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Articolo 97 Costituzione

[Aggiornato al 22/10/2023]

Dispositivo dell'art. 97 Costituzione

(1) Le pubbliche amministrazioni (2), in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (3).

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Note

(1) Si veda anche l'art. 18, comma 4 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modifiche, nella l. 7 agosto 2012, n. 134 il quale sancisce che le disposizioni contenute nell'articolo stesso attuano i principi di cui alla norma costituzionale in commento e stabilisce il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni vi si adeguano.
(2) La disposizione si riferisce al concetto di pubblica amministrazione in senso soggettivo intesa, cioè, quale insieme degli apparati (uffici, organi ecc.) cui è demandata la funzione di soddisfare gli interessi della collettività. Quest'ultima, a sua volta, esprime il profilo oggettivo della nozione. In senso soggettivo la P.A. consta di apparati sia statali (i ministeri) che locali nonchè di soggetti che solo indirettamente le fanno capo, come gli enti pubblici o le autorità indipendenti.
(3) Comma inserito dall'art. 2 della L.Cost. 20 aprile 2012, n. 1. Ai sensi dell'art. 6 della stessa legge queste disposizioni si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014. La disposizione sancisce che anche le amministrazioni locali devono garantire il pareggio di bilancio. La riforma è intervenuta anche su altre disposizioni ed ha sancito, all'art. 81 Cost., il principio generale del vincolo di bilancio. Si vedano, inoltre, gli articoli 117 e 119 della Costituzione. In attuazione dei menzionati principi sono stati emanati gli art. 3 e 4 l. 24 dicembre 2012, n. 243. Si consideri, inoltre, che l'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea ha inciso anche su altri profili del diritto amministrativo (introducendo principi quale quello del legittimo affidamento, di trasparenza dell'azione amministrativa ecc.). La stessa Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea sancisce all'art. 41 il diritto dei cittadini ad una buona amministrazione.

Ratio Legis

Il primo comma è stato introdotto a causa dell'appartenenza dell'Italia all'unione Europea e deve essere letto in uno al disposto di cui all'art. 81 della Costituzione.
Poichè la pubblica amministrazione regola, appunto, l'amministrazione della cosa pubblica, cioè di tutti, è necessario che essa si regga sui principi di imparzialità e buona andamento. Postulati di tali principi sono l'organizzazione dell'operato dei funzionari (comma 3) e la regola dell'accesso al pubblico impiego per concorso (comma 4).

Spiegazione dell'art. 97 Costituzione

La Pubblica Amministrazione rappresenta l'insieme degli organi preposti allo svolgimento dell'attività amministrativa.

Per comprendere appieno la natura di tale attività, bisogna tener conto dei contenuti fondamentali che differenziano gli atti politici dagli atti amministrativi. A causa del fondamentale principio di separazione tra politica ed amministrazione, da un lato gli organi di governo esercitano la funzione di indirizzo politico al fine di attuare armonicamente i compiti dello Stato, ponendo obiettivi e selezionando i metodi ed i strumenti per realizzarli, dall'altro lato i dirigenti amministrativi mettono in pratica i contenuti dell'indirizzo politico, adottando atti e provvedimenti che incidono concretamente negli ambiti loro assegnati.

La coesione tra ambito politico ed amministrativo si realizza in vari modi, soprattutto tramite direttive, le quali fissano i criteri ed i principi di gestione ed indicano gli standards che i dirigenti sono tenuti a rispettare.

La norma in esame, oltre a sancire il principio secondo cui le PP.AA. Assicurano l'equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito pubblico anche in coerenza con l'ordinamento comunitario, cristallizza una serie di principi base dell'attività amministrativa.

Innanzitutto, il principio di legalità che garantisce che l'organizzazione degli uffici pubblici deve essere disciplinata dalla dalla legge e, in generale, che l'attività amministrativa deve avere fondamento nella legge (si vedano anche gli articoli 100, comma 2, 125, 113, 24, 28 e 98 Cost.).

Il principio di buon andamento che si articola in quelli di efficacia (capacità di raggiungere gli obbiettivi), efficienza (miglior rapporto tra risorse e risultati) ed economicità (miglior rapporto tra il costo di risorse e mezzi e gli obiettivi).

Infine, il principio di imparzialità comporta sia il dovere di tenere in considerazione tutti gli interessi (privati e pubblici) che vengono in rilievo sia quello di porli sullo stesso piano senza preferire o trascurare alcuno di essi. Oltre alla disposizione in esame la legge ordinaria contempla altri principi che si impongono alla P.A. (si veda, in particolare, la Legge sul procedimento amministrativo).

L'ultimo comma stabilisce inoltre che ai pubblici impieghi si accede mediante concorso, salvo casi eccezionali (come le norme in tema di collocamento obbligatorio di persone disabili).

Relazione al Progetto della Costituzione

(Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, 1947)

97 Brevi sono gli accenni, per la pubblica amministrazione, al buon andamento ed alla sua imparzialità. Un testo di costituzione non poteva dire di più; ma si avverte da tutti il bisogno che il Paese sia bene amministrato, che lo Stato non sia solo un essere politico, ma anche un buon amministratore secondo convenienza e secondo giustizia. E si sente la tacita invocazione ad una riforma profonda e semplificatrice.

Massime relative all'art. 97 Costituzione

Corte cost. n. 151/2021

Con la sentenza n. 151/2021 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile una questione di costituzionalità dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui non prevede un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio mediante l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione o dell’ordinanza di archiviazione degli atti. L’ordinanza del giudice a quo lamentava l’incompatibilità di questa previsione con gli artt. 3, 97 e 117, primo comma, Cost.: il fatto che l’autorità competente possa emettere il provvedimento sanzionatorio anche a notevole distanza di tempo dall’accertamento dell’illecito e dalle deduzioni difensive dell’incolpato darebbe luogo a un contrasto coi principi d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, oltre che con la tutela del legittimo affidamento e col principio di eguaglianza. Né; aggiunge il giudice rimettente, si potrebbe pensare di applicare l’art. 2 della legge n. 241/1990 per soddisfare l’esigenza di certezza dei rapporti giuridici.

La Corte osserva che il procedimento sanzionatorio regolato dalla legge n. 689/1981 si articola in due fasi distinte: la prima è deputata all’acquisizione di elementi istruttori, mentre la seconda ha natura in senso lato contenziosa e decisoria. Nella prima fase, l’art. 14 della legge n. 689/1981 prevede che la contestazione dell’illecito debba essere effettuata entro 360 giorni dall’accertamento. Per contro, il legislatore non ha previsto un termine per la conclusione della fase decisoria; residua, volendo, solo il termine di prescrizione quinquennale del diritto alla riscossione delle somme dovute per le violazioni amministrative, previsto all’art. 28 della medesima legge. La Corte rileva inoltre che in alcune normative settoriali il legislatore ha previsto sia un termine prescrizionale sia un termine decadenziale, entro il quale dev’essere emesso il provvedimento sanzionatorio; talora, poi, è la stessa autorità competente a determinare in via regolamentare un termine per la conclusione del procedimento sanzionatorio.
Il tema della certezza – intesa come prevedibilità temporale delle conseguenze dell’esercizio dei pubblici poteri – assume una valenza peculiare nel procedimento sanzionatorio, tale da distinguerlo dal procedimento amministrativo generale. Come si può desumere dalla giurisprudenza costituzionale, in materia di sanzioni amministrative il principio di legalità impone non solo la predeterminazione legislativa di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta, della tipologia e misura della sanzione e della struttura di eventuali cause esimenti, ma deve definire anche la formazione procedimentale del provvedimento, anche con riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere. Si tratta di tutelare l’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, ma anche l’esercizio effettivo del diritto di difesa, che richiede che la conclusione del procedimento non risulti distante nel tempo dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito.
A fronte di queste considerazioni, la sola previsione di un termine di prescrizione del diritto alla riscossione delle somme dovute per le violazioni amministrative si ripercuote negativamente sull’esigenza di contenere nel tempo il protrarsi della situazione d’incertezza connessa alla contestazione di un illecito amministrativo.
La questione di costituzionalità risulta inammissibile in mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata: l’omissione legislativa denunciata dal giudice rimettente, che ha correttamente rilevato l’esistenza di un ingiustificato privilegio dell’autorità titolare della potestà punitiva, non può essere sanata dal giudice delle leggi, ma presuppone una valutazione – “ineludibile” e necessariamente “tempestiva” – che può essere compiuta soltanto dal legislatore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 97 Costituzione

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Anonimo chiede
giovedì 09/11/2023
“Buongiorno,
la mia compagna è alla 35 settimana di gestazione. Per l'epoca del parto è stato fissato il colloquio di un bando di selezione pubblica per titoli e colloquio emanato da un' azienda ospedaliera pubblica. Vorremmo conoscere - dato che nel bando specifico non si fa menzione a tale ipotesi - se sussistono delle norme che ammettono la possibilità di richiedere una posticipazione o riinvio della prova di esame. Siamo a conoscenza che esistono delle sentenze del tar favorevoli ma volevamo sapere se esistono, a prescindere dalla possibilità di adire a concorso, delle norme da citare eventualmente nella richiesta di posticipazione della prova.”
Consulenza legale i 17/11/2023
Oltre ai principi generali di cui agli art. 31 e 37 della Costituzione, si potrebbe citare l’art. 7, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487 (concernente norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi), prevede che “Le amministrazioni assicurano la partecipazione alle prove, senza pregiudizio alcuno, alle candidate che risultino impossibilitate al rispetto del calendario previsto dal bando a causa dello stato di gravidanza o allattamento, anche attraverso lo svolgimento di prove asincrone e, in ogni caso, la disponibilità di appositi spazi per consentire l'allattamento. In nessun caso il ricorrere di tali condizioni può compromettere la partecipazione al concorso. A tal fine i bandi di concorso prevedono specifiche misure di carattere organizzativo e modalità di comunicazione preventiva da parte di chi ne abbia interesse. Per l'ammissione ad eventuali prove fisiche le amministrazioni possono richiedere la produzione di certificazione sanitaria attestante l'idoneità del candidato al loro svolgimento”.



Antonio S. chiede
sabato 19/03/2016 - Puglia
“Quesito: Il CCNL 6.8.2000 dell'Area della Dirigenza Sanitaria Professionale ecc. del Servizio Sanitario Nazionale , parte normativa quadriennio 1998- 2001 e parte economica biennio 1998-1999, all'art.18 (Sostituzioni) dopo aver trattato ai commi 1.2.3. i casi di sostituzione del dirigente apicale di struttura ospedaliera (struttura dipartimentale, struttura complessa, struttura semplice) per assenza per ferie o malattia o altro impedimento del direttore, ad opera di altro dirigente della struttura stessa, recita: A) al comma 4. " nel caso che l'assenza sia determinata dalla cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, la sostituzione è consentita per il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure di cui ai DPR. 483 e 484/1997 ovvero dell'art. 17 bis del dlgs 502/1992. In tal caso può durare sei mesi prorogabili fino a dodici."; B) al comma 7. "Le sostituzioni previste nel presente articolo non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell'ambito del ruolo e del livello unico della dirigenza dei quattro ruoli. Al dirigente incaricato della sostituzione ai sensi del presente articolo non è corrisposto alcun emolumento per i primi due mesi. Qualora la sostituzione si protragga continuativamente oltre tale periodo, al dirigente compete una indennità mensile di L.1.036.000....per tutta la durata della sostituzione..". Il caso che interessa il sottoscritto, farmacista di ruolo, coadiutore prima, di 1° livello dirigenziale dopo e successivamente dirigente di struttura semplice, è il seguente. Nell'anno 1996 l'Amministrazione con Deliberazione del Direttore Generale, accertate tutte le condizioni e i presupposti oggettivi e soggettivi richiesti gli conferiva l'incarico temporaneo di direzione della farmacia ospedaliera, su posto vacante lasciato libero dalla precedente direttrice andata in quiescenza, per otto mesi. Tempo dichiaratamente necessario all'espletamento del concorso già indetto l'anno prima per la copertura di detto posto. Il sottoscritto ha continuato a svolgere quell'incarico oltre il tempo degli otto mesi indicati nella DDG/1996, con certificazioni e attestazioni varie da parte dei massimi vertici dirigenti dell'Asl e del presidio ospedaliero di appartenenza, in modo continuativo, completo ed esaudiente sotto il profilo professionale e manageriale, con responsabilità e autonomia sotto il profilo organizzativo e della gestione delle risorse umane tecniche e finanziarie. Nell'anno 2003, dopo ripetute istanze e diffide a riconoscermi la corresponsione delle differenze tabellari contrattuali tra il 1° livello di appartenenza e il 2° livello della struttura e dell'incarico che continuavo a svolgere, il Direttore Generale con proprio atto deliberava di riconoscermi, sulla scorta del parere del dirigente della struttura burocratica legale, A) tutte le differenze delle varie voci stipendiali richieste per il periodo 1996/2000; B) per effetto dell'intervenuto nuovo CCNL 8.6.2000, l'indennità di sostituzione ivi prevista al comma 7 dell'art. 18 menzionato in premessa ; C) di continuare a corrispondermi la stessa indennità forfettaria di sostituzione per tutto il tempo in cui sarei rimasto in quella posizione di incaricato. L'incarico è perdurato senza interruzione alcuna fino all'anno 2006 in cui è stato effettuato il concorso-selezione che ho vinto, con l'affidamento dell'incarico e relativo contratto, e che è durato due anni per essere andato in quiescenza nel 2008. Ora, faccio presente che, una volta in pensione, ho ripetutamente presentato richiesta, anche ai fini dichiaratamente interruttivi di prescrizione e decadenza, di corrispondermi le differenze tabellari previste dai CC. CC. NN. LL. di tutte le indennità spettanti al dirigente responsabile di struttura complessa, al netto di quanto corrispostomi il qualità di indennità di sostituzione. Tutto ciò premesso, rivolgo rispettosa richiesta 1), di un Vostro competente parere circa l'applicazione della norma contrattuale in discussione e la forzata estensione praticata dall'Amministrazione della previsione contrattuale contenuta nel comma 7 dell'art. 18 che a mio parere si realizza ed esaurisce la sua portata esclusivamente nel tempo di 6, massimo 12 mesi "..il tempo strettamente necessario ad espletare le procedure.." concorsuali che rappresenta la condizione dettata dalla correlazione e solidarietà tra il comma 7 e il comma 4 dello stesso art. 18 del contratto. Il mio incarico che si è abnormemente protratto non per 12 mesi massimi previsti ma per ben 12 anni (1996-2006), non credo che possa rientrare in alcun modo nella previsione contrattuale: nessuna Amministrazione di strutture sanitarie pubbliche bandirebbe più concorsi per incarichi apicali ma si affiderebbe ad incaricati temporanei di sostituzione (che diventa poi sine die) a dirigenti di fasce sottostanti con enormi economie ma al tempo stesso con inefficienze generalizzate e stravolgimento degli ordinamenti legislativi, regolamentari e contrattuali che presiedono alla corretta organizzazione della pubblica amministrazione. 2) di farmi conoscere riferimenti normativi o giurisprudenziali eventualmente a Vostra conoscenza che possano confortare la mia pretesa. Si saluta cordialmente.”
Consulenza legale i 26/03/2016
Con il presente quesito viene richiesto se, in caso del protrarsi, oltre il termine di legge, di un'affidamento temporaneo di incarico dirigenziale superiore, il dirigente possa pretendere, pure in assenza di una selezione pubblica, i compensi e le indennità spettanti in virtù della qualifica superiore o, al contrario, spetti al dirigente solamente l'indennità di sostituzione.
Quanto rilevato nella formulazione del quesito - con riferimento alla distorsione della normativa posta in essere dall'Amministrazione, la quale evita di bandire un pubblico concorso e protrae in maniera patologica situazioni che sarebbero dovute rimanere contingenti - risulta condivisibile, ed è quello che spesso accade nelle Pubbliche Amministrazioni.
In ogni caso, nel caso di specie, laddove si accertasse che il dirigente in questione abbia svolto una mansione superiore, si potrebbe effettivamente richiedere la differenza di trattamento relativa alla qualifica superiore.
Infatti, in generale, con riferimento alla vacanza delle posizioni dirigenziali, è previsto un apposito istituto, la cd. reggenza; tuttavia l'amministrazione può ricorrere a tale strumento solamente per il periodo necessario a bandire e concludere il concorso per coprire tale posto.
La Giurisprudenza ha chiarito che: "Le disposizioni relative al comparto Ministeri che consentono la reggenza del pubblico ufficio sprovvisto temporaneamente del dirigente titolare devono essere interpretate nel senso che l'ipotesi della reggenza costituisce una specificazione dei compiti di sostituzione del titolare assente o impedito, contrassegnata dalla straordinarietà e temporaneità, con la conseguenza che a tale posizione può farsi luogo, senza che si producano gli effetti collegati allo svolgimento di mansioni superiori, solo allorquando sia stato aperto il procedimento di copertura del posto vacante e nei limiti di tempo ordinariamente previsti per tale copertura; al di fuori di tale ipotesi, la reggenza dell'ufficio concreta svolgimento di mansioni superiori" (cfr. Cassazione civile, Sez. Un., 16 febbraio 2011, n. 3814).
Pertanto, la Giurisprudenza ha chiarito che: "In tema di lavoro pubblico contrattualizzato e di trattamento economico del personale con qualifica dirigenziale, la tredicesima mensilità dev'essere computata nella determinazione delle differenze retributive dovute per lo svolgimento di mansioni superiori a quelle previste per la posizione ricoperta dal dipendente, poiché costituisce una componente strutturale dello stipendio tabellare e, quindi, un corrispettivo del lavoro complessivamente svolto, dovuto in applicazione del principio costituzionale di proporzionalità del trattamento economico del lavoratore" (Cassazione civile, Sez. Lav., 12 ottobre 2011, n. 20976).
Quindi, da un'analisi preliminare del caso, sembrerebbe che il dirigente possa richiedere la differenza di trattamento economico spettante in base alla categoria superiore (laddove si dimostrasse la sussistenza della qualifica superiore).
Tuttavia, bisogna escludere che possa essere riconosciuta la qualifica superiore; infatti, l'esclusione dell'inquadramento favorevole, in seguito al riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori, è chiaramente determinata dalla peculiarità del rapporto di pubblico impiego e dalle modalità di accesso ad esso (garantite a livello costituzionale).

Tale principio è stato ampiamente ribadito in Giurisprudenza: "l'esercizio di fatto di mansioni superiori nell'impiego pubblico non conferisce alcun diritto all'inquadramento nella qualifica superiore, salvo il caso di disposizioni speciali. Ciò, sia perché il provvedimento di inquadramento è presupposto indefettibile delle mansioni e del correlativo trattamento economico, sia perché, ancor più in generale, il rapporto di pubblico impiego non è assimilabile al rapporto di lavoro privato, vista anche la natura indisponibile degli interessi coinvolti" (cfr. a titolo meramente esemplificativo, T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 12 febbraio 2015, n. 1036).
Infine, come già anticipato, occorrerebbe dimostrare in giudizio la sussistenza dei presupposti per la configurabilità dell'esercizio di mansioni superiori: "ai fini della configurabilità dell'esercizio di mansioni superiori e della loro rilevanza ai fini retributivi, costituiscono presupposti imprescindibili lo svolgimento di fatto, in modo continuativo e prevalente di funzioni rientranti nella qualifica superiore; il conferimento mediante atto formale delle mansioni stesse; l'esistenza di un posto, che risulti vacante nel relativo organico" (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 23 novembre 2015, n. 5303).
Per concludere si ritiene utile evidenziare che in ogni caso la Giurisprudenza tende a riconoscere con estrema prudenza le spettanze in questione: "Esigenze pubbliche derivanti dalla necessità della rigorosa corrispondenza fra mansioni e profilo o posizione funzionale di inquadramento, dall'indisponibilità da parte dell'Amministrazione e dei suoi dirigenti, preposti ai vari servizi, degli interessi pubblici connessi alla corretta organizzazione e gestione degli uffici e del relativo personale (in coerenza con i principi dell'art. 97 e 98 della Costituzione), dalla regola generale che il conferimento della qualifica e delle relative mansioni debba avvenire di norma attraverso il concorso pubblico, non consentono alcun riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori non solo ai fini giuridici (ossia di inquadramento nella qualifica superiore, peraltro del tutto impedito dalle norme di legge vigenti che dal 1980 sanciscono la nullità degli eventuali provvedimento assunti in violazione delle stesse), ma anche economici, laddove tale svolgimento sia avvenuto al di fuori dei percorsi e/o delle procedure che eccezionalmente consentono la preposizione a compiti diversi e superiori alla qualifica posseduta" (T.A.R. Firenze, (Toscana), sez. II, 4 marzo 2009, n. 392).

P. S. chiede
mercoledì 02/02/2022 - Lazio
“Salve, sono dipendente dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, oggi, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli dal dicembre 1992. Sono entrato in servizio con la qualifica di collaboratore amministrativo 6° livello dopo concorso pubblioco. In data 2/3/2004 mi sono state riconosciute mansioni superiori corrispondenti al profilo professionale di collaboratore capo (7° livello) con decorrenza 6/11/1998.
In data 26/5/2006, le suddette funzioni mi sono state revocate con motivazione "nell'ambito del nuovo assetto organizzativo delineatosi anche a seguito delle procedure concorsuali di riqualificazione del personale, sono venute meno le condizioni per far proseguire nell'esercizio di compiti superiori i dipendenti ai quali sono state formalmente attribuite.
Preciso che le procedure concorsuali di riqualificazione del personale ivi citate corrispondono a due concorsi esterni per l'accesso alla 7° e 8° qualifica funzionale banditi negli anni 2003 e 2004, procedure a cui io non ho potuto partecipare perchè era richiesto il diploma di laurea.
Chiedo se sia possibile per me chiedere che mi venga riconosciuto, (anche non ex ante ma alla data odierna) l'inquadramento nel livello superiore (7° livello) che ad oggi corrisponderebbe alla Area terza - posizione economica F1 del contratto Agenzie Fiscali a cui appartengo. Chiedo altresì se il mio eventuale diritto sia oggi prescritto.
Grazie”
Consulenza legale i 09/02/2022
Nel rapporto di pubblico impiego, se il dipendente svolge delle mansioni superiori, tale esercizio “in nessun caso fa sorgere il diritto alla definitiva acquisizione della diversa qualifica”: ciò vuol dire che l’esercizio di mansioni superiori da parte del pubblico impiegato non ha come naturale conseguenza il diritto alla promozione automatica ad una nuova categoria lavorativa, ma solo quello alla retribuzione corrispondente. Questo avviene perché la Costituzione Italiana impone il pubblico concorso per tutti gli avanzamenti di carriera nel pubblico impiego (Art. 97 Cost.). La materia è compiutamente regolata dall’art. 52 del Testo Unico sul Pubblico Impiego.

Pertanto, l’attribuzione a mansioni superiori nel periodo dal 1998 al 2006 dovrebbe aver determinato solamente il diritto a maggiori retribuzioni per il periodo di riferimento.
Peraltro, successivamente le mansioni sono state ufficialmente revocate e, quindi, il lavoratore non potrebbe neppure richiedere le eventuali maggiori retribuzioni, in quanto non ha più effettivamente svolto tali funzioni.

Il diritto del lavoratore subordinato alla qualifica superiore si prescrive nell'ordinario termine decennale di cui all'art. 2946 cod. civ., mentre quello per il credito derivante dalle differenze retributive spettanti per la superiore qualifica è soggetto alla prescrizione quinquennale ex art. 2948 cod. civ.
In ogni caso, quindi, entrambi i termini sarebbero ormai spirati.