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Tentata importazione di sostanze stupefacenti: le precisazioni della Corte di Cassazione

Tentata importazione di sostanze stupefacenti: le precisazioni della Corte di Cassazione
Si configura il tentativo di importazione di sostanze stupefacenti in presenza di condotte che mostrino una seria volontà di raggiungere l'accordo circa il trasferimento della sostanza destinata ad essere trasferita sul territorio nazionale da parte dell'acquirente.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7806 del 19 febbraio 2018, ha avuto modo di fornire alcune interessanti precisazioni circa il reato di “importazione di stupefacenti”, di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990.

Nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma aveva impugnato l’ordinanza con cui degli indagati erano stati assolti dalle accuse di tentata importazione di stupefacenti.

Secondo il Procuratore, infatti, il Tribunale avrebbe erroneamente escluso la sussistenza del tentativo punibile di tale reato, “nonostante gli elementi raccolti deponessero in senso opposto, essendo emersa prova del coinvolgimento degli indagati nelle trattative per concordare il quantitativo di droga, il prezzo e la destinazione”.

Evidenziava il ricorrente, in particolare, che, dalle conversazioni intercettate, era emerso chiaramente “il ruolo di intermediari dei due indagati nella trattativa illecita di importazione di stupefacenti” e che il reato contestato non si era perfezionato solo “a causa dei molteplici arresti e della difficoltà del reperimento delle risorse economiche per concludere la transazione, anche in relazione all'aumento del prezzo della droga e ad alcuni arresti intervenuti”.

La Corte di Cassazione riteneva, in effetti, di dover aderire alle considerazioni svolte dal Procuratore, accogliendo il relativo ricorso, in quanto fondato.

Osservava la Cassazione, in proposito, che il reato di “importazione di stupefacenti si realizza anche prima del materiale trasferimento della droga in territorio nazionale, quando l'agente abbia acquisito in uno Stato estero la proprietà della droga medesima, assumendo l'onere del trasporto a proprie cure”.

Secondo la Cassazione, infatti, in virtù del “principio consensualistico che regola il contratto di compravendita”, è “l'incontro di volontà” che determina il passaggio della proprietà, con la conseguenza che, “il raggiungimento dell'accordo circa il trasferimento della sostanza stupefacente destinata ad essere trasferita sul territorio italiano da parte dell'acquirente”, concreta senz'altro il reato in questione.

La Cassazione precisava, inoltre, che il reato in questione dovrà considerarsi “tentato”, laddove sia accertata la commissione di “condotte che mostrino una seria volontà di raggiungere l'accordo, ossia tutte le volte in cui, per la natura, la qualità e il numero dei contatti intervenuti tra le parti della trattativa, risulti che i contraenti abbiano riposto una sorta di affidamento sulla possibile conclusione della trattativa”.

Ebbene, nel caso di specie, la Cassazione rilevava come i giudici di merito avessero erroneamente escluso il tentativo di reato, fondando la propria decisione sul fatto che non risultava essere stato concluso “un accordo tra acquirenti e venditori in ordine alla quantità, qualità e prezzo della droga”.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso proposto dal Procuratore, annullando la sentenza impugnata e rinviando la causa al Tribunale di Roma, affinchè il medesimo procedesse ad un nuovo esame della questione, sulla base dei principi sopra enunciati.


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