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Tentativo di "frode in commercio" per il ristoratore che non specifica nel menù che i cibi sono surgelati

Tentativo di "frode in commercio" per il ristoratore che non specifica nel menù che i cibi sono surgelati
Secondo la Cassazione, l'omessa indicazione del carattere surgelato degli alimenti è da sola sufficiente ad integrare il tentativo di frode in commercio.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30173 del 16 giugno 2017, si è occupata di un interessante caso di “tentativo di frode nell’esercizio del commercio”, di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, una donna era stata condannata, in primo grado, per il reato di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962 (legge in materia di tutela degli alimenti), nonché per il reato di cui agli artt. 56 e 515 cod. pen. (tentata frode nell’esercizio del commercio), in quanto la stessa avrebbe posto in essere una condotta idonea diretta inequivocabilmente a consegnare ai clienti del ristorante cibi diversi, per provenienza e caratteristiche, rispetto a quelli dichiarati in menu.

Nello specifico, la ristoratrice aveva servito ai clienti carne, pesce e verdure surgelate, senza che nel menù fosse indicato il carattere surgelato dei cibi offerti.

La Corte d’appello, tuttavia, aveva parzialmente riformato la sentenza di condanna, dichiarando prescritto il reato di cui agli artt. 5 e 6 della legge n. 283 del 1962 e diminuendo la pena per l’altro reato contestato.

Ritenendo di dover essere assolta per entrambi i reati contestati, l’imputata aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, osservando che la semplice detenzione di alimenti congelati o surgelati non poteva integrare il tentativo di frode in commercio, in quanto mancavail requisito della univocità degli atti”.

Osservava la ricorrente, inoltre, che non era stato provato che l’imputata intendesse effettivamente vendere ai clienti un prodotto al posto di un altro e che il “tentativo di frode” può dirsi configurato solo in presenza di elementi oggettivi, in base ai quali il cliente “possa essere portato a credere di consumare un prodotto fresco”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione alla ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Osservava la Cassazione, in particolare, che, nel caso in cui il ristoratore detenga alimenti congelati o surgelati, senza che sia indicata tale caratteristica, può dirsi configurato il “tentativo di frode in commercio”, essendo irrilevante che il trattamento di congelamento o surgelamento sia avvenuto in fase di lavorazione dell’alimento o a prodotto finito.

Evidenziava la Corte, infatti, che, per quanto concerne il reato di cui all’art. 515 cod. pen., “non è oggetto di contestazione il procedimento produttivo o di conservazione degli alimenti, ma la mancanza di adeguata informazione ai consumatori, ai quali i prodotti vengano presentati come freschi”.

La Cassazione precisava, dunque, che “la disponibilità nelle cucine di un ristorante di alimenti surgelati non indicati come tali nel menu perfeziona il tentativo di frode in commercio”, non essendo necessario che “l’omessa indicazione nel menu del carattere surgelato degli alimenti sia accompagnata da ulteriori elementi idonei a trarre in inganno l’acquirente”.

Chiariva la Corte, infatti, che l’omessa indicazione del carattere surgelato degli alimenti “è da sola sufficiente ad integrare il tentativo di frode in commercio, integrando una mancanza di adeguata informazione ai consumatori, i quali, in mancanza di indicazioni di segno contrario, possono legittimamente presumere di consumare alimenti freschi”.


Ciò considerato, la Cassazione rigettava il ricorso proposto dalla ristoratrice, confermando integralmente la sentenza impugnata e condannando la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.


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