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Protezione contro gli abusi familiari

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Protezione contro gli abusi familiari
Anche un solo schiaffo diretto alla moglie costituisce atto di violenza per il quale è possibile chiedere un ordine di protezione e di allontanamento.
Il Tribunale di Milano, con un’ordinanza del 30 giugno 2016, si è occupato di un interessante caso in materia di “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, disciplinati dagli artt. 2 e 3 della legge 4 aprile 2001, n. 154 e dall'art. 342 bis del c.c. e seguenti.

Come ricordato dal Tribunale di Milano, nella sentenza sopra citata, gli “ordini di protezione” si sostanziano in una misura cautelare che può essere richiesta al giudice in caso di violenza nelle relazioni familiari.

Tali ordini, infatti, presuppongono una “condotta del coniuge o di altro convivente” che sia “causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.

In presenza di tali presupposti, precisa il Tribunale, “il giudice, su istanza di parte, può ordinare la cessazione della condotta pregiudizievole e disporre l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che se ne è reso responsabile, prescrivendogli, altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante” (art. 342 ter del c.c., comma 1).

Nel caso in esame, in particolare, una donna si era rivolta al Tribunale al fine di ottenere l’emissione di un ordine di protezione, evidenziando l’atteggiamento abitualmente violento, sia dal punto di vista fisico che psicologico, del marito.

Il Tribunale di Milano, nel decidere sulla questione, evidenziava come la condotta del soggetto nei cui confronti si chiede l’emanazione dell’ordine di protezione debba potersi “apprezzare a livello “qualitativo” e quantitativo: nel primo caso, quanto alle concrete modalità idonee a rappresentare, per il futuro, un “grave pericolo”; quanto al secondo caso, quanto all’entità della condotta nel tempo, alla sua efficacia offensiva, alla sua dimensione psicologica”.

Nel caso di specie, secondo il Tribunale, entrambi i requisiti risultavano rispettati, in quanto la ricorrente aveva descritto un marito abitualmente incline ad “atteggiamenti violenti, sia fisicamente che psicologicamente”, che non si curava del fatto che i figli potessero assistere agli atti aggressivi.

Le allegazioni della ricorrente, peraltro, trovavano conferma in vari altri elementi indiziari, come un certificato rilasciato dall’ospedale, ove risultava “appurato un trauma al volto determinato da aggressione perpetrata dal marito ubriaco”. Quando si era rivolta ai sanitari, infatti, la donna aveva riferito agli operatori intervenuti “di essere stata aggredita al volto dal coniuge, con schiaffi” e “di essere stata quindi inseguita dal marito con un coltello”, tanto che la medesima aveva provveduto, successivamente, a sporgere denuncia in Questura.

Ebbene, il Tribunale di Milano evidenziava come “in materia di atti aggressivi violenti, anche un solo schiaffo rivolto dal marito alla moglie” costituisce “un atto di violenza, non potendo l’ordinamento tutelare mai e in nessuna misura che la dignità della donna venga ad essere calpestata dall’arbitrio altrui, non essendo il matrimonio il luogo in cui i diritti inalienabili delle persona possono essere sottomessi in ragione di logiche culturali o sociali”.

Alla luce di tali considerazioni, dunque, il Tribunale ordinava al marito di allontanarsi immediatamente dalla casa familiare, comunicando alla moglie, l’indirizzo della nuova abitazione.

Il Tribunale, inoltre, ordinava al marito, “di cessare immediatamente ogni condotta violenta o molesta ai danni della moglie”, prescrivendo allo stesso “di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla moglie ed in particolare la casa familiare”.

Dal punto di vista economico, poi, il Tribunale poneva a carico dell’uomo “l’obbligo di corrispondere alla madre, la somma di euro 400,00 a titolo di contributo mensile per il mantenimento indiretto della prole”.


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