezione interna, dall’altro non avrebbe potuto selezionare i periti industriali senza iscrizione all’albo, perché l’iscrizione all’albo era requisito per gli esterni, che quindi sarebbe comunque valso anche per le eventuali progressioni interne.


P. S. chiede
mercoledì 02/02/2022 - Lazio
“Salve, sono dipendente dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, oggi, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dal dicembre 1992. Sono entrato in servizio con la qualifica di collaboratore amministrativo 6° livello dopo concorso pubblioco. In data 2/3/2004 mi sono state riconosciute mansioni superiori corrispondenti al profilo professionale di collaboratore capo (7° livello) con decorrenza 6/11/1998.
In data 26/5/2006, le suddette funzioni mi sono state revocate con motivazione "nell'ambito del nuovo assetto organizzativo delineatosi anche a seguito delle procedure concorsuali di riqualificazione del personale, sono venute meno le condizioni per far proseguire nell'esercizio di compiti superiori i dipendenti ai quali sono state formalmente attribuite.
Preciso che le procedure concorsuali di riqualificazione del personale ivi citate corrispondono a due concorsi esterni per l'accesso alla 7° e 8° qualifica funzionale banditi negli anni 2003 e 2004, procedure a cui io non ho potuto partecipare perchè era richiesto il diploma di laurea.
Chiedo se sia possibile per me chiedere che mi venga riconosciuto, (anche non ex ante ma alla data odierna) l'inquadramento nel livello superiore (7° livello) che ad oggi corrisponderebbe alla Area terza - posizione economica F1 del contratto Agenzie Fiscali a cui appartengo. Chiedo altresì se il mio eventuale diritto sia oggi prescritto.
Grazie”
Consulenza legale i 09/02/2022
Nel rapporto di pubblico impiego, se il dipendente svolge delle mansioni superiori, tale esercizio “in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica”: ciò vuol dire che l’esercizio di mansioni superiori da parte del pubblico impiegato non ha come naturale conseguenza il diritto alla promozione automatica ad una nuova categoria lavorativa, ma solo quello alla retribuzione corrispondente. Questo avviene perché la Costituzione Italiana impone il pubblico concorso per tutti gli avanzamenti di carriera nel pubblico impiego (Art. 97 Cost.). La materia è compiutamente regolata dall’art. 52 del Testo Unico sul Pubblico Impiego.

Pertanto, l’attribuzione a mansioni superiori nel periodo dal 1998 al 2006 dovrebbe aver determinato solamente il diritto a maggiori retribuzioni per il periodo di riferimento.
Peraltro, successivamente le mansioni sono state ufficialmente revocate e, quindi, il lavoratore non potrebbe neppure richiedere le eventuali maggiori retribuzioni, in quanto non ha più effettivamente svolto tali funzioni.

Il diritto del lavoratore subordinato alla qualifica superiore si prescrive nell'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 cod. civ., mentre quello per il credito derivante dalle differenze retributive spettanti per la superiore qualifica è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 cod. civ.
In ogni caso, quindi, entrambi i termini sarebbero ormai spirati.


U.P. chiede
venerdì 15/10/2021 - Sardegna
“Un direttore di struttura complessa in ambito sanitario ha diritto al riconoscimento delle differenze retributive per aver svolto in un determinato periodo anche le funzioni di Direttore Sanitario dello stesso Ente?”
Consulenza legale i 22/10/2021
Per rispondere al quesito è necessario richiamare l’art. 52, d.lgs. n. 165/2001, che sancisce il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni "per le quali è stato assunto o alle mansioni equivalenti nell'ambito dell'area di inquadramento ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto delle procedure selettive di cui all'articolo 35 comma 1, lettera a)".

Il comma 2 dell’art. 52 d.lgs 165/2001 consente l’assegnazione al dipendente pubblico di “mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore” solo in due ipotesi, ovvero in caso di vacanza del posto in organico (per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti) e di sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto (con esclusione dell’assenza per ferie) per la durata dell’assenza.

Trattasi di ipotesi che hanno ad oggetto esclusivamente l’assegnazione di mansioni proprie della qualifica “immediatamente superiore” e disposte per obiettive esigenze di servizio, la cui conseguenza è il riconoscimento del diritto, sancito dal comma 4 dell’art. 52, del dipendente pubblico a percepire per tutta la durata dell’assegnazione il trattamento economico previsto per la qualifica superiore. Tuttavia, affinchè si realizzino dette conseguenze economiche, deve ricorrere anche la condizione prevista dal comma 3, secondo cui “si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l’attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni”.

L’art. 52 comma 5 d.lgs n. 165/2001 prende in considerazione l’ipotesi di assegnazione di “mansioni proprie di una qualifica superiore” al di fuori delle condizioni previste dai commi 2, 3, 4, per sancire da un lato la nullità di detta assegnazione, con conseguente personale responsabilità del dirigente che ha disposto l’assegnazione che abbia agito con dolo o colpa grave, e dall’altro il diritto del lavoratore a percepire la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore (“Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l’assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave”).

Secondo la Cassazione il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell’art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all’operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all’intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all’art. 36 Cost. (Cassazione civile sez. VI, 24/01/2019, n.2102).

Tuttavia, per quanto riguarda i dirigenti, la Cassazione (ordinanza n. 28030/2018), rigettando il ricorso di un dirigente medico che chiedeva il pagamento delle differenze retributive avendo svolto mansioni di incarico sostitutivo di responsabile di struttura complessa, ribadisce, tra le altre varie e importanti argomentazioni, il seguente principio di diritto: “la sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale ai sensi dell’art. 18 del ccnl dirigenza medica e veterinaria dell’8 giugno 2000, non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 c.c. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità c.d. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost. (Cass. nn. 16299/2015 e negli stessi termini Cass. n. 15577/2015, n. 584/2016, n. 9879/2017)”.
Proseguono i giudici dicendo inoltre che l’esegesi del quadro normativo e contrattuale non consente di estendere ai dirigenti in generale, ed alla dirigenza medica in particolare, norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale.

Nel caso di specie, pertanto, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, non dovrebbero spettare differenze retributive.



Amedeo A. chiede
sabato 27/05/2017 - Campania
“Salve, sono un professore universitario nel ruolo degli ordinari. Sono stato assunto dalla mia Università quale ordinario a seguito di valutazione comparativa. Precedentemente ricoprivo il ruolo di professore associato presso la stessa Università. Il problema è che detta valutazione comparativa è stata impugnata da un collega, che lamenta una serie di errori commessi dalla commissione valutatrice. Fra giorni il TAR si pronuncerà al riguardo. Ho dei grossi timori in quanto, laddove il TAR dovesse accogliere le doglianze del ricorrente, la sentenza diverrebbe immediatamente esecutiva, annullando tutti gli atti, ivi compresa la mia assunzione in servizio quale ordinario. In questo caso correrei il rischio di perdere il posto di lavoro, non avendo automaticamente diritto - così mi è stato detto - al reintegro nella posizione precedente (professore associato). desideravo appunto chiedervi un parere legale in merito. Grazie”
Consulenza legale i 05/06/2017
La soluzione del problema che si sottopone all’esame sta nella esatta qualificazione giuridica che deve essere data al passaggio dal ruolo di professore associato a quello di professore ordinario di una stessa Università.

Infatti, sin dall’introduzione del DPR 382/1980, si è discusso se tale passaggio debba considerarsi come normale progressione di carriera piuttosto che come nuova assunzione.

Ora, da un punto di vista sostanziale risulta evidente che un professore associato che supera un concorso a professore ordinario bandito dallo stesso ateneo di appartenenza e che viene assunto come tale, continuerà in effetti a svolgere esattamente le stesse funzioni sia dal punto di vista didattico che di ricerca, con l’unica differenza che ha avuto un riconoscimento ufficiale della sua maggiore maturità scientifica, circostanza da cui è conseguito un avanzamento di carriera.

Altra corrente di pensiero, invece, osserva che da un punto di vista formale si tratta di due ruoli diversi, definiti come tali e con organici diversi dal DPR 382/1980, con regole ben precise circa i servizi riconoscibili nel passare da un ruolo all’altro.

Si ritiene preferibile la prima tesi, la quale trova conferma sia nello stesso dato legislativo che nella giurisprudenza amministrativa.
Sotto il profilo normativo, si ritiene che un valido argomento possa rinvenirsi nell’art. 36 del D.P.R. 382/1980 il quale, nel disciplinare la progressione economica nel ruolo dei professori universitari, dispone che tale ruolo è articolato nelle due fasce dei professori ordinari e dei professori associati, il che lascia chiaramente intendere che il ruolo sia unico e che la differenza attenga solo alla fascia retributiva (in particolare si parla di prima fascia per i professori ordinari e di seconda fascia per gli associati).

In giurisprudenza, invece, si è espresso in favore della unicità di ruolo il TAR della Puglia (Sentenza n. 573, Sezione Prima (Bari), depositata il 16 Marzo 2012), il quale, con particolare riferimento al blocco delle assunzioni ed al passaggio di un ricercatore al ruolo di professore associato, ha sancito che tale passaggio si palesa come normale progressione di carriera e come tale non poteva farsi rientrare nel blocco delle assunzioni.
Tale sentenza si rifà ad una precedente decisione del Consiglio di Stato (la sentenza n. 2217/2010), nella quale si ribadisce l’orientamento secondo cui si tratta di passaggio di livello, pur se all’esito di procedure concorsuali, di personale già in organico.

Ultimo aspetto da esaminare è la disciplina contenuta nel Contratto Collettivo Nazionale di lavoro relativo al personale del Comparto Università per il quadriennio Normativo 2006-2009 e il biennio economico 2006-2007.
In particolare, esaminando quali possano essere le cause di estinzione del rapporto di lavoro, l’art. 41 del suddetto contratto non menziona il passaggio alla categoria superiore, disponendo soltanto che la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, superato il periodo di prova, può aver luogo per sopraggiunti limiti di età, dimissioni volontarie e decesso del dipendente.

Il successivo art. 80, invece, disciplinante la materia delle progressioni verticali, prevede che i dipendenti che vengano inquadrati nella categoria immediatamente superiore a seguito delle procedure selettive indette ai sensi del presente articolo non sono soggetti al periodo di prova, il che lascia chiaramente intendere che non si tratta di passaggio ad altro ruolo, ma soltanto, come detto all’inizio, di una semplice progressione di carriera (se si trattasse di ruolo diverso, sarebbe necessario espletare nuovamente il periodo di prova).

Sulla base di quanto sopra dedotto, dunque, non si ritiene che possano esservi motivi per temere che, a seguito di un eventuale annullamento della nomina a professore ordinario, possa conseguire il venir meno della qualifica di professore associato, trattandosi di posizione lavorativa assunta a seguito di ordinario concorso, e per la quale non si è verificata alcuna causa di cessazione del rapporto di lavoro (ovviamente, nell’asserire ciò, si dà per presupposto che, nell’assumere la qualifica di professore ordinario, non sia stata posto in essere alcun atto di dimissioni volontarie dal ruolo di professore associato).

N. C. chiede
martedì 12/07/2022 - Calabria
“Sono un ingegnere dirigente che lavora nella pubblica amministrazione cioè nel dipartimento vigili del fuoco Un decreto del capo dipartimento stabilisce la mie funzioni/compiti e la mia responsabilità diretta nello svolgerle. Sono stato assegnato con provvedimento ministeriale ad un incarico di "Vicario" del dirigente superiore di una sede provinciale Il dirigente superiore che dirige l'ufficio ignorando volontariamente il decreto del capo dipartimento ha emesso una disposizione di servizio con cui mi affida uno ed un solo compito diverso da quelli stabiliti nel decreto per i quali mi tiene costantemente fuori avendo dato ai vari responsabili dei settori disposizioni orali in tal senso.
Più volte sollecitato il dirigente superiore diversamente da quanto fatto con i miei predecessori mi ha detto che il compito affidatomi basta ed avanza avendo acquisito informazioni orali sulle mie capacita' lavorative In conclusione sono sette mesi che mi vine impedito formalmente e di fatto di esercitare le mie funzioni Chiedo di sapere se tale fattispecie si può inquadrare come violazione dei precetti dell'art. 21 della Legge 183/2010, ovvero simil mobbing, discriminazione e demansionamento... ed ogni altra vostra cortese indicazione al proposito
Grazie”
Consulenza legale i 19/07/2022
Per demansionamento si intende l’attribuzione al dipendente di mansioni inferiori rispetto a quelle per le quali è stato assunto o che ha svolto precedentemente.

In tal caso, da un lato il lavoratore può chiedere di essere assegnato alle mansioni per le quali è stato assunto o equivalenti alle ultime effettivamente svolte.

Per far valere questo diritto è importante che la variazione delle mansioni comporti uno svilimento della professionalità del lavoratore e non consista in una semplice variazione di mansioni ma comunque nell’ambito di quelle proprie della funzione ricoperta. In quest’ultimo caso, infatti, la variazione rientrerebbe nelle scelte discrezionali e organizzative della P.A.

In altre parole, si deve provare che la professionalità del lavoratore sia svilita da tale modifica di mansioni.

Legato a tale diritto vi può essere anche una pretesa risarcitoria.

E’ consolidato in giurisprudenza, infatti, il principio che riconosce la risarcibilità del danno esistenziale – inteso come nozione descrittiva di un tipo di pregiudizio costituito dalla sofferenza soggettiva non accompagnato da riflessi di ordine economico, quindi riconducibile all’ampia categoria del danno non patrimoniale (Cass., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972) – provocato dall’illegittimo demansionamento o dequalificazione, ossia dal comportamento datoriale che violi il diritto del lavoratore all’esecuzione delle prestazioni lavorative per le quali è stato assunto ovvero equivalenti alle ultime effettivamente svolte (cfr., ex multis, Cass., 14 luglio 2006, n. 14729).

La violazione di tale obbligo datoriale è fonte di responsabilità risarcitoria, anche laddove non sussista uno specifico intento di svilire o punire il dipendente, poiché integra una violazione del diritto costituzionalmente garantito al lavoro, non nella dimensione di mera fonte di reddito, ma in quella di strumento di estrinsecazione della personalità individuale attraverso l’esercizio della professionalità lavorativa.

Fermo restando che, per consentire la tutela risarcitoria, il pregiudizio subito dal lavoratore deve essere serio, comportando l’effettiva perdita delle mansioni e dei compiti più qualificanti propri della qualifica, con conseguente depauperamento del patrimonio professionale e della dignità lavorativa (Cass., 7 dicembre 2010, n. 24794).

Anche nell’ambito del pubblico impiego, peraltro, esistono puntuali precedenti giurisprudenziali che affermano la responsabilità risarcitoria dell’amministrazione nei casi di demansionamento provocati dall’attribuzione di mansioni inferiori non rientranti nella qualifica di appartenenza (cfr., ad es., T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 5 aprile 2012, n. 3151).
Nel caso di specie, pertanto, è necessario innanzitutto dimostrare che i compiti a cui è stato assegnato il dirigente non rientrino nella qualifica di appartenenza.
Si dovrebbe provare di essere stati assegnati a mansioni di rilievo inferiore e dequalificante.

Il T.A.R. Liguria con sentenza del 24 gennaio 2013 n. 157, in un caso riguardante i vigili del fuoco, ha affermato che “La privazione dei compiti del lavoratore, sostituiti con altri per nulla corrispondenti alla sua professionalità e allo status che gli competeva nell’organico dei vigili del fuoco, si qualifica, quindi, come risultato di un comportamento difforme dai canoni di corretto esercizio del potere datoriale e, considerando l’obiettiva gravità del demansionamento, espone l’amministrazione al risarcimento del pregiudizio cagionato al lavoratore”.

Tuttavia, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale e come riportato anche dal T.A.R. Liguria, il danno non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, ma richiede una specifica allegazione da parte del ricorrente (Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572).

Sempre nella sentenza del T.A.R. Liguria citata, l’onere è stato ritenuto assolto allegando il carattere oggettivamente dequalificante delle mansioni assegnate, la perdita del prestigio che le precedenti funzion iassicuravano nel contesto lavorativo nel quale era chiamato ad operare il ricorrente, i trasferimento della sede di servizio che, oltre ai connessi disagi materiali, ha concorso a rendere conoscibile all’interno dell’ambiente di lavoro e nell’intera comunità locale la dequalificazione operata nei suoi confronti.

Tali allegazioni hanno fornito una sufficiente dimostrazione del pregiudizio morale subito dal lavoratore e dell’alterazione dei suoi assetti relazionali, da ricondursi con immediata evidenza e in modo esclusivo alle

Sui presupposti di applicabilità del mobbing nel pubblico impiego si è pronunciata la Cassazione, Sez. Lavoro, n. 2142/2017, affermando che “Anche nel pubblico impiego privatizzato, al fine di configurare, nel loro concorso, il mobbing lavorativo, devono ricorrere i seguenti elementi:
a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
b) l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi”.

Tale interpretazione è stata ribadita recentemente anche dal T.A.R. Lazio, Sez. 1 Bis, 21 luglio 2021, n. 8721, proprio con riferimento ai Vigili del Fuoco.

Nel caso oggetto del presente parere bisognerà dimostrare che effettivamente siano stati sottratti compiti relativi alla specifica professionalità acquisita dal lavoratore.
Ciò tuttavia non sarebbe sufficiente e, se si dovesse intentare una causa per mobbing, il lavoratore dovrebbe dimostrare la presenza di tutti gli elementi di cui alla citata sentenza: i comportamenti di carattere persecutorio, l’evento lesivo della salute psicofisica e/o della dignità del lavoratore, il nesso eziologico tra le condotte persecutorie e il pregiudizio al lavoratore, l’elemento soggettivo dell’intento persecutorio del datore di lavoro. Tutti elementi che, in base a quanto riportato nella richiesta di parere, non si rinvengono nel caso di specie.


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