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accusare ingiustamente la moglie di tradimento è calunnia e diffamazione

accusare ingiustamente la moglie di tradimento è calunnia e diffamazione
Commette calunnia e diffamazione il marito che accusa la moglie di tradimento sapendo che è falso.
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13564/2020, si è pronunciata in merito alla configurabilità dei reati di calunnia e di diffamazione aggravata, di cui, rispettivamente, agli articoli 368 e 595, comma 3, del c.p., in capo al marito che abbia falsamente accusato la moglie di infedeltà.

La questione sottoposta all’esame dei Giudici di legittimità nasceva dalla condanna inflitta ad un uomo, all’esito di entrambi i gradi del giudizio di merito, per i reati di calunnia, ex art. 368 c.p., e di diffamazione aggravata, ex art. 595, comma 3, c.p., per aver accusato la moglie separata di intrattenere una relazione extraconiugale, pur essendo consapevole della falsità di tale accusa.

Di fronte alla propria condanna, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ricorreva dinanzi alla Corte di Cassazione, eccependo, in primo luogo, come l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza delle prove raccolte fossero tali da neutralizzare l’ipotesi accusatoria, anche con riferimento all’attribuibilità a sé del fatto sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo.

Con il secondo motivo di ricorso l’imputato denunciava un vizio di legge e di motivazione in relazione alla configurabilità dei reati contestatigli, nonché alla sussistenza dei relativi elementi soggettivi ed oggettivi. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte d’Appello, nel ripercorrere gli elementi su cui aveva fondato la propria valutazione, aveva omesso di fornire un’argomentazione specifica in merito ai reati contestati e ai loro elementi costitutivi, senza soffermarsi, in particolare, sulla configurabilità di una concreta lesione della reputazione della persona offesa.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, posta la manifesta infondatezza dei motivi di doglianza proposti.

Quanto al primo motivo di ricorso, gli Ermellini hanno evidenziato come, in realtà, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, la Corte territoriale abbia sviluppato un’analisi dei fatti e degli elementi probatori del tutto conforme al modello indicato dall’art. 546, comma 1, lett. e), c.p.p., avendo, peraltro, sottolineato la piena attendibilità della persona offesa, suffragata anche dalle dichiarazioni confermative dei testimoni.

Con riferimento, poi, al secondo motivo di ricorso, la Cassazione ha sottolineato come, dalla lettura di entrambe le sentenze di merito, risulti la concreta configurazione del delitto di calunnia, derivante dalla formulazione, nei confronti della persona offesa, di accuse che sono state prospettate in termini volutamente diversi da quanto accaduto realmente e, dunque, non spiegabili soggettivamente sulla base di diversi apprezzamenti della realtà.

Parimenti corretta è parsa, alla Suprema Corte, la decisione dei giudici de quo di ravvisare, nella condotta dell’imputato, anche il delitto di diffamazione aggravata, in ragione dell’ingiustificato addebito, mosso alla persona offesa sulla base di una sviata rappresentazione della vicenda, di intrattenere una relazione extraconiugale con un altro uomo. Tale elemento è, infatti, intrinsecamente idoneo a ledere la reputazione di cui gode la persona offesa presso la propria comunità di riferimento, oltre che la sua dignità personale, in relazione al complesso dei propri valori e delle proprie qualità.


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