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Non vuole più frequentare la scuola perché molestato e perseguitato dai compagni di classe a causa di “stalking scolastico”

Non vuole più frequentare la scuola perché  molestato e perseguitato dai compagni di classe a causa di “stalking scolastico”
I comportamenti dei minori che, per un certo periodo sono tesi a far nascere nel proprio compagno di scuola una condizione di disagio tale da indurlo a lasciarla o, quantomeno a cambiare classe, integrano il reato di “stalking”.

In questi ultimi anni si è sentito molto discorrere di quel fenomeno, decisamente diffuso nelle scuole, che comunemente viene chiamato “bullismo” caratterizzato da vere e proprie persecuzioni che creano uno stato di soggezione psicologica nel soggetto che ne è vittima.

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso del genere (Corte di Cassazione, sent. n. 26595/2018).

Nella fattispecie, dei minori avevano più volte sottoposto un compagno di classe a una serie di condotte vessatorie che avevano prodotto, come risultato, dapprima la mancata frequenza scolastica da parte della vittima e, poi, l’abbandono dell’istituto.

Dagli atti di causa era emersa l’insorgenza di stati di ansia, stress e paura per la propria incolumità in capo al minore che, in conseguenza di ciò, era stato costretto a mutare le proprie abitudini di vita.

Osservava la Suprema Corte che tali episodi, non occasionali o isolati, ma ripetuti nel tempo, posti in essere nel corso dell’intero anno scolastico, integravano la fattispecie di “atti persecutori”, comunemente detti “stalking” di cui all’art. 612 bis c.p.
Non si trattava, dunque, come sostenuto dagli imputati, di semplici “scherzi”, privi di particolari conseguenze sul piano penale.

Anzi, la Corte di Cassazione sottolineava che proprio le affermazioni dei minori per cui la persona offesa sarebbe stata vittima solo di scherzi, mostravano la mancata comprensione della gravità dei propri comportamenti.

La Corte d’Appello aveva già avuto modo di rilevare, infatti, con motivazionearticolata e immune di vizi”, che, in considerazione delle dichiarazioni della vittima, sottoposte ad attenta verifica, e in virtù di tutte le condotte vessatorie subite, fossero stati posti in essere veri e propri atti persecutori.

Ai fini della configurazione del reato, è, infatti, sufficiente che si verifichi uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma in esame, quali il perdurante e grave stato d’ansia, il timore per la propria incolumità o il cambiamento delle abitudini di vita.

Nel caso in esame, la Corte territoriale aveva avuto modo di osservare come risultasse da apposita documentazione e provato dagli atti di causa che la situazione aveva ingenerato nel minore un profondo stato di ansia, oltre ad averlo costretto ad abbandonare la scuola.

Lo stato di soggezione psicologica che si crea nella vittima, il timore di aggressioni verbali e non, a prescindere dal fatto che l’offesa venga resa di fronte a poche o tante persone, rientra nell'ambito degli atti persecutori.

Il ragazzo o bambino che lamenta di esserne vittima potrà essere ascoltato, rendere dichiarazioni e testimoniare a proprio favore, ma, soprattutto, sarà oggetto di valutazione il comportamento tenuto dallo stesso. Assai rilevante in tal senso, ad esempio, sarà il fatto che decida di cambiare scuola o classe o addirittura di non frequentare più le lezioni.

Si tenga presente, infine, che l’accusa per il reato di atti persecutori non esclude che siano poste in essere, da parte dei minori, altre fattispecie delittuose, come le percosse, o le lesioni personali di cui all'art. 582 c.p.

Per la prova di queste, oltre alle certificazioni del pronto soccorso, potranno essere prodotte in giudizio anche le foto che mostrano i lividi subiti.

In tutti i casi sopraccitati, potrà essere chiesto il risarcimento dei danni, cui saranno tenuti i genitori del figlio minore, a favore della famiglia della vittima.


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