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Responsabilità medica: responsabile l'anestesista che per grave negligenza cagiona la morte di un paziente

Sanità - -
Responsabilità medica: responsabile l'anestesista che per grave negligenza cagiona la morte di un paziente
La Cassazione ha confermato la condanna di un medico anestesista per "omicidio colposo", in quanto questi non aveva adeguatamente regolato l'ossigenazione di una paziente durante un intervento chirurgico.
La Corte di Cassazione penale, con la sentenza n. 33770 dell’11 luglio 2017, si è occupata di un interessante caso in materia di responsabilità medica.

Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Corte d’appello di Roma aveva confermato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città aveva condannato un medico anestesista per omicidio colposo (art. 589 cod. pen.), commesso nei confronti di una paziente.

Nello specifico, la paziente era stata ricoverata a seguito di un incidente stradale e, successivamente, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico di “riduzione chiusa di una frattura nasale non a cielo aperto”.

Dopo l’operazione, tuttavia, erano insorte delle complicazioni e la donna era stata trasferita nel reparto di rianimazione, dove era deceduta per insufficienza cardiorespiratoria.

Ebbene, la Corte d’appello era giunta alla conclusione di dover condannare per omicidio colposo il medico anestesista perché, dagli accertamenti effettuati in corso di causa, era emerso che, al termine dell’intervento chirurgico, si era verificata un’ischemia cerebrale, collegata ad una “carenza d'ossigeno generalizzata a livello cerebrale”, indotta dalla condotta dell’anestesista stesso, che non aveva adeguatamente gestito la ventilazione polmonare della donna durante l’intervento.

Secondo la Corte d’appello, dunque, era stata la cattiva gestione delle vie aree da parte dell’anestesista ad aver determinato la morte della paziente.

Ritenendo la decisione ingiusta, il medico aveva deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, nella speranza di ottenere l’annullamento della sentenza sfavorevole.

Secondo il medico ricorrente, infatti, la morte della paziente si era verificata a causa di un’infezione insorta nel reparto di terapia intensiva e la ridotta ossigenazione della paziente non poteva essere considerata la sola causa del decesso.

Di conseguenza, al massimo, secondo il medico, la sua condotta poteva essere considerata caratterizzata da “colpa lieve”, di cui all’art. 3 della legge n. 189 del 2012 (cosiddetta “legge Balduzzi”, abrogata quest’anno dalla cosiddetta “legge Gelli” – l. n. 24/2017).

La Corte di Cassazione, tuttavia, non riteneva di poter dar ragione al medico ricorrente, rigettando il relativo ricorso, in quanto infondato.

Secondo la Cassazione, infatti, la Corte d’appello aveva adeguatamente motivato la propria decisione, evidenziando come, dalle prove assunte, fosse stato accertato che la causa del decesso della paziente era riconducibile alla prolungata mancata ossigenazione della stessa nel corso dell’intervento.

Secondo la Cassazione, inoltre, la condotta del medico era stata “correttamente e motivatamente qualificata come caratterizzata da ‘grave negligenza”.

Ciò considerato, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso proposto dal medico, confermando integralmente la sentenza di secondo grado e condannando il ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.

Responsabilità medica: anestesista condannato per omicidio colposo, per non aver adeguatamente regolato l’ossigenazione di una paziente durante un intervento chirurgico.

Secondo la Cassazione, la Corte d’appello aveva del tutto correttamente qualificato la condotta del medico come caratterizzata da “grave negligenza”.


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