In materia di pensioni, esiste una misura che permette a una categoria di persone di ricevere un aiuto economico dallo Stato, pur non avendo mai versato contributi o avendone versati pochi: l’assegno sociale, che molti chiamano “pensione sociale”. È una prestazione assistenziale, non legata a un lavoro o a una carriera contributiva, ma al bisogno.
L’assegno sociale viene erogato dall’INPS a partire dai 67 anni di età, ma non spetta a tutti. È destinato a chi si trova in condizioni economiche difficili: parliamo di soggetti che non hanno un reddito o che ne hanno uno molto basso. Per il 2025, ad esempio, il limite di reddito personale è fissato a 7.002,84 euro annui. Se si è coniugati, la soglia sale a 14.005,68 euro, perché si considera anche il reddito del coniuge.
Chi rientra in questi limiti può ricevere un assegno mensile di 538,68 euro, per tredici mensilità. Quando il reddito è nullo, si ha diritto all’assegno in misura massima; se, invece, si detiene un reddito nei limiti delle soglie sopra elencate, l’assegno sarà riconosciuto in misura ridotta.
Veniamo ora al particolare che spesso è ignorato o sottovalutato: non basta essere sotto la soglia di reddito per ottenere l’assegno sociale. Serve anche trovarsi in una condizione di effettivo bisogno. Questa è una valutazione più ampia, che non si limita al 730 o all’ISEE.
Per esempio, ci sono casi in cui l’INPS ha negato l’assegno sociale a persone formalmente sotto la soglia reddituale, ma che avevano un certo patrimonio mobiliare o immobiliare (magari intestato ma non produttivo di reddito), oppure che vivevano in modo non coerente con uno stato di indigenza. Parliamo di spese elevate, conti in banca con cifre importanti, o altre situazioni che lasciano pensare a una condizione economica più agiata di quanto dichiarato.
In questi casi, è legittimo negare l’assegno?
Negli ultimi anni, la Cassazione è intervenuta più volte sull’argomento, chiarendo un concetto importante: il diritto all’assegno sociale si fonda sullo stato di bisogno, e questo può esistere anche se la situazione è stata “autoindotta”. Quindi, anche chi ha donato i propri beni, o ha rinunciato a un mantenimento che gli spettava, o chi in generale con le proprie scelte ha causato il proprio stato di bisogno ha comunque diritto all’assegno.
In altre parole, ciò che conta davvero è che lo stato di bisogno sia reale e documentabile al momento della domanda.
In molti casi, chi si vede negare l’assegno può fare ricorso, anche in sede giudiziale. E la statistica ci dice che frequentemente i giudici danno ragione al cittadino, proprio perché la legge non impone che il bisogno sia incolpevole, ma solo che sia reale. Ovviamente, è importante avere documenti e prove che mostrino la reale situazione economica e la mancanza di mezzi per vivere.
Quando si parla di assegno sociale, bisogna andare oltre le tabelle dei redditi. Il vero requisito fondamentale è il bisogno effettivo. Se una persona, al di là dei numeri sulla carta, non riesce davvero a vivere in modo dignitoso, allora ha diritto a questo sostegno.
L’assegno sociale viene erogato dall’INPS a partire dai 67 anni di età, ma non spetta a tutti. È destinato a chi si trova in condizioni economiche difficili: parliamo di soggetti che non hanno un reddito o che ne hanno uno molto basso. Per il 2025, ad esempio, il limite di reddito personale è fissato a 7.002,84 euro annui. Se si è coniugati, la soglia sale a 14.005,68 euro, perché si considera anche il reddito del coniuge.
Chi rientra in questi limiti può ricevere un assegno mensile di 538,68 euro, per tredici mensilità. Quando il reddito è nullo, si ha diritto all’assegno in misura massima; se, invece, si detiene un reddito nei limiti delle soglie sopra elencate, l’assegno sarà riconosciuto in misura ridotta.
Veniamo ora al particolare che spesso è ignorato o sottovalutato: non basta essere sotto la soglia di reddito per ottenere l’assegno sociale. Serve anche trovarsi in una condizione di effettivo bisogno. Questa è una valutazione più ampia, che non si limita al 730 o all’ISEE.
Per esempio, ci sono casi in cui l’INPS ha negato l’assegno sociale a persone formalmente sotto la soglia reddituale, ma che avevano un certo patrimonio mobiliare o immobiliare (magari intestato ma non produttivo di reddito), oppure che vivevano in modo non coerente con uno stato di indigenza. Parliamo di spese elevate, conti in banca con cifre importanti, o altre situazioni che lasciano pensare a una condizione economica più agiata di quanto dichiarato.
In questi casi, è legittimo negare l’assegno?
Negli ultimi anni, la Cassazione è intervenuta più volte sull’argomento, chiarendo un concetto importante: il diritto all’assegno sociale si fonda sullo stato di bisogno, e questo può esistere anche se la situazione è stata “autoindotta”. Quindi, anche chi ha donato i propri beni, o ha rinunciato a un mantenimento che gli spettava, o chi in generale con le proprie scelte ha causato il proprio stato di bisogno ha comunque diritto all’assegno.
In altre parole, ciò che conta davvero è che lo stato di bisogno sia reale e documentabile al momento della domanda.
In molti casi, chi si vede negare l’assegno può fare ricorso, anche in sede giudiziale. E la statistica ci dice che frequentemente i giudici danno ragione al cittadino, proprio perché la legge non impone che il bisogno sia incolpevole, ma solo che sia reale. Ovviamente, è importante avere documenti e prove che mostrino la reale situazione economica e la mancanza di mezzi per vivere.
Quando si parla di assegno sociale, bisogna andare oltre le tabelle dei redditi. Il vero requisito fondamentale è il bisogno effettivo. Se una persona, al di là dei numeri sulla carta, non riesce davvero a vivere in modo dignitoso, allora ha diritto a questo sostegno.